Capetièmpe: dove tutto ha inizio
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Capetièmpe: dove tutto ha inizio
è ABRUZZO appennino 01/06 rivista trimestrale dell’appennino abruzzese spedizione in abbonamento postale Abruzzo, terra di tartufi. L’eredità e il futuro di una passione antica. Presidium. Da una grotta di Prezza il segreto di un grande vino Percorsi Come un viaggio in terra d’Abruzzo I luoghi dell’anima Dove Ovidio e Celestino regnano ancora Un sistema museale per i Peligni Sport natura Cacciatori di pace Capetièmpe: dove tutto ha inizio è ABRUZZO appennino la rivista dell’appennino abruzzese autunno sommario abruzzoèappennino Link Turismo 22 Ratafia Editoriale è ABRUZZO appennino rivista trimestrale dell’appennino abruzzese spedizione in abbonamento postale numero 0 anno 2006 in attesa di registrazione 5 La tovaglia Halloween: La notte delle streghe Comunità Montana Peligna Halloween. Nei giorni ch i morti Storia di copertina Capetiempe. dove tutto ha inizio ritornano Tartufi: dai Sumeri a Dumas I riti, il significato, la festa. Prima, molto prima di Halloween ’ 7 Progetto grafico Andrea Padovani Colori e sapori La zucca regina, il novello e le castagne ci preparano ai primi freddi. 13 Dove Ovidio e Celestino regnano ancora 17 Dove Ovidio e Celestino regnano ancora 20 Trekking I musei Agenda di stagione Teatro Musica Feste e tradizioni Arte Altri eventi email [email protected] Redazione Antonio Di Fonso Luca Del Monaco Riziero Zaccagnini Massimo Colangelo Fotografia Luca Del Monaco Hanno collaborato Franco Avallone Carmela Di Cesare Vittorio Monaco Antonio Carrara Enzo Pasquale Angelo Santilli Sport e natura Cacciatori di pace 21 010 Abruzzo, terra di tartufi. L’eredità e il futuro di una passione antica 015 Praesidium Da una grotta di Prezza il segreto di un grande vino iprotagonisti 013 Colori e sapori. La zucca, il novelo e le castagna ci preparano ai primi freddi. 09 Due ricette con la zucca abruzzoeappennino.com Sviluppo sul web Federico Bonasia 021 Sport e natura. Passo San Leonardo e dintorni: escursioni, incontri e visioni sacre © Copyright 2006 - Abruzzo Appennino progetto per lo sviluppo dell’Abruzzo interno 23 In bici Luoghi dell’anima Ufficio Stampa Via Debeli 20 Sulmona 67039 (AQ) tel. 0864.31199 fax 0864.206420 Il mese dell’olio Itinerari Percorsi Progetto Editoriale Massimo Colangelo Baccalà in agrodolci 021 Mountain bike: Passo san Leonardo Campo di Giove Sulmona 23 24 25 26 26 26 4 L’editoriale Abruzzo è Appennino nasce con un obiettivo semplice: raccontare un territorio attraverso la voce dei suoi protagonisti. Una scelta che sottintende un’idea precisa della comunità in cui abitiamo, viviamo e lavoriamo, dove le nostre identità, le nostre vocazioni trovano riconoscimento e cittadinanza e, qualche volta, addirittura, nei casi più ostinati, provano a farsi progetto di sviluppo, ipotesi e prove di futuro. 4| abruzzoèappennino Diceva qualcuno che raccontare significa avere uno sguardo particolare sul mondo, uno sguardo curioso e partecipe che ha origine molto spesso proprio dalla terra in cui si è nati: ed è un po’ questa la chiave di lettura, il senso – se la parola non si carica di significati eccessivi - editoriale del nostro lavoro. Assumere un punto di vista particolare, uno sguardo di amorevole e complice curiosità, e partire quindi alla scoperta della terra dei Peligni – quella che i cultori della lessicografia più istituzionale chiamerebbero “cuore dell’Abruzzo interno”: una comunità da sempre protagonista di aspettative e progetti di rilancio (economico, turistico, sociale) e candidata a rappresentare un luogo di eccellenza ambientale, culturale e paesaggistico tra i più suggestivi e connotati d’Italia. Questa terra, ed è la nostra piccola ma tenace convinzione, ha molte storie da raccontare che meritano di essere ascoltate, ha bisogno di parole e immagini che sappiano disegnarne il profilo, scolpirne i tratti, riscoprirne i gesti e le movenze, le antiche lentezze e le più inaspettate e veloci trasformazioni, e magari fermarne per un istante quella bellezza nobile e popolare che da sempre ne è il tratto distintivo. I borghi e i paesaggi, le tradizioni, la cultura e la memoria, ma anche l’economia e le vitalità imprenditoriali, il dinamismo di un territorio: sono loro i protagonisti, i testimoni di questa narrazione a cui daremo voce e immagine, sintassi e luce. www.abruzzoeappennino.com Così, in questo numero, ascolteremo i racconti delle feste di ‘Capetiempe’, il luogo simbolico e magico del tempo che rappresenta infondo l’eterno ritorno alle nostre origini, da cui tutti noi, compresi i più distratti e cosmopoliti, siamo un giorno partiti. Seguiremo i percorsi del turismo culturale e ambientale, rivivremo il viaggio avventuroso e affascinante della cultura contadina, di una civiltà che serba le sue memorie, ma nello stesso tempo prova a farsi progetto d’impresa, risorsa economica. Vedremo – è proprio il caso di dirlo – da vicino i luoghi dell’anima, i colori cangianti dell’autunno; entreremo nel sistema museale del territorio peligno; ci lasceremo guidare dalle suggestioni di un sapore; ci inerpicheremo sulle imprevedibili piste di cacciatori di solitudini e di spazi – ancora – incontaminati. Abruzzo è Appennino è una rivista di racconti, di viaggi reali e immaginari, di percorsi e suggestioni, ma è pure una agenda di notizie utili, uno strumento di servizio con indicazioni e riferimenti di immediata fruibilità, un veicolo agile di diffusione che naviga sulle scie dei nuovi media e della comunicazione via internet. È utile ricordare che la rivista si colloca dentro un sistema più ampio di comunicazione - un progetto pensato e sostenuto dalla Comunità Montana Peligna - costituito di una versione on line e di un sito aggiornatissimo (www.abruzzoeappennino.it) con informazioni turistiche e segnalazioni di eventi e manifestazioni in diretta dal territorio. Non resta molto altro da aggiungere. Solo augurarvi una buona lettura, con – se possibile – la stessa attenzione e partecipe curiosità che ha animato quanti hanno scritto e lavorato alla riuscita di questo numero. 