1 Corpi allo specchio: abilità e dis
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1 Corpi allo specchio: abilità e dis
Corpi allo specchio: abilità e dis-abilità del body builder adolescente Gli adolescenti sono sicuramente i primi protagonisti della nuova valorizzazione del corpo che ci si propone di illustrare in queste pagine. I valori del corpo sono vissuti come elementi essenziali della loro identità e presenza al mondo. Il corpo giovane è pieno di risorse, capace di scegliere nella riserva inesauribile di segni che il corpo possiede - gli elementi via via più adatti al proprio personale progetto e quelli più conformi alle attese del gruppo dei pari e alle prescrizioni della società, con la quale si rapporta normalmente in modo ambivalente e conflittuale. La valorizzazione del corpo si accompagna spesso alla sua privatizzazione, in un contesto di perdita di speranza e progettualità diffusamente avvertita nella società. La continua esposizione di modelli presentati dalla televisione e dalle riviste produce schemi di pensiero, presenta modelli di comportamento che influenzano le scelte, i gusti e le condotte in senso narcisista. L’adolescente rimane però naturalmente un sognatore. Il potere deduttivo del condizionamento dei media non annulla la sua fantasia creativa, non spegne del tutto la sensazione appagante e onnipotente di voler conquistare il mondo e realizzare le sue aspirazioni. Piuttosto la preoccupazione per la forma fisica, molto proiettata sull’immagine esteriore, produce un’ansia diffusa che rende l’atteggiamento verso il suo corpo perennemente fluttuante tra il considerarlo oggetto d’amore e di orgoglio e il viverlo come fonte di fastidio e di vergogna.1 L’adolescente si ritrova a sperimentare ora un sentimento di abilità nella relazione con un corpo forte, potente e in salute, ora un sentimento di disabilità nella relazione con un corpo che percepisce come vuoto, fragile, imperfetto, inadeguato e malato. 1 Cf. D. CRAVERO, Corpi allo specchio, EDB, Bologna 2006, p. 63. 1 1. L’adolescente e la cultura del corpo Il corpo2 è sempre stato, nella cristianità, una grande metafora descrittiva della società e delle istituzioni, simbolo di evasione e conflitto, di ordine o di disordine, ma principalmente di vita organica o di armonia, di salute e di malattia, o in altri termini di normalità e patologia. Ogni epoca della vita ha la sua malattia. L’adolescente vive in una condizione di malattia che ha raggiunto l’apice della sua messa in discussione e che può essere definita “malattia moderna” che incarna la crisi della soggettività. L’adolescenza viene descritta come uno stato necessario della coscienza moderna che si rivela una straordinaria fonte di osservazioni e critiche ma anche di ipotesi e di proposte operative;3 una tappa fondamentale per la metamorfosi del bambino in adulto: tormentato tra la nostalgia dell’infanzia e la voglia di essere ciò che ancora non è, cioè un adulto; un terreno di instabilità e di rottura; una fase critica della vita che mette a nudo le fragilità, i limiti e l’ambivalenza della propria identità,4 trasformando il corpo talvolta in un nemico. Se l’adolescente può ritenersi padrone dei suoi pensieri e delle sue ideologie, al contrario, subisce il corpo poiché assiste impotente alle sue trasformazioni. L’adolescenza è infatti il periodo in cui si moltiplicano tutti i tipi di attacchi diretti e indiretti al corpo su cui l’adolescente non esercita alcun controllo.5 E’ sempre più difficile per l’adolescente muoversi verso un rapporto equilibrato con il proprio corpo anche a causa delle continue sollecitazioni che ricevono dagli spot pubblicitari, dai mass media e dalle mode del momento, e che alimentano nell’adolescente la necessità di avere un corpo perfetto, sportivo, scolpito e attraente. L’adolescente è spinto verso tali ideali estetici anche da fattori culturali che alimentano il pensiero magico onnipotente e il senso di grandiosità del sé adolescenziale ancora in costruzione. 6 2 Il concetto di corpo o di soma (dal greco sagma = peso, fardello) può essere meglio compreso facendo riferimento alle nostre esperienze sensoriali dirette. Il corpo può essere guardato, toccato, annusato, misurato e riprodotto in immagine (Cf. G. TROMBINI – F. BALDONI, Psicosomatica. L’equilibrio tra mente e corpo, Il Mulino, Bologna, p. 11). 3 Cf. F. DOLTO, Adolescenza. Esperienze e proposte per un nuovo dialogo con i giovani tra i 10 e i 16 anni, Mondatori, Milano 1990, p. 11). 4 Il problema più grande dei giovanissimi riguarda la loro identità. Capita sovente che gli adolescenti non si accettino così come sono e manifestino un certo grado di insicurezza e di disadattamento. Affrontare temerariamente il rischio, sfidare il limite, vestirsi in modo provocante, voler aumentare la propria massa muscolare, oppure vergognarsi perdutamente del proprio corpo fino a nasconderlo o a svalutarlo, sono tutti segnali di un cattivo adattamento alla realtà; non avendo ancora una precisa identità interiore si cerca ossessivamente un’identità esteriore (cf. D. CRAVERO, Op. cit., 72). 