Capetièmpe: dove tutto ha inizio

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Capetièmpe: dove tutto ha inizio
è
ABRUZZO
appennino
01/06
rivista trimestrale dell’appennino abruzzese
spedizione in abbonamento postale
Abruzzo, terra di tartufi. L’eredità e il futuro di una passione antica.
Presidium. Da una grotta di Prezza il segreto di un grande vino
Percorsi Come un viaggio in terra d’Abruzzo
I luoghi dell’anima Dove Ovidio e Celestino regnano ancora
Un sistema museale per i Peligni
Sport natura Cacciatori di pace
Capetièmpe: dove tutto ha inizio
è
ABRUZZO
appennino
la rivista
dell’appennino
abruzzese
autunno
sommario abruzzoèappennino
Link
Turismo
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Ratafia
Editoriale
è
ABRUZZO
appennino
rivista trimestrale dell’appennino abruzzese
spedizione in abbonamento postale
numero 0 anno 2006
in attesa di registrazione
5
La tovaglia
Halloween: La notte delle streghe
Comunità Montana Peligna
Halloween. Nei giorni ch i morti
Storia di copertina
Capetiempe. dove tutto ha inizio
ritornano
Tartufi: dai Sumeri a Dumas
I riti, il significato, la festa. Prima, molto
prima di Halloween
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Progetto grafico
Andrea Padovani
Colori e sapori
La zucca regina, il novello e le castagne ci preparano ai primi freddi.
13
Dove Ovidio e Celestino regnano
ancora
17
Dove Ovidio e Celestino regnano
ancora
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Trekking
I musei
Agenda di stagione
Teatro
Musica
Feste e tradizioni
Arte
Altri eventi
email [email protected]
Redazione
Antonio Di Fonso
Luca Del Monaco
Riziero Zaccagnini
Massimo Colangelo
Fotografia
Luca Del Monaco
Hanno collaborato
Franco Avallone
Carmela Di Cesare
Vittorio Monaco
Antonio Carrara
Enzo Pasquale
Angelo Santilli
Sport e natura
Cacciatori di pace
21
010 Abruzzo,
terra di tartufi.
L’eredità e il
futuro di una
passione antica
015
Praesidium
Da una grotta
di Prezza il
segreto di un
grande vino
iprotagonisti
013 Colori e
sapori. La
zucca, il novelo e le castagna ci preparano ai primi
freddi.
09 Due ricette con la
zucca
abruzzoeappennino.com
Sviluppo sul web
Federico Bonasia
021 Sport e
natura.
Passo San
Leonardo e
dintorni:
escursioni,
incontri e
visioni sacre
© Copyright 2006 - Abruzzo Appennino
progetto per lo sviluppo dell’Abruzzo interno
23
In bici
Luoghi dell’anima
Ufficio Stampa
Via Debeli 20
Sulmona 67039 (AQ)
tel. 0864.31199
fax 0864.206420
Il mese dell’olio
Itinerari
Percorsi
Progetto Editoriale
Massimo Colangelo
Baccalà in agrodolci
021
Mountain
bike: Passo san
Leonardo
Campo di
Giove Sulmona
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26
26
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L’editoriale
Abruzzo è Appennino
nasce con un obiettivo
semplice: raccontare un
territorio attraverso la
voce dei suoi protagonisti.
Una scelta che sottintende un’idea precisa della
comunità in cui abitiamo,
viviamo e lavoriamo, dove
le nostre identità, le
nostre vocazioni trovano
riconoscimento e cittadinanza e, qualche volta,
addirittura, nei casi più
ostinati, provano a
farsi progetto di sviluppo, ipotesi e prove
di futuro.
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abruzzoèappennino
Diceva qualcuno che raccontare significa avere uno sguardo
particolare sul mondo, uno sguardo curioso e partecipe che
ha origine molto spesso proprio dalla terra in cui si è nati: ed
è un po’ questa la chiave di lettura, il senso – se la parola
non si carica di significati eccessivi - editoriale del nostro
lavoro. Assumere un punto di vista particolare, uno sguardo
di amorevole e complice curiosità, e partire quindi alla scoperta della terra dei Peligni – quella che i cultori della lessicografia più istituzionale chiamerebbero “cuore dell’Abruzzo
interno”: una comunità da sempre protagonista di aspettative e progetti di rilancio (economico, turistico, sociale) e candidata a rappresentare un luogo di eccellenza ambientale,
culturale e paesaggistico tra i più suggestivi e connotati
d’Italia.
Questa terra, ed è la nostra piccola ma tenace convinzione, ha molte storie da raccontare che meritano di essere
ascoltate, ha bisogno di parole e immagini che sappiano disegnarne il profilo, scolpirne i tratti, riscoprirne i gesti e le
movenze, le antiche lentezze e le più inaspettate e veloci trasformazioni, e magari fermarne per un istante quella bellezza
nobile e popolare che da sempre ne è il tratto distintivo.
I borghi e i paesaggi, le tradizioni, la cultura e la
memoria, ma anche l’economia e le vitalità
imprenditoriali, il dinamismo di un territorio: sono loro i protagonisti, i testimoni di
questa narrazione a
cui daremo
voce e
immagine,
sintassi e
luce.
www.abruzzoeappennino.com
Così, in questo numero, ascolteremo i racconti delle feste
di ‘Capetiempe’, il luogo simbolico e magico del tempo che
rappresenta infondo l’eterno ritorno alle nostre origini, da
cui tutti noi, compresi i più distratti e cosmopoliti, siamo un
giorno partiti.
Seguiremo i percorsi del turismo culturale e ambientale,
rivivremo il viaggio avventuroso e affascinante della cultura
contadina, di una civiltà che serba le sue memorie, ma nello
stesso tempo prova a farsi progetto d’impresa, risorsa economica.
Vedremo – è proprio il caso di dirlo – da vicino i luoghi
dell’anima, i colori cangianti dell’autunno; entreremo nel
sistema museale del territorio peligno; ci lasceremo guidare
dalle suggestioni di un sapore; ci inerpicheremo sulle imprevedibili piste di cacciatori di solitudini e di spazi – ancora –
incontaminati.
Abruzzo è Appennino è una rivista di racconti, di viaggi
reali e immaginari, di percorsi e suggestioni, ma è pure una
agenda di notizie utili, uno strumento di servizio con indicazioni e riferimenti di immediata fruibilità, un veicolo agile di diffusione che naviga sulle scie dei nuovi media e della comunicazione via internet.
È utile ricordare che la rivista si colloca dentro un sistema
più ampio di comunicazione - un progetto pensato e sostenuto dalla Comunità Montana Peligna - costituito di una
versione on line e di un sito aggiornatissimo (www.abruzzoeappennino.it) con informazioni turistiche e segnalazioni
di eventi e manifestazioni in diretta dal territorio.
Non resta molto altro da aggiungere. Solo augurarvi una
buona lettura, con – se possibile – la stessa attenzione e partecipe curiosità che ha animato quanti hanno scritto e lavorato alla riuscita di questo
numero.
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fotografia Luca Del monaco
24 ottobre 2006
Conversazione con Vittorio Monaco
Intervista di Antonio Di Fonso
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Capetièmpe: dove tutto ha inizio
I riti, il significato, la festa. Prima, molto prima di Halloween
L’autunno è veramente l’inizio di tutto. È la stagione
in cui la terra si addormenta, prima dell’inverno, in
attesa della rinascita primaverile; nei suoi giorni brevi
la luce del sole diminuisce d’intensità, le ombre della
sera scendono presto e gli uomini ne avvertono la
presenza con inquietudine: è allora che si sente più
forte la mancanza di luce e calore.
F
orse è per questo che nascono i riti, le manifestazioni
corali di quella che un tempo si chiamava la civiltà contadina: per propiziare il ritorno della luce, per continuare a tramandare la vita, per scacciare la paura della
morte. Forse sono nati così quelli che si chiamano i riti di
Capotempo, il Capetièmpe della Valle Peligna, quel continuum
celebrativo che va dalla commemorazione dei defunti al
momento della fine dell’annata agraria, dal 31 ottobre, vigilia di
Ognissanti, all’11 novembre, giorno di San Martino. Un periodo
magico e sacro, intriso di religiosità e paganesimo, in cui ballano
insieme la vita e la morte, affiorano tradizioni e consuetudini
millenarie, eppure, miracolosamente, rivissute ogni volta con
rinnovata passione. Nella tradizione contadina questo momento
del calendario era un vero e proprio capodanno, un importantissimo spartiacque stagionale e agrario. Negli ultimi tempi con la
festa di Halloween ha trovato una sua versione, per così dire,
commerciale, ed è divenuto uno dei momenti più attesi dell’anno, almeno per le giovani e giovanissime generazioni.
Abbiamo chiesto a Vittorio Monaco, studioso appassionato e
profondo conoscitore delle culture antropologiche del nostro
territorio, autore tra l’altro di un libro dedicato ai riti di
Capetièmpe, di aiutarci a capire meglio il significato e le origini
di queste feste.
Tutto comincia da Capetiempe, allora.
«Questo periodo dell’anno andava sotto il nome di
Capotempo. I riti che vi si praticavano, legati al ricordo dei
morti, erano a tutti gli effetti riti di capo d’anno e si svolgevano nei primi giorni di novembre».
Una religiosità contadina che in seguito viene battezzata, per così dire, dal cristianesimo.
«La distinzione tra paganesimo e cristianesimo è estranea al
contadino. Perché egli vive la sua religiosità come un comples-
so unitario, in cui i riti e le manifestazioni sono tutt’uno con la
loro dimensione naturale. E il messaggio cristiano viene accolto all’interno di questa dimensione: vive nel rapporto organico
dell’uomo con la natura. La cultura contadina esprime un cristianesimo popolare che non segna uno stacco netto dai riti
religiosi pagani. Saranno la figura di Gesù e la pìetas di cui egli
si fa portatore ad essere riconosciuti e a facilitare il processo di
identificazione con il cristianesimo».
Per quali ragioni?
