La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul

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La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul
La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul Naviglio a Milano.
Novità documentarie e proposte attributive
DAMIANO SPINELLI
Ritenuta per anni il prototipo delle «chiese doppie» milanesi di
Santa Maria Incoronata e San Michele alla Chiusa, per via del
suo attuale assetto a due navate, San Cristoforo sul Naviglio doveva presentare in origine una struttura del tutto differente. Essa
era infatti composta da due chiese a sé stanti, costruite l’una accanto all’altra in periodi successivi e unite a formare un corpo
unico solamente nel 1625, tramite l’abbattimento della parete
che le separava. Due edifici dunque, con storie diverse e indipendenti (fig. 1).
La chiesa più antica è quella di sinistra, che risale probabilmente alla fine del XII secolo. Il tipo di muratura, la struttura
dell’abside e le monofore che in essa si aprono rivelano infatti
numerose affinità con la chiesa di Santa Maria Rossa a Crescenzago e con tutta una serie di altre costruzioni milanesi di quell’epoca1. Essa conserva al suo interno alcuni affreschi di scuola
lombarda della prima metà del XVI secolo: una Madonna in trono con Bambino e santi, un riquadro di identico soggetto di cui
rimangono solamente un San Giovanni Battista, una Maddalena
e un Santo Monaco, e infine un’Annunciazione molto rovinata
sull’arco che introduce l’abside. Quest’ultima è completamente
decorata con pitture riferibili allo stesso periodo e raffiguranti
un Dio Padre con simboli di Evangelisti, figure di santi e busti
di profeti.
Si vuole qui invece considerare l’altra struttura, tradizionalmente nota come «Cappella Ducale», nella quale è ancora possibile osservare numerosi affreschi di matrice tardogotica. Nonostante la sua importanza nelle vicende milanesi e la bellezza,
Il presente articolo è ricavato dalla mia tesi magistrale in storia dell’arte, La decorazione pittorica della cosiddetta «Cappella Ducale» in San Cristoforo sul Naviglio a Milano, Università Cattolica di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia,
a.a. 2009-2010, relatore M. Rossi. Ringrazio Marco Rossi e Stefania Buganza che
mi hanno seguito nella stesura della tesi e nella correzione dell’articolo, Carlo Cairati per la disponibilità e le preziose informazioni e infine tutte le persone che mi
sono state d’aiuto in questo lungo cammino: don Pierluigi Lia (parroco di San Cristoforo), Andreina Bazzi, Ivana Novani, Mirella Ferrari, Federico Del Tredici e
Roberta Delmoro.
Abbreviazioni
ASBAP: Archivio della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici
di Milano, cartella «Restauri, San Cristoforo sul Naviglio»;
1. Milano, chiesa di San Cristoforo sul Naviglio, facciata.
ASCMi: Archivio Storico Civico, Milano;
ASMi: Archivio di Stato di Milano.
1 A. ROMANINI, L’architettura lombarda nel secolo XIV, in Storia di Milano, V,
Milano 1955, pp. 660-673. Il Giulini (G. GIULINI, Memorie spettanti alla
storia, al governo ed alla descrizione della città e della campagna di Milano ne’ secoli bassi, IV, Milano 1771, pp. 65-68) cita la presenza – all’interno di un registro di chiese e monasteri che dovevano versare il censo a Roma, redatto nel
1192 dal Cencio, camerlengo di Celestino III – di un «Monasterium Sancti
Cristophori de Porte Genuensi»: potrebbe essere intesa come la prima testimonianza dell’esistenza della chiesa di sinistra e una conferma della sua datazione
(con Porta Genuensi è possibile si intendesse la Porta Ticinese, in quanto da
essa partiva la strada che arrivava sino a Genova).
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ormai consunta, della sua decorazione, poco è stato scritto su di
essa nel secolo passato, limitandosi a tramandare antiche e infondate leggende risalenti addirittura al Seicento.
Si tratta di una chiesa ad aula, composta da due campate
quadrangolari divise da un arco a sesto acuto che s’imposta su
uno stretto pilastro a muro, a cui si aggiunge un’ulteriore campatella di forma quadrata, separata dalle altre e costituente la sagrestia. I tre vani sono coperti da volte a crociera a sesto acuto
con costoloni pensili semicilindrici serrati da larghe chiavi circolari decorate in cotto. Il fianco della cappella verso il Naviglio è
scandito da quattro contrafforti rettangolari, che richiamano la
tripartizione interna e proseguono oltre la copertura del tetto.
Tre finestre (due ogivali e una tonda) illuminano da est la cappella. La facciata a capanna, alta e stretta, racchiusa fra due contrafforti, presentava numerosi affreschi ora andati quasi del tutto
perduti; in essa si apre un portale sovrastato da una lunetta a se-
sto acuto dal contorno piatto, ai cui lati si innestano due lunghe
finestre anch’esse ogivali.
La cappella doveva essere in origine completamente ricoperta
di affreschi, sia all’interno (sulle pareti e sulle volte), sia all’esterno (sulla facciata). Della pittura originale buona parte è sopravvissuta al trascorrere del tempo e all’incuria dell’uomo e, grazie
agli interventi di restauro compiuti nella seconda metà del Novecento2, è ancora possibile farsi un’idea chiara di quale aspetto
avesse la cappella nel passato. Le testimonianze più importanti
dell’originaria decorazione sono: in facciata, una Visitazione con
teoria di santi (fig. 2), di cui è andata purtroppo persa la parte
destra; all’interno, nella prima campata, una Madonna con Bambino e santi e una Crocifissione sulla controfacciata, mentre
un’Adorazione dei Magi (fig. 3) e una scena dei Sette dormienti di
Efeso (fig. 4) decorano le vele della volta. Numerosi sono i lacerti3
che ancora si osservano sulle altre pareti: affreschi a carattere
La chiesa di San Cristoforo ha avuto una vicenda abbastanza travagliata per
quanto riguarda i restauri, scandita da continui progetti che spesso non hanno
mai visto la luce. Nel 1923 Alessandro Tamborini (A. TAMBORINI, La chiesa di
San Cristoforo sul Naviglio, Milano, 1923, p. 44) lamentava la necessità di intervenire affinché l’edificio non cadesse in rovina. Proprio intorno a quegli anni risalgono le prime campagne di restauro ad opera di Mauro Pelliccioli. Gli
anni trenta vedono invece la stesura di continui preventivi e programmi di restauro, ma non risulta chiaro quali e quanti di questi siano stati realizzati; sicuramente tra il 1933 ed il 1936 si provvide al restauro degli affreschi al di sopra
del portale di ingresso di destra. L’avvento della guerra pose fine ai lavori e provocò ulteriori danni all’edificio. Finalmente, nel 1955, grazie all’interessamento
dei conti Visconti di Modrone, veniva realizzata una balaustra in marmo per
l’altare della chiesa antica e nel 1957 si metteva mano al restauro della grande
Crocifissione della parete di fondo. Il progetto fu affidato a Trento Longaretti
(direttore della scuola di pittura dell’Accademia Carrara), il quale, oltre al consolidamento della superficie, decise di colmare ‘a sinopia’ la lacuna centrale dell’affresco, completando il corpo del Cristo e inserendo le due figure inginocchiate dei coniugi Visconti di Modrone, committenti dei lavori. L’integrazione
provocò l’immediata reazione della Soprintendenza, la quale non aveva dato il
consenso per questo intervento; i ritratti non vennero però rimossi e rimasero
sulla parete sino ai primi anni del XXI secolo. Nel 1960 vennero quindi realizzati altri interventi di restauro, eseguiti da Pinin Brambilla, agli affreschi della
navata sinistra e in particolare all’abside. Nel 1970, però, un incendio provocato dal lancio di una molotov devastò la «Cappella Ducale», annerendo anche
le pareti e il cassettonato dell’aula attigua. Tra il 1977 ed il 1984 vennero quindi commissionate a Paola Zanolini varie campagne di restauro che riguardarono l’intera cappella (a esclusione della parete di fondo), durante le quali vennero scoperti gli affreschi con I Sette dormienti di Efeso e l’Adorazione dei Magi
sulla volta della prima campata (si veda G. ALESSANDRINI - G. DASSU - P. ZANOLINI, St. Christopher Church in Milan, in «Arte Lombarda», 68/69 (1984),
pp. 110-121). Successivi lavori vennero eseguiti solo nel 1990 dalla ditta Formica, su progetto di Luigi Maria Guffanti, e consistettero nella sistemazione
delle falde di copertura e nel consolidamento della superficie pittorica della facciata (L. M. GUFFANTI, Due stili recuperati dall’umidità del Naviglio, in «Chiesa
Oggi», I (1992), pp. 88-90). Per concludere, nel 2000 venne messo a punto
un complesso progetto di restauro e ammodernamento della chiesa, che durò
svariati anni e comportò la risistemazione dei pavimenti (con creazione di un
vespaio areato), la realizzazione di un nuovo impianto di riscaldamento, la messa a norma degli impianti, la ricorsa del manto di copertura, il restauro del
campanile, dell’ossario, di intonaci e affreschi e dei portali in legno (notizie sui
restauri tratte dai documenti e carteggi conservati all’interno della cartella «Restauri, San Cristoforo sul Naviglio» dell’Archivio della Soprintendenza dei Beni
Architettonici e Paesaggistici di Milano e dall’omonima cartella conservata
all’Archivio parrochiale di San Cristoforo).
3 La controfacciata, oltre alla Crocefissione e alla Madonna in trono e santi, presenta un altro piccolo affresco, posto alla destra delle scene centrali, stretto tra
la finestra e il muro laterale. Si tratta di un’immagine a figura intera di Santo
Vescovo, forse Ambrogio, che indossa una pianeta verde e una mitria bianca riccamente decorata. Le pitture proseguono quindi sulle pareti laterali. Quella di
sinistra è stata purtroppo in parte abbattuta nel Seicento per mettere in comunicazione le due navate. Rimangono comunque dei lacerti sull’arco di imposta
della volta. Nel riquadro in alto è possibile ancora scorgere due figure di santi
(di cui rimane in pratica solo la testa): mentre quello di sinistra è irriconoscibile, perché troppo rovinato, quello di destra è sicuramente un san Cristoforo. Il
volto, con occhi ampi e sgranati, ricorda prepotentemente alcune opere attribuite all’importante famiglia di artisti cremonesi dei Bembo. Risulta però molto difficile ipotizzare un loro intervento nella cappella; bisogna quindi pensare
piuttosto di trovarsi di fronte a un artista che, partendo da matrici pittoriche
comuni a essi, attento in particolare all’arte di Giovannino de’ Grassi, sia giunto, in maniera indipendente dai Bembo, a risultati molto simili. Continuando
verso il basso, sulla destra si intravede una seconda figura di San Cristoforo, ormai quasi scomparsa. Infine, sulla sinistra, contiguo all’ipotetico Sant’Ambrogio
della controfacciata, è possibile osservare un terzo San Cristoforo, meglio conservato, di cui rimangono una parte del volto e l’ampia spalla su cui siede il
Bambino. I tratti del suo viso sono molto simili a quelli del santo vescovo della
controfaccia e dovrebbe dunque essere attribuibile alla stessa mano. Anche la
parete di fronte, quella lungo il Naviglio, doveva essere completamente affrescata, ma qui il pessimo stato conservativo (dovuto principalmente all’umidità
di risalita), unito ai lavori operati sulla cappella (come l’apertura di finestrature
più ampie) e all’incendio provocato dal lancio della molotov, ha compromesso
quasi irrimediabilmente le pitture che la ornavano. Possiamo farci un’idea di
cosa vi fosse rappresentato grazie a una fotografia antica, pubblicata nel testo
di Renato Bagnoli (R. BAGNOLI, San Cristoforo sul Naviglio nella tradizione milanese, Milano 1939, tav. 2) e da alcune fotografie conservate in ASBAP. La
parte più importante era costituita da una Gloria di Santi. Questa si trovava al
culmine della parete e ne seguiva l’andamento ad arco. Le figure erano disposte
a salienti, come se fossero su diversi gradini di due scalinate che salivano verso
il centro. Nel mezzo della composizione un’immagine ieratica di Cristo racchiuso in un’ampia mandorla. Ai suoi lati si osservano sei figure di santi divisi
in due gruppi da tre, uno sulla destra e uno sulla sinistra; ai loro piedi alcune
figure di devoti, con tutta probabilità la famiglia di committenti dell’affresco.
Sulla destra, andando dall’esterno verso l’interno: sant’Antonio abate, san Cristoforo con il Bambino in spalla (di cui è possibile ammirare la bellezza del vestitino dalla fotografia dell’ASBAP, fig. 5) e un san Giovanni Battista. Al di sotto della Gloria di Santi, sulla sinistra si trova invece tuttora un Santo vescovo
(fig. 7) che solleva il braccio destro in atto benedicente e impugna nella mano
sinistra uno splendido pastorale. Potrebbe trattarsi, come per il santo in controfacciata, di una raffigurazione di Sant’Ambrogio, anche se non reca lo staffile.
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2. Milano, San Cristoforo sul Naviglio, facciata, Visitazione e santi.
3. Volta della prima campata, Adorazione dei Magi.
4. Volta della prima campata, Sette dormienti di Efeso.
devozionale, suddivisi in riquadri di varie dimensioni da fasce
decorative a motivi floreali e geometrici (figg. 5-8); onnipresente è la raffigurazione di san Cristoforo. La seconda campata è
dominata dall’imponente Crocifissione e santi della parete di
fondo (fig. 9), posta sopra al luogo ove si trovava originaria-
mente l’altare, purtroppo mutila della parte centrale a seguito
della costruzione, probabilmente nel Seicento, di un’edicola a
tempietto (fig. 10).
Intorno alla fondazione della cappella possediamo fortunatamente un gran numero di documenti, conservati presso la
Lo sfondo è monocromo e delimitato dalla cornice purpurea a fiori bianchi
che ritroviamo in altri affreschi.
Alla destra della finestra rimane un piccolo riquadro con l’immagine di San
Cristoforo, ora quasi del tutto scomparso (fig. 8). Dal modo in cui l’intonaco
dell’affresco con la Gloria di Santi si sovrappone alla fascia ornamentale che
delimita questo riquadro, si potrebbe dedurre che il san Cristoforo fosse ad essa
precedente e fosse stato in seguito coperto. Infine, sulla parete opposta, sventrata nel Seicento per mettere in comunicazione le due chiese, rimangono mutile, appena al disotto dell’imposta della volta, due figure di santi, un San Cristoforo (fig. 6) e un altro santo la cui identità è ormai irrecuperabile.
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5. Parete meridionale, Gloria di Santi, particolare.
6. Parete settentrionale, San Cristoforo, particolare.
7. Parete meridionale, Sant’Ambrogio (?).
8. Parete meridionale, San Cristoforo.
Biblioteca Ambrosiana e pubblicati da Jole Francimei nel 19994,
ma non sottoposti sinora a uno studio approfondito. Da un attento esame di questo materiale emerge infatti che alcune delle
convenzioni tramandate dagli storici intorno alla chiesa devono
essere riviste e che lo stesso appellativo di «Cappella Ducale» va
definitivamente messo in discussione.