5 Cf. M. RIEFOLI, Il rapporto mente-cibo. La guida più completa sui meccanismi mentali in relazione all’alimentazione dal concepimento alla vecchiaia, Armando, Roma 2005, p. 170. 6 Senso di grandiosità, bisogno imperioso di ammirazione, mancanza di empatia. I soggetti con questo disturbo si ritengono importanti, sopravvalutano le loro doti e le loro abilità ed elogiano da se stessi i risultati delle loro prestazioni. 2 La cultura moderna incarna nuovi valori che si ispirano sempre di più a una nuova cultura del corpo. Una cultura ossessionata da falsi miti e falsi eroi come quelli della giovinezza, della salute, dalla bellezza fisica, dell’esteriorità; una cultura sostenuta anche da un senso profondo di fiducia nei risultati delle tecnologie e della conoscenza scientifica che, combinate insieme, danno come risultato la sintesi chimica di sostanze esogene come quelle dopanti che alternano il benessere psicofisico dell’adolescente (che ne fa un uso smisurato) e che ha incoraggiato la tendenza adolescenziale a guardare al corpo non più come ad uno strumento di lavoro o di allevamento della prole, ma come ad un oggetto che può essere esibito, progettato, trasformato e la cui estetica deve essere curata nei dettagli.7 L’ossessione di dover dimagrire, la paura di non voler ingrassare, una forte attrazione per il cibo ed una totale attenzione all’aspetto fisico da cui dipende quasi completamente la propria autostima e la propria felicità, sono quanto di più attuale sta succedendo oggi ai giovani e principalmente alle adolescenti sottoposte a maggiore pressione psicologica. Piacere agli altri per poter piacere a se stessi è diventato un bisogno universale nella nostra società attuale che ha subito un’inversione nella scala di valori. La cura del corpo è dunque una forma di piacere legittima che la nostra società coltiva così come la coltivarono altre civiltà del passato, da quella egizia a quella greca e romana. Se però questa cura diventa una preoccupazione assillante, invece di liberare può imprigionare, costringendo i ragazzi a seguire o subire rigide tabelle di marcia, obblighi inderogabili, piccole e grandi ossessioni.8 Appaiono presuntuosi e pretenziosi. Sono convinti che gli altri debbano ammirarli. Tendono a svalutare gli altri con la sensazione o la speranza di innalzare se stessi. Hanno fantasie di successo illimitato, di potere e di unicità (cf. V. POLIZZI, identità dell’homo sapiens. Parte II: Psicopatologia generale, LAS, Roma 1998, p. 141). 7 Cf. A. O. FERRARIS, La ricerca dell’identità. Come nasce, come cresce, come cambia l’idea di sé, Giunti, Firenze 2002, p. 119. 8 Cf. A. O. FERRARIS, Op. cit., p. 121. 3 2. Rappresentazione psichica del corpo Il corpo non è solo un fenomeno biologico, ma anche una costruzione mentale9 graduale e complessa che si sviluppa, inizialmente, soprattutto all’interno della relazione con la madre. Durante l’infanzia il corpo e la sua superficie sono il luogo elettivo dell’interazione e dello scambio fra madre e figlio: le cure igieniche, le manipolazioni di indole estetica che rendono il figlio il capolavoro espressivo della madre e le miracolose cure materne della sofferenza del corpo durante le mille malattie dell’infanzia scorrono lungo tutta la sua superficie, estendendo il soffice dominio della madre e la sua colonizzazione del figlio. Il corpo del figlio rappresenta l’ambito dello scambio devoto e aggressivo: il corpo è il luogo dove si abbatte la percossa, la carezza, la richiesta o la proposta dell’intimità ineguagliabile poiché legittimamente simbiotica. L’idea che abbiamo del nostro corpo si modifica per tutta la vita e varia nelle condizioni di salute e malattia.10 Quando sopraggiunge l’adolescenza il figlio è costretto a impossessarsi del corpo ottenuto in dotazione dalla madre: sa che appartiene alla madre ma è costretto a rubarglielo poiché deve usarlo in modo clandestino e ciò che farà e subirà non riguarda più la madre se non in modo simbolico e nostalgico. Inizia così ad abbandonarlo e a usarlo come luogo di importanti comunicazioni verso la microsocietà dei coetanei. La rottura dell’appartenenza, l’equivoco protrattosi per un decennio si chiarisce bruscamente perché ora il corpo è cambiato. I cambiamenti sono molteplici ma ciò che conta veramente nel rapporto fra madre e figlio e che ora il corpo del figlio ha acquisito le medesime competenze di quello dei genitori; è capace di godimento, è attraversato e scosso dal desiderio. La conseguenza è la rottura delle relazioni e degli scambi corporei fra madre e figlio. Il corpo cessa di essere vissuto come destino e diventa oggetto da plasmare, pena il decadimento dell’autostima. Una scarsa autostima e un bisogno compulsivo di vincere, l’essere perfetti e migliori degli altri ha prodotto un’altra moda dilagante soprattutto in ambito sportivo: quella del ricorso a integratori e a sostanze esogene in grado di produrre un’alterazione della 9 Il concetto di psiche è ancora più sfuggente e ambiguo del concetto di corpo. Tutti sanno che esiste una parola greca, psukhè, tradotta