«Gesù è colui che soccorre, il gran soccorritore, ma è anche
colui che tocca il fondo di ogni umana sofferenza e raggiunge il punto oscuro del dolore. Il contadino vive un’esistenza di
sofferenze e privazioni: riconosce il proprio dolore nel dolore
incarnato dalla figura di Gesù. E Gesù chiama l’uomo ad
identificarsi nel dolore, inducendo al pathos e quindi al soccorso, in una parola alla pietas. E anche la resurrezione assume un significato e una dimensione fitomorfica, naturalistica:
è dentro il ciclo naturale della vita, è il seme che rinasce e
diventa grano».
Il culto dei morti si celebra proprio nei giorni di
Capetièmpe.
«Una religiosità naturalistica come
quella che abbiamo decritto, assume implicazioni anche utilitaristiche: coltivo i morti perché siano
propizi al raccolto.
Per accrescere il vigore della natura attraverso i riti, dunque. Nella
mentalità popolare arcaica la natura è un organismo vivente e l’uomo è un essere ctonio, una forza
sotterranea che nasce dalla terra e
...il mondo
esiste da
sempre, non
è stato creato né dagli
uomini né
dagli dei...
[Link]
La tovaglia
Le dicevano: - Bambina!
che tu non lasci mai stesa,
dalla sera alla mattina,
ma porta dove l’hai presa,
la tovaglia bianca, appena
ch’è terminata la cena!
Bada, che vengono i morti!
i tristi, i pallidi morti!
Entrano, ansimano muti.
Ognuno è tanto mai stanco!
E si fermano seduti
la notte intorno a quel bianco.
Stanno lì sino al domani,
col capo tra le due mani,
senza che nulla si senta,
sotto la lampada spenta. E` già grande la bambina:
la casa regge, e lavora:
fa il bucato e la cucina,
fa tutto al modo d’allora.
Pensa a tutto, ma non pensa
a sparecchiare la mensa.
Lascia che vengano i morti,
i buoni, i poveri morti.
Oh! la notte nera nera,
di vento, d’acqua, di neve,
lascia ch’entrino da sera,
col loro anelito lieve;
che alla mensa torno torno
riposino fino a giorno,
cercando fatti lontani
col capo tra le due mani.
Dalla sera alla mattina,
cercando cose lontane,
stanno fissi, a fronte china,
su qualche bricia di pane,
e volendo ricordare,
bevono lagrime amare.
Oh! non ricordano i morti,
i cari, i cari suoi morti!
- Pane, sì... pane si chiama,
che noi spezzammo concordi:
ricordate?... E` tela, a dama:
ce n’era tanta: ricordi?...
Queste?... Queste sono due,
come le vostre e le tue,
due nostre lagrime amare
cadute nel ricordare!
GIOVANNI PASCOLI
Halloween: la notte delle streghe - di John
Carpenter, con Jamie Lee Curtis, Donald
Pleasence, Nancy Loomis. Illinois, 1963,
vigilia di Ognissanti (31 ottobre).
Quindici anni dopo aver commesso un omicidio, uno psicopatico esce
dal manicomio, ruba un’auto, ritorna sul luogo del delitto e fa una
strage. Perfetta macchina per mettere spavento, il 3° film di J.
Carpenter, autore anche delle musiche, è un lucido esercizio di regia,
un meccanismo di pura suspense mescolato all’horror che non gioca
sullo statuto onirico del cinema come Wes Crafen e altri. Per lui il
cinema, la realtà e l’horror coincidono. Scritto – con Debra Hill, anche
coproduttrice – in 10 giorni, girato in 3 settimane, costato 300.000
dollari, fu il 1° successo pubblico di Carpenter.
Halloween
Dolcetto o scherzetto? La prima guida completa, appassionante come
un romanzo, per non perdere la bussola nei giorni che vanno dalla
vigilia di Ognissanti a San Martino. Perché ci sarebbe davvero da
confondersi, argomentano Baldini e Bellosi. La piú nuova delle feste
non ha affatto un cuore «americano». Viene
dall'Italia, e dall'Europa, dei tempi piú profondi.
Un viaggio suggestivo e colto, approfondito
regione per regione, nel folklore, e nel mare di
racconti terrificanti, da cui nasce Halloween.
Bambini mascherati ovunque, feste a tema, film
per adolescenti: Halloween è diventata negli ultimi anni un appuntamento quasi scontato. E c'è
chi parla di «colonizzazione culturale». Ma
com'era la festa di Halloween prima che diventasse Halloween? Si tratta di una moda importata dagli Usa, o di una tradizione millenaria?
Baldini, scrittore che mette in scena incubi di
oggi che vengono però da mondi arcaici, torna
alla sua vocazione di antropologo e insieme a Bellosi, studioso del
folklore, racconta la piú misteriosa delle nuove festività, attraverso
una immersione rigorosa nello sterminato repertorio della nostra cultura popolare. Il viaggio di Baldini e Bellosi continua regione per
regione nella seconda parte del libro, offrendo il piú completo catalogo italiano delle tradizioni relative ai «giorni che i morti ritornano».
torna alla terra. Così, si alimentano i
morti per continuare ad alimentare la
terra, la natura, in un moto circolare che
è quello eterno del ciclo biologico. E
Capetièmpe rappresenta il capo d’anno
delle stagioni, dell’alternarsi naturale
delle stagioni».
La linea circolare del tempo. Che cosa
significa?
«Le stagioni si alternano in modo circolare
(semina, fioritura, raccolta e di nuovo
semina): la loro vicenda è scandita secondo il movimento del moto degli astri che
tornano eternamente, di ciclo in ciclo, al
punto di partenza. È una manifestazione
di eternità, l’eternità è questo cosmo.
Pensiamo a Eraclito: il mondo esiste da
sempre, non è stato creato né dagli uomini né dagli dei. L’eternità è la grande
madre generatrice, a cui si affianca la piccola madre, il cui organo genitale si chiama natura, e la natura è alma mater, colei
che dà appunto la vita. Pensiamo ai culti
dedicati alla Madonna, laddove la figura
di Maria nella ritualità popolare ha sostituito Giunone e Cerere, simboli della fertilità e delle messi».
Veniamo ai simboli del Capetièmpe.
Un corredo tipico sono le zucche, ma
anche crani, candele, corna e questua.
Una ritualità spesso irridente, in cui il
doppio senso giocoso e l’osceno si
mescolano al sacro.
«È la parodia, il gioco del rovesciamento
in cui c’è l’irriverenza contro la cultura
alta, ma non si rintraccia la dissacrazione
profana né blasfema. La sede della divinità generatrice è negli organi genitali
che sono anche simbolo di fertilità e
forza vitale: sono loro che alimentano la
vis generativa della natura, insieme alle
divinità ctonie (il sottosuolo, il seme) e a
quelle superiori (il cielo, la pioggia, ecc.). I
riti dissacrano la dottrina dei chierici e dei
letterati, ma celebrano la potenza della
natura. Basti pensare a San Martino, giorno di baldoria in tutti i suoi aspetti formali e alimentari, e al significato della
figura del santo protettore dei cornuti e,
più in generale, della potenza, vis appunto, generatrice».
Come viene vissuto oggi Capetièmpe?
Fenomeno culturale, riassunto folklorico di aneddoti e gestualità perdute,
antenato della più celebrata
Halloween?
«La cultura che ha generato i riti antropologici, quell’insieme di classi subalterne
che appartenevano alla civiltà preindustriale, non c’è più. Quel mondo è finito
prima del boom economico degli anni
sessanta. Oggi abbiamo il popolo fruitore, la massa, la moltitudine indifferenziata
di individui di ogni ceto e cultura: la
gente, the people. L’impegno, allora,
delle istituzioni e anche degli artisti in
generale sarà quello di offrire questi riti in
una forma che non si limiti solo allo
svago, al divertimento sradicato e inerte;
ma faccia in modo di ricostruire una
memoria, in un incontro con una cultura
di valori degni di essere riflettuti, considerati e riproposti come interlocutori della
modernità. Anche Halloween mi sta bene
in questo senso. A patto che si abbia la
consapevolezza che la tradizione che arriva dagli Stati Uniti è una tradizione di
ritorno: che è l’Europa - e l’Italia - il
luogo originario. E il significato, la parola
italiana di Capotempo, usata già da
Ludovico Ariosto nell’Orlando Furioso,
d’altra parte, conserva ancora il senso del
capodanno, del capodanno celtico, che,
non va dimenticato, cadeva il 31 di ottobre».
Il nostro incontro finisce qui. Abbiamo
solo il tempo di commentare l’uscita del
libro Halloween. Nei giorni che i morti
ritornano, appena pubblicato da Einaudi.
Un viaggio dentro le tradizioni popolari
regione per regione, in cui l’Abruzzo e in
particolare la Valle Peligna - e il libro di
Vittorio Monaco - occupano un posto di
primo piano. Una bella iniziativa, un’importante casa editrice, una collana giovane e dinamica: una immersione nel patrimonio folklorico, in quello sterminato
repertorio alla ricerca della Halloween
prima di Halloween, e che conduce al
punto di partenza, dove tutto è cominciato, direttamente a Capetièmpe.
9
Torta di riso con zucca
Per 4 persone.
Pulite 300 g di zucca e riducetela in
dadini. Cuocetela in padella con 2
cipollotti tagliati a fettine, 4 cucchiai
di olio e un mestolino d’acqua, finché
risulterà tenera ma non sfatta.
Mettete in una terrina 400 g di riso lessato, 100 g di erbette cotte, strizzate,
tagliuzzate e mescolate con un cucchiaio di foglie di maggiorana, 2 uova,
2/3 della zucca cotta, 40 g di parmigiano grattugiato, un pizzico di noce
moscata grattugiata e una presa di sale.
Versate il composto in una teglia unta
con olio extravergine d’oliva e mettete in forno preriscaldato a 200 gradi.
Sformate la torta di riso su di un
piatto piano e decorate con la zucca
rimasta e qualche fogliolina fresca di
maggiorana.
Gnocchi di zucca e ricotta
(o tartufo)
Per 4 persone.
Tagliate a dadini 1 kg e mezzo di
zucca e lasciateli appassire sul fuoco
molto basso in modo che perdano
completamente l’acqua.
Frullate la zucca cotta insieme a 2
tuorli d’uovo, 1 albume e 5 cucciai di
farina. Portate ad ebollizione dell’acqua salata in una pentola capiente e,
con l’aiuto di un cucchiaino da caffè,
prelevate un po’ di composto gettandolo nell’acqua bollente. Quando tutti
gli gnocchetti saranno venuti a galla,
scolateli e disponeteli in un vassoi
unto con olio extravergine d’oliva.