La costruzione della cappella risale con certezza ai primissimi
anni del Quattrocento. Sopra il portale d’ingresso di sinistra, infatti, si trova ancora una lapide marmorea con gli emblemi del duca
Giovanni Maria Visconti, della città e dell’arcivescovo Pietro Filargo, futuro papa Alessandro V (con un sole raggiante e un cappello
prelatizio), che riporta in rilievo la data del primo settembre 14055
4 J. FRANCIMEI, Documenti per San Cristoforo sul Naviglio Grande e la Scuola
dei SS. Giovanni Battista, Giacomo, Cristoforo e Cristina (1398-1784), in «Arte
Lombarda», 127 (1999), pp. 99-108.
5 La scritta è molto corrosa e di difficile interpretazione, ma mi sembra di poter
La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul Naviglio a Milano. Novità documentarie e proposte attributive
9. Bottega degli Zavattari, Crocifissione e Santi, parete di fondo.
10. Veduta d’insieme della seconda campata della
cappella, primi decenni del ’900.
e che si pensa sia stata posta a memoria dell’avvenuta consacrazione della nuova cappella e della contemporanea ristrutturazione della chiesa antica (consistente nell’aggiunta in rottura del
portale con rosone6).
La tradizione voleva che la nuova cappella fosse stata realizzata come scioglimento del voto pubblico fatto a san Cristoforo
dalla cittadinanza di Milano in occasione della peste del 1400:
al santo si sarebbe promesso, in cambio della liberazione dal
morbo, di dedicare un nuovo santuario e di celebrare ogni anno
una festa in suo onore. La peste sarebbe cessata dopo breve tempo e i cittadini avrebbero voluto ringraziare il santo adempiendo
alle promesse. Il primo ad avallare questa tesi fu lo storico Antonio Castiglioni, che nel 1625 la espose all’interno delle sue Antiquitates Mediolanenses7, affermando però di basarsi su ricordi familiari e tradizioni popolari8. Essendo noto il resoconto di Bernardino Corio9 sulla virulenza della peste del 1400, non era difficile pensare che, proprio in occasione di tale epidemia, la cittadinanza avesse espresso un voto in forma pubblica e che il duca
avesse quindi promosso la costruzione della cappella in onore del
santo che l’aveva liberata. Era infine plausibile ipotizzare il 1399-
1400 come periodo di inizio dei lavori, tenendo come punto di
riferimento la data di consacrazione della cappella stessa presente
sulla lapide in facciata (1405).
La lettura dei documenti inerenti la fondazione solleva però
vari dubbi rispetto alla ricostruzione del Castiglioni. Nel secondo registro delle lettere ducali, conservato all’Archivio Storico
Civico di Milano, è presente infatti una lettera, datata 1398, con
la quale alcuni non specificati cittadini milanesi chiedevano al
duca Gian Galeazzo la concessione di un terreno per l’edificazione di una cappella da dedicare ai santi Giovanni Battista, Giacomo, Cristoforo e Cristina, sulla sponda del Naviglio a fianco dell’antica chiesa di San Cristoforo, con allegata la risposta positiva
dei vicari e dei Dodici di Provvisione e la ratifica del duca stesso.
Questo documento crea una serie di problemi intorno alla data
di edificazione della nuova chiesa e ai reali committenti dell’impresa. La supplica dei cittadini recita così:
concordare con la lettura che ne danno Mezzanotte e Bascapè (P. MEZZANOTTE
- G. BASCAPÈ, Milano nella storia e nell’arte, Milano 1948, pp. 605-608); è invece accolta tradizionalmente l’interpretazione come 1404 proposta dal Tamborini e da altri storici. Sicuramente errata è invece la lettura del Forcella (V.
FORCELLA, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano dal secolo VIII ai
nostri giorni, II, Milano 1893, p. 169) e del Romussi (C. ROMUSSI, Milano ne’
suoi monumenti, II, Milano 1913, p. 369) che riportano l’anno 1450.
6 ROMANINI, 1955, pp. 660-673.
7 G. A. CASTIGLIONI, Mediolanenses Antiquitates ex urbis paroecijs collectae, Mi-
Sapientie et nobilitati vestrum dominorum vicarii et duodecim
officio provisionum Communis Mediolani condignissime presidentium et deputatorum, nec non sindicorum iamdicti comunis
lano 1625, p. 257.
8 Tradizione popolare che arriva fino a TAMBORINI, 1923, p. 20: «io da fanciullo
udii mio nonno raccontare che l’arcivescovo di Milano, essendo il Principe della
città, angustiato per la peste, affermò che la peste non sarebbe cessata prima che
fosse stato dedicato a S. Cristoforo un nuovo tempio e una nuova fede».
9 B. CORIO, Storia di Milano [1503]; ediz. a cura di A. Morisi Guerra, Torino
1978, p. 956.
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Va anzitutto notato che questa lettera, inviata da «nonnulli cives» al duca, risale al luglio del 1398, perciò a un anno prima
dello scoppio della famosa peste del 1400 ricordata dalle fonti.
Nel documento inoltre non è fatto alcun riferimento a una liberazione dal morbo da parte di san Cristoforo o a un eventuale
scioglimento di un voto pubblico. Al contrario, il duca e i
membri del Comune dichiarano di approvare il progetto poiché
nel giorno della festa dei santi Giacomo, Cristoforo e Cristina
(a cui sarebbe stata dedicata la chiesa) si ricordava l’importante
battaglia di Alessandria, svoltasi il 25 luglio del 1391, nella quale Gian Galeazzo Visconti aveva sconfitto il conte d’Armagnac,
chiamato in Italia dai fiorentini. Si può dunque ipotizzare che
questi «nonnulli cives» (che testimonianze successive dicono appartenere alla classe equestre e senatoriale11e che potrebbero
quindi aver partecipato all’evento), avessero deciso di erigere la
cappella in onore della vittoria (pur essendo ormai passati sette
anni), per ringraziare i santi protettori di quella gloriosa gior-
nata campale e del loro signore12; spinti anche dal prestigio e
dal riscontro economico che la gestione di una tale struttura
avrebbe comportato.
Certo è che, il 18 luglio 1398, il vicario, i Dodici di Provvisione e i sindaci del Comune di Milano, esaminata e discussa la
richiesta, deliberarono di assecondarla. Vennero concesse l’occupazione gratuita di otto/nove braccia di terreno comunale posto
sulla ripa del Naviglio presso la vecchia chiesa di San Cristoforo
e la demolizione della cascinetta esistente su quel terreno, come
richiesto dai cittadini. In cambio, però, venne ingiunto ai richiedenti che scolpissero o rappresentassero su una lapide marmorea,
da porre sopra la parete d’ingresso, lo stemma del duca e del Comune di Milano, «et hoc ad perpetuam rei memoriam et ad hoc
ut dicta capella semper appareat esse constructa super sollo seu
terretorio communis predicti et nequis in posterum ius in dicta
capella habere pretendat»13. La lapide e la pesante ingerenza ducale creeranno, come vedremo, molta confusione intorno ai reali
meriti delle parti chiamate in causa nella fondazione della chiesa,
tanto da spingere a dare all’edificio l’improprio nome di ‘Cappella Ducale’. Infatti, come si deduce dai documenti, la cappella
fu sì edificata su suolo ducale, ma costruita esclusivamente per
volere e con il denaro di quel gruppo di nobili cittadini che a
tale scopo si era riunito14.
Iniziarono dunque i lavori, i quali dovettero durare forse
non oltre il gennaio del 1403, quando i promotori dell’impresa
rivolsero una nuova supplica al duca (che era nel frattempo divenuto Giovannni Maria Visconti) chiedendo la concessione di
un nuovo appezzamento di terreno comunale, al fine di edificarvi una casa per un sacerdote che potesse celebrare giornalmente i divini uffici: «Ut cum constructa, et ibidem hedifficata
suprascripta capella, et in bono et pulchro ordine constructa,
restet ibidem habere unum sacerdotem, qui ibidem residentiam
ac perseverantiam faciat die noctuque ut moris est»15. I lavori
di costruzione erano dunque terminati. Il primo settembre
1405, come si deduce dalla lapide posta sopra l’ingresso della
chiesa antica, la cappella veniva consacrata. Era ora necessario
che qualcuno si occupasse della sua gestione, stipendiando un
sacerdote che celebrasse le messe, amministrandone i beni, le
entrate (dovute alle donazioni dei fedeli) e i terreni lasciati in
eredità. Per questo motivo, il 15 febbraio 1408, i nobili cittadini fecero domanda al duca di poter costituire una scola con un
proprio statuto, intitolata ai santi Giovanni Battista, Giacomo,
Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo Trotti, ms. 245, ff. 85v-86v, edito
parzialmente in L. OSIO, Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi,
Milano 1874, pp. 341-342; C. SANTORO, Un nuovo registro di lettere ducali, in
«Archivio Storico Lombardo», LII (1925), p. 322; cfr. L. PATETTA, 1987, p. 56
e nota; E. S. WELCH, Art and Authority in Renaissance Milan, New Haven-London 1995, pp. 31-33, 273 e nota; FRANCIMEI, 1999, p. 101.
11 TAMBORINI, 1923, p. 24.
12 San Giovanni Battista è il santo protettore del duca Giovanni Maria Visconti.
13 Vedi le note 10 e 11. La lapide, tuttora visibile sulla facciata della cappella,
presenta lo stemma del Comune e quello del duca Giovanni Maria (con le iniziali Io. Ma).
14 Vedi note 10 e 11: nel documento di supplica si pone l’accento sul fatto che
essi vogliano fare tutto «propriis expensis» e non chiedano nessun aiuto finanziario a Gian Galeazzo.
15 ASCMi, Registro lettere ducali n. 2 (1401-1403), ff. 98-99. Edito in M. FORMENTINI, Il Ducato di Milano, Milano 1877, pp. 171-173; C. SANTORO, I registri dell’Ufficio di Provvisione e dell’Ufficio dei Sindaci sotto la dominazione viscontea, Milano 1929, p. 118; citato in C. FUMAGALLI - D. SANT ’AMBROGIO L. BELTRAMI, Reminescenze di storia ed arte nel suburbio e nella città di Milano,
III, Milano 1892, p. 14; G. GIULINI, Memorie storiche intorno alle chiese, ai monasteri ed ai benefici ecclesiastici di regio iuspatronato e intorno alle abbazie e ai
benefici passati in commenda nello Stato di Milano, I, 1916, p. 557; TAMBORINI,
1923, pp. 47 e nota, 48 e nota; C. BARRACCIU, San Cristoforo sul Naviglio, Milano 1961, pp. 29-31; PATETTA, 1987, pp. 55-56; FRANCIMEI, 1999, p. 101.
pro parte nonnullorum civium civitatis Mediolani supplicatur,
quatenus cum ob immensam ipsorum devotionem, quam inde
primitus ab altissimo compuncti duxerunt atque ducunt congerendum ad metuendissimos nec non reverendissimos sanctos Iohannem Baptisam et Iacobum et Christoforum, necnon sanctam
Christinam, decreverint et dispositi sint penes ecclesiam prefati
sancti Christophori sitam extra portam ticiniensem civitatis iamdicte quandam eorum propriis expensis in et ad honorem et reverentiam antifatorum sanctorum et sancte fieri facere capellam
deinde que officiandam ad effectumque premisse ipsorum dispositionis, quia pars illa seu territorium illud, in quo, seu qua, capellam predictam fieri et construi decreverunt asseritur esse et est
Communis predicti absque vestri spetiali licentia procedi minime
valeat, ad hoc, ut opus permissum demandatur, seu demandari
possit effectui, in quo nempe non solum supplicantes ipsi, sed
etiam quicumque premisso operi duxerint amminichulum prestandum partem etiam in capella predicta boni finaliter obtenturi, dignemini vestras bonas mentes ad hoc flectentes taliter circa
negotium superius expressum providere, quod capella predicta libere queat hedifficari, atque construi, liberaliter et gratiose de territorio predicto pro capella predicta sic fienda, iis modo et forma,
de quibus videbitur vestris iamdictis sapientie et nobilitati, providendo, videlicet a brachiis octo usque in novem terre taliter
adiacendo quod propterea possit dirui quidam Cassina, seu Cassiocholus domus predicte ecclesie inherens, seu prope existens pro
capella predicta sic construenda, attento maxime quod dicto
communi seu alicui alii private persone aliquod dampnum nec
preiuditium ex opere premisso minime possit inferri10.
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Cristoforo e Cristina16. Il primo marzo 1408, il Signore di Milano concedeva il suo benestare17.
A questo punto si pone il problema, fondamentale nello studio delle vicende di San Cristoforo, di dare un volto a questi cittadini milanesi che tanto si erano presi a cuore la costruzione della cappella e la sua gestione. In nessuno dei documenti inviati al
duca e al Comune di Milano compaiono i loro nomi, come se essi avessero voluto appositamente mantenersi nell’anonimato o, all’opposto, fossero stati talmente noti da non doversi sottoscrivere.
In aggiunta, le più antiche testimonianze della scola che ci rimangono risalgono solo al Cinque e al Seicento: si tratta di alcune liste di confratelli stilate nel 1562, 1574, 1589 e nel 165918.
Fra gli atti del notaio milanese Ambrogio Spanzotta19, figlio
di Francescolo, conservati all’Archivio di Stato di Milano, si trovano però tre documenti inerenti la confraternita di San Cristoforo che portano la data del 20 maggio 1415, quindi molto a ridosso della sua istituzione, in cui sono espressamente riportati i
nomi dei membri.
Il primo, indicato nella sua Rubrica come «Constitutio scolarium sancti Christophori» (atto con cui si ratificava l’elezione
delle varie cariche annuali della scola, che si svolgeva durante il
capitolo generale), recita così:
Iacobi dicti Machalufi de Canobio filii quondam Leonis, Christofori Scharlioni filii quondam Paganoli, Ambrosini de Varixio filii
quondam Gerardi e Conradi de Griffa filii quondam Zaneti, Antonini de Invorio, Martini de Cormano filii quondam Beltrami,
Ayorldi de Alzate filii quondam Petri, Protaxii Ranzini filii quondam Guillelmoli; […] Iacobus dicti ‘Dragi’ de Eusebiis de Vermezio, Iacobus de Morsenigia filius quondam Franzii, Ambrosius de
Capriano, Beltraminus de Aplano filius quondam Bertini, Antoninus de Cantono filius quondam Gasparri, Guidinus de Zurlis filius
quondam Petri, Michael de Pergamo filius quondam Betini, Andriolus de Schalfinariis, Iacobus Merlanus de Papia filius quondam
Francischi, Matrognanus et Martinus de Poronibus filii quondam
Antonii, Iohanninus de Sovicho filius quondam Iohanninus, Biaxinus de Migloe filius quondam Alberti, Bertolla de Pergamo, Mafiolus de Seregnio filius quondam Andrioli, Iohannes de Mandello,
Guillelmus de Massalia filius quondam Stefani.
