Introduzione - egea editore

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Introduzione - egea editore
1. INTRODUZIONE
Cesare Conti
Questo Quaderno riporta alcuni dei contributi presentati in occasione del Seminario che si è tenuto a Milano presso l’Università Bocconi l’11 novembre
2008 nell’ambito del Progetto FIN.T.E.MA (Finanza, Tesoreria, Economia e
Management). L’edizione 2008 di tale Progetto è realizzata da AITI (Associazione Italiana Tesorieri d’Impresa), da ANDAF (Associazione Nazionale
dei Direttori Amministrativi e Finanziari), da ACMI (Associazione Italiana
Credit Managers) e da CAREFIN (Centre for Applied Research in Finance)
dell’Università Bocconi. L’edizione 2008 del Progetto ha previsto, in qualità di Main Sponsors, Ernst & Young ed Unicredit. In qualità di Sponsor GE
Commercial Finance, Piteco, Telecom ed Oracle.
In questa introduzione vorrei soffermarmi brevemente su due punti principali. In primo luogo vorrei ricordare alcune novità che hanno caratterizzato l’edizione 2008 del Progetto FINTEMA. In secondo luogo vorrei soffermarmi brevemente su uno dei due temi affrontati in occasione del Seminario ed in particolare sull’utilizzo dei prodotti derivati nelle imprese. Il secondo dei due temi, ovvero le operazioni di leverage in buyouts, è infatti già
ampiamente approfondito in questo Quaderno in ben tre contributi. Io potrei
pertanto aggiungere ben poco.
Vengo al primo punto, ovvero le novità del Progetto FINTEMA. Il Progetto FINTEMA ha compiuto nel 2008 dieci anni. La prima edizione, datata 1998, prese le mosse da una idea semplice a cui lavorai con l’allora Presidente di AITI, Remo Gattiglia. L’idea era quella di fornire occasioni di incontro e di riflessione ai soci di AITI, muovendo dall’approfondimento di
temi di frontiera proposti sia da accademici sia da operativi.
Da allora la Bocconi ed il nostro Paese sono cambiati, e così ha fatto in
questo decennio anche il Progetto FINTEMA, grazie agli adattamenti con-
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tinui proposti dal suo Comitato di Indirizzo. Tali adattamenti si sono accompagnati ad una crescita continua del Progetto sotto diversi profili, quali
ad esempio: il numero e la qualità dei partecipanti; la varietà della provenienza dei Relatori; la vastità dei temi trattati; il numero delle Associazioni
e degli Sponsors aderenti.
Questa tensione al cambiamento caratterizza anche l’edizione 2008 del
Progetto FINTEMA, che ha innovato sotto diversi profili.
Innanzitutto nel 2008 il Progetto è stato svolto nell’ambito di Carefin, un
nuovo Centro di Ricerca di Finanza Applicata che si colloca nell’ambito del
Dipertimento di Finanza della Bocconi. L’adesione a Carefin ha permesso
di accelerare un processo già in atto, volto a promuovere maggiore internazionalizzazione e più attenzione alla promozione della ricerca. Credo che
oggi più che mai ve ne sia bisogno, posto che spesso i media non garantiscono quella profondità di analisi che è propria dei contributi scientifici e
che dovrebbe costituire una guida delle decisioni del management.
Le principali conseguenze pratiche di tali novità organizzative e di indirizzo sono state soprattutto due. In primo luogo abbiamo ritenuto di invitare al nostro Seminario un Relatore accademico di fama mondiale, ovvero il
Prof. Renè Stulz, già Presidente dell’American Finance Association e ora
Direttore del Dice Center for Research in Financial Economics presso la
Ohio University, USA. La seconda novità è la promozione della ricerca, perseguita attraverso il finanziamento di working papers proposti da giovani ricercatori ad alto potenziale a livello internazionale. L’attenzione alla ricerca
continua peraltro a convivere con l’interesse riservato ai contributi più operativi, proposti soprattutto sotto forma di casi aziendali e di applicazioni. In
tal modo il Progetto svolge una funzione di collettore tra Università e Mondo Professionale, un collettore caratterizzato da una crescente vocazione internazionale.
Vengo ora al secondo punto, e cioè qualche considerazione sull’utilizzo
dei prodotti derivati nelle imprese.
Da qualche anno i prodotti derivati godono di pessima fama. La loro reputazione è crollata ulteriormente in occasione della recente e violenta crisi
dei mercati finanziari. Ciò contrasta con l’apprezzamento riconosciuto dalla teoria della finanza ai derivati utilizzati con finalità di copertura dei rischi
finanziari. Diverse verifiche empiriche testimoniano infatti una relazione
positiva tra utilizzo dei derivati e valore d’impresa. Lo stesso Prof. Renè
Stulz ce lo ha ricordato nel suo intervento al Seminario.