Per servirli, dovete nuovamente gettarli in acqua in ebollizione e poi scolarli disponendoli in fondine già calde.
Conditeli con burro fuso e abbondante ricotta affumicata grattugiata.
Al posto della ricotta, si può usare il
tartufo bianco o nero.
fotografia Luca Del Monaco
24 settembre 2006
Abruzzo terra dei tartufi
intervista di Riziero Zaccagnini con Angelo Santilli
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Abruzzo,
terra
di
tartufi
L’eredità e il futuro di una passione antica
Quando in redazione abbiamo deciso di dedicare un articolo al tartufo d’Abruzzo, l’immagine di un vecchio cercatore e del suo cane a passo lento tra boschi e radure si è subito
insinuata nella mente. Poi abbiamo incontrato Angelo Santilli, trentaseienne di Castelvecchio
Subequo, da quattro anni titolare, assieme alla moglie, di un’azienda che a Sulmona lavora e
commercializza i tartufi. Una piacevole sorpresa che ci ha incuriositi. E così, prima di farci raccontare la sua storia, abbiamo chiesto a lui di presentarci il ‘nostro’ tartufo.
«
Dai racconti che ho potuto ascoltare personalmente nel
corso degli anni - ci dice Angelo - i vecchi pastori trovavano queste ‘patate nere’ e cercavano di capire cos’erano,
dandole come cibo al bestiame che lo rifiutava oppure
friggendole in padella con pessimi risultati. Non sapevano che farne.
Furono aziende e commercianti di altre regioni a intuire per primi il
potenziale dei nostri boschi, venendo in Abruzzo ad acquistare i tartufi direttamente dai ‘cavatori’».
Cos’è, propriamente, il tartufo?
«Il tartufo è, a tutti gli effetti, un fungo ipogeo. Molte sono le qualità: si va dal
tartufo d’estate, quello più commercializzabile in quanto il costo non è eccessivamente alto».
Il cosiddetto ‘scorzone’!
«Esatto. Poi abbiamo il nero pregiato, che matura tra novembre e dicembre,
molto ricercato: è arrivato a costare anche mille euro al chilo. C’è, ancora, il
tartufo uncinato, la cui raccolta parte ad ottobre e, infine, il tartufo bianco,
totalmente diverso anche per conformazione dagli altri, con un valore oscillante dai duemila ai cinquemila euro al chilo. Un prodotto d’élite, per il quale
un degustatore è pronto a pagare settanta euro per una grattata».
Chi ne stabilisce il valore?
«Il mercato mondiale. Attorno al tartufo ruota una vera e propria industria
che riesce a valutare le quantità prodotte e la qualità. Il prezzo varia quotidianamente. Bisogna stare attenti, altrimenti, come si dice dalle nostre parti,
‘ci dai la testa’: comprarlo e metterlo immediatamente in commercio».
Ho letto, appena entrato nel tuo laboratorio, un articolo che
titola Il 40% dei tartufi d’Italia sono prodotti in Abruzzo, un
dato importante che serve anche a sfatare il mito dei soliti tartufi d’Alba piuttosto che di Norcia e dimostra, però, come ancora una volta noi abruzzesi abbiamo poca coscienza del potenziale della nostra terra.
«Noi il tartufo l’abbiamo cominciato a valorizzare una sessantina di anni fa,
ma quasi esclusivamente come prodotto da raccogliere e vendere ad altri.
Oggi il tartufo nero pregiato a livello naturale sta scomparendo, perché le
tatrufaie sono state violentemente depredate da quelli che chiamiamo in
gergo ‘zappatori’. Zappano per cercare in profondità, non sapendo che il tartufo quando matura sta in superficie e crea una protuberanza, una crepa visibile, detta ‘fiorone’ o ‘boccio’. Così non fanno altro che rompere il micelio e
rovinare la zona soffice del terreno con alta probabilità di far scomparire la
tartufaia».
Questo anche nella nostra zona?
«Soprattutto nella nostra zona, anche se negli anni è maturata una buona cul-
tura a riguardo. La tartufaia, o ‘macchia’, si riconosce con un evidente pianello intorno la pianta: l’erba non cresce più, c’è solo un alone di terra. Quando
comincia a nascere erba all’interno di questo pianello è il segno evidente che
la tartufaia sta andando in rovina. Comunque in Abruzzo, in particolare nella
Valle Peligna, nella Subequana e nell’intero aquilano, c’è la miglior raccolta di
tartufi di tutto il mondo. Per anni, purtroppo, ci siamo limitati a venderlo ad
aziende che a loro volta hanno utilizzato la fama di altre zone d’Italia per
immetterlo nel mercato, ora come tartufo nero di Norcia, ora come bianco
d’Alba etc.».
Un’ occasione mancata per promuovere il nostro territorio.
«Si, mentre la maggior parte li forniamo noi abruzzesi sia in Umbria che in
Piemonte. Da qui è nata la volontà di
iniziare ad occuparci direttamente della
lavorazione e valorizzazione commerciale del prodotto, con i nostri laboratori, le etichette. Insomma: basta essere
sempre gli ultimi della classe!».
Oggi che percorso fa il tartufo dopo essere raccolto?
«Solo una parte di quello che acquistiamo supera la selezione iniziale: scelti i
migliori, li lavoriamo e li confezioniamo in vari modi: crema di tartufo, olio,
melanzane e carciofini al tartufo, prosciutto tartufato, ma anche misto ai funghi, in particolare i porcini».
E il tartufo integro?
«Certo. Facciamo spedizioni in tutto il
mondo, dall’America alla Cina».
E in Abruzzo?
«Prima dell’ Abruzzo c’è il mercato
nazionale. Chiamano:“Avete un po’ di
tartufi per noi?”, e così parte un ordine
per l’Umbria, ad esempio. Solo che
oggi il prezzo lo facciamo noi, mentre
prima non sapevamo neppure a chi
venderli ed erano loro a deciderne il
valore. Poi ci sono gli altri canali, come
la ristorazione, utilissima come banco
di prova della qualità dei nostri tartufi».
...i vecchi pastori
trovavano queste
‘patate nere’ e cercavano di capire
cos’erano, dandole
come cibo al
bestiame che lo
rifiutava oppure
friggendole in
padella con pessimi
risultati.
nostro tartufo. Il progetto, per vari
motivi, sfumò. Per ora facciamo in
modo che la qualità del nostro prodotto risponda agli standard internazionali, con tanto di certificazione
europea. Dobbiamo fare ancora
molto, con impegno, con passione».
Con il mercato in espansione e
il rischio di impoverimento
delle tartufaie di cui mi parlavi,
quali strategie di conservazione e, di conseguenza, di mercato pensate di mettere in atto?
«La fortuna è che oggi riusciamo,
grazie a studi che hanno coinvolto
anche l’università de L’Aquila e di
Perugia, a coltivare il tartufo.
Abbiamo già parecchie tartufaie di
nero pregiato in produzione, la maggior parte impiantata proprio nella
nostra zona. E questa è la salvezza,
sia del mercato che delle tartufaie
boschive. Un problema che fortunatamente non abbiamo per il tartufo
estivo le cui tartufaie sono meno
delicate e in continua espansione».
Nonostante l’età, le tue parole tradiscono una passione
che sembra precederti: com’è
nata?
«L’ho ereditata da mio padre, che è
andato in pensione facendo il cercatore di tartufi.Una vita in montagna».
Tu, oggi, vai ancora in montagna?
«Si. Se non salgo almeno una volta a
settimana sto male. Sai, ci sono cresciuto, a dodici anni seguivo mio
padre e ti devo dire che, con le mie
poche zone nascoste, mi diverto
ancora. Non vedo l’ora che arrivi il
fine settimana per andare nei boschi
e passeggiare con i miei cani. Vedi,
tutto per noi viene dalla montagna,
e frequentarla è anche un modo per
non dimenticarlo».
Non dimenticare le proprie
origini e nello stesso tempo
guardare avanti. E così hai
intrapreso la strada dell’imprenditoria.
«Io sin da piccolo dicevo sempre a
mio padre: “prima o poi metterò su
un’azienda”. Le soddisfazioni economiche sono anche per noi, come per
ogni azienda, un motore importante, fondamentale direi. Ma lo spunto,
ancora una volta, è nato tra i monti.
Devo dare onore a mio suocero
che una volta venne con me a fare
una consegna di tartufi in Umbria e
per strada mi disse:“Perché non crei
un’attività?”. Fu un ulteriore stimolo
ai miei sogni di bambino. Oggi è il
quarto anno di attività, il lavoro non
manca, soprattutto grazie al mercato
estero. E tutto questo con un prodotto totalmente naturale».
Sono maturi i tempi per fare
del tartufo un veicolo di promozione delle nostre terre!
«È il motivo per cui stiamo creando
un’etichetta per commercializzare
solo tartufo fresco con la dicitura
“Tartufo d’Abruzzo”. Bisogna far
conoscere le nostre vallate, le nostre
montagne. Facemmo assieme ad
altri un tentativo di valorizzare il
nostro territorio, attraverso un consorzio, la creazione di un mercato
dove si decidesse il prezzo del
La passione dei montanari!
«Te lo ripeto, la montagna è una
malattia. Non so descriverlo, è una
sensazione particolare. Devi provarlo, devi andare a cercare il tartufo: ti
innamorerai, è una cosa spettacolare».
A questo punto la curiosità diventa
tentazione. Lo squillo del telefono ci
ricorda che siamo in ufficio. Hanno
chiamato per una consegna.
Usciamo dal laboratorio e le montagne tutt’intorno sono lì che osservano imperturbabili la frenesia della
vallata. Siamo d’accordo: la prossima
settimana andremo su insieme. Poi,
forse, proveremo a raccontarlo.
INFO AZIENDA
L’azienda Santilli
Tartufi si trova a
Sulmona, SS.17 Km
95.500 c/o Sviluppo
Italia.