sbrigativamente con anima, e molti, ritengono che la psicologia sia la scienza dell’anima. In realtà le cose non sono così semplici. La parola greca psukhè ha una grande varietà di significati, fra i quali due spiccano in maniera prevalente: il primo è quello di principio o sostanza vitale, e il secondo quello di carattere personale o modo di agire. I latini avevano compreso bene questa differenza traducendo il primo significato con anima e il secondo con animus. Nella lingua italiana la differenza si è perduta forse per un minore e diverso uso della parola animo o per la maggiore importanza della parola anima. Alcuni ritengono utile differenziare il concetto di psiche da quello di mente, riservando il secondo all’identificazione delle strutture cerebrali e delle loro funzioni. Si preferisce, nel linguaggio quotidiano, riferirsi a queste strutture con i termini precisi di cervello, sistema nervoso centrale e attività neuronale. Perciò la parola italiana mente (così come l’inglese mind) e quella di origine greca psiche possono essere considerate equivalenti, così come i relativi aggettivi mentale e psicologico (cf. G. TROMBINI – F. BALDONI, Op. cit., pp. 13-14). 10 Cf. Ibid. p. 12-13. 4 prestazione sportiva oltre che una modificazione delle caratteristiche fisiche in conformità con certi canoni di bellezza vastamente pubblicizzati. L’adolescente è costretto ad accettare un corpo che non ha scelto ma che è per lui un dono, un segno del destino, il frutto dell’unione dei due genitori. La conflittualità tipica di questa età verso le figure genitoriali e adulte può ricadere sul corpo e divenire un conflitto aperto, una lotta contro il corpo che non piace e che non si accetta perché esprime le somiglianze con adulti e genitori considerati come nemici. L’adolescente scinde il corpo. Il corpo dell’adolescente non è più a disposizione della madre, è un corpo di cera lasciato nel museo dell’infanzia. Il corpo desiderante è altrove. Il corpo diventa dunque un oggetto da plasmare, aggredire, deturpare, deformare con un look11 provocatorio, con quei marchi costituiti dai tatuaggi o dai peircing o qualsiasi altra forma di aggressione come uso di sostanze e/o di cibo in maniera compulsiva e dipendente. Con l’adolescenza, per molti giovani il corpo si trasforma in un rivale, in un luogo di complessi (dismorfofobie). Il corpo viene vissuto come sconosciuto, non più come un campo di scoperta e di avventura da conoscere e da valorizzare, ma come un luogo abitato dal timore e dall’ossessione, un oggetto estraneo a cui ci si deve adattare. 3. L’esperienza di “essere” e “avere” un corpo Il corpo, il suo piacere e la sua immagine, valori a lungo sottovalutati e mortificati, acquistano negli adolescenti di oggi un’importanza e una centralità inedita e comportano nuove preoccupazioni e fatiche. La preoccupazione principale è quella di possedere, abitare un corpo che può riflettersi allo specchio e che si può trattare come un oggetto. La palestra è in molti casi il luogo del corpo plastico, scolpito, un vero e proprio laboratorio per forgiare il corpo. L’adolescente è incerto tra l’essere e l’avere un corpo. L’esperienza che hanno di loro stessi oscilla sempre in equilibrio tra l’essere e l’avere un corpo, e questo equilibrio va continuamente ristabilito. L’adolescente “ha un corpo” nel senso che fa l’esperienza di qualcosa di concreto e tangibile, ma anche che “ è corpo”, poiché nella maggior parte della vita quotidiana le sue azioni e i suoi gesti 11 L’immagine e il look non sono certo aspetti secondari o superficiali nel vissuto adolescenziale alle prese con la fatica improba di mentalizzare un corpo improvvisamente nuovo e ribelle. Immagine e look definiscono i criteri delle aspettative e della delusione a proposito del corpo e, in generale, della presentazione di sé. Stabiliscono i criteri fondamentali dell’identità dove la persona emerge a partire dagli aggettivi dei quali l’adolescente intende ornarsi per rendere il corpo il più possibile desiderabile, secondo le modalità che rielabora, sempre faticosamente, in primo luogo nel gruppo dei pari (cf. D. CRAVERO, Op. cit., p. 38). 5 si susseguono senza che si renda necessaria la consapevolezza di come essi si organizzano e si realizzano somaticamente.12 Il corpo dell’adolescente come realtà indisgiungibili contemporaneamente, che si esprimono nelle due diverse condizioni dell’”avere un corpo” e del “sentirsi un corpo”: - Il corpo che ho: possiedo un corpo, abito un corpo. Sono un corpo e posso osservarmi nel mio aspetto fisico. Un corpo attraverso cui vedo me e tutta la realtà. In questa prima dimensione la corporeità è colta nella sua funzione riflessiva: posso fare del mio corpo un oggetto plastico, manipolabile; un corpo da disciplinare e da modellare. - Il corpo che sono: esprime l’istanza che fa del corpo l’esperienza primaria ed essenziale del sentirsi vivi, del percepirsi presenti nel mondo, dell’appartenere al mondo. In quest’altro lato, il corpo è esso stesso specchio. In palestra anche questa dimensione corporea si esprime con singolare evidenza quando si