Joe Petrosino, un eroe solo contro la mafia

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Joe Petrosino, un eroe solo contro la mafia
Joe Petrosino, un eroe solo contro la mafia
di MARIO GIANFRATE
Palermo, 12 marzo 1909, in piazza Marina. Tre colpi di rivoltella, sparati in rapida successione,
creano panico e mettono in fuga le persone in attesa di salire sul tram. Ancora un quarto
colpo risuona sinistro nel buio poi si possono solo udire i passi di corsa degli assassini che si
allontanano. Un marinaio che si trova nei paraggi, Alberto Cardella, originario di Ancona, si
lancia in direzione del giardino Garibaldi da cui sono partiti gli spari, in un vano tentativo di
inseguimento degli autori dell’agguato. Riesce solo a vedere un uomo che si accascia al suolo.
Il suo corpo è crivellato dalle pallottole sparategli contro: una lo ha preso in pieno volto, una
seconda alla spalla e l’altra, al collo. Trascorrono solo pochi minuti e si scopre che il cadavere è
quello di Giuseppe Petrosino, coraggioso detective statunitense nato a Padula, nella provincia
salernitana, che da anni non dà tregua alla criminalità italiana importata in America.
Costernazione tra gli uomini onesti ma, anche, brindisi per la sua morte da parte dei boss
mafiosi, di poliziotti e politici corrotti.
Il Console americano a Palermo telegrafa immediatamente al Governo degli Stati Uniti: “Petrosi
no ucciso a revolverate nel centro della città questa sera. Gli assassini sconosciuti. Muore un
martire”
.
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Joe Petrosino, un eroe solo contro la mafia
Giuseppe Petrosino, noto alla popolazione con il nomignolo di Joe, era emigrato giovanissimo
da Padula, dov’era nato, seguendo la famiglia – il padre, sarto, la madre, due sorelle e tre
fratelli – a New York. Per non incidere sul precario bilancio familiare,
Joe
si adatta a ogni tipo di lavoro frequentando però, nel contempo, le scuole serali e imparando la
lingua inglese. Credenziali importanti per poter indossare la divisa di agente e per farvi una
rapida e brillante carriera. Il suo impegno costante contro la criminalità – soprannominata la
Mano nera
- lo porta a essere nominato sergente dal Presidente degli Stati Uniti Roosvelt – peraltro suo
amico – e quindi Tenente. Al comando della Italian Legion scatenerà una durissima lotta contro
i racket e assicurerà alla giustizia i più noto mafiosi che imperversano in America.
La sua perspicace intelligenza lo inducono a convincersi che le radici della criminalità
organizzata negli Stati Uniti affondino in Italia, in Sicilia in particolare. Parte allora alla volta
dell’Italia dove, dopo essere stato ricevuto dal Presidente del Consiglio, on. Giolitti – che gli
regala un orologio d’oro – trascorre qualche giorno a Padula, per rivedere i luoghi della sua
infanzia. Obiettivo, infine, la Sicilia, deciso a sferrare l’attacco alle organizzazioni mafiose e alle
sue protezioni. Non ci riuscirà. Il più coraggioso e onesto detective italiano, naturalizzato
americano, sarà ucciso a 49 anni, lasciando la moglie e una figlia.
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