Hendra, fondatore dei Monty Python: “Il mio Padre Joe”
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Hendra, fondatore dei Monty Python: “Il mio Padre Joe”
PERSONAGGI 15 27 agosto Tony Hendra, a destra, in compagnia di Riro Maniscalco, visita i padiglioni della Fiera di Rimini L’umorista e sceneggiatore più amato dal pubblico televisivo degli States presenta al Meeting il romanzo ispirato alla sua vicenda personale “Pensavo, come il figlio della parabola, di non poter essere perdonato per il male fatto, ma Joe mi disse: ‘Il perdono è sempre possibile’. E non c’è libertà più grande” Figliol prodigo in Usa Hendra, fondatore dei Monty Python: “Il mio Padre Joe” Carnagione chiara, lentiggini, gote rosse. Un gentleman inglese, non fosse per l’accento, le scarpe da ginnastica e un paio di pantaloni a righe, da perfetto americano. Tony Hendra, oggi al Meeting per presentare il suo libro “Padre Joe”, racconta la sua vita. E’ uno dei comici più dissacranti e più amati dal pubblico americano. Alcol, droga, un matrimonio fallito alle spalle, tutto per colpa di Lily, una giovane donna, sposata e con un figlio. Una passione travolgente e sbagliata insieme, una storia di dannazione e salvezza. Il marito li scopre e Tony, per punizione, viene mandato a redimere l’anima in un monastero di benedettini, da un monaco sgraziato e balbuziente, ma amabile e gentile: padre Joe. La vita cambia, non del tutto, però, il gatto e la volpe sono sempre dietro l’angolo: droga, sesso, Hollywood. Eppure c’è sempre un appiglio che rimane, cui tornare e da cui ripartire: Padre Joe. “Riro e Jon Ronan, un amico” racconta Tony, “avevano sentito la mia storia, la storia curiosa di un commediante, satiro dissacrante e di un monaco benedettino, a una trasmissione radiofonica e mi chiamarono, ci incontrammo per una birra. Non è per loro che ho iniziato il libro, però di fatto, poco dopo che ci siamo incontrati ho cominciato a scriverlo. Sono la gente più bella, più viva con la quale mi sia mai capitato di avere a che fare”. Il libro racconta della tua vita, di Padre Joe, degli Stati Uniti, del tuo lavoro. Come mai hai deciso di raccontare la tua storia? “Volevo raccontare la storia del mio rapporto con quest’uomo perché sicuramente è stata l’influenza più grande sulla mia vita, ma anche perché le cose che ha detto a me certamente possono aiutare la gente. Da ragazzino ero un cattolico appassionato, e Padre Joe innanzitutto era uno che faceva ridere, molto irriverente anche a proposito della Chiesa, e in qualche modo c’è da dire che se sono diventato un uomo che fa satira lo devo a lui, e poi la Chiesa te ne dà di materiale per fare satira. La mia storia è un po’ quella del figliol prodigo, sono andato in un altro paese, ho fatto tutti i danni che ho fatto e poi sono tornato. Andai a New York per un paio di settimane a trovare amici, per caso trovai lavoro come commediante in una compagnia. Quella è diven- tata la vita normale e sono diventato attore. Prima di rendermene conto erano passati cinque anni e avevo addirittura rinunciato alla proposta di diventare uno dei Monty Python. A quel punto non c’era più ragione di tornare a casa, il mio lavoro era lì, la mia vita era lì. Nel paese dei balocchi”. Eppure ad un certo punto qualcosa cambia: che cosa ha determinato la svolta? “Avevo perso la fede, non praticavo, ero critico nei confronti della Chiesa, ma Padre Joe era sempre l’eccezione. Lo andavo a trovare in maniera regolare. E quando sono arrivato a quel punto nella vita in cui sembra non esserci più speranza, in cui non c’era più nulla per cui vivere, per me la cosa più naturale è stata tornare a casa, da Padre Joe”. Che cosa aveva di eccezionale? “Capiva la mia vita, i miei problemi, le mie domande a un livello profondo come nessun altro era in grado di fare. Neanche i miei amici più cari. La prima cosa che pensai incontrandolo fu di farmi padre benedettino, come lui. E lo pensai per 4 o 5 anni; quando tornai da lui, a 47 anni, pensavo di essere pronto. Ma la risposta fu no, tu non sarai mai un monaco. Molto saggio”. Quella che racconti è una storia di libertà. Ma cos’è la libertà? Scappare o tornare? “Bella domanda. Ho sempre pensato che libertà fosse fuggire da costrizioni e regole, liberarsi. Adesso penso che bisogna ritornare alla storia del figliol prodigo. Anche per lui la libertà è liberarsi da qualcosa, ma poi torna e pensa che non può essere perdonato per il male che ha fatto. An- ch’io quando sono tornato ho pensato questo. Ma Padre Joe mi ha detto: ‘Puoi essere perdonato nonostante tutto il male che hai fatto. Il perdono è sempre possibile’. Non c’è libertà più grande che l’essere perdonati. E ti sorprendi cambiato, ti accorgi attraverso le parole di un amico che ‘molto semplicemente Padre Joe era il tuo nuovo Gesù Cristo’ e aveva assolutamente ragione, ma io non ci avevo mai pensato. Nessun altro cattolico mi aveva mai detto una cosa del genere”. Elena De Carlini Chieffo compone in onore dell’amico Giussani “Andare…” Parole e musica di Claudio Chieffo. I tuoi occhi…. Da quando sei partito non voglio più lasciarti E la voglia che avevi di ridere e cantare nel pane ti ritrovo e nel vino era come il vento la sera ora tu puoi vedemi ed io posso parlarti che spezza via le nubi, le nubi e il tempo- ti sento ogni giorno vicino rale I tuoi occhi ora vedono tutto e ogni storia diventa più vera… ora vedono il Cuore I tuoi occhi vedevano tutto le parole ci portano il fuoco e guardavano al cuore e la voglia di andare, andare le parole portano il fuoco andare, andare… e la voglia di andare, andare… Il ragazzo dei campi, il ragazzo che can- Per Don Giussani nel giorno del Corpus tava Domini 2005 non aveva mai visto il destino e l’abbraccio del padre, l’abbraccio che Ieri Claudio Chieffo ha presentato la sua cercava nuova composizione dedicata al carismaincendiò come il sole il mattino tico Don Gius che, come dice la canzone, aveva la capacità di “guardare al cuore” e spiegava il Mistero con “parole di fuoco”. L’autore ribadisce che “Il più grande omaggio che possiamo fare a Don Gius è quello di proseguire la sua opera”, la sua missione rappresentata appunto dal titolo “Andare”. Nella canzone Chieffo ripercorre i primi momenti che ha passato a fianco del fondatore di Cl, “il ragazzo dei campi … non aveva mai visto il destino” riferendosi alla celebre foto dove suonava all’aperto e Giussani lo ascoltava. I suoi occhi ora vedono il Cuore, Dio. La canzone, terminata nel giorno del Corpus Domini, vuole ricordarci che ora siamo uniti a lui nel pane e nel vino dell’Eucarestia. Vittorio Centonze