A questo punto, prima di giungere al corpo centrale del documento, il testo elenca, secondo la consueta modalità notarile, numerosi
soci della scola in ordine gerarchico, a partire dai membri in scadenza di mandato, fino a coloro che non rivestono alcuna carica.
Vengono nominate circa una ventina di persone, sottolineando, di
nuovo in ossequio al formulario e alla tradizione, che si tratta solo
di una «maior et sanior pars scollarium et universitatis dicte scolle»:
Se si prendono in considerazione anche gli altri due documenti21,
rogati sempre nello stesso giorno e nella stessa occasione, otteniamo altri, più significativi nomi di membri non citati nel primo.
Nella rubrica del notaio questi due atti sono indicati come «Sindicatus scole ad negotia et ad causas»: si trattava della nomina di
alcuni sindaci per la gestione dei contenziosi giuridici (ad causas)
e per l’amministrazione delle risorse e spese (ad negotia).
Da questi si ricavano dunque i nominativi di altri scolari di
San Cristoforo:
«Laurentium de Mertignonibus, Gasparrinum de Sexto, Iacobinum de Merlano, Antoninum de Confanoneriis, Primolum
de Venzago, Antoninum de Plantanidis, Lantelmum de Trivulzio, Ambrosinum de Corbeta, Iacobinum de Rolandis».
I membri dovevano essere in grande numero. Tra di essi ne
venivano eletti circa una dozzina per ricoprire tutte le cariche
sopra indicate, e questo spiegherebbe perché le fonti ricordino
sempre che la confraternita fosse costituita di dodici elementi.
Essi appartenevano ad importanti famiglie milanesi e a gruppi
o istituzioni che gravitavano attorno alla corte ducale22. In particolare vanno sottolineati i legami che questi intrattenevano
con la Fabbrica del Duomo, che possono aprire interessanti
Documento edito parzialmente in CASTIGLIONI, 1625, pp. 255-256; A. PAMonumenta Ducalis Ecclesiae S. Christophori extra portam Ticinensem, Milano 1659, pp. 1-12. In esso gli aderenti dichiarano che lo scopo della
scola è di amministrare i beni mobili e immobili della chiesa e di provvedere
con le rendite al mantenimento decoroso dell’oratorio e della cappella e alla retribuzione di un sacerdote. Riportano quindi punto per punto lo statuto che
vogliono imporsi per sottoporlo al vaglio del duca e dei vari membri del Comune: innanzitutto avrebbero tenuto un libro in cui scrivere tutti i nomi e cognomi degli scolari; tale libro sarebbe stato affidato a un notaio scelto fra loro,
incaricato di rogare tutti gli atti della scola e retribuito con uno stipendio mensile. Ogni anno tutti i confratelli avrebbero dovuto poi riunirsi in capitolo, con
facoltà di modificare lo statuto e di eleggere: un priore, quattro consiglieri, sindaci, procuratori e infine un canepario incaricato di ricevere le entrate e le donazioni (priore e canepario non sarebbero stati eleggibili per più di un anno).
17 Il duca però precisa: «Per nos sint confirmanda, dummodo statuta non appellantur, sed ordines inter eos suprascripti tantummodo nuncupentur, ad hoc
ut ipsi scholares se possint convenire, et eligere valeant priorem, consiliarios,
sindicos, procuratores et alia facere quae in dictis ordinibus continentur», in
CASTIGLIONI, 1625, pp. 255-256.
18 PANIGAROLA, 1659, pp. 31-34.
19 Per lo Spanzotta in generale, cfr. ASMi, Notarile, Rubriche notarili, notaio
Ambrogio Spanzotta, 4546.
20ASMi, Notarile, Atti dei notai di Milano, 164, notaio Ambrogio Spanzotta,
si veda Appendice documentaria, doc. 1.
21ASMi, Notarile, Atti dei notai di Milano, 164, notaio Ambrogio Spanzotta;
si veda Appendice documentaria, docc. 2, 3.
22 Cercando riscontri più precisi nei registri della Santoro (C. SANTORO, Gli
offici del comune di Milano e del dominio Visconteo-Sforzesco (1216-1515), Milano 1968) è emerso che, ad esempio, Mafiolo de Seregno fosse stato nel 1411
uno dei Dodici di Provvisione e nel 1412 tra i consoli di giustizia; oppure che
Giacomino de Rolandis avesse ricoperto dal 1406 al 1448 la carica di banditore
del Comune di Milano; da altra fonte invece sappiamo che Giacomo de Canobio aveva ricoperto l’importante carica di ufficiale della tesoreria ducale. Ancora più interessanti sono i legami tra i membri della scola e la Fabbrica del
Duomo: Mafiolus de Seregno svolse la carica di giureconsulto e deputato nel
1401, nel 1406, 1407, 1409 e infine nel 1410; Gasparrino de Sesto, di cui però non è specificata la carica, risulta nei documenti del 1403, del 1404 e del
1410; Primolo de Venzago fu notaio della Fabbrica quasi ininterrottamente dal
1391 al 1413; Ambrosino de Corbetta notaio e deputato nel 1406, 1409 e
1410; e infine Lantelmo Trivulzio, fu deputato dal 1392 al 1420.
Convocato et congregato capitulo consortio et universitate scolarium scolle sanctorum Iohannes Batiste, Christophori, Iacobi et
Crestine, que sit in capella sancti Christophori, sita in porta Ticininense in parochia sancti Vicentii in prato foris Mediolani, super
flumen Navigii Mediolani. De mandato et impoxitione20.
16
NIGAROLA,
131
Arte Lombarda | DAMIANO SPINELLI
scenari riguardo alla commissione degli affreschi e alle maestranze attive nella cappella; è infatti facile pensare che i personaggi coinvolti avessero la possibilità di chiamare a lavorare a
San Cristoforo architetti e artisti attivi in quel momento nel
maggiore cantiere milanese.
La scola di San Cristoforo vantava dunque membri di prestigio, capaci di notevoli risorse economiche e di legami altolocati e disponeva di un vasto patrimonio, formato dalle offerte
dei fedeli e dalle donazioni dei confratelli. Parte dei beni della
confraternita era composta da terreni e stabili, come case, campi,
prati e vigne, per i quali essa riceveva regolarmente affitti livellari, di cui sono rimaste varie attestazioni documentarie23.
Anche il duca Filippo Maria Visconti, fratello di Giovanni
Maria, salito al potere nel 1412 a seguito dell’assassinio di
quest’ultimo, dovette prendere molto a cuore la scola dei santi
Giovanni Battista, Giacomo, Cristoforo e Cristina, tanto che,
come riporta il Tamborini24, dovette forse entrare a farne parte.
Dopo la sua morte venne infatti celebrato per secoli nella chiesetta un ufficio funebre in suo onore. La presenza del duca tra i
membri della scola dovette apportare a quest’ultima non solo un
notevole prestigio, ma anche una grande disponibilità economica, dovuta alle sue ricche elargizioni25.
In base a questi nuovi dati è finalmente possibile far luce su particolari fino ad ora sconosciuti e risalire di conseguenza ad alcuni
dei committenti degli affreschi che decorano le pareti della chiesa.
All’interno delle scene sacre compaiono numerosi ritratti di devoti
inginocchiati e abbigliati con una lunga tunica nera dal collo alto,
stretta in vita da una cintura: probabilmente l’abito della confraternita. I membri, in cambio del finanziamento delle decorazioni,
devono aver infatti chiesto di lasciare un segno tangibile della propria munificenza sulle pareti. Purtroppo il cattivo stato di conservazione delle pitture e la perdita di alcuni particolari fondamentali
rendono impossibile il riconoscimento di tutti questi personaggi.
Solamente per il grande affresco della controfacciata, grazie
ai documenti di Ambrogio Spanzotta e a un negativo fotografico
conservato al Civico Archivio Fotografico di Milano (fig. 11), è
possibile arrivare a stabilire con precisione il committente.
La decorazione pittorica è composta da due scene sovrapposte e delimitate da una fascia a fondo rosso su cui spiccano fiori
bianchi quadrilobi che sbocciano da un ramo continuo carico di
foglie e che ritroviamo anche intorno ad altri riquadri della prima campata. Nella parte superiore è raffigurata Maria, seduta su
di un alto trono gotico, che tiene sulle ginocchia il Bambino benedicente (fig. 12). Alla sua destra si trova san Cristoforo, im-
merso fino alle ginocchia nell’acqua del fiume che attraversa portando in spalla il Cristo, mentre sulla destra un sant’Antonio
abate con il tipico campanello da questuante introduce con la
mano alla visione della Madonna due devoti inginocchiati in atteggiamento di preghiera. Il primo, con capelli corti e scuri, è
più vecchio del secondo che porta invece una zazzera bionda; entrambi indossano l’abito nero della confraternita.
Nel riquadro inferiore è invece rappresentata una Crocifissione (fig. 13). Evidente per essa è il richiamo ai modelli degli oratori viscontei: al centro vi è il Cristo, affiancato da due gruppi di
tre figure ciascuno; sulla sinistra le pie donne con al centro Maria, con le palpebre serrate, colta nel momento dello svenimento;
sulla destra invece, a ridosso della Croce, san Giovanni Evangelista. Alle sue spalle, si trova un santo Vescovo che con la mano
destra regge un calice26, mentre con la sinistra tocca teneramente
il capo di un devoto, abbigliato con l’abito nero della confraternita. L’ambientazione paesistica si limita alla lingua di terreno su
cui stanno i protagonisti, che si innalza al centro a formare la
piccola collinetta del Golgota.
Sia la Madonna con il Bambino e santi che la sottostante Crocifissione presentano, negli angoli alti dei riquadri, due stemmi a
scudo, uguali ma disposti in ordine invertito fra loro, in maniera
si potrebbe dire chiastica. Come è possibile dedurre soprattutto
dalla fotografia d’archivio e dalle testimonianze degli storici, essi
erano così composti: l’uno, bipartito, nella metà sinistra mostrava un castello con due torri, finestrato su entrambe, sopra il quale appoggiava gli artigli una grande aquila nera, mentre in quella
destra aveva tre fasce colorate (il colore, ora quasi scomparso,
non è specificato nei testi); l’altro invece presentava una «A» dal
vertice smussato, affiancata da una «Y» più piccola e sormontata
da una croce «di patriarca»27. Per prima cosa i due stemmi non
sarebbero da intendersi entrambi, come per anni sostenuto, quali emblemi di casate nobiliari. Solo il primo indicherebbe infatti
la famiglia del committente e apparterrebbe alla casata degli Alciati (o de Alzate, località da cui proverrebbero). L’altro, con la
croce patriarcale e le due lettere sottoscritte, sarebbe invece un
contrassegno personale. Esempi simili si possono osservare nelle
ultime pagine dello Stemmario Trivulziano28. La forma richiama
i «signa tabellionis» che i notai utilizzavano per autenticare i documenti e che li identificava univocamente. Nel «signum tabellionis» si trovavano spesso delle lettere che richiamavano il nome e talvolta il cognome del notaio. In questo caso vi sono «A»
e «y»: perfettamente compatibili con le iniziali di Ayroldo de
Alzate, membro della confraternita che compare all’interno del
FRANCIMEI, 1999, p. 99.
TAMBORINI, 1923, p. 24: egli non dice chiaramente da dove abbia tratto
questa notizia. Certamente il legame documentato tra Filippo Maria e la cappella dei santi Giovanni Battista, Giacomo, Cristoforo e Cristina, sancito da
numerose elargizioni e ricompensato con la celebrazione, per secoli, di una
messa in suo suffragio, permette di dar credito a questa affermazione.
25 Ci rimane un documento all’Archivio di Storico Civico di Milano nel quale
Filippo Maria Visconti dà facoltà al vicario e ai Dodici di Provvisione e ai sindaci di recarsi il giorno 25 luglio, secondo il solito, alla chiesa di San Cristoforo
per fare l’oblazione, nonostante il divieto di riunioni dei cittadini: ASCMi, Registro lettere ducali n. 9, (1426-1436), f. 37v; parzialmente edito in TAMBORINI,
1923, p. 49 e nota; BARRACCIU, 1961, p. 36; SANTORO, 1929, pp. 345-346;
FRANCIMEI, 1999, p. 102.
26 Visti i suoi attributi (abito vescovile e calice) si potrebbe pensare a una raffigurazione di san Biagio; forse però si tratta di qualche altro santo, legato al nome e alla famiglia del committente, gli Alciati.
27 TAMBORINI, 1923, p. 42.
28 Stemmario Trivulziano, a cura di C. Maspoli, Milano 2000.
23
24
132
La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul Naviglio a Milano. Novità documentarie e proposte attributive
11. Bassanolo de Magistris, Madonna in trono e santi e Crocifissione, controfacciata.
documento del 1415. A riprova di ciò, nei registri delle matricole notarili conservati all’Archivio di Stato di Milano29 è possibile
osservare il contrassegno personale di un notaio della stessa famiglia, di nome Ambrosinus e residente nella stessa parrocchia
milanese di Ayroldo30; esso è quasi identico a quello presente
nell’affresco, con una «A» dalla cima smussata, accompagnata
ovviamente da una lettera differente. Potrebbe altresì trattarsi di
un contrassegno mercantile, in uso nel Medioevo tra gli appartenenti a questo mestiere. Sappiamo infatti che agli inizi del
Quattrocento i ‘de Alzate’ erano una tra le più ricche e fiorenti
dinastie di mercanti tessili milanesi; ci rimangono almeno 15
contratti per la lana di Borgogna, di Provenza e di San Matteo a
loro nome. Essi avevano un rappresentante a Valencia (Giorgio
d’Alzate, attivo nella città sin dal 1418), uno a Bruges e un’intera
filiale a Londra per il commercio della lana inglese a Milano
(dapprima Giovanni d’Alzate e in seguito il figlio Bernardo con
altri parenti)31.
12 Bassanolo de Magistris, Madonna in trono e santi, particolare, controfacciata.
13. Bassanolo de Magistris, Crocifissione, controfacciata. Fotografia realizzata
dopo il recente intervento di restauro ad opera dello Studio restauri Formica.
29 ASMi, Notarile, Matricole dei notai 5, 6, 15 e 16, notaio Ayroldo de Alzate.
documentaria, doc. 1.
Parrocchia di San Giovanni Ytolano, che si deduce dal documento di Constitutio del 1415 tratto dagli atti di Ambrogio Spanzotta: ASMi, Notarile, Atti dei notai di Milano, 164, notaio Ambrogio Spanzotta; si veda Appendice
31 P. MAINONI, Mercanti Lombardi tra Barcellona e Valenza nel basso medioevo, Bo-
30
logna 1982, pp. 69-70; P. MAINONI, Mercato della lana a Milano dal XIV al XV
secolo. Prime indagini, in «Archivio Storico Lombardo», CX (1984), pp. 15-45.