La notevole distanza tra opinione pubblica ed evidenze empiriche non
può non colpire. La spiegazione più plausibile è che l’opinione pubblica ab-
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bia attribuito ai prodotti derivati una responsabilità che essi non hanno.
Nonostante qualche eccesso dell’ingegneria finanziaria, infatti, i principali
problemi che si sono verificati con i derivati non sono attribuibili tanto ai
prodotti in sé e per sé. Quanto piuttosto alle modalità con cui le banche li
hanno erogati ed alle carenze nella governance e nella disclosure delle imprese/enti che li hanno utilizzati. Si tratterebbe pertanto di problemi che investono sia la regolamentazione del sistema sia il comportamento di banche/imprese/enti. Ciascun aspetto merita un breve chiarimento.
Quanto alla regolamentazione è evidente che dal 2005 ad oggi si è passati dal “far west” allo “stato di diritto” dei derivati. In particolare la MIFID
ha indotto le banche ad essere più trasparenti e competitive nel pricing dei
derivati, arginando così gli effetti pericolosi dell’asimmetria di capacità di
pricing dei derivati tra banche ed imprese/enti. Allo stesso tempo, i princìpi
contabili internazionali (IAS 39 e IFRS 7) ed il progressivo recepimento
delle direttive comunitarie hanno dato molta visibilità contabile ai prodotti
derivati, stimolando le imprese ad affinare la loro risk governance ed a migliorare la loro risk disclosure. Misure analoghe hanno più recentemente riguardato anche l’utilizzo dei derivati da parte degli enti, come ad esempio
la nostra legge 133 del 6 agosto scorso.
L’impatto del rapido cambiamento della regolamentazione sul comportamento di banche/imprese/enti è stato positivo ma non è certo privo di ombre. Se la MIFID ha posto un freno al comportamento opportunistico delle
banche, l’introduzione dei nuovi princìpi contabili ha sancito un brusco passaggio da un eccesso all’altro nel comportamento delle imprese. Esse sono
infatti passate da un utilizzo eccessivo e poco consapevole dei derivati ad un
approccio al risk management che Alan Greenspan - Past President della Federal Reserve - ha definito “imprudente”. Ed è imprudente poiché induce il
management a non utilizzare i prodotti derivati anche quando essi sarebbero economicamente opportuni. Questo comportamento imprudente trae origine soprattutto da due motivi.
Il primo è identificabile nella nuova asimmetria di visibilità contabile tra
i derivati - ora molto evidenti nel bilancio - e l’esposizione a rischio che essi intenderebbero coprire - che rimane molto opaca. Il risultato è che tanto
il board quanto il lettore del bilancio potrebbero erroneamente convincersi
che il management utilizza i derivati con finalità speculativa, anche quando
non è vero.
Il secondo motivo è riconducibile agli impegnativi adempimenti amministrativi imposti alle imprese per dimostrare la finalità di copertura dei de-
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rivati. La quale finalità, a sua volta, è il presupposto per applicare apposite
regole contabili di hedge accounting che permettono di usare i derivati di
copertura limitando l’impatto delle variazioni del loro fair value sull’utile di
bilancio.
In sintesi, il management che si copre dai rischi dovrebbe lavorare di più
e rischiare di essere comunque scambiato per un … “trader”. Se a ciò si aggiunge l’attuale feroce avversione mediatica ai derivati, perché mai il management dovrebbe ricorrere alle coperture?
Per non incorrere in questo pericoloso circolo vizioso, è necessario un
comportamento virtuoso da parte delle imprese/enti, volto ad affinare la risk
governance e la risk disclosure. A tal fine, un punto imprescindibile è la
messa a fuoco dei drivers economici che giustificano le coperture.
Al riguardo le evidenze empiriche che riguardano le imprese forniscono
utili consigli: dovrebbero coprirsi di più le imprese in crescita che sono meno liquide e più indebitate. Il motivo è semplice. Se si verificassero perdite
inattese, tali imprese non potrebbero contare sulla liquidità e/o su nuovo ricorso al debito, per cui potrebbero essere costrette a rinunciare alle loro buone opportunità di crescita.
La recente volatilità dei mercati ci ricorda che le perdite inattese possono facilmente verificarsi. Inoltre, l’attuale contesto di recessione globale
rende le coperture ancora più importanti. Non tanto per proteggere la crescita, che ad oggi langue. Ma addirittura per consentire alle imprese di sopravvivere in presenza di margini reddituali risicati e di un feroce razionamento del capitale, razionamento che penalizzerà soprattutto le imprese poco liquide, molto indebitate e troppo rischiose.
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