5 abruzzoèappennino |5 fotografia Luca Del monaco 24 ottobre 2006 Conversazione con Vittorio Monaco Intervista di Antonio Di Fonso 7 Capetièmpe: dove tutto ha inizio I riti, il significato, la festa. Prima, molto prima di Halloween L’autunno è veramente l’inizio di tutto. È la stagione in cui la terra si addormenta, prima dell’inverno, in attesa della rinascita primaverile; nei suoi giorni brevi la luce del sole diminuisce d’intensità, le ombre della sera scendono presto e gli uomini ne avvertono la presenza con inquietudine: è allora che si sente più forte la mancanza di luce e calore. F orse è per questo che nascono i riti, le manifestazioni corali di quella che un tempo si chiamava la civiltà contadina: per propiziare il ritorno della luce, per continuare a tramandare la vita, per scacciare la paura della morte. Forse sono nati così quelli che si chiamano i riti di Capotempo, il Capetièmpe della Valle Peligna, quel continuum celebrativo che va dalla commemorazione dei defunti al momento della fine dell’annata agraria, dal 31 ottobre, vigilia di Ognissanti, all’11 novembre, giorno di San Martino. Un periodo magico e sacro, intriso di religiosità e paganesimo, in cui ballano insieme la vita e la morte, affiorano tradizioni e consuetudini millenarie, eppure, miracolosamente, rivissute ogni volta con rinnovata passione. Nella tradizione contadina questo momento del calendario era un vero e proprio capodanno, un importantissimo spartiacque stagionale e agrario. Negli ultimi tempi con la festa di Halloween ha trovato una sua versione, per così dire, commerciale, ed è divenuto uno dei momenti più attesi dell’anno, almeno per le giovani e giovanissime generazioni. Abbiamo chiesto a Vittorio Monaco, studioso appassionato e profondo conoscitore delle culture antropologiche del nostro territorio, autore tra l’altro di un libro dedicato ai riti di Capetièmpe, di aiutarci a capire meglio il significato e le origini di queste feste. Tutto comincia da Capetiempe, allora. «Questo periodo dell’anno andava sotto il nome di Capotempo. I riti che vi si praticavano, legati al ricordo dei morti, erano a tutti gli effetti riti di capo d’anno e si svolgevano nei primi giorni di novembre». Una religiosità contadina che in seguito viene battezzata, per così dire, dal cristianesimo. «La distinzione tra paganesimo e cristianesimo è estranea al contadino. Perché egli vive la sua religiosità come un comples- so unitario, in cui i riti e le manifestazioni sono tutt’uno con la loro dimensione naturale. E il messaggio cristiano viene accolto all’interno di questa dimensione: vive nel rapporto organico dell’uomo con la natura. La cultura contadina esprime un cristianesimo popolare che non segna uno stacco netto dai riti religiosi pagani. Saranno la figura di Gesù e la pìetas di cui egli si fa portatore ad essere riconosciuti e a facilitare il processo di identificazione con il cristianesimo». Per quali ragioni? «Gesù è colui che soccorre, il gran soccorritore, ma è anche colui che tocca il fondo di ogni umana sofferenza e raggiunge il punto oscuro del dolore. Il contadino vive un’esistenza di sofferenze e privazioni: riconosce il proprio dolore nel dolore incarnato dalla figura di Gesù. E Gesù chiama l’uomo ad identificarsi nel dolore, inducendo al pathos e quindi al soccorso, in una parola alla pietas. E anche la resurrezione assume un significato e una dimensione fitomorfica, naturalistica: è dentro il ciclo naturale della vita, è il seme che rinasce e diventa grano». Il culto dei morti si celebra proprio nei giorni di Capetièmpe. «Una religiosità naturalistica come quella che abbiamo decritto, assume implicazioni anche utilitaristiche: coltivo i morti perché siano propizi al raccolto. Per accrescere il vigore della natura attraverso i riti, dunque. Nella mentalità popolare arcaica la natura è un organismo vivente e l’uomo è un essere ctonio, una forza sotterranea che nasce dalla terra e ...il mondo esiste da sempre, non è stato creato né dagli uomini né dagli dei... [Link] La tovaglia Le dicevano: - Bambina! che tu non lasci mai stesa, dalla sera alla mattina, ma porta dove l’hai presa, la tovaglia bianca, appena ch’è terminata la cena! Bada, che vengono i morti! i tristi, i pallidi morti! Entrano, ansimano muti. Ognuno è tanto mai stanco! E si fermano seduti la notte intorno a quel bianco. Stanno lì sino al domani, col capo tra le due mani, senza che nulla si senta, sotto la lampada spenta. E` già grande la bambina: la casa regge, e lavora: fa il bucato e la cucina, fa tutto al modo d’allora. Pensa a tutto, ma non pensa a sparecchiare la mensa. Lascia che vengano i morti, i buoni, i poveri morti. Oh! la notte nera nera, di vento, d’acqua, di neve, lascia ch’entrino da sera, col loro anelito lieve; che alla mensa torno torno riposino fino a giorno, cercando fatti lontani col capo tra le due mani. Dalla sera alla mattina, cercando cose lontane, stanno fissi, a fronte china, su qualche bricia di pane, e volendo ricordare, bevono lagrime amare. Oh! non ricordano i morti, i cari, i cari suoi morti! - Pane, sì... pane si chiama, che noi spezzammo concordi: ricordate?... E` tela, a dama: ce n’era tanta: ricordi?... Queste?... Queste sono due, come le vostre e le tue, due nostre lagrime amare cadute nel ricordare! GIOVANNI PASCOLI Halloween: la notte delle streghe - di John Carpenter, con Jamie Lee Curtis, Donald Pleasence, Nancy Loomis. Illinois, 1963, vigilia di Ognissanti (31 ottobre). Quindici anni dopo aver commesso un omicidio, uno psicopatico esce dal manicomio, ruba un’auto, ritorna sul luogo del delitto e fa una strage. Perfetta macchina per mettere spavento, il 3° film di J. Carpenter, autore anche delle musiche, è un lucido esercizio di regia, un meccanismo di pura suspense mescolato all’horror che non gioca sullo statuto onirico del cinema come Wes Crafen e altri. Per lui il cinema, la realtà e l’horror coincidono. Scritto – con Debra Hill, anche coproduttrice – in 10 giorni, girato in 3 settimane, costato 300.000 dollari, fu il 1° successo pubblico di Carpenter. Halloween Dolcetto o scherzetto? La prima guida completa, appassionante come un romanzo, per non perdere la bussola nei giorni che vanno dalla vigilia di Ognissanti a San Martino. Perché ci sarebbe davvero da confondersi, argomentano Baldini e Bellosi. La piú nuova delle feste non ha affatto un cuore «americano». Viene dall'Italia, e dall'Europa, dei tempi piú profondi. Un viaggio suggestivo e colto, approfondito regione per regione, nel folklore, e nel mare di racconti terrificanti, da cui nasce Halloween. Bambini mascherati ovunque, feste a tema, film per adolescenti: Halloween è diventata negli ultimi anni un appuntamento quasi scontato. E c'è chi parla di «colonizzazione culturale». Ma com'era la festa di Halloween prima che diventasse Halloween? Si tratta di una moda importata dagli Usa, o di una tradizione millenaria? Baldini, scrittore che mette in scena incubi di oggi che vengono però da mondi arcaici, torna alla sua vocazione di antropologo e insieme a Bellosi, studioso del folklore, racconta la piú misteriosa delle nuove festività, attraverso una immersione rigorosa nello sterminato repertorio della nostra cultura popolare. Il viaggio di Baldini e Bellosi continua regione per regione nella seconda parte del libro, offrendo il piú completo catalogo italiano delle tradizioni relative ai «giorni che i morti ritornano». torna alla