esercita e si tonifica e, ancor più, quando recupera il suo equilibrio e la sua armonia, quando il corpo si sente in forma.13 L’adolescente è impegnato in un lavoro fisico e mentale sul proprio corpo reale perché aderisca il più possibile al corpo immaginato che rimane il principale oggetto di investimento, di prestigio e di piacere. Il corpo perfetto, levigato e privo di difetti è diventato un prodotto di cui molti vogliono impossessarsi. In questo desiderio ci può essere una finalità erotica; ma c’è anche spesso la ricerca di una gratificazione narcisistica: quella di sentirsi belli come divi, di assaporare il senso di benessere e di sicurezza che deriva dall’avere un corpo aitante e dalla possibilità di esibirlo senza timidezze. Un corpo costruito è anche la testimonianza di un impegno, di un’autodisciplina o comunque della volontà di sentirsi in ordine, in linea con la moda, con dei valori condivisi; il che può trasmettere un senso di padronanza e di orgoglio.14 Per gli adolescenti il corpo è il metro su cui misurarsi. La cura del corpo esprime bene il senso di abilità e di originalità che l’adolescente attribuisce alla sua persona (corpo abile). La cura di sé non è tanto orientata al valore della salute, intesa come forma impegnativa di amore verso se stessi, piuttosto come un’attenzione per come il corpo appare sia come forma fisica che come immagine. La prima si contempla e si misura nello specchio, la seconda si rispecchia nel giudizio degli altri. 12 Cf. G. TROMBINI – F. BALDONI, Op. cit., p. 12. Cf. D. CRAVERO, Op. cir., p. 12. 14 Cf. A. O. FERRARIS, Op. cit., p. 122. 13 6 Così l’adolescente vive immerso in un’illusione di onnipotenza15 che si esprime in una serie di attività quali: pratiche sportive e frequentazione di palestre, ossessioni dietetiche, attenzioni igieniche, culto della forma e autocompiacimento. L’adolescente, sotto la spinta del desiderio di trasformare il corpo da nemico in corpo consapevole, tende a rivalutare il proprio corpo nelle sue dimensioni fisiche ed emotive secondo un ventaglio di modalità che comprendono: la ricerca della gratificazione istantanea, l’impulso a sfidare i limiti, la determinazione a sviluppare le proprie capacità mancando però di riferimenti etici precisi e condivisi (es. doping). Il corpo dell’adolescente risulta essere il luogo di molte ambivalenze: tra le tante ricordo che mentre da un lato è l’oggetto di cui si può occupare, dall’altro lato è il soggetto, lo strumento della mente, grazie a cui si può riflettere, aprirsi al mondo. Il corpo in adolescenza è pertanto al tempo stesso forte e perfetto (come viene celebrato nelle palestre) e vulnerabile, fragile e vuoto (le palestre in questo sono scuole di esteriorità). Molti adolescenti scoprono di non accettarsi e di non essere accettati. Vivono un disagio che corrisponde a un profondo senso di inadeguatezza, ad una scarsa autostima e a un disperato senso di inferiorità. Sono come giganti coi piedi d’argilla e con corpi in cerca d’autore, ossia di una soggettività e di una chiara identità. I loro corpi, avvolti nell’anonimato, mancano di un riferimento e di un’individuazione. E’ questa una malattia moderna, che incarna la crisi della soggettività che nella modernità ha raggiunto l’apice della sua messa in discussione. Il corpo dis-abile può essere la condizione propria dell’adolescente che sperimenta il corpo come il luogo delle infinite dismorfofobie (complessi) che rappresentano una sensazione soggettiva di deformità o di difetto fisico, per la quale il soggetto ritiene di essere notato dagli altri, nonostante il suo aspetto rientri nei limiti della norma. Molte persone sono insoddisfatte del loro aspetto fisico, e ovviamente questo di per sé non rappresenta un sintomo di interesse psichiatrico. 4. Il corpo dismorfofobico La semplice insoddisfazione per il proprio aspetto, diviene patologica quando i soggetti dismorfofobici ritengono che gli altri siano consapevoli della loro deformità fino al punto che l'ansia e la preoccupazione portano ad un disturbo della funzionalità sociale. L'intera vita del 15 Adler scriveva: “Il più importante fatto psicologico della natura umana è l’aspirazione verso la grandiosità, la superiorità e il successo. Questa aspirazione è strettamente collegata col sentimento di inferiorità, poiché, se non ci sentissimo inferiori, non avremmo alcun desiderio di uscire dallo stato in cui ci troviamo … L’aspirazione alla superiorità e il sentimento d’inferiorità coesistono in tutti gli esseri umani” (cf. L.M. LORENZETTI, Psicologia e personalità, Franco Angeli, Milano 1995, p. 168). 