Per informazioni
Tel/fax 0864.2508331
cell. 349.77.04.945
sito internet www.santillitartufi.com
e-mail
[email protected]
[Link]
CURIOSITÀ DALLA RETE
Digitando su internet “storia del tartufo”, sono comparsi migliaia di siti,
buona parte dei quali riportano le
stesse informazioni.
Il tartufo sembra fosse conosciuto già
dai Sumeri ed al tempo del patriarca
Giacobbe intorno al 1700-1600 a.C. I
Greci lo chiamavano Hydnon (da cui
deriva il termine “idnologia” la scienza che si occupa dei tartufi) oppure
Idra, i Latini lo denominavano Tuber,
dal verbo tumere(gonfiare).
I francesi lo avrebbero chiamato
Truffe, dal significato di frode collegato alla rappresentazione teatrale di
Molière “Tartufe”del 1664.
Gli antichi sumeri utilizzavano il tartufo mischiandolo ad altri vegetali
quali orzo, ceci, lenticchie e senape,
gli antichi ateniesi si dice che lo adorassero al punto di conferire la cittadinanza ai figli di Cherippo per aver
inventato una nuova ricetta.
L’opinione di Plinio il Vecchio
nell’Hystoria Naturae era che il tartufo
“sta fra quelle cose che nascono ma
non si possono seminare”.
Plutarco azzardò l’affermazione
alquanto originale che il “Tubero”
nasceva dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Non
essendo ancora stabilita l’origine dei
tartufi, la scienza unita alle credenze
popolari coprirono il tartufo di mistero al punto che non si sapeva definire
se fosse una pianta o un animale. Più
in là venne addirittura definito cibo
del diavolo o delle streghe.
Il primo trattato unicamente dedicato
al tartufo sembra risalire al MDLXIIII,
scritto da Alfonso Ciccarelli medico
umbro. È noto che papa Gregorio IV
ne fece largo uso ufficialmente per
compensare le energie spese nel fronteggiare i Saraceni. Sant’Ambrogio
ringraziava San Felice per la bontà dei
tartufi ricevuti. In Piemonte se ne fa
un consumo rilevante intorno al XVII
secolo ad imitazione della Francia. Nel
‘700 il tartufo Piemontese era considerato presso tutte le Corti una delle
cose più pregiate. Il Conte Camillo
Benso di Cavour nelle sue attività
politiche utilizzò il tartufo come
mezzo diplomatico, Gioacchino
Rossini lo definì “Il Mozart dei funghi”, lord Byron lo teneva sulla scrivania perché il suo profumo gli destasse
la creatività, Alexandre Dumas lo
definì il “Sancta Santorum della tavola”…
13
13
Colori e sapori
La zucca regina, il novello e le castagne
ci preparano ai primi freddi.
L’inverno trafigge con i suoi sapori
forti che devono sopperire all’intensità
del freddo e alla visione di un territorio
spoglio. La primavera è il tripudio dei profumi
della natura sopiti nella memoria. Durante l’estate trionfa il calore che porta a compimento
la vita. Poi arriva l’autunno, più visibile che tangibile, con intorno i suoi colori apparentemente
morenti che nascondono il violento sapore
delle cose.
allo stesso tempo
la stagione del raccolto dell’uva, dell’ulivo, e della semina del grano, di un ciclo che
si completa e di uno che ricomincia per dare vita ad un
nuovo corso, a nuovi sapori,
ai profumi dell’anno che verrà.
Il 18 ottobre nel giorno di San
Luca evangelista, nella tradi-
È
zione contadina ricorre il rito
della semina che riporterà il
grano agli splendori dorati
dell’estate.
Nel frattempo la zucca, resa
famosa dalla ricorrenza di
Halloween, ha portato a compimento la sua maturazione.
Tanto cara alla mensa dei
poveri in passato, oggi è regina dei piatti più delicati della
gastronomia per quella dolce
componente zuccherina, per
la sua delicatezza, per il suo
colore arancio vivo. È nella
polpa interna succosa, costituita per la gran parte da
acqua, che si ritrovano le qualità più nutrienti. Di arancio ci
sono anche i mandarini e le
arance, le difese per eccellenza del nostro corpo di fronte
agli attacchi dell’influenza,
agrumi polposi che ci accompagneranno per tutto l’inverno. Ma questi, sono colori di
altre zone. Sugli alberi, quelli
nostri senza foglie, sono
sospesi nell’incertezza del
cielo autunnale anche i kaki,
attaccati con prepotenza alla
loro linfa vitale; potrebbero
rimanere in bilico su quei rami
per secoli, fino a quando,
stanchi, qualche uccello
andrà a sfamarsi da loro. C’è
un albero che dell’autunno è
assoluto sovrano: il sempreverde ulivo. In realtà è l’albero
dalle foglie cangianti, che
prende forme diverse a
seconda delle ombre, della
posizione del sole, che assume tutti i toni del verde e dell’argento quando il vento lo
inquieta. Ottobre e novembre
segnano la morte del frutto
dell’olivo. Ma il verde scuro
del frutto prende vigore nel
dorato dell’olio e acquista un
nuova vita e una nuova funzione, trasformandosi nel più
prezioso dei condimenti
gastronomici.
Nella dolce collina le foglie dei
vigneti diventano prima rossa-
stre, poi marroni, e si accartocciano sempre più fino a
cadere. Ormai hanno ben
fatto il loro dovere per un anno
intero, nutrito e cresciuto il
frutto dell’uva che in fermentazione si appresta a diventare vino. “Né calici il vin scintilla
sì come l’anima nella pupilla”
scriveva Giosuè Carducci. A
San Martino arriva la festa del
novello, il primo vino dell’anno, che contiene i sapori, i
colori e i profumi della vigna.
Lo accompagniamo alle torte
dolci, ai biscotti con le mandorle e a quelle castagne, che
intanto, aprono i loro ricci nell’umidità della montagna. È il
connubio ideale per celebrare
San Martino, il novello con le
castagne,
il
benvenuto
gastronomico per eccellenza
dell’autunno. Nella nostra
montagna abruzzese la raccolta della “roscetta” inizia a
metà ottobre e viene effettuata a mano con dei cesti. Poi
vengono scelte, passate in
acqua e asciugate al sole.
Nel sottobosco invece le noci
ormai hanno indurito il loro
gheriglio. Non più amare
come all’inizio di settembre, in
ottobre scricchiolano quasi
dolcemente sotto i denti, protette dalla durezza dei loro
gusci.
Soprattutto durante l’autunno
si sentono le foglie sotto i
piedi. Ma si sa anche che presto una pioggia le spazzerà
via e pulirà le strade dalle
ghiande che, cadendo, spezzano il silenzio delle notti. Le
piazze saranno al freddo per
un po’, i terreni abbandonati,
le bancarelle del mercato della
frutta un po’ meno fornite.
Tutto lasciato a riposare fino a
quando rispunterà il primo
sole timido. Sembra lontano
ma sarà presto primavera e
sentiremo nuovi profumi.
Vedremo nuovi colori.
F.A.
Link
IL MESE DELL’OLIO
Frantoi aperti.
Novembre è il mese dell’olio nuovo ed è anche il tempo di
“frantoi aperti”, una iniziativa che, in tutte le regioni italiane
produttrici di olio, promuove la conoscenza e l’uso di questo alimento del mediterraneo che ha conquistato tavole e palati in
tutto il mondo. In molti luoghi d’Italia e anche in Abruzzo, Enti
locali e produttori e sopratttto l’Oleoteca regionale che ha sede a
Loreto Aprutino promuovono incontri “del gusto” finalizzati a
far conoscere la storia dell’olivicoltura e delle tecniche di produzione, con degustazioni guidate per meglio apprezzare le qualità
dell’ “oro verde”.
Frantoio Fantasia
Durante il week end è possibile su prenotazione visitare a
Raiano il frantoio della famiglia Fantasia, restaurato dagli stessi
proprietari con il concorso dell’amministrazione comunale, che
ha inserito il frantoio negli itinerari di visita della Riserva delle
gole di San Venanzio. Il vecchio impianto, con presse a mano,
ruote in pietra e movimento ottenuto grazie al traino dei cavalli,
venne chiuso circa trenta anni fa da Venanzio Fantasia. Questo
piccolo opificio è offerto oggi alla curiosità dei visitatori che
potranno, anche con l’aiuto dell’apparato didattico curato dallo
staff della Riserva, osservare e conoscere gli strumenti e le tecniche per la molitura delle olive, utilizzate in un “trappeto a uso
pubblico”, operativo fino a qualche decennio fa. L’azienda della
famiglia Fantasia continua a produrre olio, in sintonia con le
nuove tendenze del mercato, e offre oggi un interessante prodotto biologico.
15
Praesidium
:
da una grotta di Prezza
il segreto di un grande vino
La natura si veste d’autunno e, tornante dopo tornante, mi
inerpico su per Prezza. Il paese si svela, suggestivo, poco
alla volta, con le sue antiche case abbarbicate sul limite
ovest della Conca Peligna, una terra ad alta vocazione vitivinicola, tanto che fin dall’antichità viene ricordata da
molti scrittori per i suoi pregevoli vini.
Nel cuore del paese sorge Praesidium, l’azienda vitivinicola di Enzo Pasquale, ricavata in parte da
una grotta naturale dove sono conservate botti in legno di rovere per l’invecchiamento del
Montepulciano d’Abruzzo. Vengo accolta da padre e figlio e avverto subito un clima di grande
cordialità che nasce dal piacere di parlare di un lavoro che non viene vissuto come tale, perché
frutto di una grande passione. Una passione che Enzo Pasquale ha trasmesso a tutta la famiglia,
alla moglie Lucia che collabora, tra l’altro, imprimendo pazientemente su ogni bottiglia la ceralacca rossa, ormai divenuta un inconfondibile segno distintivo, alla figlia Antonia, studentessa di
ingegneria, e al figlio Ottaviano, sommelier, che, con la sua specializzazione in Marketing e
Comunicazione, ha tutte le intenzioni di portare avanti l’azienda di famiglia.
fotografia Luca Del Monaco
Maria Carmela Di Cesare
24 settembre 2006
Intervista a Enzo Pasquale “l’interprete” del Montepulciano d’Abruzzo
Allora, signor Pasquale, come è
stata la vendemmia quest’anno?
«Ottima. Ma noi non temiamo nemmeno le annate peggiori…»
Come è possibile?