terra. Così, si alimentano i morti per continuare ad alimentare la terra, la natura, in un moto circolare che è quello eterno del ciclo biologico. E Capetièmpe rappresenta il capo d’anno delle stagioni, dell’alternarsi naturale delle stagioni». La linea circolare del tempo. Che cosa significa? «Le stagioni si alternano in modo circolare (semina, fioritura, raccolta e di nuovo semina): la loro vicenda è scandita secondo il movimento del moto degli astri che tornano eternamente, di ciclo in ciclo, al punto di partenza. È una manifestazione di eternità, l’eternità è questo cosmo. Pensiamo a Eraclito: il mondo esiste da sempre, non è stato creato né dagli uomini né dagli dei. L’eternità è la grande madre generatrice, a cui si affianca la piccola madre, il cui organo genitale si chiama natura, e la natura è alma mater, colei che dà appunto la vita. Pensiamo ai culti dedicati alla Madonna, laddove la figura di Maria nella ritualità popolare ha sostituito Giunone e Cerere, simboli della fertilità e delle messi». Veniamo ai simboli del Capetièmpe. Un corredo tipico sono le zucche, ma anche crani, candele, corna e questua. Una ritualità spesso irridente, in cui il doppio senso giocoso e l’osceno si mescolano al sacro. «È la parodia, il gioco del rovesciamento in cui c’è l’irriverenza contro la cultura alta, ma non si rintraccia la dissacrazione profana né blasfema. La sede della divinità generatrice è negli organi genitali che sono anche simbolo di fertilità e forza vitale: sono loro che alimentano la vis generativa della natura, insieme alle divinità ctonie (il sottosuolo, il seme) e a quelle superiori (il cielo, la pioggia, ecc.). I riti dissacrano la dottrina dei chierici e dei letterati, ma celebrano la potenza della natura. Basti pensare a San Martino, giorno di baldoria in tutti i suoi aspetti formali e alimentari, e al significato della figura del santo protettore dei cornuti e, più in generale, della potenza, vis appunto, generatrice». Come viene vissuto oggi Capetièmpe? Fenomeno culturale, riassunto folklorico di aneddoti e gestualità perdute, antenato della più celebrata Halloween? «La cultura che ha generato i riti antropologici, quell’insieme di classi subalterne che appartenevano alla civiltà preindustriale, non c’è più. Quel mondo è finito prima del boom economico degli anni sessanta. Oggi abbiamo il popolo fruitore, la massa, la moltitudine indifferenziata di individui di ogni ceto e cultura: la gente, the people. L’impegno, allora, delle istituzioni e anche degli artisti in generale sarà quello di offrire questi riti in una forma che non si limiti solo allo svago, al divertimento sradicato e inerte; ma faccia in modo di ricostruire una memoria, in un incontro con una cultura di valori degni di essere riflettuti, considerati e riproposti come interlocutori della modernità. Anche Halloween mi sta bene in questo senso. A patto che si abbia la consapevolezza che la tradizione che arriva dagli Stati Uniti è una tradizione di ritorno: che è l’Europa - e l’Italia - il luogo originario. E il significato, la parola italiana di Capotempo, usata già da Ludovico Ariosto nell’Orlando Furioso, d’altra parte, conserva ancora il senso del capodanno, del capodanno celtico, che, non va dimenticato, cadeva il 31 di ottobre». Il nostro incontro finisce qui. Abbiamo solo il tempo di commentare l’uscita del libro Halloween. Nei giorni che i morti ritornano, appena pubblicato da Einaudi. Un viaggio dentro le tradizioni popolari regione per regione, in cui l’Abruzzo e in particolare la Valle Peligna - e il libro di Vittorio Monaco - occupano un posto di primo piano. Una bella iniziativa, un’importante casa editrice, una collana giovane e dinamica: una immersione nel patrimonio folklorico, in quello sterminato repertorio alla ricerca della Halloween prima di Halloween, e che conduce al punto di partenza, dove tutto è cominciato, direttamente a Capetièmpe. 9 Torta di riso con zucca Per 4 persone. Pulite 300 g di zucca e riducetela in dadini. Cuocetela in padella con 2 cipollotti tagliati a fettine, 4 cucchiai di olio e un mestolino d’acqua, finché risulterà tenera ma non sfatta. Mettete in una terrina 400 g di riso lessato, 100 g di erbette cotte, strizzate, tagliuzzate e mescolate con un cucchiaio di foglie di maggiorana, 2 uova, 2/3 della zucca cotta, 40 g di parmigiano grattugiato, un pizzico di noce moscata grattugiata e una presa di sale. Versate il composto in una teglia unta con olio extravergine d’oliva e mettete in forno preriscaldato a 200 gradi. Sformate la torta di riso su di un piatto piano e decorate con la zucca rimasta e qualche fogliolina fresca di maggiorana. Gnocchi di zucca e ricotta (o tartufo) Per 4 persone. Tagliate a dadini 1 kg e mezzo di zucca e lasciateli appassire sul fuoco molto basso in modo che perdano completamente l’acqua. Frullate la zucca cotta insieme a 2 tuorli d’uovo, 1 albume e 5 cucciai di farina. Portate ad ebollizione dell’acqua salata in una pentola capiente e, con l’aiuto di un cucchiaino da caffè, prelevate un po’ di composto gettandolo nell’acqua bollente. Quando tutti gli gnocchetti saranno venuti a galla, scolateli e disponeteli in un vassoi unto con olio extravergine d’oliva. Per servirli, dovete nuovamente gettarli in acqua in ebollizione e poi scolarli disponendoli in fondine già calde. Conditeli con burro fuso e abbondante ricotta affumicata grattugiata. Al posto della ricotta, si può usare il tartufo bianco o nero. fotografia Luca Del Monaco 24 settembre 2006 Abruzzo terra dei tartufi intervista di Riziero Zaccagnini con Angelo Santilli 11 Abruzzo, terra di tartufi L’eredità e il futuro di una passione antica Quando in redazione abbiamo deciso di dedicare un articolo al tartufo d’Abruzzo, l’immagine di un vecchio cercatore e del suo cane a passo lento tra boschi e radure si è subito insinuata nella mente. Poi abbiamo incontrato Angelo Santilli, trentaseienne di Castelvecchio Subequo, da quattro anni titolare, assieme alla moglie, di un’azienda che a Sulmona lavora e commercializza i tartufi. Una piacevole sorpresa che ci ha incuriositi. E così, prima di farci raccontare la sua storia, abbiamo chiesto a lui di presentarci il ‘nostro’ tartufo. « Dai racconti che ho potuto ascoltare personalmente nel corso degli anni - ci dice Angelo - i vecchi pastori trovavano queste ‘patate nere’ e cercavano di capire cos’erano, dandole come cibo al bestiame che lo rifiutava oppure friggendole in padella con pessimi risultati. Non sapevano che farne. Furono aziende e commercianti di altre regioni a intuire per primi il potenziale dei nostri boschi, venendo in Abruzzo ad acquistare i tartufi direttamente dai ‘cavatori’». Cos’è, propriamente, il tartufo? «Il tartufo è, a tutti gli effetti, un fungo ipogeo. Molte sono le qualità: si va