7 paziente può essere sconvolta fino ad arrivare ad un isolamento sociale estremo e, in rari casi, a suicidi o tentati suicidi. Il soggetto dismorfofobico passa, infatti, intere ore a controllare il proprio aspetto fisico allo specchio (molti invece lo evitano per diminuire la propria angoscia), mette in atto comportamenti esagerati e, al limite, compulsivi, come il pettinarsi in continuazione o l'eliminazione di peli superflui, tenta in ogni modo di camuffare il proprio difetto fisico con cosmetici o vestiti, spesso arriva persino a richiedere interventi di chirurgia estetica. La senescenza, per ovvi motivi, acuisce questo tipo di comportamento. L'insorgenza della dismorfofobia avviene generalmente nell'adolescenza e ciò non è sorprendente se pensiamo all'adolescenza come ad un'epoca in cui il profondo mutamento del corpo si associa alla disperata ricerca e al consolidamento della propria identità personale. Lo sviluppo e il mantenimento di un disturbo di dismorfismo corporeo sono favoriti, secondo alcuni, da una personalità premorbosa con tratti ossessivi, schizoidi o narcisistici, o anche da fattori socioculturali esterni (basti pensare in tal senso alla pressione della cultura del "bello" della società moderna). La sofferenza che li coinvolge e li invade si chiama dismorfofobia (meglio sarebbe chiamarla dismorfossessione). Il termine dismorfofobia compare per la prima volta nel 1886 sul Bollettino dell'Accademia delle Scienze Mediche di Genova, per indicare “una sensazione soggettiva di deformità o di difetto fisico, per la quale il soggetto ritiene di essere notato dagli altri, nonostante il suo aspetto rientri nei limiti della norma”. Molte persone sono insoddisfatte del loro aspetto fisico, e ovviamente questo di per sé non rappresenta un sintomo di interesse psichiatrico. La semplice insoddisfazione per il proprio aspetto, diviene patologica quando i pazienti dismorfofobici ritengono che gli altri siano consapevoli della loro deformità fino al punto che l'ansia e la preoccupazione portano ad un disturbo della funzionalità sociale. L’intera vita del paziente può essere sconvolta fino ad arrivare ad un isolamento sociale estremo e, in rari casi, a suicidi o tentati suicidi. “La preoccupazione è così esclusivamente concentrata su un aspetto del corpo, vissuto come deformato, ripugnante, inaccettabile e ridicolo, che l'intera esistenza di un individuo è dominata da questa preoccupazione e nient’altro ha più significato”. Un disturbo strano caratterizzato da un sentimento di bruttezza e da un difetto fisico reale o immaginario. Talora si tratta di vaghi sentimenti di inadeguatezza fisica, di una ipertrofizzazione di qualche modestissima imperfezione (un naso un po’ storto, una cute non del tutto liscia, le orecchie a sventola, ecc.). Talaltra si giunge a una convinzione assoluta della propria deformità percepita come tanto evidente da non poter suscitare negli altri se non derisione o disgusto. Prende corpo l’ambivalenza di una domanda che sta tra due desideri: quello di una conferma della propria paura e quello di una rassicurazione indulgente almeno sulla esiguità delle anomalie. Nessuna risposta può 8 però dare sollievo; neppure l’indifferenza che può addirittura alimentare l’incertezza alimentando angosce paranoidi. 5. La dismorfofobia muscolare e il narcisismo Nel 1993 alcuni ricercatori descrissero un tipo particolare di disformofofobia caratterizzato dalla ricerca ossessiva della muscolarizzazione del proprio corpo, sia mediante intensi e continui allenamenti in palestra, sia attraverso il ricorso a steroidi anabolizzanti che rappresentano la forma più diffusa di doping in Italia e specialmente tra coloro che praticano in palestra il body building. La ricerca di un corpo muscolarizzato rappresenta un tentativo per l’adolescente maschio di riappropriarsi del proprio ruolo rispetto alla donna. Da sempre, infatti, la muscolarità è stato simbolo di virilità, forza, salute, dominanza e resistenza. Nonostante la maggior parte delle osservazioni riguardino i bodybuilders, tuttavia lo sport del body-building non può essere considerato “patologico”; ci sono infatti degli elementi che consentono di tracciare un ideale linea di confine fra “normalità” e “malattia”, in particolare vanno segnalati: 9 eccessivo valore assegnato all’apparire; 9 presenza di un disturbo nell’immagine corporea; 9 uso di steroidi anabolizzanti nonostante la consapevolezza dei potenziali rischi. Il corpo dell’adolescente per avere ascolto trova la strada delle “patologie dell’immagine di sé” ossia di patologie che derivano da un’alterazione della propria immagine corporea che ha alla base un narcisismo16 esasperato che conduce il soggetto, sia nel caso di condotte doping che di condotte anoressiche o bulimiche, a cercare di ottenere un baratto fra la propria salute e la propria immagine. La patologia dell’immagine di sè17 spinge l’individuo ad adeguarsi ad un ideale estetico spesso biologicamente irraggiungibile e quindi fonte di ansia e di conflitti. L’immagine difettosa di sé viene compensata da un sé grandioso, un ideale di perfezione che diventa il miraggio da 16 Psicologicamente i narcisisti hanno la pelle dura. Sono relativamente insensibili agli altri e a se stessi. La pelle può essere definita la superficie esterne, il limite del sé. Nei narcisisti questa linea di demarcazione è esagerata, crea un fronte rigido che serve come difesa contro il mondo, ma isola anche l’individuo (cf. A. LOWEN, Il narcisismo. L’identità rinnegata, Feltrinelli, Milano 2007, p. 151). 