«Nel 2002 c’è stata una difficile vendemmia tanto che molte aziende hanno
deciso di non imbottigliare. Noi, invece,
proprio per il Montepulciano Riserva
2002 abbiamo ottenuto un prestigioso
riconoscimento dalla “Guida dei Vini
2007” dell’Espresso che ha evidenziato
come il riconoscimento dell’anno precedente (Guida dei Vini del 2006) per il
Riserva 2001 non fosse stato un episodio isolato, ma la conferma di un duro e
appassionato lavoro».
Infatti sulla Guida 2007 leggiamo
che lei si conferma “l’interprete
più ispirato dell’anima montanara
del Montepulciano d’Abruzzo. Con
buona pace degli anacronistici
fautori di rossi tutto muscoli e
poco cervello”. Ma qual è questo
“cervello” che occorre mettere
per ottenere grandi vini anche
nelle annate peggiori?
«Il segreto per ottenere un grande vino
è semplice, si fa per dire. Solo da una
grande uva si ottiene un grande vino.
Noi conduciamo il
nostro lavoro nella
vigna in maniera rigorosa, ponendoci come
obiettivo quello di
ottenere un’uva perfettamente sana, nel
rispetto della natura.
Riduciamo al minimo
le concimazioni, rigorosamente naturali, e,
con una potatura
corta e severa otteniamo una resa per
ettaro bassissima, 50-60 quintali, in
modo che l’uva riceva il giusto nutrimento dalla pianta raggiungendo un’ottima maturazione con un’elevata concentrazione zuccherina».
Dove si trovano i suoi vigneti?
«I vigneti sono ubicati nella contrada
“Cavate”, una zona collinare tra
Prezza e Raiano ad alta vocazione viticola per le sue condizioni pedoclimatiche: composizione del terreno in cui
non si ha ristagno di umidità, esposizione a est che aiuta la fotosintesi e
dunque la formazione di zuccheri nell’uva, forte escursione termica tra il
giorno e la notte che permette una
maturazione graduale delle uve».
E per quanto riguarda il processo
di vinificazione?
«Anche questo è molto accurato. Solo
il mosto fiore è destinato alla vinificazione che avviene in botti di acciaio
inox, dove il vino destinato alla
Riserva subisce una macerazione di
circa otto giorni. Dopo la svinatura il
vino rimane in acciaio per almeno due
anni per permettere una decantazione
naturale, visto che siamo contrari all’uso di filtri. Successivamente viene travasato in barriques di rovere di Slavonia
dove invecchia per non meno di otto
mesi. Attualmente si trova in commercio
il Montepulciano d’Abruzzo Riserva
2001 che ha subìto anche un lungo
affinamento in bottiglia».
Dunque la sua attenzione è tutta
concentrata sul Montepulciano
d’Abruzzo.
«Sì, noi produciamo prevalentemente
Montepulciano d’Abruzzo Riserva e
Cerasuolo, perché sono vini dalle grandissime potenzialità anche se, purtroppo, in passato nelle nostre zone si è
preferito puntare sulla quantità piuttosto che sulla qualità, che invece è la
nostra filosofia ispiratrice».
Una filosofia che vi ha premiati.
«Sì, perché non abbiamo bisogno nemmeno di farci pubblicità, è bastato il
passaparola. La mia famiglia produce
vino da sempre, ma è solo nel 1988 che
abbiamo iniziato ad imbottigliare.
[Link]
CURIOSITÀ
La Ratafià è un prodotto da sempre presente nella tradizione
casalinga. Il suo inimitabile gusto è ottenuto da un processo di
infusione di ottime materie prime, vino e ciliegie, senza aggiunta
di coloranti né di conservanti. Sembra che il nome Ratafià derivi
dall’usanza passata di sancire gli atti notarili con l’espressione latina: “Ut rata fiat” (“Siano ratificati gli atti stesi) accompagnando la
consuetudine brindando con un bicchierino di liquore a base di
vino e ciliegia.
LA RICETTA
Baccalà in agrodolce
Tagliate a grossi pezzi 700 grammi di baccalà.
Dissalatelo bene (tenendolo a bagno per almeno tre giorni, avendo cura di
cambiare l’acqua più volte al giorno).
Oliate abbondantemente una teglia e adagiatevi i pezzi di pesce.
Cospargete con mollica di pane misto a pepe e prezzemolo.
Aggiungete olive, capperi e pomodorini spellati.
Bagnate il tutto con un bicchiere di mostocotto.
Aggiungete qualche foglia di alloro, salvia, 3 spicchi di aglio rosso in camicia.
Infornate a 180° gradi.
A metà cottura irrorate con mezzo bicchiere di aceto di vino.
Il tempo di cottura è di 35-40 minuti.
Attualmente il 70% della nostra produzione, che si aggira attorno alle 26.000
bottiglie annue, viene esportato all’estero, il restante venduto in enoteche e
ristoranti italiani».
I numerosi riconoscimenti che lei
ha ricevuto parlano dell’eccellenza
dei suoi vini: cinque Medaglie
d’oro al Concorso Nazionale Douja
D’or ad Asti per il Montepulciano
d’Abruzzo Riserva nelle annate
1991, 1992, 1994, 1999 e per il
Cerasuolo 1994; il Riserva 2001 è
stato inserito nella Selezione dei
99 grandi vini scelti dalla rivista
“Beregola”, e tra i vini eccellenti
secondo la rivista “Go Wine” e la
“Guida dei Vini 2006”
dell’Espresso.
«Mi ha reso particolarmente orgoglioso il riconoscimento della Guida 2006
dell’Espresso che ha inserito il mio
Riserva 2001 tra i vini eccellenti,
secondo solo al prestigioso Villa
Gemma 2001 di Masciarelli e conferendomi lo stesso punteggio del
Trebbiano 2003 di Valentini. Il Riserva
Praesidium 2001 è un vino importante
dal sentore mentovato e speziato con
sottili note di erbe aromatiche, liquirizia e china; al gusto è avvolgente, di
grande personalità nei tannini e nel
corpo con un finale lunghissimo».
Ma lei non produce solo vino.
«Nostre specialità sono anche il
Mostocotto e la Ratafià. Il primo è prodotto dalle nostre parti sin dal tempo
dei Romani. Lo produciamo secondo il
metodo tradizionale: il mosto fiore, ottenuto da uve selezionate di
Montepulciano d’Abruzzo, viene fatto
bollire per sedici ore a fiamma moderata
in un grande recipiente di rame, rimestando continuamene con grande
pazienza. Pensi che da dieci litri di
mosto se ne ricavano solo due di mosto
cotto. È un prodotto che può essere utilizzato per preparare dolci o, al posto del
miele, su formaggi stagionati, ricotta,
frutta, come le pere al forno; è ottimo
anche sulle verdure grigliate e sulla
carne bollita. A Prezza viene usato per
insaporire un piatto prelibato, il baccalà
in agrodolce. Alle anziane signore del
paese, invece, ho carpito il segreto della
preparazione della Ratafià, un liquore
che nasce dal felice connubio tra le qualità organolettiche del Montepulciano
d’Abruzzo Praesidium e le proprietà aromatiche delle ciliegie dette localmente
“amarelle”, tipiche della vicina Raiano.
Un prodotto che si accompagna magnificamente alla pasticceria secca, al cioccolato amaro e ai gelati».
Mi intratterrei volentieri ancora con
Pasquale e suo figlio, ma è tardi, e
ci salutiamo con nella mente il
ricordo di una piacevole chiacchierata e sul palato il dolce sentore
delle visciole della Ratafià.
L’azienda agricola Praesidium si
trova a Prezza (AQ) in via
Giovannucci 24.
Per informazioni: tel/fax +39
0864 45103
e-mail: [email protected]
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Dove Ovidio e Celestino
regnano ancora
Il racconto di un visitatore d’eccezione:
Francesco Guccini
di Antonio DI Fonzo
ph. Luca Del Monaco
I luoghi dell’anima sono un’invenzione necessaria. Esistono perché da
qualche parte, prima o poi, qualcuno tornerà a cercarli con l’intenzione
dichiarata e manifesta di ritrovarli intatti, proprio come erano stati
immaginati molti anni prima. I luoghi dell’anima vivono di memorie, di
suggestioni, abitano nei ricordi e nei libri. Sono posti di evocazione, di
impressioni e dettagli sfumati, preferiscono i chiaroscuri, vogliono essere protetti e circondati, rimanere separati e appartati, aspettano le nebbie complici che scendono dall’Appennino.
S
i scoprono per caso, magari in un
pomeriggio di novembre, il mese più
propizio, perché l’autunno è una stagione che fa bene il suo mestiere
quando si tratta di creare le atmosfere giuste: piogge sottili, crepuscoli ventosi, nuvole
barocche – come direbbe il poeta - e campagne silenziose. Capita di incontrarli, a volte,
quasi per un capriccio del destino: una passeggiata nel pomeriggio autunnale, ed ecco
che un borgo di pietra, una torre diroccata,
un albero su un poggio, una chiesa sconsacrata improvvisamente catturano la nostra
immaginazione, carezzano le potenzialità
evocative che stavano riposando sonnacchiose dentro di noi. Poi niente, non è che accada qualcosa di particolare lì per lì, non si
avvertono vibrazioni interiori o segni di
auspici; s’immagazzinano le percezioni e si
ripongono nel cassetto e si aspettano tempi
migliori. Ma loro, nel frattempo, i frammenti
di quel paesaggio, si sono stratificati, hanno
preso posto nel fondo del fondo della nostra
coscienza. Quello scorcio di panorama, quella radura verdeggiante o quel sentiero che
guarda la valle diventano lentamente i luoghi
ideali, dove s’intersecano, si ritrovano e si
riconoscono paesaggio e anima. E un bel
giorno, a tradimento, senza nessuna ragione, riaffioreranno in superficie, prenderanno
forma e consistenza: e vorranno essere riconosciuti, rievocati.