133
Arte Lombarda | DAMIANO SPINELLI
Quella degli Alciati era una famiglia di antica nobiltà milanese. Il loro cognome compare infatti nella Matricola nobilium, fatta redigere dall’arcivescovo Ottone Visconti il 20 aprile 1277, ossia l’elenco delle famiglie nobili di Milano e campagna, i cui
iscritti potevano accedere alla carica di ordinario della Metropolitana32. Vari membri di questa famiglia avrebbero poi ricoperto
cariche di grande prestigio all’interno della corte viscontea, soprattutto nell’entourage del duca Filippo Maria33. Per quanto riguarda Ayroldo però non si hanno molte notizie34: il Pittonio, nel
suo libro Famiglie Nobili di Milano e della Lombardia, lo cita associandogli la data del 1404, senza però specificare dove abbia
trovato questa notizia e a che cosa sia legata tale data35. All’Archivio di Stato di Milano si trovano invece alcuni documenti36 che
permettono di affermare che egli visse sicuramente tra il 1402 ed
il 1436. Si tratta di affitti livellari o atti in cui risulta testimone,
dai quali non possiamo però arguire altro se non che fosse figlio
di un «domini Petri» e risiedesse a Porta Romana, nella parrocchia di San Giovanni Ytolano37. Da un documento del 22 novembre 1428, veniamo inoltre a conoscenza del fatto che avesse
un nipote di nome Ambrosio de Alzate, di cui faceva le veci.
Egli avrebbe apposto su entrambi i riquadri i suoi emblemi
gentilizi, mentre non risulta chiaro se la figura di devoto inginocchiato dai capelli neri che compare nelle due scene sia sempre lui o, in una di esse, egli abbia fatto ritrarre il padre o un altro parente. Nella Sacra conversazione con la Madonna e il Bambino, con lui è però rappresentato anche un giovane che porta
una zazzera bionda, abbigliato nello stesso modo: potrebbe in
questo caso trattarsi di un figlio o del nipote ricordato dai documenti.
Oltre al riconoscimento del probabile committente, per l’affresco in controfacciata è possibile anche individuare l’importante presenza della firma dell’artista. Ai piedi di Maria, sulla base
del trono, era infatti scritto in caratteri gotici: «Bassanolus de
Magistris pinxit»38 (fig. 11).
L’iscrizione, variamente interpretata dalla critica precedente39,
può essere definitivamente letta in questo senso soprattutto sulla
scorta del negativo conservato al Civico Archivio Fotografico di
Milano, riconoscendo una volta per tutte il nome dell’artista,
Bassanolo de Magistris, al quale si deve anche la realizzazione
della Crocifissione sottostante.
Realizzata a cura del notaio e cancelliere curiale Marco de Ciochis; cfr. V.
U. CRIVELLI VISCONTI, La nobiltà lombarda, Bologna 1972, pp. 24-26.
33 G. PITTONIO, Famigli nobili di Milano raccolte e manoscritte nella prima metà
del XVIII secolo, I, Rapallo 1993, p. 325: «Nell’anno 1414, Antonio uno dei
principali fautori del duca Gio. Galeazzo e di Gioanni Maria suo figlio. Bettino, capitano di trecento cavalli sotto il duca Filippo Maria. L’anno 1412, 1417,
1435, Opizzino, allevato nella scuola del Principe Facino Cane, servì al duca
Filippo Maria contro Filippo Arcelli fattosi Prencipe di Piacenza, contro Gabrino Fondolo […] e contro Pandolfo Malatesta. […] Pietro teologo domenicano fu confessore del duca Filippo Maria».
34 Per quanto riguarda il suo nome, Ayroldo, è sicuramente legato alla storia
della sua famiglia. Fortissima è la devozione degli Alciati per San Arialdo, uno
dei più importanti esponenti della Pataria milanese, nato intorno all’anno Mille
e proprio membro di una famiglia di valvassori originaria del vicino villaggio di
Alzate Brianza, gli Alciati appunto. Sapendo dunque dell’usata libertà di invertire l’ordine delle vocali all’interno dei nomi nel periodo medievale, dando così
vita a versioni diverse degli stessi, non è improbabile pensare che Ayroldo derivi
proprio da Arialdo, che altrove compare scritto come Arealdo o Arioldo.
35 PITTONIO, 1993, p. 325: «Ayroldo 1404».
36 ASMi, Notarile, Atti dei notai di Milano: 12 settembre 1415, pagamento verso Giacomo Fagnani (notaio Pietro Regni, cart. 86, n. 4672); 16 settembre
1416, pagamento verso Giacomo Fagnani per affitto livellare (notaio Pietro Regni, cart. 87, n. 5522); 22 Dicembre 1416, pagamento verso Giacomo Fagnani
per affitto livellare (notaio Pietro Regni, cart. 87, n. 5757); 22 novembre 1428,
confessio ad Antonino de Mauri per affitto livellare, a nome suo e del nipote
Ambrosio (notaio Pietro Regni, cart. 92, nn. 8777-85); 18 Agosto 1436, pagamento ai fratelli Vajani (notaio Pietro Regni, cart. 96, n. 11300; 18 dicembre
1406, Ayroldo compare tra i testimoni dell’atto (notaio Cermenati Raffaele,
cart. 44); 4 gennaio 1402, pagamento a Protasius de Bussolo (notaio Cermenati
Raffaele, cart. 60); 18 luglio 1402, pagamento a Petrus e Antonius fratres de
Angerini (notaio Cermenati Raffaele, cart. 761); 21 Ottobre 1420, confessio a
Ubertino di lire 26 per affitto livellare (notaio Agrati Cristoforo, cart. 39).
37 Probabilmente l’attuale parrocchia di San Giovanni in Laterano a Milano;
si veda: M. CACIAGLI - J. CERESOLI, Milano. Le chiese scomparse, II, [Milano]
1998, p. 290.
38 Lettura confermata dal Caffi: M. CAFFI, Un po’ di arte e di storia patria, in
«Archivio Storico Lombardo», I, (1874/2), p. 27.
39 Nascosto per secoli alla vista dei fedeli, coperto da intonaci e decorazioni barocche, il grande affresco della Crocifissione posto sopra l’altare dedicato alla Ma-
donna e ai santi Giovanni, Giacomo, Cristoforo e Cristina è stato liberato dalla
sua bianca cortina solo negli anni cinquanta del Novecento; la sua paternità è
stata però da subito univoca. Nel 1923 Tamborini, ragionando su quelle figure
che appena apparivano sotto lo strato di calce, afferma: «Il pregevole valore artistico, e la decorazione abbondante di oro, richiamano alla mente la Cappella Ducale del castello. O si tratta di un’opera del 1450 circa del pittore della cappella
della Regina Teodolinda di Monza?» (TAMBORINI, 1923, p. 43). Sebbene l’affresco non fosse ancora totalmente visibile egli riesce ugualmente a formulare una
proposta che quasi tutti i critici successivi avrebbero accolto. Solamente il Bagnoli, sedici anni dopo, trattando di queste pitture e non osando sbilanciarsi in
un giudizio, fa un passo indietro e le attribuisce a «buon pittore sensibile al soggetto», aggiungendo però che, a suo avviso, la Crocifissione fosse di poco posteriore alle due figure di sante ai lati (che egli riconosce come santa Caterina e santa
Lucia), «incorniciate di fregi gigliati, secondo l’influsso della pittura giottesca» (BAGNOLI, 1939, p. 57). Mezzanotte e Bascapè tornano invece nel 1948 a riconoscere
nelle «figure smilze ed eleganti» l’arte degli Zavattari, senza però specificare maggiormente la loro affermazione (MEZZANOTTE - BASCAPÈ, 1948, p. 608). Così fa
anche il Salmi, il quale parla di «lievi risonanze degli Zavattari» (M. SALMI, La
pittura e la miniatura gotiche, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, p. 815, nota
2) ma senza spendere altre parole in merito. Nel 1962 pure il Mazzini conferma
l’attribuzione: egli nota come le figure in basso a sinistra siano «palesemente» della stessa mano del pittore che si può individuare nelle lunette e negli sguanci dei
finestroni della cappella di Teodolinda, che definisce «il più grossolano della equipe familiare colà operosa» (F. MAZZINI, Note di pittura lombarda tardogotica, contributo a Michelino da Besozzo, in «Arte Lombarda», 7 (1962), p. 33). A una mano più fine dice si debba invece riferire la parte superiore della composizione con
la figura del Cristo, per il quale propone inoltre un confronto con la Crocifissione
della sagrestia di Monza. Nello stesso anno Mario Ronchi, chiamato a realizzare
un articolo sui dipinti della chiesa di san Cristoforo, porta nuove giustificazioni
per identificare gli autori dell’affresco negli Zavattari. Innanzitutto osserva la somiglianza del santo cavaliere a sinistra della Crocifissione con il martire del polittico di Castel Sant’Angelo, attribuito proprio a questa bottega di maestri lombardi. Ricorda quindi che nel 1464 Gregorio e Ambrogio Zavattari, assieme a
Giacomino Vismara, furono impegnati a condurre a termine delle figure a fresco
nell’abside di San Vincenzo in Prato, parrocchia dalla quale dipendeva anche San
Cristoforo. Dunque egli ipotizza che i due eventi potessero essere legati uno all’altro, permettendo così di trovare anche un termine cronologico per le decorazioni della nostra cappella; M. RONCHI, I dipinti della chiesa di San Cristoforo sul
Naviglio, in «Città di Milano», IV (1962), pp. 176-180.
32
134
La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul Naviglio a Milano. Novità documentarie e proposte attributive
Il linguaggio pittorico del maestro affonda le sue radici nella
cultura figurativa degli oratori viscontei. Dimostra in particolare
molte tangenze con una delle mani che gli studiosi hanno distinto all’interno della decorazione dell’oratorio visconteo di Albizzate (collocabile intorno agli anni ottanta del Trecento40) e più
precisamente con quella che interviene in alcune delle scene con
le Storie del Battista, come ad esempio nel riquadro con Giovanni che riprende Erode ed Erodiade (fig. 14). Osservando la regina del dipinto di Albizzate torna infatti alla mente la giovane
Madonna di Bassanolo e lo stesso può dirsi per l’Erode, che richiama nello sguardo austero e concentrato il Sant’Antonio abate
milanese. Quest’ultimo mostra una discendenza diretta da alcuni ritratti di stampo post-giottesco, i cui volti sono plasticamente
scolpiti dalle ombre e rendono un profondo senso di morbidezza
(motivo che aveva infatti spinto il Toesca ad avvicinare Bassanolo
de Magistris al Maestro della tomba Robbiani in San Lorenzo41);
carattere questo che risale direttamente alla rivoluzione portata
in Lombardia da Giotto e che trova la sua massima espressione
nell’arte di Giusto e di Giovanni da Milano.
Anche per quanto riguarda il riquadro inferiore, il riferimento non può non andare alle scene di Crocifissione rappresentate
in questi edifici di devozione privata, al cui modello iconografico
l’artista attivo in controfacciata mostra espressamente di attenersi.
Bassanolo de Magistris si dovette perciò formare su questi importanti esempi pittorici della seconda metà del Trecento, ai
quali non possiamo escludere avesse preso parte.
Intorno a questo artista non abbiamo però alcuna notizia. Non
si sa da dove provenisse, dove avesse lavorato prima di approdare a
San Cristoforo e da quanto fosse attivo. Grazie ad alcuni documenti gentilmente segnalatimi da Carlo Cairati e Federico Del Tredici,
è tuttavia possibile recuperare, anche se indirettamente, qualche informazione su di esso. Innanzitutto veniamo a conoscenza del fatto
Si vedano: L’oratorio visconteo di Albizzate, la storia, l’edificio, gli affreschi, a
cura di C. Marani, Gavirate 2000; F. LOLLINI, Varese, in La pittura in Lombardia. Il Trecento, Milano, 1993, pp. 84-107.
41 P. TOESCA, La pittura e la miniatura nella Lombardia: dai più antichi documenti alla metà del Quattrocento, Torino 1966, p. 419.
42 Le uniche testimonianze su Stefano de Magistris finora note si ricavavano
dagli Annali della Fabbrica del Duomo, Indice Generale, Milano 1885, p. 212, e
Appendici II, Milano 1885, pp. 18, 21, 24. Secondo quanto riportato in queste
pagine, nel 1426 egli avrebbe realizzato per il duomo milanese due immagini
poste sopra le bussole delle oblazioni, delle bandiere con l’effigie della Madonna l’anno seguente e, per finire, due raggie, due corone e quattro colombe da
porre sui ceri delle oblazioni intorno al 1429. Di queste opere purtroppo non
ci è rimasto nulla e non si è dunque in grado di restituire un volto a questo
pittore. Intorno alla sua figura sono però venuti alla luce alcuni documenti
(grazie alla preziosa collaborazione di Carlo Cairati e Federico del Tredici) che
possono aprire a nuove ricerche e portare a una maggiore conoscenza dell’artista: ASMi, Sforzesco 914, edito in M. ALBERTARIO, Documenti per la decorazione
del castello di Milano nell’età di Galeazzo Maria Sforza (1466-1476), in «Solchi», VII (2003/1-2), p. 49: Stefano de Magistris compare in un documento
del 17 luglio 1473 tra i pittori chiamati da Bartolomeo Gadio, per conto di
Galeazzo Maria, a far stimare la cappella del castello di Milano, insieme a lui
sono presenti Vincenzo Foppa, Cristoforo Moretti e Battista da Montorfano;
ASMi, Notarile 1713, 14 maggio 1465 e 16 maggio 1465: da questi due documenti si evince che gli Zavattari avevano chiamato a stimare gli affreschi da loro realizzati a Cassina de Gatti (santuario della Madonna del Bosco di Sesto
40
14. Albizzate, oratorio dei Santi Giovanni Battista e Ludovico di Tolosa,
Giovanni rimprovera Erode ed Erodiade.
che Bassanolo era padre di Stefano de Magistris, pittore documentato presso il cantiere del Duomo di Milano, riguardo al quale, a
sua volta, avevamo solo qualche sporadica notizia42. Da un altro di
questi documenti ricaviamo che nel 1437 il padre di Stefano
doveva essere morto, dato che egli è definito figlio del fu Bassiano43. Considerando inoltre che, a partire dal 1426 Stefano è
testimoniato in Duomo già come maestro autonomo, possiamo
San Giovanni) un pittore di loro fiducia: Stefano de Magistris «filius quondam
Bassanini»; ASMi, Notarile 707, 21 gennaio 1437: «Magister Steffano de Magistris» si impegna a dipingere per Antonio Visconti di Cedrate una cappella
di Santa Maria a Gallarate per 100 fiorini; 24 luglio 1437: egli compare tra i
testimoni nel castello dei Visconti di Crenna a Gallarate insieme al maestro
«Pietro de Varexio», figlio del maestro Rodolfo, abitante a Varese, e del prete
Stefano Daverio (vedi nota precedente).