dal tartufo d’estate, quello più commercializzabile in quanto il costo non è eccessivamente alto». Il cosiddetto ‘scorzone’! «Esatto. Poi abbiamo il nero pregiato, che matura tra novembre e dicembre, molto ricercato: è arrivato a costare anche mille euro al chilo. C’è, ancora, il tartufo uncinato, la cui raccolta parte ad ottobre e, infine, il tartufo bianco, totalmente diverso anche per conformazione dagli altri, con un valore oscillante dai duemila ai cinquemila euro al chilo. Un prodotto d’élite, per il quale un degustatore è pronto a pagare settanta euro per una grattata». Chi ne stabilisce il valore? «Il mercato mondiale. Attorno al tartufo ruota una vera e propria industria che riesce a valutare le quantità prodotte e la qualità. Il prezzo varia quotidianamente. Bisogna stare attenti, altrimenti, come si dice dalle nostre parti, ‘ci dai la testa’: comprarlo e metterlo immediatamente in commercio». Ho letto, appena entrato nel tuo laboratorio, un articolo che titola Il 40% dei tartufi d’Italia sono prodotti in Abruzzo, un dato importante che serve anche a sfatare il mito dei soliti tartufi d’Alba piuttosto che di Norcia e dimostra, però, come ancora una volta noi abruzzesi abbiamo poca coscienza del potenziale della nostra terra. «Noi il tartufo l’abbiamo cominciato a valorizzare una sessantina di anni fa, ma quasi esclusivamente come prodotto da raccogliere e vendere ad altri. Oggi il tartufo nero pregiato a livello naturale sta scomparendo, perché le tatrufaie sono state violentemente depredate da quelli che chiamiamo in gergo ‘zappatori’. Zappano per cercare in profondità, non sapendo che il tartufo quando matura sta in superficie e crea una protuberanza, una crepa visibile, detta ‘fiorone’ o ‘boccio’. Così non fanno altro che rompere il micelio e rovinare la zona soffice del terreno con alta probabilità di far scomparire la tartufaia». Questo anche nella nostra zona? «Soprattutto nella nostra zona, anche se negli anni è maturata una buona cul- tura a riguardo. La tartufaia, o ‘macchia’, si riconosce con un evidente pianello intorno la pianta: l’erba non cresce più, c’è solo un alone di terra. Quando comincia a nascere erba all’interno di questo pianello è il segno evidente che la tartufaia sta andando in rovina. Comunque in Abruzzo, in particolare nella Valle Peligna, nella Subequana e nell’intero aquilano, c’è la miglior raccolta di tartufi di tutto il mondo. Per anni, purtroppo, ci siamo limitati a venderlo ad aziende che a loro volta hanno utilizzato la fama di altre zone d’Italia per immetterlo nel mercato, ora come tartufo nero di Norcia, ora come bianco d’Alba etc.». Un’ occasione mancata per promuovere il nostro territorio. «Si, mentre la maggior parte li forniamo noi abruzzesi sia in Umbria che in Piemonte. Da qui è nata la volontà di iniziare ad occuparci direttamente della lavorazione e valorizzazione commerciale del prodotto, con i nostri laboratori, le etichette. Insomma: basta essere sempre gli ultimi della classe!». Oggi che percorso fa il tartufo dopo essere raccolto? «Solo una parte di quello che acquistiamo supera la selezione iniziale: scelti i migliori, li lavoriamo e li confezioniamo in vari modi: crema di tartufo, olio, melanzane e carciofini al tartufo, prosciutto tartufato, ma anche misto ai funghi, in particolare i porcini». E il tartufo integro? «Certo. Facciamo spedizioni in tutto il mondo, dall’America alla Cina». E in Abruzzo? «Prima dell’ Abruzzo c’è il mercato nazionale. Chiamano:“Avete un po’ di tartufi per noi?”, e così parte un ordine per l’Umbria, ad esempio. Solo che oggi il prezzo lo facciamo noi, mentre prima non sapevamo neppure a chi venderli ed erano loro a deciderne il valore. Poi ci sono gli altri canali, come la ristorazione, utilissima come banco di prova della qualità dei nostri tartufi». ...i vecchi pastori trovavano queste ‘patate nere’ e cercavano di capire cos’erano, dandole come cibo al bestiame che lo rifiutava oppure friggendole in padella con pessimi risultati. nostro tartufo. Il progetto, per vari motivi, sfumò. Per ora facciamo in modo che la qualità del nostro prodotto risponda agli standard internazionali, con tanto di certificazione europea. Dobbiamo fare ancora molto, con impegno, con passione». Con il mercato in espansione e il rischio di impoverimento delle tartufaie di cui mi parlavi, quali strategie di conservazione e, di conseguenza, di mercato pensate di mettere in atto? «La fortuna è che oggi riusciamo, grazie a studi che hanno coinvolto anche l’università de L’Aquila e di Perugia, a coltivare il tartufo. Abbiamo già parecchie tartufaie di nero pregiato in produzione, la maggior parte impiantata proprio nella nostra zona. E questa è la salvezza, sia del mercato che delle tartufaie boschive. Un problema che fortunatamente non abbiamo per il tartufo estivo le cui tartufaie sono meno delicate e in continua espansione». Nonostante l’età, le tue parole tradiscono una passione che sembra precederti: com’è nata? «L’ho ereditata da mio padre, che è andato in pensione facendo il cercatore di tartufi.Una vita in montagna». Tu, oggi, vai ancora in montagna? «Si. Se non salgo almeno una volta a settimana sto male. Sai, ci sono cresciuto, a dodici anni seguivo mio padre e ti devo dire che, con le mie poche zone nascoste, mi diverto ancora. Non vedo l’ora che arrivi il fine settimana per andare nei boschi e passeggiare con i miei cani. Vedi, tutto per noi viene dalla montagna, e frequentarla è anche un modo per non dimenticarlo». Non dimenticare le proprie origini e nello stesso tempo guardare avanti. E così hai intrapreso la strada dell’imprenditoria. «Io sin da piccolo dicevo sempre a mio padre: “prima o poi metterò su un’azienda”. Le soddisfazioni economiche sono anche per noi, come per ogni azienda, un motore importante, fondamentale direi. Ma lo spunto, ancora una volta, è nato tra i monti. Devo dare onore a mio suocero che una volta venne con me a fare una consegna di tartufi in Umbria e per strada mi disse:“Perché non crei un’attività?”