17 Un sé forte, sicuro e padrone, si ottiene non tanto trascurando l’aspetto fisico, abbandonandolo agli in estetismi e alle degenerazioni del grasso e della sedentarietà, ma stimolandolo ad aumentare l’energia e a raggiungere una forma sempre più armonica in una sorte di identificazione pre-formativa tra il sé e il corpo (cf. D. SARSINI, Il corpo in occidente. Pratiche pedagogiche, Carocci, Roma 2003, p. 102). 9 inseguire, sacrificando ad esso il confronto con se stesso e con l’altro. Il narcisista non è in grado di riappropriarsi in modo consapevole della propria soggettività. Egli appare abbagliato dal suo ideale di perfezione, ideale che ha posto come un baluardo tra sé e il mondo. Il narcisismo è un disturbo della personalità e indica un eccessivo investimento nella propria immagine. I narcisisti negano i sentimenti in contrasto con l'immagine che inseguono. Dal punto di vista sociale, il fenomeno esteso alla collettività, vede la ricchezza come un valore più importante della saggezza, la notorietà davanti alla dignità e la prestazione, intesa come successo, più apprezzata del rispetto di sé. Lo stato di irrealtà del narcisismo non è solo nevrotico, tende allo psicotico. La persona e la collettività non sono consapevoli della propria malattia; e questa è una condizione che impedisce ogni tentativo di guarigione. La chiave di una possibile terapia è la comprensione, tutti i narcisisti hanno un profondo bisogno di essere compresi, di qualcuno che li capisca. Da bambini non sono stati capiti dai genitori, non sono stati considerati individui dotati di sentimenti veri ed è mancato loro il rispetto dovuto agli esseri umani. Il narcisista è in continua lotta per difendere il proprio equilibrio, in una situazione familiare che potrebbe condurre alla pazzia. I narcisisti dimostrano mancanza di interesse verso gli altri, ma sono altrettanto indifferenti ai loro veri bisogni e sovente il loro comportamento è autodistruttivo. Nel fitness e nel body building c'è una ricerca di miglioramento della propria immagine. Si vuole sembrare sempre più giovani, più belli, più virili, più efficienti, più desiderabili. E' una patologia questa? Assolutamente no. C'è una sostanziale differenza tra l'interesse sano per l’apparenza, basato sul pensiero di sé e sull'equilibrio tra immagine profonda ed immagine esterna e il comportamento eccessivo, esagerato, patologico. La malattia è proprio condizionata dall'esagerato investimento nell'immagine che obbliga uno spostamento di identità dal sé, all'immagine di sé, caratteristico dello stato narcisistico patologico.18 Nel narcisista non sono alcuni aspetti dell’identità ad essere potenziati o affermati ma soltanto la propria presenza che si tenta di imporre agli altri. Questo atteggiamento rappresenta l’aspetto opposto di un’identità costruita attraverso la propria storia e i rapporti con gli altri.19 18 Narciso era un giovane di Tespi, di cui si innamorò la ninfa Eco, privata della parola dalla moglie di Zeus, Era. Eco poteva unicamente ripetere le ultime sillabe delle parole che ascoltava da altri. Eco fu respinta da Narciso e morì di crepacuore. Gli dei punirono Narciso per la sua durezza verso Eco, facendolo innamorare della propria immagine. L'oracolo Tiresia, aveva predetto la fine di Narciso con la visione della propria immagine. Sarebbe morto alla prima vista di sé. Quando Narciso si chinò sopra le limpide acque di una fonte, vide la sua immagine riflessa nell'acqua. Si innamorò perdutamente di quella immagine e non volle più abbandonare quel luogo. Morì di languore e si trasformò in un fiore, il narciso, destinato per sempre a stare ai bordi delle fonti. Narciso è destinato ad innamorarsi della propria immagine ed affrontare il suo triste destino, solo dopo avere respinto l'amore di Eco. Una punizione per la sua incapacità di amare la voce del suo stesso sé, della sua proiezione spirituale, dell'eco della sua anima. 19 Cf. A. O. FERRARIS, Op. cit., p. 161. 10 Il narcisismo20 rappresenta il più grande ostacolo alla crescita. Il narcisismo consiste nello specchiarsi nell’immagine idealizzata dell’Io e rifiutare l’assunzione di responsabilità nei confronti del proprio progetto di vita, della relazione con gli altri. Nel mondo del body building e del fitness è frequente questo fenomeno e divide in due insiemi distinti le categorie dei suoi esponenti: • I body builders che attraverso una buona forma fisica si avvicinano alla gente: è' il caso di Arnold Scwartzenegger, che nel massimo della sua forma fisica si offriva per esibizioni, lezioni gratuite e benefiche in favore dei detenuti, avvicinandoli al tessuto sociale; queste persone fortificando il proprio io, maturavano la consapevolezza di poter cambiare, fisicamente e nel comportamento sociale. • Alcuni body builders desiderano, e talvolta ottengono, una forma fisica, “a tutti i costi”, per compensare un profondo disagio interiore ed allontanarsi dal sociale; si allenano in solitudine, camuffano la loro voglia di "distacco" con la concentrazione, adottano comportamenti antisociali e aggressivi, spesso solo in apparenza. 