Va aggiunto un altro documento del 24 maggio del 1473, conservato all’Archivio
di Stato di Milano e citato tra le schede del Fondo Sironi, che attesta un pagamento da parte di Pietro Marchesi, pittore attivo in quegli anni proprio al castello di Milano e a Pavia, su commissione del duca, per alcuni «laboreri a pictoria»
riguardo ai quali però non viene specificato il soggetto e il luogo di realizzazione
(ASMi, Notarile 2663, f. 1550, 24 maggio 1473). Forse potrebbero ricollegarsi
alla notizia riportata dal TAMBORINI (1923, p. 42: non confermabile in quanto il
riferimento bibliografico è errato), secondo cui Stefano de Magistris avrebbe partecipato alla realizzazione della Sala Verde del Castello Sforzesco, affidata a Pietro
Marchesi e Vincenzo Pestegala (ALBERTARIO, 2003, pp. 19-61). Da tutti questi
elementi si delinea la figura di un artista di grande rilievo nel panorama milanese
della corte viscontea (che lavorò forse agli affreschi del castello di Porta Giovia) e
formatosi probabilmente a contatto con gli Zavattari, con i quali ha rapporti
molto stretti. Di sicuro molto singolare è il legame a doppio filo che unisce San
Cristoforo sul Naviglio a Stefano de Magistris; egli è infatti al contempo figlio di
Bassanolo, che di sicuro fu attivo sulla controfacciata, e collaboratore degli Zavattari, anch’essi impegnati nella decorazione della cappella.
43 ASMi, Notarile 707, 21 gennaio 1437.
135
Arte Lombarda | DAMIANO SPINELLI
15. Bassanolo de Magistris (?), Annunciazione con Dio Padre e Angeli, particolari. Milano, chiesa di San Simpliciano.
dedurre che Bassanolo, quando metteva mano agli affreschi della ‘Cappella Ducale’, doveva essere ormai in età avanzata. Si
tratterebbe perciò di un artista attivo ormai da anni, cresciuto e
legato a una cultura artistica che in quel momento stava ormai
segnando il passo.
Per quanto riguarda la datazione del dipinto di San Cristoforo, non vi sono testimonianze documentarie o epigrafiche che
ne facciano memoria. Di certo abbiamo un termine post quem
che corrisponde alla data di edificazione della cappella. Abbiamo
ricordato che nel 1403, quando si chiede al duca il permesso di
realizzare la casa per il sacerdote, la chiesa, dedicata ai santi Giovanni, Giacomo, Cristoforo e Cristina, è «in bono et pulchro ordine constructa»44. Già dunque da quel momento doveva essere
possibile per i maestri lavorare alle decorazioni. La realizzazione
dell’affresco non andrà spostata molto avanti nel tempo, come
testimonierebbe anche la foggia degli abiti delle figure rappresentate al suo interno. La tipologia della veste del Bambino (dal
collo alto e con le maniche molto larghe sui gomiti) si ritrova infatti in alcune miniature e in dipinti della fine del Trecento, e
scomparirà gradualmente a partire dalla metà del secondo decennio del Quattrocento. Una pietra di paragone può essere rintracciata nel laico presentato da santa Caterina, scolpita da Jacopino da Tradate sulla fronte del sepolcro dei Della Croce un
tempo in Sant’Ambrogio a Milano, risalente al 1408. Per l’affresco si può dunque ipotizzare una datazione che oscilla tra il
1403-140545 e il 1410, attorno cioè alla metà del primo decennio del nuovo secolo.
Per concludere, proporrei di avvicinare alle opere di Bassanolo de Magistris un affresco, venuto alla luce nel 1983 nella chiesa milanese di San Simpliciano, nel vano retrostante
l’organo alla sinistra dell’altare maggiore46. Si tratta di una
Annunciazione con Dio Padre e angeli (fig. 15), purtroppo mutila della parte sinistra, dove si trovava l’arcangelo Gabriele,
di cui ora rimangono solo la testa, la mano benedicente e parte delle ali. La figura di Maria Annunciata richiama la Madonna in trono dell’affresco di San Cristoforo (fig. 12). I volti
sono molto somiglianti, hanno gli stessi occhi sottili,
un’uguale resa delle sopracciglia e del naso e la stessa bocca
ASCMi, Registro lettere ducali n. 2 (1401-1403), ff. 98-99: edito in FOR1877, pp. 171-173; SANTORO, 1929, p. 118; citato in FUMAGALLI SANT ’AMBROGIO - BELTRAMI, 1892, p. 14; GIULINI, I, 1916, p. 557; TAMBORINI, 1923, pp. 47-48; BARRACCIU, 1961, pp. 29-31; PATETTA, 1987, pp. 55-56;
FRANCIMEI, 1999, p. 101.
Rispettivamente la data di conclusione dei lavori di edificazione e quella di
consacrazione della cappella.
46 Come già intuito da Sandrina Bandera, che proprio per questo motivo colloca
Bassanolo nell’ambito di Anovelo da Imbonate (S. BANDERA, in Pittura a Milano
dall’Altomedioevo a Tardogotico, a cura di M. Gregori, Milano 1997, pp. 231-232).
44
MENTINI,
136
45
La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul Naviglio a Milano. Novità documentarie e proposte attributive
dritta; identiche sono anche le mani, con quelle dita così lunghe e sottili. La definizione del contorno delle figure e il modo
di panneggiare gli abiti avvicinano ancora di più le due immagini. Quasi sovrapponibili sono infine le piccole figurine di
angeli dei due affreschi milanesi, con i volti caratterizzati da
netti segni grafici e i capelli, con quella identica acconciatura
a due lunghi boccoli che incorniciano il viso. Il Dio Padre nell’oculo (fig. 15) ricorda, per via del naso pronunciato e tagliente, il san Giovanni Evangelista ai piedi della Croce di San
Cristoforo (fig. 13).
L’affresco di San Simpliciano potrebbe quindi essere ricondotto alla mano di Bassanolo de Magistris, permettendo così di
ampliarne il catalogo. Rispetto alle due scene di San Cristoforo,
però, questo sarebbe da collocare in un momento leggermente
precedente, magari solo qualche anno prima, verso la fine degli
anni novanta del Trecento.
La decorazione della prima campata della cappella di San
Cristoforo prosegue poi sulla volta, spartita in quattro vele da
costoloni in cotto, uniti al centro da una chiave di volta rappresentante l’Agnello mistico. Due di esse erano decorate con i simboli degli evangelisti Luca e Marco, ora quasi del tutto scomparsi. Nelle altre invece sono ancora visibili degli affreschi di notevole fattura. Nella vela rivolta a nord sono rappresentati i Sette
dormienti di Efeso (fig. 4), secondo il racconto presente nella Legenda aurea di Jacopo da Varagine47, mentre su quella ad est è
raffigurata l’Adorazione dei Magi (fig. 3). Per quanto riguarda
questi due affreschi, attribuibili alla stessa mano, non possediamo iscrizioni o attestazioni documentarie che permettano di stabilirne l’autore. Si può tuttavia notare un primo legame con alcune pagine del Libretto degli Anacoreti, conservato al Gabinetto
Nazionale delle Stampe di Roma48. In particolare, nel foglio n.
2841, le sei figure accovacciate sul terreno, avvolte in morbide e
ampie tuniche, con in testa dei copricapi mollemente ripiegati
simili a turbanti, ricordano i sette martiri dormienti di San Cristoforo (fig. 16). Anche per l’Adorazione dei Magi si può però
trovare un preciso parallelo al foglio n. 2857, nel quale è raffi47 La leggenda vide la luce nella città turca di Efeso durante l’episcopato di
Stefano, il quale ne fece compilare la prima versione greca; la traduzione latina è opera di Gregorio di Tours. La vicenda è però prinicipalmente conosciuta attraverso il racconto presente nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze: si narra che durante la persecuzione cristiana dell’imperatore Decio
(250 circa) sette giovani cristiani di Efeso furono chiamati davanti a un tribunale a causa della loro fede. Essi, rifiutando di sacrificare agli idoli pagani,
furono condannati ma momentaneamente rilasciati. Per evitare nuovamente
l’arresto si nascosero in una grotta sul monte Celion, dalla quale uno di essi,
Malco, vestito da mendicante, andava e veniva per procurare il cibo. Scoperti, vennero murati vivi nella grotta stessa. I sette giovani si addormentarono nella loro prigione nell’attesa della morte. Furono risvegliati da un
gruppo di muratori che, sfondata la parete, volevano costruire un ovile. Erano passati duecento anni: Malco, tornato ad Efeso, scoprì con stupore che
il cristianesimo non solo era ormai tollerato, ma era divenuto persino la religione dell’Impero. Il giovane, scambiato dapprima per pazzo, venne poi
creduto quando il vescovo e i cittadini salirono alla grotta avvalorando il
racconto. I sette giovani costituirono viva testimonianza della resurrezione
dei corpi; perirono lo stesso giorno del loro risveglio e furono in seguito sepolti, per ordine dell’imperatore Teodosio II, in una tomba ricoperta di pie-
16. Libretto degli Anacoreti, f. n. 2841. Roma, Istituto Nazionale per la Grafica.
gurata una Vergine con il Bambino molto simile a quella milanese. Il modo di panneggiare fitto e insistito del vestito di Maria
e degli eremiti del taccuino, accentuato con luminosi rialzi a
biacca, ritorna simile nelle pieghe degli abiti dei dormienti milanesi (per i quali bisogna pur tenere conto della differenza di
tecnica artistica e di supporto).
tre dorate (secondo la Legenda aurea essi apparvero in sogno all’imperatore
chiedendo di restare nella caverna sino alla resurrezione finale; cfr IACOPO
DA VARAZZE , Legenda Aurea, a cura di F. Cardini e M. Martelli, Firenze
2000, II, pp. 44-46).
Se cerchiamo degli esempi precedenti al nostro affresco notiamo come le
rappresentazioni artistiche di questo tema siano scarsissime e siano soprattutto in ambienti orientali, in cui il culto dei sette martiri fu più sentito:
dal Salterio Chludov del IX secolo, al Menologio di Basilio II (ms. Vaticano greco 1613) della fine del X secolo, agli affreschi in Santa Sofia a
Ochrid del XI secolo. Possediamo inoltre un buon numero di icone russe
che raffigurano questo tema. In occidente invece le testimonianze sono abbastanza rare.
48 Il codice appartiene alle collezioni dell’Istituto Nazionale della Grafica di
Roma ed è costituito da trenta fogli recto e verso, di carta preparata avana, decorati a punta d’argento e biacca, e tecnica mista. I fogli in origine erano disposti in tre quadernetti e dal recente restauro sono stati montati in passepartout. Riferimento d’archivio da F.N. 2834 a F.N. 2863 (talvolta si trova però
la numerazione precedente: F.N. 3727 a F.N. 3756); cfr. A. DELLE FOGLIE, Un
taccuino tardogotico lombardo: studi sul Libretto degli Anacoreti, in «Arte Lombarda», 146-147-148 (2006/1-3), pp. 55-62.
137
Arte Lombarda | DAMIANO SPINELLI
17. Sette dormienti di Efeso, particolare. Milano, chiesa di San Cristoforo sul
Naviglio, volta della prima campata.
18. Maestro dell’ancona Barbavara (?): San Cristoforo e donatrice, particolare.
Pavia, chiesa del Carmine.
Un confronto ancora più preciso e diretto può essere istituito
con alcuni affreschi, purtroppo in gran parte rovinati, nel transetto della chiesa del Carmine di Pavia, venuti alla luce in varie
riprese a partire dal 1957. Tra di essi due in particolare, decisamente meglio conservati, mostrano puntuali richiami alla decorazione della volta milanese. Si tratta di un Sant’Alberto Siculo e
devoto e di un San Cristoforo e donatore49, individuati dal De
Marchi come l’esito più maturo del cosiddetto Maestro dell’ancona Barbavara50. Il panneggiare dell’abito e del copricapo del
San Cristoforo, ma soprattutto l’infittirsi delle pieghe della veste
del Bambino che porta sulle spalle, mostrano una certa parentela
con quelli dei Sette dormienti milanesi, e in particolare con il
mantello color ruggine del martire sulla destra in alto (fig. 17):
le ripetute pieghe che questo forma nel suo avvolgersi intorno al
braccio sono le stesse che si possono trovare nella manica dell’abito del piccolo Gesù della chiesa pavese. Nonostante queste
precise rispondenze potrebbero incoraggiare a riconoscere nei
due esempi la stessa mano, lo stato di conservazione non ottimale dell’affresco milanese, con la perdita di molti particolari decisivi, ci impedisce di comprovare questa ipotesi. Di certo possiamo osservare che il pittore attivo nella volta di San Cristoforo
e il cosiddetto Maestro dell’Ancona Barbavara rientrano entrambi in quella particolare congiuntura artistica che si sviluppa intorno al 1400 in Lombardia e che, da una parte, guarda ancora
alle forme più frastagliate e nervose di Giovannino de’ Grassi e
dei miniatori legati alla corte viscontea, ma dall’altra è già affascinata dalle dolcezze micheliniane: la stessa congiuntura artistica dalla quale prende forma il Libretto degli Anacoreti, che la Cogliati Arano attribuiva proprio alla bottega di Michelino51. Avendo per la cappella un termine post quem nell’anno della sua edificazione (1403) o tutt’al più della sua consacrazione (1405),
penso quindi che i dipinti della volta vadano collocati nel corso
del primo decennio del Quattrocento, con un’oscillazione che
può arrivare al massimo fino al 1415.
Scoperti nel 1957; cfr. U. BICCHI, Due affreschi votivi nella chiesa del Carmine a Pavia, in «Pavia Economica», febbraio 1962, pp. 33-35; F. MAZZINI,
Affreschi lombardi del Quattrocento, Milano 1965, pp. 602-603; D. SELLIN, Michelino da Besozzo, University of Pennsylvenia, Ph. Diss. 1968, Ann Arbor
1979, pp. 135-141 li attribuisce a Michelino da Besozzo. Il san Cristoforo è
stato menzionato anche in rapporto coi fratelli De Veris e il sant’Alberto siculo
è considerato prossimo a una Madonna col Bambino affrescata sulla parete occidentale dello stesso transetto, ormai della metà del Quattrocento da S. BANDERA BISTOLETTI, in Pittura a Pavia dal Romanico al Settecento, a cura di M.
Gregori, Milano 1988, p. 63; per una risolutiva e più corretta lettura, si veda
A. DE MARCHI, Gentile da Fabriano: un viaggio nella pittura italiana alla fine
del gotico, Milano 1992, pp. 23-31.
50 De Marchi (1992, pp. 26-31), cercando di ricostruire il contesto nel quale
mosse i primi passi Gentile da Fabriano, stabilisce una sorta di catalogo del
«Maestro dell’Ancona Barbavara», artista anonimo che prende il nome dalla tavoletta con la Madonna col Bambino, san Giovanni Evangelista, sant’Antonio
Abate e donatore conservata al North Caroline Museum of Art di Raleigh, detta
appunto Ancona Barbavara.
51 L. COGLIATI ARANO, in Arte in Lombardia tra gotico e rinascimento, catalogo
della mostra, a cura di M. Boskovits, Milano 1988, p. 91.