. Fu un ulteriore stimolo ai miei sogni di bambino. Oggi è il quarto anno di attività, il lavoro non manca, soprattutto grazie al mercato estero. E tutto questo con un prodotto totalmente naturale». Sono maturi i tempi per fare del tartufo un veicolo di promozione delle nostre terre! «È il motivo per cui stiamo creando un’etichetta per commercializzare solo tartufo fresco con la dicitura “Tartufo d’Abruzzo”. Bisogna far conoscere le nostre vallate, le nostre montagne. Facemmo assieme ad altri un tentativo di valorizzare il nostro territorio, attraverso un consorzio, la creazione di un mercato dove si decidesse il prezzo del La passione dei montanari! «Te lo ripeto, la montagna è una malattia. Non so descriverlo, è una sensazione particolare. Devi provarlo, devi andare a cercare il tartufo: ti innamorerai, è una cosa spettacolare». A questo punto la curiosità diventa tentazione. Lo squillo del telefono ci ricorda che siamo in ufficio. Hanno chiamato per una consegna. Usciamo dal laboratorio e le montagne tutt’intorno sono lì che osservano imperturbabili la frenesia della vallata. Siamo d’accordo: la prossima settimana andremo su insieme. Poi, forse, proveremo a raccontarlo. INFO AZIENDA L’azienda Santilli Tartufi si trova a Sulmona, SS.17 Km 95.500 c/o Sviluppo Italia. Per informazioni Tel/fax 0864.2508331 cell. 349.77.04.945 sito internet www.santillitartufi.com e-mail [email protected] [Link] CURIOSITÀ DALLA RETE Digitando su internet “storia del tartufo”, sono comparsi migliaia di siti, buona parte dei quali riportano le stesse informazioni. Il tartufo sembra fosse conosciuto già dai Sumeri ed al tempo del patriarca Giacobbe intorno al 1700-1600 a.C. I Greci lo chiamavano Hydnon (da cui deriva il termine “idnologia” la scienza che si occupa dei tartufi) oppure Idra, i Latini lo denominavano Tuber, dal verbo tumere(gonfiare). I francesi lo avrebbero chiamato Truffe, dal significato di frode collegato alla rappresentazione teatrale di Molière “Tartufe”del 1664. Gli antichi sumeri utilizzavano il tartufo mischiandolo ad altri vegetali quali orzo, ceci, lenticchie e senape, gli antichi ateniesi si dice che lo adorassero al punto di conferire la cittadinanza ai figli di Cherippo per aver inventato una nuova ricetta. L’opinione di Plinio il Vecchio nell’Hystoria Naturae era che il tartufo “sta fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare”. Plutarco azzardò l’affermazione alquanto originale che il “Tubero” nasceva dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Non essendo ancora stabilita l’origine dei tartufi, la scienza unita alle credenze popolari coprirono il tartufo di mistero al punto che non si sapeva definire se fosse una pianta o un animale. Più in là venne addirittura definito cibo del diavolo o delle streghe. Il primo trattato unicamente dedicato al tartufo sembra risalire al MDLXIIII, scritto da Alfonso Ciccarelli medico umbro. È noto che papa Gregorio IV ne fece largo uso ufficialmente per compensare le energie spese nel fronteggiare i Saraceni. Sant’Ambrogio ringraziava San Felice per la bontà dei tartufi ricevuti. In Piemonte se ne fa un consumo rilevante intorno al XVII secolo ad imitazione della Francia. Nel ‘700 il tartufo Piemontese era considerato presso tutte le Corti una delle cose più pregiate. Il Conte Camillo Benso di Cavour nelle sue attività politiche utilizzò il tartufo come mezzo diplomatico, Gioacchino Rossini lo definì “Il Mozart dei funghi”, lord Byron lo teneva sulla scrivania perché il suo profumo gli destasse la creatività, Alexandre Dumas lo definì il “Sancta Santorum della tavola”… 13 13 Colori e sapori La zucca regina, il novello e le castagne ci preparano ai primi freddi. L’inverno trafigge con i suoi sapori forti che devono sopperire all’intensità del freddo e alla visione di un territorio spoglio. La primavera è il tripudio dei profumi della natura sopiti nella memoria. Durante l’estate trionfa il calore che porta a compimento la vita. Poi arriva l’autunno, più visibile che tangibile, con intorno i suoi colori apparentemente morenti che nascondono il violento sapore delle cose. allo stesso tempo la stagione del raccolto dell’uva, dell’ulivo, e della semina del grano, di un ciclo che si completa e di uno che ricomincia per dare vita ad un nuovo corso, a nuovi sapori, ai profumi dell’anno che verrà. Il 18 ottobre nel giorno di San Luca evangelista, nella tradi- È zione contadina ricorre il rito della semina che riporterà il grano agli splendori dorati dell’estate. Nel frattempo la zucca, resa famosa dalla ricorrenza di Halloween, ha portato a compimento la sua maturazione. Tanto cara alla mensa dei poveri in passato, oggi è regina dei piatti più delicati della gastronomia per quella dolce componente zuccherina, per la sua delicatezza, per il suo colore arancio vivo. È nella polpa interna succosa, costituita per la gran parte da acqua, che si ritrovano le qualità più nutrienti. Di arancio ci sono anche i mandarini e le arance, le difese per eccellenza del nostro corpo di fronte agli attacchi dell’influenza, agrumi polposi che ci accompagneranno per tutto l’inverno. Ma questi, sono colori di altre zone. Sugli alberi, quelli nostri senza foglie, sono sospesi nell’incertezza del cielo autunnale anche i kaki, attaccati con prepotenza alla loro linfa vitale; potrebbero rimanere in bilico su quei rami per secoli, fino a quando, stanchi, qualche uccello andrà a sfamarsi da loro. C’è un albero che dell’autunno è assoluto sovrano: il sempreverde ulivo. In realtà è l’albero dalle foglie cangianti, che prende forme diverse a seconda delle ombre, della posizione del sole, che assume tutti i toni del verde e dell’argento quando il vento lo inquieta. Ottobre e novembre segnano la morte del frutto dell’olivo. Ma il verde scuro del frutto prende vigore nel dorato dell’olio e acquista un nuova vita e una nuova funzione, trasformandosi nel più prezioso dei condimenti gastronomici. Nella dolce collina le foglie dei vigneti diventano prima rossa- stre, poi marroni, e si accartocciano sempre più fino a cadere. Ormai hanno ben fatto il loro dovere per un anno intero, nutrito e cresciuto il frutto dell’uva che in fermentazione si appresta a diventare vino. “Né calici il vin scintilla sì come l’anima nella pupilla” scriveva Giosuè Carducci. A San Martino arriva la festa del novello, il primo vino dell’anno, che contiene i sapori, i colori e i profumi della vigna. Lo accompagniamo alle torte dolci, ai biscotti con le mandorle e a quelle castagne, che intanto, aprono i loro ricci nell’umidità della montagna. È il connubio ideale per celebrare San Martino, il novello con le castagne, il benvenuto gastronomico per eccellenza dell’autunno. Nella nostra montagna abruzzese la raccolta della “roscetta” inizia a metà ottobre e viene effettuata a mano con dei cesti. Poi vengono scelte, passate in acqua e asciugate al sole. Nel sottobosco invece le noci ormai hanno indurito il loro gheriglio. Non più amare come all’inizio di settembre, in ottobre scricchiolano quasi dolcemente sotto i denti, protette dalla durezza dei loro gusci. Soprattutto durante l’autunno si sentono le foglie sotto i piedi. Ma si sa anche che presto una pioggia le spazzerà via e pulirà le strade dalle ghiande che, cadendo, spezzano il silenzio delle notti. Le piazze saranno al freddo per un po’, i terreni abbandonati, le bancarelle del mercato della frutta un po’ meno fornite. Tutto lasciato a riposare fino a quando rispunterà il primo sole timido. Sembra lontano ma sarà presto primavera e sentiremo