La prima guerra mondiale diversamente dalle guerre precedenti

Transcript

La prima guerra mondiale diversamente dalle guerre precedenti
AGE OF EXTREMES LABORATORIO-MOSTRA PER LA STORIA DEL ‘900
LA GUERRA COMBATTUTA
La prima guerra mondiale diversamente dalle guerre precedenti, che erano condotte per
obiettivi limitati e specifici, aveva come posta scopi illimitati. Nell’Età degli imperi, la politica e l’economia si
erano fuse. La rivalità politica internazionale si modellava sulla crescita e sulla competizione economiche, ma la
caratteristica di questi processi era per l’appunto la loro illimitatezza (Eric J. Hobsbawm, 1994, p. 41).
Inoltre nella prima guerra mondiale, e a maggior ragione nella seconda, l'obiettivo non è
la "preservazione" di un ordine e tanto meno di quello europeo, ma il suo totale stravolgimento, sia per coloro
che diventeranno i "vincenti", sia per i "perdenti".
Queste caratteristiche, sperimentate appunto per la prima volta tra il 1914 e il 1918,
diventeranno una costante “identificativa” di tutto il Secolo breve: la guerra sarà una guerra totale, dove gli
eserciti risulteranno una componente, ma non l’unica. Vincere una guerra nel Novecento significa distruggere
per il più lungo tempo possibile il popolo nemico, l’economia e le strutture politiche che quel popolo si è dato. E
se nella prima guerra mondiale il numero dei militari morti è di gran lunga superiore a quello dei civili, nella
seconda guerra mondiale il conflitto si sposta dalle trincee, scavate ai confini delle nazioni, alle barricate nelle
città, ai bombardamenti aerei sui civili.
La “matematica di guerra” ne è una riprova: se nella prima guerra mondiale i morti sono
circa 9 milioni (di cui 2 milioni russi, 1 milione e 400 mila francesi e 3 milioni tra tedeschi e austriaci) e i feriti
circa 21 milioni, nella seconda guerra mondiale i morti ammontano complessivamente a 27 milioni e 500 mila
(tra questi 10 milioni sovietici e 4 milioni e 300 mila tedeschi), di cui ben 9 milioni e 600 mila civili.
C'è un altro dato che pare formativo e caratteristico nella storia del Novecento e nella
memoria: le generazioni dell'Europa occidentale, degli U.S.A e di alcune zone asiatiche viventi nella prima
metà del Novecento imparano a convivere con la guerra. Consideriamo gli italiani: la guerra libica del 1910; la
prima guerra mondiale; la riconquista della Libia tra il 1922 e il 1926; la campagna coloniale nella cosiddetta
Africa Orientale 1935-1936; la seconda guerra mondiale. Per non parlare della cultura militaresca impartita sin
dall'adolescenza tra il 1922 e il 1945. In sintesi, possiamo dire che per una larghissima parte di coloro che
vissero in quegli anni il ricordo più forte è legato alla guerra e quindi alla morte, alla lotta per la sopravvivenza,
agli odori: Ho ancora nel naso l'odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle
orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse
delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don. Ho ancora negli occhi il
quadrato di Cassiopea che mi stava sopra la testa tutte le notti e i pali di sostegno del bunker che mi stavano
sopra la testa di giorno. E quando ci ripenso provo il terrore di quella mattina di gennaio quando la Katiuscia,
per la prima volta, ci scaraventò le sue settantadue bombarde (Mario Rigoni Stern, "Il sergente nella neve")
(Scheda analitica n.5).
In molte delle immagini esposte in questa sezione, così come in quella relativa alle guerre
civili, i visi hanno smorfie di dolore e di panico, fenomeno quest'ultimo che, sostiene Sigmund Freud
("Psicologia delle masse e analisi dell'Io", Boringhieri, 1990, p. 41. Pubblicato nel 1921), va studiato soprattutto
in riferimento alle masse militari. Il panico sorge se masse siffatte si sgretolano. Esso è caratterizzato dal fatto
che non si dà più retta ad alcun ordine del superiore e che ognuno si preoccupa soltanto per sé medesimo
senza tener conto degli altri. I legami reciproci hanno cessato di sussistere e si scatena una paura sconfinata,
irragionevole. Di contro l'apparente estraneità emotiva di alcuni soggetti ritratti in situazioni estreme (vicino a
cadaveri o in estenuanti marce sui ghiacci russi) pare confermare l'esistenza e il prevalere dell'"istinto
gregario".
FONDAZIONE BERGAMO NELLA STORIA
Piazza Mercato del fieno, 6/a - 24129 Bergamo Italy - Tel. +39 035 24 71 16 ; +39 035 22 63 32 - Fax 035 21 91 28
P. Iva 02995900160 - [email protected]