49
138
La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul Naviglio a Milano. Novità documentarie e proposte attributive
19. Bottega degli Zavattari, Visitazione santi, particolare. Milano, chiesa di San Cristoforo sul Naviglio, facciata.
20. Bottega degli Zavattari, Crocifissione e Santi, particolare. Milano, chiesa di San Cristoforo
sul Naviglio, parete di fondo.
Alle spalle della Sacra Famiglia si trova una figura di devoto
inginocchiato con le mani giunte, vestito con un saio francescano, che porta la tonsura sul capo (fig. 3). Questo è l’unico esempio nella cappella di personaggio del tempo non abbigliato con
la tunica della scola: si tratta sicuramente del donatore o almeno
di un membro della sua famiglia. Purtroppo i due stemmi gentilizi che erano posti al vertice delle vele sono totalmente anneriti
e non permettono quindi un’individuazione del committente.
La decorazione della cappella trova infine il suo acme nell’imponente Crocifissione e Santi che occupa la parete di fondo e che si
espande su quelle laterali (fig. 9). Essa doveva far parte di una
campagna pittorica più ampia che ricopriva l’intera seconda campata (come si deduce dalle decorazioni delle membrature architettoniche e dalla stesura monocroma verde che ricopriva le vele della
volta e le pareti laterali e fungeva forse da strato preparatorio alle
pitture). Per questo affresco la critica ha con sicurezza riconosciuto, sin dai primi anni del Novecento, la paternità degli Zavattari52.
Alla stessa bottega è da attribuire, in facciata, lo splendido, anche
se molto rovinato, affresco raffigurante la Visitazione con teoria di
santi (fig. 2), probabilmente da inserire all’interno della stessa
campagna pittorica: è possibile notare il richiamo a modelli di bottega comuni per la figure del giovane santo cavaliere (forse san Vittore) che si ritrova in entrambi i dipinti (figg. 19-20).
Un legame non solo iconografico è individuabile tra questi
due affreschi e il Polittico degli Zavattari conservato a Castel
Sant’Angelo (fig. 21): si vedano il san Giovanni Battista della
facciata e quello della macchina d’altare romana (figg. 20-21);
singolare è inoltre ritrovare nei santi milanesi quel personalissimo modo di rappresentare le mani, dalle dita nodose e uncinate,
che caratterizza l’artefice dell’opera di Castel Sant’Angelo.
Corrispondenze forse anche più stringenti si possono però
rintracciare in altre opere attribuite alla stessa bottega, in particolare nei registri più alti della cappella di Teodolinda nel Duomo
di Monza o nella scena dell’Arrivo di Costante in Italia all’interno
dello stesso ciclo. È possibile dunque confermare la tesi dell’Algeri, secondo cui a questi affreschi dovette lavorare (sicuramente
assieme ad altri) un artista che chiama convenzionalmente
«Quarto maestro di Monza»53 e al quale attribuisce il polittico di
Castel Sant’Angelo e vari interventi nella cappella di Teodolinda
a Monza (tra cui i quattro santi in trono dei pilastri d’ingresso).
Risulta invece difficile riconoscere in questa figura la personalità
di Ambrogio Zavattari54, come proponeva la studiosa: i dati documentari sono insufficienti e non abbiamo confronti formali sicuri che permettano di delineare lo stile del figlio di Francesco e
paragonarlo con quello emerso dagli esempi evidenziati55.
Molto difficoltoso risulta inoltre datare gli affreschi di San
Cristoforo. Purtroppo del polittico di Castel Sant’Angelo non si
conosce con sicurezza il periodo di realizzazione, che dovrà comunque esser posto non molto lontano dall’affresco con Dio Padre e angeli musicanti dell’arco traverso di Monza, che la Delmoro
TOESCA, 1966, p. 207; BAGNOLI, 1939, p. 57; MEZZANOTTE - BASCAPÈ,
1948, p. 608; SALMI, 1951, p. 815, nota 2; MAZZINI, 1962, II, p. 33; RONCHI,
1962, pp. 176-180; MAZZINI, 1965, p. 607; G. ALGERI, Gli Zavattari. Una famiglia di pittori e la cultura tardogotica in Lombardia, Roma 1981, pp. 40, 9697; A. GHIDOLI, Il polittico degli Zavattari a Castel Sant’Angelo: osservazioni e
proposte, in Il Polittico degli Zavattari in Castel Sant’Angelo, Firenze 1984, p. 98;
R. DELMORO, Testimonianze di Arte Medievale a Monza e in Brianza, Arcore
2010, p. 97, nota 177.
53 ALGERI, 1981, pp. 96-97.
54 ALGERI, 1981, p. 40.
55 Mentre viene redatto questo intervento sono in corso i restauri della cappella
di Teodolinda a Monza, i quali si auspica possano fornire ulteriori informazioni
e aprire nuovi scenari per la conoscenza e la distinzione della mano dei vari
membri della famiglia degli Zavattari.
52
139
Arte Lombarda | DAMIANO SPINELLI
21. Riscostruzione dell’assetto originario del Polittico degli Zavattari. Prime cinque tavole da sinistra: Madonna in trono e Santi. Roma, Museo di Castel Sant’ Angelo; ultime due tavole a destra: Sant’Antonio abate e San Benedetto. Roma, collezione privata.
colloca intorno agli anni venti del Quattrocento56. Rispetto al
manufatto romano il dipinto di San Cristoforo segna però un
passo in avanti: le figure cercano una maggior volumetria e sono
rese con migliore saggezza ed efficacia. Legami infatti si possono
trovare anche con le figure della più tarda cappella di Teodolinda,
soprattutto con quelle dei due registri in alto, realizzati per primi
e in cui è stata riconosciuta una maggiore presenza e un forte influsso dell’arte di Michelino da Besozzo. Non si nota ancora, nella Crocifissione di San Cristoforo, quell’evidente suggestione pisanelliana che informerà le Storie di Teodolinda soprattutto a partire
dal terzo registro e che è da legare alla venuta nel ducato milanese
dell’artista veneto nel 144057. «Il modellato più morbido, come
pure le proporzioni allungate delle figure»58, che giustamente notava il Boskovits, mostrano un legame ancora vivo tra gli affreschi
di San Cristoforo e l’arte di Michelino. L’affresco va dunque collocato intorno agli anni trenta del Quattrocento, vicino alle prime esperienze pittoriche della bottega zavattariana oggi note, ma
non lontano da quello che è il risultato più alto, tra quelli sopravvissuti, della sua produzione: la cappella di Teodolinda a Monza.
Rimane infine da proporre un accenno al committente dell’affresco, rappresentato in ginocchio ai piedi del santo domenicano sulla sinistra, forse Domenico (fig. 20). Nulla possiamo sapere su di lui basandoci sulle testimonianze residue: non vi sono
stemmi gentilizi che dichiarino la sua famiglia d’origine e il suo
volto è andato perso a seguito della costruzione dell’altare.
Un’ipotesi può essere però avanzata.
Un affresco così grande, tale appunto da svilupparsi anche sulle
pareti circostanti, occupando l’intera campata, e di cui forse sono
andate perse parti significative nelle vele della volta, induce a pensare che il committente dovesse essere una persona facoltosa, con
una forte disponibilità economica, ma soprattutto di grande importanza e influenza. Tanto importante da ottenere anche di coprire dipinti precedenti presenti sull’arco traverso che separa le due
campate per farvi rappresentare una fascia decorativa ad agrifogli a
monocromo59 che esaltasse prospetticamente le pitture della parete
di fondo. Si potrebbe perciò addirittura ipotizzare che si tratti
dello stesso duca Filippo Maria Visconti, forse membro della scola dei santi Giovanni Battista, Giacomo, Cristoforo e Cristina e
DELMORO, 2010, p. 99.
57 Egli compare infatti tra i testimoni di un atto rogato nel palazzo dell’Arengo
59
56
140
di Milano, il 6 maggio 1440 (G. BISCARO, Pisanus pictor alla corte di Filippo
Maria Visconti nel 1440, in «Archivio storico lombardo», XXXVIII (1911), pp.
171-174). Periodo nel quale si collocherebbe il suo intervento nel castello di
Pavia, dove avrebbe decorato una sala, andata distrutta nel 1527, con scene di
caccia, pesca e giochi dei personaggi della corte ducale; al 1441 risale invece la
medaglia del duca Filippo Maria (Milano, Museo del Castello Sforzesco).
58 M. BOSKOVITS, Arte lombarda del primo Quattrocento: un riesame, in Arte in
Lombardia tra gotico…, 1988, pp. 79-80.
Elemento di congiunzione fra le due campate è il grande arco traverso a sesto acuto che si innesta su squadrati pilastri laterali. Esso è decorato con un’imponente fascia monocroma a fogliami spinosi. Sulla parte destra è però possibile osservare un lacerto di un affresco precedente, sottostante ad essa, e raffigurante un santo con capelli e barba bianchi, davanti al quale si intravede una
figura di devoto inginocchiato; è dunque evidente che in origine l’arco si presentasse in maniera del tutto diversa, probabilmente con figure di santi, come
sulle altre pareti, che poi furono coperti. Questa decorazione monocroma a fogliami spinosi si ritrova identica sull’arco traverso del Duomo di Monza, la cui
autografia zavattariana è stata da poco confermata dagli studi della Delmoro
La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul Naviglio a Milano. Novità documentarie e proposte attributive
sicuramente suo grande finanziatore. Questo fatto potrebbe infatti
spiegare con più facilità la nascita del soprannome di ‘Cappella Ducale’ per la chiesa sul Naviglio e quindi la confusione che già nel
1491 regnava intorno alla sua fondazione; tale da spingere un
membro della famiglia ducale a rivendicare la proprietà della chiesa
in nome di tutte le elargizioni e le spese che per essa il predecessore
aveva versato60. Il Visconti avrebbe potuto infatti intendere l’edificio come una sorta di sua cappella privata, e decidere così di far ultimare la decorazione ad affresco riservando per sé l’intera seconda
campata. Anche il fatto che il devoto sia introdotto alla visione del
Cristo da un santo domenicano sarebbe compatibile con l’ipotesi
che si tratti del duca, i cui rapporti con quest’ordine erano molto
intensi: bastino come esempio le varie e ripetute opere commissionate da lui e dalla figlia per la chiesa di Sant’Eustorgio a Milano61.
Certo il fatto che egli venisse rappresentato nell’affresco sembrerebbe contraddire la perentoria affermazione del Decembrio,
il quale ricorda come Filippo Maria «non volesse venir ritratto
da nessuno»62, cedendo solamente di fronte all’arte del Pisanello,
a cui avrebbe concesso l’onore di immortalarlo in una medaglia63. Tuttavia questo notizia non deve essere intesa forse in maniera assoluta, magari semplicemente ipotizzando l’esecuzione di
un ritratto stereotipato del duca, come quello che si può osservare in una miniatura dell’Historia Anglie di Galasso da Correggio (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 6041 D) nella quale
compare Filippo Maria che riceve in dono il prezioso volume64.
APPENDICE DOCUMENTARIA
In questa appendice si pubblicano alcuni documenti inediti sulla
scola dei Santi Giovanni Battista, Giacomo, Cristoforo e Cristina.
Le titolazioni dei documenti, poste tra parentesi quadre, sono tratte
dalla rubrica del notaio Ambrogio Spanzotta (Archivio di Stato di
Milano, Notarile, Rubriche Notarili 4546).
(DELMORO, 2010, p. 99). La precisa corrispondenza con l’esempio monzese
spinge ad affermare che anche questa sia stata realizzata dagli Zavattari, probabilmente all’interno della stessa campagna pittorica che li vede attivi in San
Cristoforo per la Crocifissione della parete di fondo e l’affresco con la Visitazione
e santi in facciata. Questa fascia ornamentativa, in particolare, venne ideata forse per creare, in prospettiva con gli affreschi retrostanti della seconda campata,
un più armonioso effetto d’insieme per il fedele che entrava nella cappella. Sin
dal primo ingresso nella chiesa lo sguardo del visitatore veniva così catturato e
condotto verso i magnifici dipinti della parete di fondo.
60 Il primo agosto 1491 un membro della famiglia ducale scriveva al vicario arcivescovile per avere notizie sulla fondazione della cappella, avendo sentito dire
che essa sarebbe stata fatta costruire dal suo proavo Filippo Maria con l’obbligo
di celebrazione di una messa quotidiana e solo l’avvento inatteso della morte gli
avrebbe impedito di erigerla a cappella ducale con tutti i crismi del caso. Arrivava quindi ad accusare esplicitamente l’associazione dei laici: «Bona vero dictae
Ecclesiae relicta, et compartita ex elemosinis Excellentiae suae, a Laycis quibusdam usurpari et detineri audimus» (in CASTIGLIONI, 1625, pp. 253-254 e PANIGAROLA, 1659, pp. 13-16; cfr. GIULINI, I, 1916, p. 330 e TAMBORINI, 1923,
p. 33; FRANCIMEI, 1999, p. 102, note 21 e 22.) Fortunatamente il vicario arcivescovile Giovanni Battista Ferro, raccolte le dovute informazioni, già l’8 agosto
certificava che Filippo Maria si era sì distinto per le numerose offerte, ma la fondazione era da attribuire al concorso spontaneo ed entusiasta di alcuni laici co-
1.
Milano, 20 maggio 1415.
Archivio di Stato di Milano, Notarile, 164, notaio Ambrogio
Spanzotta.
Durante il capitolo generale della scola dei Santi Giovanni Battista,
Giacomo, Cristoforo e Cristina, Cristoforo de Scarlioni viene nominato priore per l’anno corrente e con lui vengono eletti come consiglieri Beltramo de Appiano, Ayroldo de Alzate, Biaxino de Migloe e
Giovannino de Sovico, tutti membri della confraternita. Sono inoltre investiti della carica di sindaci e procuratori: Iacopo detto Machalufum de Canobio, Antonino de Cantono, Martino de Poronibus e lo stesso priore Cristoforo de Scarlioni.
[Constitutio scolarium sancti Christofori].
Mcccquintodecimo, indictione [octava], die lune vigesimo mensis
madii. In hediffitiis Campi Sancti Ecclesie Maioris mediolanensis,
sitis in porta Horientale Mediolani; ibidemque convocato et congregato capitulo, consortio et universitate scolarium scolle sanctorum Iohannis Batiste, Christofori, Iacobi et Crestine, que sit in capella sancti Christofori, sita in porta Ticinense in parochie sancti
Vicenti in Prato foris Mediolani, super flumen Navigii Mediolani,
de mandato et impoxitione discreti viri domini Iacobi dicti Machalusi de Canobio, filii quondam domini Leonis, porte Ticinensis parochie Sancti Laurentii Maioris intus Mediolani, prioris dicte
scolle, et discretorum virorum dominorum Christofori Scharlioni,
filii quondam Paganoli, porte Ticinensis parochie sancti Laurentii
Maioris intus, Ambrosini de Varixio, filii quondam domini Gerardi, porte Verceline parochie sancti Mathie in Moneta et Conradi de Griffa, filii quondam domini Zaneti, porte Cumane parochie sancti Tome in cruce sichariorum, omnes trium sindicorum
et procuratorum dicte scolle, necnon discretorum virorum domini
Antonini de Invorio, filii quondam domini Iohannis, Martini de
stituiti in scola. A riprova di ciò citava il documento con il quale i confratelli
avevano chiesto al duca di approvare il loro statuto, documento datato 1408,
anno nel quale Filippo Maria, sono parole del vicario, non era ancora duca.