nuovi profumi. Vedremo nuovi colori. F.A. Link IL MESE DELL’OLIO Frantoi aperti. Novembre è il mese dell’olio nuovo ed è anche il tempo di “frantoi aperti”, una iniziativa che, in tutte le regioni italiane produttrici di olio, promuove la conoscenza e l’uso di questo alimento del mediterraneo che ha conquistato tavole e palati in tutto il mondo. In molti luoghi d’Italia e anche in Abruzzo, Enti locali e produttori e sopratttto l’Oleoteca regionale che ha sede a Loreto Aprutino promuovono incontri “del gusto” finalizzati a far conoscere la storia dell’olivicoltura e delle tecniche di produzione, con degustazioni guidate per meglio apprezzare le qualità dell’ “oro verde”. Frantoio Fantasia Durante il week end è possibile su prenotazione visitare a Raiano il frantoio della famiglia Fantasia, restaurato dagli stessi proprietari con il concorso dell’amministrazione comunale, che ha inserito il frantoio negli itinerari di visita della Riserva delle gole di San Venanzio. Il vecchio impianto, con presse a mano, ruote in pietra e movimento ottenuto grazie al traino dei cavalli, venne chiuso circa trenta anni fa da Venanzio Fantasia. Questo piccolo opificio è offerto oggi alla curiosità dei visitatori che potranno, anche con l’aiuto dell’apparato didattico curato dallo staff della Riserva, osservare e conoscere gli strumenti e le tecniche per la molitura delle olive, utilizzate in un “trappeto a uso pubblico”, operativo fino a qualche decennio fa. L’azienda della famiglia Fantasia continua a produrre olio, in sintonia con le nuove tendenze del mercato, e offre oggi un interessante prodotto biologico. 15 Praesidium : da una grotta di Prezza il segreto di un grande vino La natura si veste d’autunno e, tornante dopo tornante, mi inerpico su per Prezza. Il paese si svela, suggestivo, poco alla volta, con le sue antiche case abbarbicate sul limite ovest della Conca Peligna, una terra ad alta vocazione vitivinicola, tanto che fin dall’antichità viene ricordata da molti scrittori per i suoi pregevoli vini. Nel cuore del paese sorge Praesidium, l’azienda vitivinicola di Enzo Pasquale, ricavata in parte da una grotta naturale dove sono conservate botti in legno di rovere per l’invecchiamento del Montepulciano d’Abruzzo. Vengo accolta da padre e figlio e avverto subito un clima di grande cordialità che nasce dal piacere di parlare di un lavoro che non viene vissuto come tale, perché frutto di una grande passione. Una passione che Enzo Pasquale ha trasmesso a tutta la famiglia, alla moglie Lucia che collabora, tra l’altro, imprimendo pazientemente su ogni bottiglia la ceralacca rossa, ormai divenuta un inconfondibile segno distintivo, alla figlia Antonia, studentessa di ingegneria, e al figlio Ottaviano, sommelier, che, con la sua specializzazione in Marketing e Comunicazione, ha tutte le intenzioni di portare avanti l’azienda di famiglia. fotografia Luca Del Monaco Maria Carmela Di Cesare 24 settembre 2006 Intervista a Enzo Pasquale “l’interprete” del Montepulciano d’Abruzzo Allora, signor Pasquale, come è stata la vendemmia quest’anno? «Ottima. Ma noi non temiamo nemmeno le annate peggiori…» Come è possibile? «Nel 2002 c’è stata una difficile vendemmia tanto che molte aziende hanno deciso di non imbottigliare. Noi, invece, proprio per il Montepulciano Riserva 2002 abbiamo ottenuto un prestigioso riconoscimento dalla “Guida dei Vini 2007” dell’Espresso che ha evidenziato come il riconoscimento dell’anno precedente (Guida dei Vini del 2006) per il Riserva 2001 non fosse stato un episodio isolato, ma la conferma di un duro e appassionato lavoro». Infatti sulla Guida 2007 leggiamo che lei si conferma “l’interprete più ispirato dell’anima montanara del Montepulciano d’Abruzzo. Con buona pace degli anacronistici fautori di rossi tutto muscoli e poco cervello”. Ma qual è questo “cervello” che occorre mettere per ottenere grandi vini anche nelle annate peggiori? «Il segreto per ottenere un grande vino è semplice, si fa per dire. Solo da una grande uva si ottiene un grande vino. Noi conduciamo il nostro lavoro nella vigna in maniera rigorosa, ponendoci come obiettivo quello di ottenere un’uva perfettamente sana, nel rispetto della natura. Riduciamo al minimo le concimazioni, rigorosamente naturali, e, con una potatura corta e severa otteniamo una resa per ettaro bassissima, 50-60 quintali, in modo che l’uva riceva il giusto nutrimento dalla pianta raggiungendo un’ottima maturazione con un’elevata concentrazione zuccherina». Dove si trovano i suoi vigneti? «I vigneti sono ubicati nella contrada “Cavate”, una zona collinare tra Prezza e Raiano ad alta vocazione viticola per le sue condizioni pedoclimatiche: composizione del terreno in cui non si ha ristagno di umidità, esposizione a est che aiuta la fotosintesi e dunque la formazione di zuccheri nell’uva, forte escursione termica tra il giorno e la notte che permette una maturazione graduale delle uve». E per quanto riguarda il processo di vinificazione? «Anche questo è molto accurato. Solo il mosto fiore è destinato alla vinificazione che avviene in botti di acciaio inox, dove il vino destinato alla Riserva subisce una macerazione di circa otto giorni. Dopo la svinatura il vino rimane in acciaio per almeno due anni per permettere una decantazione naturale, visto che siamo contrari all’uso di filtri. Successivamente viene travasato in barriques di rovere di Slavonia dove invecchia per non meno di otto mesi. Attualmente si trova in commercio il Montepulciano d’Abruzzo Riserva 2001 che ha subìto anche un lungo affinamento in bottiglia». Dunque la sua attenzione è tutta concentrata sul Montepulciano d’Abruzzo. «Sì, noi produciamo prevalentemente Montepulciano d’Abruzzo Riserva e Cerasuolo, perché sono vini dalle grandissime potenzialità anche se, purtroppo, in passato nelle nostre zone si è preferito puntare sulla quantità piuttosto che sulla qualità, che invece è la nostra filosofia ispiratrice». Una filosofia che vi ha premiati. «Sì, perché non abbiamo bisogno nemmeno di farci pubblicità, è bastato il passaparola. La mia famiglia produce vino da sempre, ma è solo nel 1988 che abbiamo iniziato ad imbottigliare. [Link] CURIOSITÀ La Ratafià è un prodotto da sempre presente nella tradizione casalinga. Il suo inimitabile gusto è ottenuto da un processo di infusione di ottime materie prime, vino e ciliegie, senza aggiunta di coloranti né di conservanti. Sembra che il nome Ratafià derivi dall’usanza passata di sancire gli atti notarili con l’espressione latina: “Ut rata fiat” (“Siano ratificati gli atti stesi) accompagnando la consuetudine brindando con un bicchierino di liquore a base di vino e ciliegia. LA RICETTA Baccalà in agrodolce Tagliate a grossi pezzi 700 grammi di baccalà. Dissalatelo bene (tenendolo a bagno per almeno