C’è un posto cosi alle pendici del monte
Morrone, un posto in cui si rincontrano i luoghi dell’anima di ciascuno di noi. Laddove
nell’immaginario collettivo nel corso degli
anni si sono accumulate memorie storiche e
suggestioni favolose, in quello scorcio di
paesaggio scontroso e roccioso, denso di
testimonianze storiche e archeologiche e –
come si sarebbe detto in altre epoche – di
valenza e simbologia millenaria: qui, tra l’eremo di Celestino V, Pietro da Morrone il papa
renitente, e il tempio di Ercole Curino, la
Villa di Ovidio della fantasia polare, si fanno
gli incontri più straordinari.
È in questa zona di mezza montagna, sopra il
belvedere che si affaccia sulla valle Peligna,
che si trova il posto
delle fragole dove
regnano incontrastati i
fantasmi di Ovidio e
Celestino, i numi tutelari delle nostre terre, i
regnanti di un luogo
immaginario che segna
il confine di appartenenza, oltrepassato il
quale si entra nella loro
giurisdizione. Nessuno
può sfuggire, nessuno
può sottrarsi a questa
legge. Lasciamo la parola ad un visitatore
d’eccezione, Francesco Guccini, che molti
anni fa si è trovato da queste parti, per ragioni, diciamo così, di servizio: era, il nostro,
allievo ufficiale in servizio temporaneo in quel
di Roma e aveva il compito di allestire a Fonte
d’Amore il campo invernale per i suoi commilitoni che sarebbero arrivati di lì a poco. In un
Sant’Onofrio – eremo di San
Pietro
• Sviluppo chilometrico: circa 12 km;
• Dislivello: 850 m;
• Tempo di percorrenza: ore 3.00 in salita, 2.30 in discesa;
• Difficoltà: EE (per escursionisti esperti);
• Cartografia: IGM
Fg 146 II SE (Sulmona),
Fg 146 II NE (Pratola P.),
Fg 147 III NO (Caramanico);
Carta dei Sentieri 1:25.000, Montagne del Morrone, C.A.I.
sez. Sulmona
• Segnaletica: C.A.I., rosso-bianco-rosso, segnavia 6, 6A.
Dall’abitato della Badia si giunge in auto al piazzale (525 m) che si trova a ridosso del sito archeologico del tempio di Ercole Curino. Di fianco al piccolo
chalet si prende un sentiero sterrato che con alcune ripide svolte e qualche tratto con gradini scavati
nella roccia porta velocemente all’eremo di S.
Onofrio (637 m) sorto intorno al 1290.
Lasciandosi alle spalle il cancelletto di ingresso
all’eremo, subito a destra si prende una rampa che
passa sotto alcune grotte e si supera un muretto
roccioso di pochi metri con un facile passaggio di
arrampicata (I grado). Si arriva così su di un largo
e panoramico terrazzo sospeso tra i pilastri rocciosi, subito al di sopra del tetto dell’eremo (645 m).
Seguendo un sentierino e costeggiando alte e verticali strutture rocciose, si entra nel profondo canalone che, provenendo dal basso, lambisce il terraz-
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pomeriggio autunnale sbarca dunque alle
pendici del Morrone. In una situazione apparentemente sconsigliata per lasciarsi andare a
suggestioni evocative. Invece…
Ecco quello che scrive nel suo ultimo libro,
Cittanova blues, una biografia della Bologna
degli anni belli, nel capitolo VI che si intitola –
appunto – “Sulmo mihi patria est”, in cui
ricorda quei giorni. Leggiamo:“Partisti in
compagnia di altri coatti al comando di un
maresciallone. Sulmona era la meta (Sulmo
mihi patria est, perché di latino un poco anco
tu sapevi, il mio fero fers!) e difatti, a poca
distanza dalle baracche che tutti avrebbero
dovuto accoglierci, sorgevano i resti di una
villa romana che si
diceva d’Ovidio (èrasi
poi un volgare templo
ad Ercole dicato). E tu,
preda di inesplicabili
richiami, te ne andavi
ramingo e pensoso
verso quel monte
Morrone lì a due passi
da cui il pio frate eremita Pietro ne fu
distolto per l’Alto
Soglio (…) e ti sentivi
come un romantico
peregrino a visitare i più orridi botri delle Alpi
Germaniche e lì, sullo strapiombo, a sostare
pensoso o a gracchiare per i ruderi che volevi
indovinare di villa romana rincorrendo fantàsime mentre piangevi esilii non tuoi cercando
di ricordare versi latini che sfuggivano, se non
quel fero fers tuli, maledizione di quanti la
lingua latina occorse di masticare”.
zo e prosegue verso l’alto.
Seguendo fedelmente la segnaletica si risale tutto
il canalone fino a quota 855 m, quando la traccia
di sentiero piega a destra per risalire la facile
costa rocciosa che lo chiude sulla sinistra orografica.
Poche decine di metri più in alto, usciti dal canalone, si prosegue in un bosco dapprima fitto che
diviene sempre più rado prima di trasformarsi in
una macchia poco compatta, dove bisogna prestare
attenzione per seguire la traccia del sentiero fino a
1100 m, quando si entra in una pineta.
Dopo un tratto ripido si incrocia una larga sterrata
(1200 m). Qui termina il sentiero N. 6, e arrivati
presso un cartello segnaletico si seguono le indicazioni verso NO in direzione Vicende - Eremo di San
Pietro.
Da qui si raggiunge in poco più di 15 minuti il piccolo eremo di San Pietro (1379 m). Questo, costituito da una povera costruzione in pietra con volta
a botte, risulta essere nulla più di una povera celletta. Una minuscola finestra con strombatura e i
resti di un altarino sempre in pietra, completano
l’architettura semplice del manufatto, ormai ridotto
in condizioni fatiscenti.
La suggestione del sito ove sorge, una propaggine
boscosa che si stacca dal corpo principale della
montagna per affacciarsi con un piccolo cocuzzolo
pelato sulla valle e su un panorama a 360 gradi,
ne fanno una delle mete più belle delle escursioni
al Monte Morrone.
20
Anversa Degli Abruzzi Sistema
museale – centro di documentazione Parco Letterario Gabriele
d’Annunzio Telef. 0864/49364
Apertura: su richiesta
Visite guidate: su prenotazione
Cansano
Parco Archeologico naturalistico
“Ocriticum”
Telef. 0864/40266
0864/40131
apertura: aprile/luglio aperto
sabato e domenica
agosto tutti i giorni
settembre aperto sabato e domenica
visite guidate: su prenotazione
Centro di documentazione
“Ocriticum”
Mostra fotografica sull’emigrazione
apertura: aprile/luglio aperto
sabato e domenica
agosto tutti i giorni
settembre aperto sabato e domenica
visite guidate: su prenotazione
Cocullo
Museo etnografico centro di
documentazione Multimediale
Telef. 0864/49117
Apertura: periodo estivo
Visite guidate: su prenotazione
Corfinio
Area Archeologica “Via Sacra”
Telef. 0864/728100
apertura e visite guidate:su prenotazione
Area Archeologica “Piano
S.Giacomo
apertura e visite guidate:su prenotazione
Lapidarium
apertura: il sabato e la domenica
Visite guidate: su prenotazione
Museo Civico Archeologico
“palazzo Colella”
Apertura: agosto tutti i giorni
dalle ore 16/19,gli altri mesi su
prenotazione
Sabato e domenica tutto l’anno
Visite guidate: su prenotazione
Pacentro
Castello
Telef. 0864/41114
apertura e visite guidate :su prenotazione
Chiostro del Convento dei Frati
Minori Osservanti
aperto tutto l’anno
visite guidate: su prenotazione
Museo dell’Acqua
Visite guidate: su prenotazione
Pettorano sul Gizio
Castello Cantelmo-Centro visite
Riserva naturale monte Genzana
Telef. 0864/487006
Apertura: giugno/luglio/agosto
dalle ore 10 alle 13 e dalle ore
16 alle 20
altri mesi sabato e domenica
dalle ore 10 alle ore 13 e dalle
ore 16 alle 20
Visite guidate: durante l’orario di
apertura
sito internet: www.riservagenzana.it
Pratola Peligna
Museo Etnografico Missionario
Telef. 0864/274743
Apertura: pomeriggio giorni
feriali
Visite guidate: su prenotazione
Museo delle tradizioni contadine
Telef. 0864/274750 c/o pro-loco
Visite guidate: Su prenotazione
Raiano
Eremo San Venanzio
Telef. 0864/72314
0864/726058
apertura: tutti i giorni
visite guidate: su prenotazione
sito internet: www.comune.raiano.aq.it
www.golesanvenanzio.it
Chiostro del Convento degli
Zoccolanti
apertura: da lunedì al sabato,
orario ufficio
visite guidate: su prenotazione
Museo Frantoio “Fantasia”
apertura: sabato, domenica e
periodo estivo su prenotazione
visite guidate: su prenotazione
Scanno
Sistema Museale Museo della
Lana
Telf. 0864/74545
Visite guidate: su prenotazione,
nella stagione turistica tutti i
giorni, nel resto dell’anno il fine
settimana
Sulmona
Museo di Storia Naturale
Telef. 0864/31380
Apertura: tutto l’anno martedì,
venerdì e sabato
Visite guidate: su prenotazione
Sito internet: www.comunitamontanapeligna.it
Villalago
Sistema Museale le Tradizioni del
lavoro
Telef. 0864/740134
Apertura: su prenotazione
Visite guidate: su prenotazione
Nella stagione estiva tutti i giorni
nel resto dell’anno il fine settimana
Vittorito
Chiesa San Michele Arcangelo
Telef. 0864/727135 (parrocchia)
Apertura: su prenotazione
Visite guidate: su prenotazione
21
Un sistema museale per i Peligni
di Antonio Carrara
Presidente della Comunità Montana Peligna
L’ingente patrimonio culturale presente sul territorio è stato oggetto,negli ultimi
anni, di molte iniziative da parte di enti pubblici con interventi di recupero, scavi
archeologici, allestimento di musei e centri di documentazione.
Il restauro dei castelli di Pettorano, Pacentro e Roccacasale; le aree archeologiche
di Corfinio e Cansano; il museo archeologico di Corfinio; il museo di Storia naturale della Comunità Montana; Centri visita legati alle aree protette (Anversa,
Raiano, Pettorano, Pacentro, Campo di Giove); allestimenti museali e centri di
documentazione con una forte connotazione demo-etno-antropologica: il museo
della lana a Scanno, quello sui mestieri tradizionali a Villalago, sul rito dei Serpari a
Cocullo, sulla civiltà contadina a Pratola, il museo etnografico missionario sempre
a Pratola; il recupero di vecchi opifici artigianali: il Frantoio storico della famiglia
Fantasia a Raiano e i mulini a Villalago e Pettorano.