61 Il legame che unisce gli Zavattari alle committenze ducali e un’ulteriore proposta per gli affreschi di San Cristoforo sono esposti in maniera precisa ed esaustiva da Roberta Delmoro in un suo articolo, a cui rimando, di prossima uscita
su «Arte Cristiana», intitolato: Attorno agli Zavattari: aspetti della committenza
artistica milanese tra età viscontea ed età sforzesca. Per una prospettiva di lavoro.
62 P. C. DECEMBRIO, Vita di Filippo Maria Visconti, a cura di E. Bartolini, Milano 1983, p. 98.
63 Milano, Museo del Castello Sforzesco; dell’effigie del sovrano resta anche
un disegno al Louvre (n. 2483), che rappresenta uno studio preparatorio per
la medaglia.
64 Si veda: S. BUGANZA, Palazzo Borromeo: La decorazione di una dimora signorile milanese al tramonto del gotico, Milano 2008, pp. 174, 196.
Referenze fotografiche
1, 10-11: Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco, Milano; 2-4, 9,
12-13, 14, 16-20: foto dell’Autore; 5-8: Archivio della Soprintendenza per i
Beni Architettonici e Paesaggistici, Milano; 15: da Pittura a Milano, 1997.
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Arte Lombarda | DAMIANO SPINELLI
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Cormano, filii quondam domini Beltrami, amborum porte Horientalis parochie sancti Rafaelis Mediolani, Ayroldi de Alzate, filii
quondam domini Petri, porte Romane parochie sancti Iohannis
Ytolani et Protaxii Ranzini, filii quondam Guillelmoli, porte Ticinensis parochie sancti Laurentii Maioris intus, consiliariorum ipsius scolle, pro infrascriptis spetialiter peragendi. In quoquidem
capitullo consortio et universitate aderant, fuerunt et sunt praefati
domini, prior, sindici et conscillarii, et unam cum eis et pennes
eos providi et discreti viri domini: Iacobus dicti Dragi de Eusebiis
de Vermezio, filius quondam Ardesi, Iacobus de Morsenigia, filius
quondam domini Franzii, Iacobus de Canobio, filius quondam
Antonii, Ambrosius de Capriano, filius Iohanini, Beltraminus de
Aplano, filius quondam Bertini, Antoninus de Cantono, filius
quondam Gasparri, omnes porte Ticinensis parochie sancti Laurentii Maioris intus, Guidinus de Zurlis, filius quondam domini
Petri porte Verceline parochie sancti Protaxii ad monacos, Michael
de Pergamo, filius quondam Betini, Andriolus de Schalfinariis, filius quondam Betini, ambo porte Cumane parochie sancti Michaelis ad Galum Mediolani, Iacobus dictus Merlanus de Papia,
filius quondam domini Francischi, porte Cumane parochie sancte
Marie secrete, Matrognanus et Martinus fratres de Poronibus, filii
quondam domini Antonii, porte Romane parochie sancti Iohannes Ytolani, Iohaninus de Sovicho, filius quondam Iohanini, suprascriptarum met(esime) porte et parochie, Biaxinus de Migloe,
filius quondam domini Alberti, dictarum met(esime) porte et parochie, Bertolla de Pergamo, filius quondam Vimani porte Romane parochie sancti Kalimeri foris, Mafiolus de Seregno, filius
quondam domini Andreoli, porte Romane parochie sancti Septari, Iohannes de Mandello, filius quondam domini Petri, porte Ticinensis parochie sancti Petri in Caminadella et Guillelmolus de
Massalia, filius quondam Stefani porte Ticinensis parochie sancte
Marie Beltradi Mediolani, omnes scollares dicte scolle et qui sunt
maior et sanior pars scollarium et universitatis dicte scolle, rescidentium et fatientium rescidentiam dicte scolle, prout ibidem dixerunt et protestati fuerunt et dicunt et protestantur scilicet dicti
domini prior, sindici et conscillarii, de consensu, voluntate et beneplacito suprascriptorum scollarium et universitatis et dicti scollares et universitas de mandato, impoxitione, parabula et licentia
suprascriptorum dominorum prioris, sindicorum et conscilliariorum ut supra, omnes unanimes et concordes et nemine eorum discrepante suis nominibus propriis et nomine et vice alliorum scolarium et universitatis dicte scole.
Voluntarie sponte libere et ex certa scientia et non per aliquem
errorem iuris nec facti, videlicet eorum proprio motu et aliax
(sic) omnibus modo iure via et forma, quibus melius potuerint
et possunt, fecerunt, constituerunt et ordinaverunt ac creaverunt, et fatiunt, constituunt et ordinant ac creant suprascriptum
discretum virum dominum Christoforum de Scharlionis in priorem et pro priore praedicte scolle ac scollarium et universitatis
eiusdem scolle; et suprascriptos Beltramum de Aplano, Ayroldum de Alzate, Biaxinum de Migloe et Iohaninum de Sovicho
et quemlibet eorum conscillares ipsius scolle necnon scollarium
et universitatis eiusdem, ac suprascriptos Iacobum dictum Machalufum de Canobio, Antoninum de Cantono, Martinum de
Poronibus et suprascriptum Christoforum priorem ut supra et
quemlibet eorum, sindicos et procuratores ipsius scolle, necnon
scollarium et universitatis eiusdem et quemlibet eorum singulariter refferendo ut supra, ad omnia et singulla negotia gerenda
et administranda ipsorum scolle scollarium et universitatis, et ad
omnia alia et singulla fatienda secundum consuetudinem et ordinem dicte scolle, renuntiando praedicti superius nominati, exceptioni non facti nec celebrati huiusmodi infrascripti, modo et
forma presentibus et omni probationi et diffensioni incurrunt et
de praedictis, rogatum fuit per me, notarium infrascriptum, ut
publicum conficerem instrumentum unum et plura huius tenoris. Actum in Campo Sancto Ecclesie Maioris Mediolanensis, sito in porta Horientale intus Mediolani, presentibus Iohanino de
Puteobonello, filio Beltramoli, et Iohanne de Lexia, filio Locerii,
ambobus porte Ticinensis parochie sancti Laurentii Maioris intus Mediolani, notariis et pronotariis. Interfuerunt ibi testes: Iohaninus de Bronzio, filius quondam domini Iacobi porte Verceline parochie sancti Victoris ad Teatrum, Iohaninus de Prata, filius quondam Albertoli porte Verceline parochie sancte Marie ad
Portam et Iacobus de Brembio de Laude, filius quondam domini
Tomaxii porte Ticinensis parochie sancti Laurentii Maioris intus
notus, omnes civitatis Mediolani, idonei, vocati et rogati.
2.
Milano, 20 maggio 1415.
Archivio di Stato di Milano, Notarile, 164, notaio Ambrogio
Spanzotta.
Durante il capitolo generale della scola dei Santi Giovanni Battista,
Giacomo, Cristoforo e Cristina, su mandato del priore Cristoforo de
Scharlionis e del vice priore Giacomo de Canobio, i membri nominano procuratori generali per la gestione delle risorse e delle spese:
Cristoforo de Scharlionis, Iacopo detto Machalufum de Canobio,
Antonino de Cantono e Martino de Poronibus.
[Sindicatus scole ad negotia].
Die suprascripto, in hediffitiis campi sancti Ecclesie Maioris Mediolani, sitis in porta Horientale intus Mediolani; ibidemque convocato et congregato capitulo, consortio et universitate scollarium,
scholle sanctorum Iohannis Batiste, Christofori, Iacobi et Cristine,
que sit in capella Sancti Christofori sita pennes flumen Navigii, sita in porta Ticinense in parochia sancti Vicentii in Prato foris Mediolani, de mandato et impoxitione discreti viri domini Christofori de Scharlionis, filii quondam domini Paganoli porte Ticinensis
parochie sancti Laurentii Maioris intus, nunc prioris suprascriptae
scolle, necnon discreti viri domini Iacobi dicti Machalufi de Canobio, filii quondam domini Leonis, suprascriptarum porte Ticinensis parochie sancti Laurentii Maioris intus Mediolani, olim
prioris dicte scole, pro infrascriptis spetialiter peragendis. In quoquidem capitulo consortio et universitate aderant, fuerunt et sunt
praefati domini: Christoforus nunc prior ut supra et Iacobus olim
prior ut supra et unam cum eis et pennes eos, providi viri domini,
La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul Naviglio a Milano. Novità documentarie e proposte attributive
Ambrosinus de Varixio, filius quondam domini Gerardi, porte Ticinensis parochie sancti Mathie in moneta, Conradus de Griffa, filius quondam domini Zaneti, porte Ticinensis parochie sancti Tome in Cruce Sichariorum, Antoninus de Invorio, filius quondam
domini Iohannis, Martinus de Cormano, filius quondam domini
Beltrami, ambo porte Horientalis parochie sancti Rafaelis, Ayroldus de Alzate, filius quondam domini Petri, Matrognanus et Martinus fratres de Poronibus, filii quondam domini Antonii, Biaxinus
de Migloe, filius quondam domini Alberti, Iohannis de Sovicho,
filius quondam domini Iohannis, omnes quinque porte Romane
parochie sancti Iohannis Ytolani, Protaxius Ranzinus, filius quondam Guillelmoli, Iacobus de Eusebiis, filius quondam domini Ardeci, Iacobus de Morsenigia, filius quondam domini Franzii, Iacobinus de Canobio, filius quondam Antonii, Ambrosius de Capriano filius Iohanini, Beltraminus de Aplano, filius quondam Beltrami, Antoninus de Cantono, filius quondam domini Gasparri, omnes septem porte Ticinensis parochie sancti Laurentii Maioris intus, Guidinus de Zurlis, filius quondam domini Petri, porte Verceline parochie sancti Protaxii ad monachos, Michael de Pergamo,
filius quondam Betini, parrochie sancti Michaelis ad galum, Iacobus dictus Merlanus de Papia, filius quondam domini Francischi,
parochie sancte Marie Secrete, ambo porte Cumane, Andriolus de
Schalfinariis, filius quondam Betini, porte Cumane parochie sancti
Michaelis ad Galum, Bertola de Pergamo, filius quondam Vimani,
parochie sancti Kalimeri foris, Mafiolus de Seregno, filius quondam domini Andrioli, parochie sancti Septari, ambo porte Romane, Iohannis de Mandello, filius quondam domini Petri, parochie
sancti Petri in Caminadela et Guillelmus de Massalia, filius quondam Stefani, parochie sancte Marie beltradus, ambo porte Ticinensis, omnes civitatis Mediolani, ac omnes scollares dicte scolle
et qui sunt maior et sanior pars scollarium dicte scolle, rescidentium et fatientium rescidentiam ipsius scolle, prout ibidem dixerunt et protestati fuerunt et dicunt et protestantur scilicet dicti domini Christoforus nunc prior et Iacobus olim prior et uterque eorum, de voluntate consensu et beneplacito dictorum scollarium et
dict(e) scollares (sic), de mandato impoxitione, licentia et consensu
predictorum dominorum Christofori nunc prioris ut supra et Iacobi olim prioris ut supra et utriusque eorum, omnes unanimes et
concordes et nemine eorum discrepante, et quilibet eorum suis nominibus propriis et item nomine et vice aliorum scollarium dicte
scolle totiusque consortii et universitatis eiusdem scolle.
Voluntarie sponte libere et ex certa scientia et non per aliquem errorem iuris nec facti, videlicet eorum proprio motu et aliax omnibus modo iure via et forma, quibus melius potuerunt et possint,
fecerunt, constituerunt et ordinaverunt et fatiunt, constituunt et
ordinant, suis dictis nominibus et dictorum capituli universitatis et
consortii ac scolle, certos missos nuntios sindicos et procuratores
ac negotiorum gestores et quicquid melius esse et dici possunt suprascriptos Christoforum de Scharlionis priorem ut supra, Iacobinum dictum Machalufum de Canobio, Antoninum de Cantono
et Martinum de Poronibus omnes presentes. Ita et taliter quod
quicquid actum, dictum, gestum, factum et procuratum fuerit, ut
infra per ipsum dominum priorem et sindicos praedictos, seu per
duos ex dictis sindicis, unam cum praedicto domino priore valeat
et teneat ac si etiam per omnes simul actum, dictum, gestum, factum et procuratum fuerit ut infra; ad petendum, exigendum, consequendum, recuperandum et habendum et recepisse et habuisse
confitendum pro ispis constituentibus et scollaribus universitatis
consortii et scolle predictorum nomine ipsorum universitatis, consortii et scolle predictorum et eorum nomine et vice omne et totum id quod ipsi constituentes et scollares nomine ipsorum universitatis consortii et scole et dicta scolla habere debent et debebunt, de cetero a quibuscumque persona et personis comuni colegio et universitate, tam per cartam quam sine carta, et tam per fictum quam sine ficto et tam per rationem quam sine ratione et tam
per pensionem quam sine pensione et tam per scriptum quam sine
scripto et tam per legatum et iudicatum, quam sine legato et iudicato et omni et qualibet alia occaxione, ratione et causa que dici
posset, vel excogitari modo aliquo, vel ingenio. Et ad fatiendum
quibuslibet persone et personis comuni colegio (sic) et universitate
confessionem finem liberationem et partim perpetuum de non petendo et ulterius non agendo nec petendo quietationem, perdonationem et remissionem, de omni et toto, eo quod habere debent et
debebunt, de cetero ut supra et de toto et pro parte prout eisdem
sindicis et procuratoribus et cuilibet eorum sui per duos ex eis
unam cum priorem videbitur et placuitur, etiam non interveniente
reali traditione, solutione et mundatore confessatorum. Et ad investiendum et locandum et investituras et locationes tam ad tempus quem in emphiteosim quaslibet et cuiuslibet maneriei fatiendum in quaslibet personam et personas comune colegium et universitatem de quibuscumque bonis rebus et iuribus mobilibus et
immobilibus ipsorum scollarium nomine dicte scolle et etiam que
habent et decetero aquistare contingentur nomine dicte scolle ubilibet sitis et iacentibus. Ad illud tempus et terminum et pro illis ficto reditu, proventu et pensione in anno, et cum, et sub illis premissis tenoribus, clauxullis, renuntiationibus, pactis et formis et per
modum et formam prout dictis sindicis et procuratoribus suis et
cuilibet eorum, seu per duos ex eis, unam cum praefato domino
priore videbitur e placuerit et sese contendunt cum contrahentibus.