21 Il body building è un attività narcisistica, quando la sua espressione è "fuori controllo, fuori limite". L'uso dei pesi produce muscoli sviluppati e massicci. Quando tale risultato è il fine e non il mezzo, rappresenta un danno alla salute fisica e mentale. La muscolatura sviluppata può far apparire forti, ma riduce la spontaneità e la vitalità del corpo e limita seriamente la respirazione. La piattezza a tutti i costi (pancia piatta), quale suggerimento per raggiungere la forma fisica merita una riflessione. Per ottenere questo risultato (addome piatto), si dovrebbero tendere i muscoli addominali a tal punto che la respirazione addominale (un fenomeno normale e sano), sarebbe quasi impossibile. Inoltre la piattezza, a parte il suo effetto nocivo alla salute, è una qualità negativa dal punto di vista estetico e del gusto: una cosa piatta è una cosa senza gusto, senza fascino. Appiattire un rapporto significa banalizzarlo; e in termini psicologici, la parola "piattezza", riferita all'emotività, indica mancanza di sentimenti. Capiamo allora perché la piattezza sia considerata dai narcisisti una qualità. Con ciò non si vuole negare il valore di un bell’aspetto, quando esprime il sentirsi bene, nel proprio corpo. Questo benessere si manifesta nella brillantezza degli occhi, nel 20 Uno dei massimi studiosi del narcisismo, Otto Kernberg, riassume così i comportamenti che fanno riconoscere l’individuo affetto da narcisismo: a) forte convinzione della propria importanza e di essere unico al mondo, straordinario, perfetto; b) Il soggetto esagera sempre i suoi successi, i risultati che ottiene, le proprie capacità e fa sempre notare quanto siano speciali i suoi problemi; c) assorbimento in continue fantasie di grandi successi, potenza, bellezza, intelligenza; d) esibizionismo, costante richiesta di attenzione e di ammirazione; e) critiche o indifferenza da parte degli altri vengono affrontati con totale indifferenza o con scoppi di rabbia (cf. O. KERNBERG, Sindromi marginali e Narcisismo patologico, Boringhieri, Torino 1975, pp. 45-59). 21 Cf. S. TAVELLA, Giganti coi piedi nell’argilla. Il doping nello sport, Editografica Cipspsia, Bologna 2007, p. 106. 11 colorito vivo della pelle, in un’espressione del viso serena e piacevole e in un corpo che è vibrante, vitale e aggraziato nei movimenti. Chi non si sente bene nel proprio corpo può soltanto proiettare l'immagine di quello che ritiene dovrebbe essere un bell’aspetto fisico. E più si concentra su queste immagini, più gli vengono a mancare le sensazioni e i sentimenti piacevoli. Alla fine l'immagine si rivela una debole maschera, non nasconde più oltre la tragedia di una vita che al suo interno è vuota. 6. In sintesi Gli adolescenti vivono il dubbio e l’indecisione ma anche la concreta possibilità di determinare il proprio avvenire che si ritiene dipenda sempre più dalla scelta che si è in grado di fare. La presa di coscienza che la corporeità sia il tema centrale dell’educazione dei giovani e degli adulti è insufficiente. Tra i banchi di scuola, nei posti di lavoro, nelle abitazioni e negli spazi urbani, in ogni dove, il corpo22 è sacrificato e umiliato sotto la spinta di un riflesso condizionato – parafrasando una frase di A.O. Ferraris - per consolarsi, per fronteggiare le situazioni, reagire alla noia, riempire un vuoto affettivo, con tutte le conseguenze che questa abitudine comporta per la salute fisica e lo sviluppo psicologico. 23 Per promuovere un cambiamento dobbiamo tendere, in termini educativi, al raggiungimento del saper essere. L’adolescente è posto dinanzi a una sfida, a una scelta. Sfidare non è opporsi a qualcosa o a qualcuno. Sfidare è non affidarsi, è non concedersi a una pienezza di senso e di valore perché quella pienezza di senso e di valore ha lasciato senza senso, senza nome, senza identità colui che lancia la sfida. La sfida non è uno scambio che prevede una vittoria o una sconfitta. La sfida non è neppure un atto di disperazione. La sfida è un’attesa. E la scelta implica una decisione. La decisione su di sé è un abbandono. De-cidere equivale a de-cedere, ossia ad abbandonare alcune parti in favore di altre. Per questo la filosofia esistenzialista dichiara che l’uomo è il risultato di ciò che sceglie. Heidegger corregge questa interpretazione dicendo che l’uomo è il risultato di ciò che sa pretendere da se stesso. L’idea di sé passa attraverso un rendersi responsabili, disponibili al proprio ascolto e aperti al progetto della propria esistenza. E qui si inserisce il compito coraggioso dell’educazione fisica, del movimento, al fine di valorizzare il corpo e riscoprire il significato della personificazione come conferma della unicità della propria persona, contro il rischio di 22 Cf. E. GADDINI, Note sul problema mente-corpo, in Rivista di psicoanalisi, 17 (1981), pp. 33-47. 23 Cf. A. OLIVERIO FERRARIS, Il ricatto della pappa, in Mente e cervello 4/19 (2006), p. 43; cf. D.W. WINNICOTT Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma 21997 pp. 102-103. 