L
’eremo di celestino V e la villa
di Ovidio hanno imposto
anche in questo caso la legge
inesorabile dei luoghi dell’anima.
Se a tutto questo aggiungiamo il Parco
letterario di Anversa, il museo dell’emigrazione a Cansano, alcuni luoghi particolarmente significativi come l’Eremo di
San Venanzio o la chiesa di San Michele
a Vittorito e altre iniziative progettate e
in fase di realizzazione a Introdacqua ,
Prezza, Bugnara, Campo di Giove,
Pacentro, Rocaccasale e Scanno, otteniamo un quadro abbastanza completo
delle risorse presenti e pronte per essere
fruite.
La presenza di questo rilevante patrimonio culturale sul territorio della Valle
Peligna e la necessità di trovare una
forma organizzativa che ne consenta
un’adeguata conservazione, gestione,
valorizzazione e promozione, hanno
spinto la Comunità Montana Peligna e i
comuni che ne fanno parte a promuovere la costituzione di una rete territoriale
in grado di connettere i numerosi musei,
aree archeologiche, castelli, centri visita
e di documentazioni esistenti. Tutti i
comuni hanno sottoscritto con la
Comunità Montana un protocollo di
intesa nel quale sono state fissate le
modalità di partecipazione e gli obiettivi
comuni da raggiungere a breve e lungo
periodo. L’idea è semplice e raccoglie
quanto di meglio è stato fatto in altre
parti d’Italia: lavorare insieme per rendere effettivamente fruibile quanto è stato
realizzato, sapendo che presentare il territorio nel suo insieme significa rafforzare e valorizzare il
lavoro di ognuno.
Abbiamo un patrimonio interessante,
piccoli gioielli che
non sono adeguatamente conosciuti
nemmeno da chi sul
territorio ci vive, ma
per renderli veramente attraenti
abbiamo bisogno di
organizzare l’offerta
complessiva. Per
questo è necessaria
una forma di colla-
borazione anche con il comune di
Sulmona che ospita alcune strutture
museali importanti (il museo civico, il
museo in situ, il complesso museale di
santa Chiara, l’area archeologica di
Ercole Curino) e che dal punto di vista
artistico raccoglie molta parte del patrimonio del territorio.
Il lavoro è avviato, il protocollo d’intesa,
oltre a prevedere gli aspetti organizzativi, traccia una linea di riferimento comune. Procedendo nel percorso condiviso
con i comuni, la Comunità Montana
Peligna sta realizzando un progetto preliminare che dà una prima forma al
sistema museale che abbiamo in mente
e non si limita solo alle strutture museali
in senso stretto. È chiaramente individuabile già un doppio livello d’intervento: da una parte le strutture già funzionanti che dobbiamo
organizzare e valorizzare al meglio e
dall’altra gli interventi di più lungo
periodo che ampliano e potenziano
l’offerta complessiva. È un lavoro difficile ma necessario,
se vogliamo che le
risorse che abbiamo
non rimangano
sempre e solo a
livello di potenzialità.
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Passo San Leonardo. La faggeta in autunno
ph. e testi di Luca Del Monaco
Cacciatori di pace
Passo San Leonardo e dintorni: escursioni,
incontri e visioni sacre
Passo San Leonardo è una sella posta a 1285 metri di
quota situata tra le montagne del Morrone e della Majella.
Si trova nel territorio del comune di Pacentro (AQ), al centro del Parco Nazionale della Majella ed è un perfetto
punto di partenza per molte delle più belle escursioni su
queste montagne dove ogni amante della natura può praticare l’attività a lui più adatta.
’autunno, contrariamente a quanto si pensa, è proprio uno dei migliori periodi dell’anno per visitare questi posti. Il ridotto afflusso turistico,la pace, il silenzio che avvolge questi luoghici immergono in un’atmosfera di sacralità; gli unici rumori ad accompagnare il visitatore
durante le sue passeggiate sono quelli prodotti dal calpestio delle
foglie secche e dello sferzare del vento. Non a caso la Majella è conosciuta
anche come la “montagna sacra” o “il piccolo Tibet”, sia per le sue caratteristiche geomorfologiche che per il numero di eremi.
La maggiore attrattiva di questa stagione è senza dubbio il bosco con il suo
esplodere di colori, di profumi e sapori che stuzzicano i sensi anche del visitatore più distratto. Il sottobosco non mancherà di ricompensare la vostra fatica
con la bellezza dei fiori di ciclamino o di crocus.
L’aria autunnale sempre più fredda e sempre più limpida enfatizza l’intensità
dei colori e facilita l’osservazione di tutte le sfumature cromatiche delle foglie.
L’ atmosfera ovattata che ci aiuta nell’osservazione del paesaggio ci offre, inoltre, maggiori possibilità di osservare animali come i cervi in amore o le volpi in
cerca di scorte per l’inverno che per motivi diversi sono in questo periodo più
confidenti verso gli uomini.
Passo San Leonardo è sicuramente uno dei migliori punti di partenza per gli
amanti del trekking.
Da qui si può scegliere di partire per il Morrone dove comode escursioni come
quella della “Passeggiata delle signore” porta in splendidi punti di osservazioni panoramici sulla Valle Peligna.
Ovviamente numerosi sono anche i sentieri che salgono sulla Majella e tutti gli
itinerari di questo massiccio richiederebbero più di una settimana per poter
essere completati. Dalla sella partono molte vie verso Monte Amaro che con i
suoi 2795 m è la vetta più alta di questa montagna. Si tratta di percorsi impegnativi, ma nulla vieta di affrontarne solo un tratto. Si può per esempio salire
fino al limite del bosco e raggiungere fonte dell’Orso a ridosso della conca di
Fondo Majella con una salutare passeggiata di un paio d’ore per poi discendere.
Nella adiacente riserva naturale di Lama Bianca anche i portatori di handicap
possono godere delle bellezze della natura. Qui sono stati realizzati alcuni sentieri e strutture ricreative utilizzabili da tutti. I sentieri che si inoltrano nella faggeta sono a bassa pendenza, hanno percorsi lineari, segnaletica in braille per
non vedenti e sono tutti delimitati da una staccionata.
Se non si è interessati al trekking, basta semplicemente fare una passeggiata
a piedi nei prati o nella faggeta. Le capanne a Tholos, strutture in pietra a
secco costruite da pastori e contadini come ripari che ricordano i trulli pugliesi e i nuraghe sardi, nei colori autunnali appaiono ancora più romantiche.
L’autunno è anche il momento in cui la natura ci regala frutti ottimi e ricercati.
È il periodo in cui si possono raccogliere bacche di rosa e di biancospino per
confezionare delicate marmellate, bacche di ginepro utili per aromatizzare
arrosti o per preparare distillati. Gli amanti dei funghi, se le condizioni del
tempo lo permetteranno, potranno riempire i loro cestini con una grande
varietà di specie.
Gli appassionati delle due ruote possono noleggiare presso la struttura del
Centro turistico San Leonardo Mountain Bikes o Tandem Bikes e percorrere i
sentieri che si snodano nella faggeta o la panoramica strada che passando
par Fonte Romana si dirige verso Campo di Giove costeggiando lo splendido
massiccio della Majella.
La struttura di Passo San
Leonardo è un ottimo punto di
Hotel Ristorante Celidonio
appoggio. Qui oltre che man67039 Pacentro (AQ)
giare specialità locali è possibiTelefono & Fax +39.0864.41.138 le dormire, ma anche praticare
(+39.0368.35.18.560)
il tiro con l’arco ed avvicinarsi
www.sanleonardo.com
alla pratica dell’orienteering. E
[email protected]
se tutto questo non bastasse,
Curiosità
aspettate il calar del sole, il rinOrientering: attività che prevede l’esplorazione
corrersi dei colori in un tramondel territorio mediante l’uso di cartine topografito lento e indescrivibile. È il
che e di una bussola per ritrovare dei punti presaluto intimo ed estroso di un
stabiliti. Può essere affrontata sia come sport
giorno che, tra i monti, trova il
competitivo che come una piacevole attività da
suo riposo.
svolgere all’aria aperta.
L
Info
In Mountain bike
Sulmona - Campo di Giove Passo S. Leonardo
Lunghezza: 55 km (andata e ritorno)
Quota di partenza e di arrivo: 405m
Quota massima: 1282 m
Pendenza media: 4.4%
Tempo: 2 h circa
Difficoltà: media
Tipico percorso ad anello, che si può fare anche solo
fino a Campo di Giove.
Si parte dal Cimitero di Sulmona con un falsopiano di
circa 5 km che si può affrontare con un rapporto abbastanza grande. Non è però consigliabile forzare perché
la salita è ancora lunga.
Dopo un decina di minuti si arriva ad un bivio nel quale
si gira a destra seguendo l’indicazione per Cansano.
Qui la strada inizia a salire ed è necessario prendere il
ritmo da subito perché le pendenze più impegnative si
affrontano proprio in questa prima parte. Si supera un
piccolo ponticello e si prosegue con un rapporto agile
per un lungo tratto quasi rettilineo e del tutto ombreggiato.
Proseguendo la strada diventa più tortuosa e una serie
di curve e di tornanti che seguono il pesante rettilineo
lasciano respirare. Infine si arriva su un breve falsopiano
che immette poi nelle ultime due rampe che portano a
Cansano.
Si prosegue verso Campo di Giove attraverso una fitta
boscaglia. Le pendenze più dure sono ormai superate.
Dopo un piccolo ponte si lascia l’ombra del bosco e si
affronta un lungo tratto allo scoperto dove gli ostacoli
maggiori sono il sole e il vento. Infine, dopo circa un’ora, la strada si inerpica di nuovo in un tratto di bosco
per arrivare a Campo di Giove. Superata la piazza del
paese si prosegue per Passo S. Leonardo e per
Caramanico Terme seguendo le indicazioni.