Et item ad se investiendum et locandum et investituram et investituras tam ad tempus quam in emphiteosim quaslibet nomine dicte
scolle recipiendum ab aliis seu alio de quibuscumque bonis mobilibus et immobilibus ubilibet sitis et iacentibus ad illud tempus et
terminum pro illis ficto reditu proventu et pensione in anno et per
modum et formam prout eiusdem sindicis et procuratoribus et cuilibet eorum seu pro duos ex eis unam cum prefato domino priore
videbitur et placuerit. Et ad promitendum et obligandum ipsos
constituentes et dictam scollam ac universitatem et consortium
eiusdem et bona ipsius scolle investienti seu investientibus seu alii
eorum nomine stippulanti et recipienti de solvendo talli locatori
seu locatoribus dictorum bonorum ficta reditus pensionem et proventus dictorum bonorum in anno, secundum qui et prout in dictis instrumentis locationis fiendis utsupra apponetur et notabitur
in eis. Et item ad se nomine dictorum constituentum, suis et dictis
nominibus, necnon et dicte scolle universitatis et consortii eiusdem compromitendum et comitendum et compromissum et
compromissa et comissionem et comissiones generalles et spetialles et generallia et spetiallia et semel et pluries et tot quot necesse
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fuerit fatiendum in quaslibet personam et personas et tam ecclesiasticas quam seculares et in eum seu in eos, tam quam in arbitrum seu arbiter et arbitratores et amicabilles compoxitores concorditur eligendum, seu elegendos ab ipsis sindicis et procuratoribus
et cuilibet eorum, seu a duobus ex eis unam cum suprascripto domino et priore nomine dictorum scollarium et scole necnon universitatis et consortii eiusdem, nominative de omnibus litibus, questionibus, discordiis et controversiis vertentibus et que verti et oriri
possunt et potuerunt quocumque modo iure causa et ratione ac occaxione inter dictos scollares et dictos universitatem et consortium
pro una parte, et quaslibet personam et personas comune colegium
et universitatem pro altera parte, seu aliis pluribus et diversis partibus et ad promitendum et obligandum ipsos scollares consortium
universarum et scolam et omnia predicte scole bona, illi seu illis
eum quo seu quibus dicta compromissa et comissiones fieri contingerent ut supra et ab illo seu illis promissionem, obligationem
stippulandum et recipiendum, de atendendo, observando, adimplendo et executioni mandando ac rata, grata et firma habendo et
tenendo omnia precepta arbitria et arbitrium ac declarationes que
fierent inter dictos scollares consortium universitatem et scollam
predictam pro una parte, et quaslibet allias personam et personas
commune colegium et universitatem pro altera, seu aliis quolibet
die feriato et non feriato citatis partibus et non citatis partibus presentibus et absentibus seu una parte presente et altera non, et ad
ponendum in ipsis compromisso seu compromissis illas [personam] et [personas] et ab aliis stippulantis et recipientis et illud tempus et terminum infra quod seu quem dicta arbitramenta fieri contingeret de quibus et prout eisdem sindicis et procuratoribus et cuilibet eorum seu duobus ex eis unam cum praefato domino et priore videbitur et placuerit et se convenire poterunt. Et ad atribuendum ipsis arbitro et arbitratori, seu arbitris et arbitratoribus eligendo, seu eligendis ut supra terminum et tempus ipsorum compromissi, seu compromissorum ad illud tempus et terminum prout eisdem placuerit. Et ad prorogam et dillatandum terminum et tempus ipsorum compromissi, seu compromissorum ultra tempus et
terminum ipsorum usque ad illud tempus et terminum ad quod
prorogatum fuerint per ipsos dominos arbiter et arbitratores seu arbiter et arbitratorem ut supra et etiam se opportuerit ipsa arbitramenta et declaratum emolegandum, aprobandum et confìrmandum et ipsa et alteri parti seu partibus intimandum denuntiandum
et notificandum seu intimari denuntiari et notificari fatiendum et
hec omnia et singulla cum omnibus et singulis illis clauxullis tenoribus formis permissionibus condictis renuntiationibus sacramentis
et solempnitatis in talibus et similibus debitis et necessariis et aponi
consuetis et opportunis. Et item ad patissendum convenendum
concordandum et transiendum et pacta conventiones concorda et
transactiones quaslibet et cumlibet maneriei et cum quibuslibet
persona et personis communi colegio et universitate fatiendum de
omni et toto, eo quod dicti scollares nomine dicte scolle et consortii et universitatis eiusdem et dicta scolla pro una parte. Et quasibet
alias personam et personas comune colegium et universitatem pro
altera parte, seu aliis et etiam pro parte, prout eisdem sindicis et
procuratoribus suis et cuilibet eorum, seu duobus ex eis unam cum
praefato domino et priore videbitur et placentur et se convenire po-
terint. Et item ad intrandum dicto sindicario et procuratorio nomine, quo iurandum et aphendendum et se poni et induci fatiendum, tam auctem propria que iuditiaria et etiam utraque simul in
corporalem possessionem et tenutam quorumcumque bonorum
rerum et iurium mobillium et immobillium praedicte scolle et consortii et universitatis eiusdem ubique sitorum et iacentium et eidem scolle dictorum que consortii et universitatis eiusdem pertinentium et spectantium ac obligatorum et in futurum quocumque
modo et iure obligandorum ac pertinere et spectare possentium et
in ea standum, morandum, permanendum et se tuhendum, et tuhere fatiendum, et hoc cum solempnitate et clausullis in talibus debitis et necessariis. Et item ad substituendum et subrogandum loco
eorum et cuiuslibet et alterius eorum dicto procuratorio et sindacario nomine quibus supra. Ad causas et questiones tantum procuratorem et sindicum et procuratores et sindicos, unum et plures,
et tot quot expedierit et necesse fuerit, et simul et plures, et totiens
quotiens dictis procuratoribus et sindicis suis et cuilibet eorum, seu
duobus ex eis unam cum suprascripto domino priore videbitur et
placuerit et eos cassandum et revocandum et benefitium procurationis in se reasumendum; et ad celebrandum et fieri et celebrari
fatiendum de praedictis et quolibet praedictorum infrascriptum et
infascripta unum et plura et tot quot expedierit et necesse fuerit
cum omnibus et singullis illis pactis promissionibus exationibus sacramentis condictionibus conventionibus clauxullis et solempnitatis de quibus et prout dictis procuratoribus et actoribus suis et cuilibet eorum seu duobus ex eis unam cum praefato domino priore
videbitur et placentur et se concedunt cum contrahentibus. Et generaliter ad omnia allia et singulla fatienda et gerenda, que in praedictis et cetera, praedicta et quolibet praedictorum utillia fuerint
necessaria et que ipsemet et constituentes, suis et dictis modis et
nominibus, quibus supra facere possent, se presentes adessent
etiam si tallia forent vel maiora que mandatum magis exigerent
spetiale dantes et concedentes dicti constituentes, suis et dictis modis et nominibus quibus supra, dictis procuratoribus et sindicis suis
et substituendo et substituendis ab eis ut supra et cuilibet eorum
singulariter refferendo ut supra plenum liberum et generale mandatum cum plena libera et generale administratione in predictis et
certa praedicta et quolibet praedictorum necnon promitentes dicti
constitenti et quilibet eorum suis et dictis modis et nominibus quibus supra, obligando se dictis nominibus et dictam scollam ac praedictos consortium et universitatem eiusdem et omnia sua, et dicte
scole, bona presentia et futura pigneri michi notario infrascripto
persone publice presenti stippulanti et recipienti nomine et vice et
ad partem et utilitatem cuiuslibet persone cuia (sic) interest seu interesse poterit in futurum se omni tempore habituros ratum gratum et firmum omne et totum ad quod per ipsos procuratores et
sindicos suos et substituendum et substituendos ab eis actum, dictum, festum, factum et procuratum, ac executioni mandatum fuerit in praedictis et certa predicta et quolibet praedictorum. Et volentes dicti constituentes, dictis modis et nominibus quibus supra,
relevare dictos procuratores et sindicos suos et quoslibet eorum in
solidum et substituendum et substituendos ab eis ab omni onere
satisdationis, caverunt pro eis et quolibet eorum sub obligatione
predicta in manibus mei notarii suprascripto nomine stippulantis
La decorazione tardogotica di San Cristoforo sul Naviglio a Milano. Novità documentarie e proposte attributive
de rato habendo iuditio sese, et iudicato solvendo cum omnibus
suis clausulis oportunis et necessariis et inde per omnia extiterunt
[…] ipsimet constituti dictis modis et omnibus quilibet ut supra
obligando se ut supra et de praedictis.
Rogatum fuit per me notarium infrascriptum notum publicum
conficerem instrumentum unum et plura huius tenoris. Actum
in dictis hediffitiis Campi Sancti Ecclesie Maioris mediolanensis,
sitis in porta horientale intus Mediolani, praesentibus Iohanino
de Puteobonello filio Beltramoli et Iohanne de Lexia filio Loterii
ambobus porte ticinensis parochie sancti Laurentii Maioris intus
Mediolani notariis et pronotariis. Interfuerunt ibi testes: Iohaninus de Bronzio, filius quondam domini Iacobi porte Verceline
parochie sancti Victoris ad teatrum, Iohaninus de Prata, filius
quondam Albertoli porte Verceline parochie sancte Marie ad
Portam et Iacobus de Brembio de Laude, filius quondam domini
Tomaxii porte Ticinensis parochie sancti Laurentii Maioris intus, notus omnes civitatis Mediolani, idonei, vocati et rogati.
3.
Milano, 20 maggio 1415.
Archivio di Stato di Milano, Notarile, 164, notaio Ambrogio
Spanzotta.
Durante il capitolo generale della scola dei Santi Giovanni Battista,
Giacomo, Cristoforo e Cristina, su mandato del priore Cristoforo de
Scharlionis e del precedente priore Giacomo de Canobio, i membri
nominano procuratori generali per le cause giuridiche: Christoforo
Scharlioni, priore della scuola, Giacomo detto Machalusum de Canobio, Antonino de Cantono, Martino de Poronibus, Ambrosino de
Varese, Capinum Sanverugam, Lorenzo de Mertignonibus, Gasparrino de Sexto, Iacobino de Merliano, Antonino de Confanoneriis,
Primolo de Venzago, Antonino de Plantanidis, Lantelmo de Trivulzio, Ambrosino de Corbeta, Giacomino de Rolandis.
[Sindicatus scole ad causas]
Die suprascripto, in hediffitiis ut supra; ibidemque convocato ut
supra, de mandato ut supra; in quoquidem fuerunt et cetera ut supra, voluntarie ut supra et cetera, fecerunt, constituerunt et ordinaverunt, et fatiunt, constituunt et ordinant suos dictis nominibus
et dictorum capituli consortii et universitatis ac scolle, certos missos
nuntios, procuratores et sindicos ac negotiorum gestores et quicquid melius esse et dici possunt, suprascriptos: Christoforum
Scharlionum priorem ut supra, Iacobum dictum Machalufum de
Canobio, Antoninum de Cantono et Martinum de Poronibus Ambrosini de Varixio presentes et Capinum Sanverugam, Laurentium
de Mertignonibus, Gasparrinum de Sexto, Iacobinum de Merliano, Antoninum de Confanoneriis, Primolum de Venzago, Antoninum de Plantanidis, Lantelmum de Trivulzio, Ambrosinum de
Corbeta, Iacobinum de Rolandis et quemlibet eorum insolidum
ita que occupantes non sit melior condicto et que quicquid unus
eorum inceperit, alter et allii prosequi mediare et finire ac etiam reassumere possit ad omnes et singullas eorum constituentium dictis
nominibus et dicte scolle ac consortii et universitatis eiusdem causas, lites et questiones, tam civilles quam criminalles, quas habent,
et habituri sunt, cum quibuslibet persona et personis comuni colegio et universitate, ubique et sub quolibet iudice et auditore, tam
ecclesiastico quam seculari, tam ad agendum quam ad deffendendum, opponendum, proponendum, confitendum et negandum libellos, poxitiones, interrogationes et capitula, dandum et recipiendum et receptis respondendum litem et lites, contestandum, excipiendum et replicandum, terminos colocandum et ipsos et quelibet
tempora prorogandum, testes infrascripta et iura producendum et
reprobandum iudices et notarios elligendum et recusandum denuntiationes protestationes et satisdationes quaslibet fatiendum,
tam in iuditio quam extra sacramentum et sacramenta de calumpnia et veritate dicenda, et cuiuslibet alterius generis et maneriei sacramentum fatiendum, defferendum et refferendum in animabus
et super animabus dictorum constituentum dictis modis et nominibus quibus supra, sententiam et sententias, tam interlocutorias
quam diffinitivas audiendum, et ab eis, et a quolibet gravamine appellandum, querellandum et supplicandum et appellatur querellas
et supplicatur prosequendum et ad fatiendum dari banum et debanno et qualibet contumazia et exhimi fatienda. Et generaliter ad
omnia alia et singulla fatienda et gerenda que in praedictis et certa
praedicta utillia fuerunt necessaria et gerenda merita causarum exigunt, postulant et requirunt etiam se tallia forent vel maiora, que
mandatum magis exigunt spetiale et que ipsimet constituentes dictis modis et nominibus quibus supra facere possunt, se praesentes
adessent, dantes et concedentes dicti constituenti et dictis modis et
nominibus quibus supra dictis procuratoribus et sindicis suis cuilibet eorum insolidum plenum liberum et generale atque spetiale
mandamus, cum plena libera et generale atque spetiale administratione in praedictis et circa praedicta et quolibet praedictorum promitentes que dicti constituentes et quilibet eorum suis et dictis modis et nominibus quibus supra dicti obligando et dictis modis et
nominibus quibus supra et omnia sua et dicte scola bona presentia
et futura pigneri michi, notario infrascripto, persone publice, ibi
presente et stippulante nomine et vice et ad partim et utilitatem
cuiuslibet persone cuia (sic) interest seu interesse poterit in futurum se omni tempore ratum, gratum et firmum habituros omne
et totum id quod per ipsos sindicos et procuratores suos, vel alterum eorum actum et gestum fuerit in praedictis et certa praedicta
et quolibet praedictorum. Et volentes dicti constituentes, dictis
modis et nominibus quibus supra, rellevare dictos procuratores et
sindicos suos, et quemlibet eorum insolidum, ad omni onere satisdatione praedicta, caverunt pro eis et quolibet eorum sub obligatione praedicta michi, notario suprascripto nomine stippulante de
ratio habendo iuditio sisti et iudicato solvendo, cum omnibus suis
clausulis opportunus et necessario. Et inde per omnia extiterunt
fidemsores ipsimet constituentes dictis modis et nominibus quibus
supra obligando et ut supra.
Actum in dictis hediffitiis Campi Sancti Ecclesie Maioris Mediolanensis, sitis in porta Horientale intus Mediolani. Interfuerunt
ibi testes: suprascripti Iohaninus de Bronzio, Iohaninus de Prata, Iacobus de Brembio notus omnes civitatis Mediolani, idonei,
vocati et rogati.
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