12 depersonalizzazione.24 Ognuno è doverosamente sollecitato a crearsi quasi una seconda natura acquisita, riducendo le inadeguatezze e sproporzioni: in altre parole creando qualità intrinseche, disponibilità positive e permanenti che lo rendano docile in forma continuativa al dominio efficace, pronto a rispondere e a reagire positivamente a tale dominio in funzione di un’affermazione profondamente umana. L’acquisizione e il possesso di tali qualità costituisce l’unica forma accessibile all’uomo di rendere disponibile le sue potenzialità alla regola della ragione, dell’autentica libertà. E’ questo propriamente il diventare adulto, maturo, uomo di carattere dal punto di vista etico e pedagogico, il diventare una personalità. Sembra che il principale contrassegno della personalità matura sia dato dalla capacità di prendere giuste e coraggiose decisioni a tempo e luogo, nelle piccole e nelle grandi circostanze. Con Aristotele si può parlare di questa virtù come della virtù del kairòs e cioè del “tempo opportuno” , del “quando si deve” e del “giusto momento”. Questa capacità radicale di iniziativa, di intelligente creatività assicura la permanente compenetrazione della rettitudine razionale umana nel dinamismo dell’intera vita, in tutte le sue espressioni. Kierkegard ammonisce che l’uomo, scegliendo, si sceglie di volta in volta nella potenza che lo ha posto. E così deve fare per l’eternità perché avere un Io è la più grande concessione fatta all’uomo ma, nello stesso tempo, è ciò che l’eternità pretende da lui. E l’eternità ha una base di partenza: la socialità pre-etica del corpo, una socialità che spoglia il corpo da tutte le sue sovrastrutture culturali, antropologiche, storiche e le incontra nella sua nudità; è la socialità nuda del bambino appena nato, del malato, del morente. Una socialità che abita la vita e che va recuperata nella sua pienezza e potenza e che va amata con amore in quanto è il tempio della psiche, e soprattutto dell’anima. L’adolescente sano imparerà a diventare uomo non sentendo, non vedendo, non assistendo passivamente, non delegando ad altri il compito di camminare e di illuminare, imparerà ripetendo atti adeguati, efficaci, saggi, atti cioè liberi e responsabili, capaci di far aumentare la potenzialità dell’umanità di partecipare attraverso l’apertura agli altri. La partecipazione all’umanità, attraverso la crescita nella razionalità e nella libertà, è una conquista che si fa gradualmente più piena. Non è un correre nel buio, non è un percorso in un tunnel senza uscita, ma è un lento, laborioso e concreto costituirsi attraverso gesti, atti sempre più liberi e responsabili. 24 Contro la depersonalizzazione - tra gli interventi di prevenzione primaria ci sono oltre agli interventi formativi sui rischi dell’uso di sostanze e sul modello centrato sull’impegno inteso come quel legame che si instaura tra l’individuo e i suoi atti - è fondamentale l’approccio rivolto alla salvaguardia dei valori. E’ un approccio definibile di tipo etico, rivolto alla promozione della salute e all’evitamento di comportamenti disfunzionali o devianti come l’abuso di droghe e/o sostanze doping (cf. M. RAVENNA, Psicologia delle tossicodipendenze, Il Mulino, Bologna 1997, p. 232). 13 Abstract Il presente lavoro passa in rassegna la cultura moderna del corpo tra gli adolescenti, analizzando con attenzione la rappresentazione psichica soprattutto all’interno della relazione con la figura materna. La conflittualità tipica di quest’età verso le figure genitoriali e adulte può ricadere sul corpo che può trasformarsi in un rivale, in un luogo di complessi (dismorfofobie). Il corpo dell’adolescente è due realtà indisgiungibili che si esprimono nelle due diverse condizioni dell’avere un corpo e dell’essere corpo. L’adolescente può sperimentare al tempo stesso la forza l’abilità del suo corpo come pure la sua dis-abilità, fragilità e inconsistenza. Il corpo dis-abile può essere la condizione dell’adolescente che sperimenta il corpo come luogo delle infinite dismorfofobie che coincidono con una sensazione soggettiva di deformità o difetto fisico. La dismorfofobia che molti adolescenti maschi incontrano è quella collegata al desiderio di aumentare la loro massa muscolare. Si parla di dismorfofobia muscolare che viene altrimenti detta per le caratteristiche inverse all’anoressia nervosa, anoressia inversa. Si tratta di un disturbo dell’immagine corporea che spinge gli adolescenti ad adeguarsi a un ideale estetico spesso biologicamente irraggiungibile e quindi fonte di ansia e di conflitti. L’adolescente sviluppa un’immagine di sé difettosa che viene compensata da un sé grandioso, un ideale di perfezione che diventa il miraggio da inseguire. Si costruisce un’identità narcisista e onnipotente che ha come unico obiettivo l’affermazione di sé ad ogni costo. E quando questa ricerca fallisce l’adolescente incontra il vuoto, il dubbio e l’indecisione. Occorre dunque un intervento educativo mirato al risveglio della coscienza della corporeità, del suo valore, della sua enorme potenzialità per la crescita psico-fisica e affettiva del giovane. Dr.ssa Sofia Tavella 14