Si affronta una ripida ma breve discesa e alcuni chilometri con discrete pendenze. Ancora un piccolo sforzo
e si arriva ai 1282 metri di Passo San Leonardo. Qui la
Maiella ed il Morrone offrono uno splendido scenario e
ricompensano dello sforzo compiuto. Si può tornare a
Sulmona proseguendo in discesa verso Pacentro (poco
dopo il bivio si incontra una fontana con acqua freschissima). Attenzione però alla strada, per gli inconvenienti dovuti ai possibili sassi caduti sulla carreggiata e
al fondo sconnesso dell’asfalto in alcuni tratti.
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Agenda di stagione
2425
festetradizionali
Cansano
Benedizione dei pani di S.Nicola
6 Dicembre
Info: Comune, tel. 0864.40131, e-mail:
[email protected]
Prezza
S.Lucia
13 Dicembre
Info: Comune, tel. 0864.45138-45325 ,email: [email protected]
Villalago
Processione di sub
Fine Dicembre
Info: Comune, tel. 0864.740134, e-mail:
[email protected]
Pettorano
Serenata di Capodanno con questua
31 Dicembre
Info: Associazione De Stephanis
www.pettorano.com
Festa dalle radici molto antiche. Le pagnottelle, ottenute con pasta di
pane speziato ai semi di anice, vengono portate nelle chiesa di san
Nicola per essere benedette e poi distribuite. Il rito consisteva nel
pesare prima la donna che offriva il pane e poi il pane offerto: quest’
ultimo doveva essere di peso maggiore.
La leggenda vuole che Santa Lucia sia morta a Prezza e le sue spoglie
rimasero lì fino al X secolo. Santa Lucia si festeggia con messa solenne e processione per le vie del paese. In casa si preparano i “Pani”:
pasta all’uovo zuccherata con aggiunta di anice, a forma di occhi, a
ricordare il martirio della Santa.
Nel periodo natalizio si svolge una processione di sub, nelle acque
del bacino di S. Domenico. Qui viene deposta una rappresentazione
della natività.
L’antica tradizione del canto di questua, rivive nella forma in uso dal
1925 con un canto augurale composto per l’occasione. Anche quest’anno il “concertino di Capodanno” si avvale della collaborazione di
Michele Avolio e dei Discanto.
teatro
Pratola Peligna
Teatro comunale “D’Andrea”
Pinocchio
12 Dicembre
Info: Comune, tel. 0864.274141/2/3/4.
Teatro “Florian”, tel. 085.4224087,
e-mail: [email protected]
Sulmona
Teatro comunale “Maria Caniglia”
Serata d’addio
10 Dicembre
info: ufficio informazioni turistiche Sulmona
tel. 0864.210216
a cura del Teatro Del Canguro di
Ancona.
Con Nicoletta Briganti, Renato Patarca, Lara Giancarli, Umberto
Ronzi. Regia: Lino Terra. Musiche: Gustavo Capitò. Organizzazione:
“Florian” Teatro di Pescara.
RASSEGNA DI TEATRO PER RAGAZZI
Serata d’addio, con Paolo Villaggio. Regia: A.Buscemi.
Prenotazioni a partire dal giorno 8 dicembre.
Villaggio mette in scena la disperazione, la ribellione e la solitudine di un
uomo accompagnato dalla sua inconfondibile carica comica e grottesca.
Tre atti unici tratti dalle opere di due maestri del teatro: Il fumo che uccide
(ispirato a Il tabacco fa male di Anton Cechov); Una vita all’asta (tratto da Il
canto del cigno di Cechov); L’ultima fidanzata (ispirato a L’uomo dal fiore in
bocca di Luigi Pirandello).
arte
Pratola Peligna
Palazzo Colella
Nestore Presutti
Risonanze di un mondo perduto
2-20 Dicembre
«... Il viaggio coinvolge tutti i sensi: il frinire delle cicale, il gusto dolce dell’uva, la pelle che brucia a contatto delle spighe bollenti che tagliano le mani dei
meititori; il riverbero forte del sole brucia gli occhi e il vento trasporta, acre,
l’odore della fatica. Non c’è dolcezza nei visi dolenti e severi di uomini e
donne contadini, pastori, lavoratori; ma la dolcezza la ritrovi nei colori che
degradano nei toni: il rosso si fa rosa, l’azzurro sfuma in un celeste che abbaglia nella sua luminosità, il verde diventa tenero nei fili d’erba e il giallo si sfinisce nel bianco...».
Orario di apertura Tutti i giorni1000-1300 / 1600-2000
Lo scaffale
musica
Sulmona
Teatro Comunale “M. Caniglia”
Ivano Fossati
in concerto
1 - 2 Dicembre
(info: Nomadi Fans Club, tel. 0864.52224, cell.
389.9737620)
Sulmona
CAMERATA MUSICALE SULMONESE
Auditorium dell’Annunziata
Teatro comunale “Maria Caniglia”
26 Novembre - 26 Dicembre
concerti
(Info: tel. 0864.212207, sito internet:
www.cameratamusicalesulmonese.it)
Ivano Fossati, in concertoParte da Sulmona la tournée invernale di
Ivano Fossati, ridisegnati per gli spazi e le atmosfere avvolgente dei teatri. Due ore di musica, sentimento, riflessioni e speranze in uno spettacolo intenso e vigoroso tra nuove canzoni (come Il battito per la prima
volta suonata dal vivo) e storici successi, nella cornice scenografica curata dal pittore livornese Dario Ballantini.
1 dicembre concerto riservato agli studenti.
26 Novembre, ore 17,30 – Auditorium dell’Annunziata
Chicago Gospel Group High Spirit
Gospels, Spirituals, Folk Songs
3 Dicembre, ore 17,30 - Auditorium dell’Annunziata
Giuseppe Andaloro, pianoforte – 1° premio Concorso Internazionale
“F. Busoni”
Musiche di: Mozart, Guck, Beethoveen, Franck
10 Dicembre, ore 17,30 - Auditorium dell’Annunziata
Hector Ulises Passerella, bandoneòn
Musiche di: Santorsola, Bach, Gardel, Piazzolla, Bacalov, Passarella
17 Dicembre, ore 17,30 – Teatro comunale “Maria Caniglia”
Orchestra sinfonica nazionale di Bucarest – Direttore: Gorge
Costin
N. Rimsky-Korsakov: Sherazade
M.Mussorsgkji (Revel): Quadri di una esposizione
26 Dicembre, ore 17,30 – Teatro comunale “Maria Caniglia”
Balletto nazionale rumeno dell’Opera di Timisoara
Giulietta e Romeo: balletto in tre atti di S.Radlov e S.Prokofiev
(prenotazione obbligatoria)
altrieventi
Sulmona
Casa di reclusione
Diario di un gatto con gli
stivali
11 Dicembre, ore 17,00
info: Agenzia Promozione Culturale, tel.
0864.34833, e-mail: [email protected])
Sulmona
Sala del consiglio comunale
Presentazione del libro
Memorie storiche dei Peligni
02 Dicembre, ore 17,00
info: Agenzia Promozione Culturale, tel.
0864.34833, e-mail: [email protected])
Sulmona
Sala del consiglio comunale
Premio “Giuseppe
Capograssi”
Presentazione del Diario di un gatto con gli stivali, CD contenente la lettura, da parte di 15 reclusi, delle favole ‘rivisitate’
tratte dall’omonimo libro di Roberto Vecchioni, presente alla
manifestazione.
L’iniziativa, promossa dall’Agenzia di promozione culturale di
Sulmona, dalla Comunità Montana Peligna e dalla Casa di
reclusione, si inserisce in un progetto che impegna l’Unione
Italiana Ciechi nella realizzazione della Biblioteca nazionale del
libro parlato.
Deputazione Abruzzese Storia Patria
presentazione del libro Memorie storiche dei peligni di E.De Matteis;
manoscritto a stampa
d’inizio ’800.
partecipano E. Mattiocco, G. Papponetti, W. Capezzale.
Premio “Giuseppe Capograssi”, XXVI edizione: consegna del premio al
filosofo Antonio Delogu.
Partecipano G.Conso, G.Vassalli, N.Borsellino, Savarese.
09 Dicembre, intera giornata
info: Agenzia Promozione Culturale, tel.
0864.34833, e-mail: [email protected])
NOTA: Alcune date potrebbero subire variazioni. È consigliabile verificare in anticipo telefonando agli indirizzi indicati o collegandosi al
nostro sito www.abruzzoeappennino.com.
I libri di questo numero in ordine di
apparizione.
Halloween. Nei giorni che i morti ritornano di F. Baldini e G. Bellosi,
Einaudi,2006
Il Morandini. Dizionario dei film. 2001,
Zanichelli.
Capetièmpe. Capodanni arcaici in area
peligna di V. Monaco, Synapsi 2004
Canti di Castelvecchio di G. Pascoli,
Rusconi 2004.
Buono, pulito e giusto di C. Petrini,
Einaudi 2005
Storia dei colori di M. Brusatin, Einaudi
1999
La favola pitagorica di G. Manganelli,
Adelphi 2005
L’olio 2006. Il libro guida degli oli
d’Italia, Bibenda 2006
L’Abruzzo del vino. Storia e caratteristiche di un territorio, Bibenda 2004
Ovidio. L’arte di amare, Mondadori 1991
Ovidio. Rimedi contro l’amore, Marsilio
1986
Due papi per un giubileo. Celestino V,
Bonifacio VIII e il primo anno Santo di C.
Frugoni, Rizzoli 2000
Cittanovablues di F. Guccini, Mondatori
2004
Il Museo diocesano di A. Colangelo, E.
Mattiocco, E. Giovacchini, Synapsi 2006
Ocriticum. Frammenti di terra e di cielo a
cura di R. Tuteri, Synapsi 2005
Pietre sacre di G. Berengo Gardin, Carsa
1999
Paesaggi. Landscapes di F. Fontana e M.
Giacomelli, Gribaudo 2003
Riflessioni: Pescara. La città di Luciano
D’Angelo di L. D’Angelo, LD editore 2003
Mountain Bike in Abruzzo di D. Roggiero,
Ed. Il lupo
Mountain Bike nel Parco d’Abruzzo di G.
Cappellari, Ed. Il lupo 2005
Abruzzoèappennino
la rivista dell’appennino abruzzese
abruzzoeappennino.com