tre giorni, avendo cura di cambiare l’acqua più volte al giorno). Oliate abbondantemente una teglia e adagiatevi i pezzi di pesce. Cospargete con mollica di pane misto a pepe e prezzemolo. Aggiungete olive, capperi e pomodorini spellati. Bagnate il tutto con un bicchiere di mostocotto. Aggiungete qualche foglia di alloro, salvia, 3 spicchi di aglio rosso in camicia. Infornate a 180° gradi. A metà cottura irrorate con mezzo bicchiere di aceto di vino. Il tempo di cottura è di 35-40 minuti. Attualmente il 70% della nostra produzione, che si aggira attorno alle 26.000 bottiglie annue, viene esportato all’estero, il restante venduto in enoteche e ristoranti italiani». I numerosi riconoscimenti che lei ha ricevuto parlano dell’eccellenza dei suoi vini: cinque Medaglie d’oro al Concorso Nazionale Douja D’or ad Asti per il Montepulciano d’Abruzzo Riserva nelle annate 1991, 1992, 1994, 1999 e per il Cerasuolo 1994; il Riserva 2001 è stato inserito nella Selezione dei 99 grandi vini scelti dalla rivista “Beregola”, e tra i vini eccellenti secondo la rivista “Go Wine” e la “Guida dei Vini 2006” dell’Espresso. «Mi ha reso particolarmente orgoglioso il riconoscimento della Guida 2006 dell’Espresso che ha inserito il mio Riserva 2001 tra i vini eccellenti, secondo solo al prestigioso Villa Gemma 2001 di Masciarelli e conferendomi lo stesso punteggio del Trebbiano 2003 di Valentini. Il Riserva Praesidium 2001 è un vino importante dal sentore mentovato e speziato con sottili note di erbe aromatiche, liquirizia e china; al gusto è avvolgente, di grande personalità nei tannini e nel corpo con un finale lunghissimo». Ma lei non produce solo vino. «Nostre specialità sono anche il Mostocotto e la Ratafià. Il primo è prodotto dalle nostre parti sin dal tempo dei Romani. Lo produciamo secondo il metodo tradizionale: il mosto fiore, ottenuto da uve selezionate di Montepulciano d’Abruzzo, viene fatto bollire per sedici ore a fiamma moderata in un grande recipiente di rame, rimestando continuamene con grande pazienza. Pensi che da dieci litri di mosto se ne ricavano solo due di mosto cotto. È un prodotto che può essere utilizzato per preparare dolci o, al posto del miele, su formaggi stagionati, ricotta, frutta, come le pere al forno; è ottimo anche sulle verdure grigliate e sulla carne bollita. A Prezza viene usato per insaporire un piatto prelibato, il baccalà in agrodolce. Alle anziane signore del paese, invece, ho carpito il segreto della preparazione della Ratafià, un liquore che nasce dal felice connubio tra le qualità organolettiche del Montepulciano d’Abruzzo Praesidium e le proprietà aromatiche delle ciliegie dette localmente “amarelle”, tipiche della vicina Raiano. Un prodotto che si accompagna magnificamente alla pasticceria secca, al cioccolato amaro e ai gelati». Mi intratterrei volentieri ancora con Pasquale e suo figlio, ma è tardi, e ci salutiamo con nella mente il ricordo di una piacevole chiacchierata e sul palato il dolce sentore delle visciole della Ratafià. L’azienda agricola Praesidium si trova a Prezza (AQ) in via Giovannucci 24. Per informazioni: tel/fax +39 0864 45103 e-mail: [email protected] 17 Dove Ovidio e Celestino regnano ancora Il racconto di un visitatore d’eccezione: Francesco Guccini di Antonio DI Fonzo ph. Luca Del Monaco I luoghi dell’anima sono un’invenzione necessaria. Esistono perché da qualche parte, prima o poi, qualcuno tornerà a cercarli con l’intenzione dichiarata e manifesta di ritrovarli intatti, proprio come erano stati immaginati molti anni prima. I luoghi dell’anima vivono di memorie, di suggestioni, abitano nei ricordi e nei libri. Sono posti di evocazione, di impressioni e dettagli sfumati, preferiscono i chiaroscuri, vogliono essere protetti e circondati, rimanere separati e appartati, aspettano le nebbie complici che scendono dall’Appennino. S i scoprono per caso, magari in un pomeriggio di novembre, il mese più propizio, perché l’autunno è una stagione che fa bene il suo mestiere quando si tratta di creare le atmosfere giuste: piogge sottili, crepuscoli ventosi, nuvole barocche – come direbbe il poeta - e campagne silenziose. Capita di incontrarli, a volte, quasi per un capriccio del destino: una passeggiata nel pomeriggio autunnale, ed ecco che un borgo di pietra, una torre diroccata, un albero su un poggio, una chiesa sconsacrata improvvisamente catturano la nostra immaginazione, carezzano le potenzialità evocative che stavano riposando sonnacchiose dentro di noi. Poi niente, non è che accada qualcosa di particolare lì per lì, non si avvertono vibrazioni interiori o segni di auspici; s’immagazzinano le percezioni e si ripongono nel cassetto e si aspettano tempi migliori. Ma loro, nel frattempo, i frammenti di quel paesaggio, si sono stratificati, hanno preso posto nel fondo del fondo della nostra coscienza. Quello scorcio di panorama, quella radura verdeggiante o quel sentiero che guarda la valle diventano lentamente i luoghi ideali, dove s’intersecano, si ritrovano e si riconoscono paesaggio e anima. E un bel giorno, a tradimento, senza nessuna ragione, riaffioreranno in superficie, prenderanno forma e consistenza: e vorranno essere riconosciuti, rievocati. C’è un posto cosi alle pendici del monte Morrone, un posto in cui si rincontrano i luoghi dell’anima di ciascuno di noi. Laddove nell’immaginario collettivo nel corso degli anni si sono accumulate memorie storiche e suggestioni favolose, in quello scorcio di paesaggio scontroso e roccioso, denso di testimonianze storiche e archeologiche e – come si sarebbe detto in altre epoche – di valenza e simbologia millenaria: qui, tra l’eremo di Celestino V, Pietro da Morrone il papa renitente, e il tempio di Ercole Curino, la Villa di Ovidio della fantasia polare, si fanno gli incontri più straordinari. È in questa zona di mezza montagna, sopra il belvedere che si affaccia sulla valle Peligna, che si trova il posto delle fragole dove regnano incontrastati i fantasmi di Ovidio e Celestino, i numi tutelari delle nostre terre, i regnanti di un luogo immaginario che segna il confine di appartenenza, oltrepassato il quale si entra nella loro giurisdizione. Nessuno può sfuggire, nessuno può sottrarsi a questa legge. Lasciamo la parola ad un visitatore d’eccezione, Francesco Guccini, che molti anni fa si è trovato da queste parti, per ragioni, diciamo così, di servizio: era, il nostro, allievo ufficiale in servizio temporaneo in quel di Roma e aveva il compito di allestire a Fonte d’Amore il campo invernale per i suoi commilitoni che sarebbero arrivati di lì a poco. In un Sant’Onofrio – eremo di San Pietro • Sviluppo chilometrico: circa 12 km; • Dislivello: 850 m; • Tempo di percorrenza: ore 3.00 in salita, 2.30 in discesa; • Difficoltà: EE (per escursionisti esperti); • Cartografia: IGM Fg 146 II SE (Sulmona), Fg 146 II NE (Pratola P.), Fg 147 III NO (Caramanico); Carta dei Sentieri 1:25.000, Montagne del Morrone, C.A.I. sez. Sulmona • Segnaletica: C.A.I., rosso-bianco-rosso, segnavia 6, 6A. Dall’abitato della Badia si giunge in auto al piazzale (525 m) che si trova a ridosso del sito archeologico del tempio di Ercole Curino. Di fianco al piccolo chalet si prende un sentiero sterrato che con alcune ripide svolte e qualche tratto con gradini scavati nella roccia porta velocemente all’eremo di S. Onofrio (637 m) sorto intorno al 1290. Lasciandosi alle spalle il cancelletto di ingresso all’eremo, subito a destra si prende una rampa che passa sotto alcune grotte e si supera un muretto roccioso di pochi metri con un facile passaggio di arrampicata (I grado). Si arriva così su di un largo e panoramico terrazzo sospeso tra i pilastri rocciosi, subito al di sopra del tetto dell’eremo (645 m). Seguendo un sentierino e costeggiando alte e verticali strutture rocciose, si entra nel profondo canalone che, provenendo dal basso, lambisce il terraz- 19 pomeriggio autunnale sbarca dunque alle pendici del Morrone. In una situazione apparentemente sconsigliata per lasciarsi andare a suggestioni evocative. Invece… Ecco quello che scrive nel suo ultimo libro, Cittanova blues, una biografia della Bologna degli anni belli, nel capitolo VI che si intitola – appunto – “Sulmo mihi patria est”, in cui ricorda quei giorni. Leggiamo:“Partisti in compagnia di altri coatti al comando di un maresciallone. Sulmona era la meta (Sulmo mihi patria est, perché di latino un poco anco tu sapevi, il mio fero fers!) e difatti, a poca distanza dalle baracche che tutti avrebbero dovuto accoglierci, sorgevano i resti di una villa romana che si diceva d’Ovidio (èrasi poi un volgare templo ad Ercole dicato). E tu, preda di inesplicabili richiami, te ne andavi ramingo e pensoso verso quel monte Morrone lì a due passi da cui il pio frate eremita Pietro ne fu distolto per l’Alto Soglio (…) e ti sentivi come un romantico peregrino a visitare i più orridi botri delle Alpi Germaniche e lì, sullo strapiombo, a sostare pensoso o a gracchiare per i ruderi che volevi indovinare di villa romana rincorrendo fantàsime mentre piangevi esilii non tuoi cercando di ricordare versi latini che sfuggivano, se non quel fero fers tuli, maledizione di quanti la lingua latina occorse di masticare”. zo e prosegue verso l’alto. Seguendo fedelmente la segnaletica si risale tutto il canalone fino a quota 855 m, quando la traccia di sentiero piega a destra per risalire la facile costa rocciosa che lo chiude sulla sinistra orografica. Poche decine di metri più in alto, usciti dal canalone, si prosegue in un bosco dapprima fitto che diviene sempre più rado prima di trasformarsi in una macchia poco compatta, dove bisogna prestare attenzione per seguire la traccia del sentiero fino a 1100 m, quando si entra in una pineta. Dopo un tratto ripido si incrocia una larga sterrata (1200 m). Qui termina il sentiero N. 6, e arrivati presso un cartello segnaletico si seguono le indicazioni verso NO in direzione Vicende - Eremo di San Pietro. Da qui si raggiunge in poco più di 15 minuti il piccolo eremo di San Pietro (1379 m). Questo, costituito da una povera costruzione in pietra con volta a botte, risulta essere nulla più di una povera celletta. Una minuscola finestra con strombatura e i resti di un altarino sempre in pietra, completano l’architettura semplice del manufatto, ormai ridotto in condizioni fatiscenti. La suggestione del sito ove sorge, una propaggine boscosa che si stacca dal corpo principale della montagna per affacciarsi con un piccolo cocuzzolo pelato sulla valle e su un panorama a 360 gradi, ne fanno una delle mete più belle delle escursioni al Monte Morrone. 20 Anversa Degli Abruzzi Sistema museale – centro di documentazione Parco Letterario Gabriele d’Annunzio Telef. 0864/49364 Apertura: su richiesta Visite guidate: su prenotazione Cansano Parco Archeologico naturalistico “Ocriticum” Telef. 0864/40266 0864/40131 apertura: aprile/luglio aperto sabato e domenica agosto tutti i giorni settembre aperto sabato e domenica visite guidate: su prenotazione Centro di documentazione “Ocriticum” Mostra fotografica sull’emigrazione apertura: aprile/luglio aperto sabato e domenica agosto tutti i giorni settembre aperto sabato e domenica visite guidate: su prenotazione Cocullo Museo etnografico centro di documentazione Multimediale Telef. 0864/49117 Apertura: periodo estivo Visite guidate: su prenotazione Corfinio Area Archeologica “Via Sacra” Telef. 0864/728100 apertura e visite guidate:su prenotazione Area Archeologica “Piano S.Giacomo apertura e visite guidate:su prenotazione Lapidarium apertura: il sabato e la domenica Visite guidate: su prenotazione Museo Civico Archeologico “palazzo Colella” Apertura: agosto tutti i giorni dalle ore 16/19,gli altri mesi su prenotazione Sabato e domenica tutto l’anno Visite guidate: su prenotazione Pacentro Castello Telef. 0864/41114 apertura e visite guidate :su prenotazione Chiostro del Convento dei Frati Minori Osservanti aperto tutto l’anno visite guidate: su prenotazione Museo dell’Acqua Visite guidate: su prenotazione Pettorano sul Gizio Castello Cantelmo-Centro visite Riserva naturale monte Genzana Telef. 0864/487006 Apertura: giugno/luglio/agosto dalle ore 10 alle 13 e dalle ore 16 alle 20 altri mesi sabato e domenica dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 16 alle 20 Visite guidate: durante l’orario di apertura sito internet: www.riservagenzana.it Pratola Peligna Museo Etnografico Missionario Telef. 0864/274743 Apertura: pomeriggio giorni feriali Visite guidate: su prenotazione Museo delle tradizioni contadine Telef. 0864/274750 c/o pro-loco Visite guidate: Su prenotazione Raiano Eremo San Venanzio Telef. 0864/72314 0864/726058 apertura: tutti i giorni visite guidate: su prenotazione sito internet: www.comune.raiano.aq.it www.golesanvenanzio.it Chiostro del Convento degli Zoccolanti apertura: da lunedì al sabato, orario ufficio visite guidate: su prenotazione Museo Frantoio “Fantasia” apertura: sabato, domenica e periodo estivo su prenotazione visite guidate: su prenotazione Scanno Sistema Museale Museo della Lana Telf. 0864/74545 Visite guidate: su prenotazione, nella stagione turistica tutti i giorni, nel resto dell’anno il fine settimana Sulmona Museo di Storia Naturale Telef. 0864/31380 Apertura: tutto l’anno martedì, venerdì e sabato Visite guidate: su prenotazione Sito internet: www.comunitamontanapeligna.it Villalago Sistema Museale le Tradizioni del lavoro Telef. 0864/740134 Apertura: su prenotazione Visite guidate: su prenotazione Nella stagione estiva tutti i giorni nel resto dell’anno il fine settimana Vittorito Chiesa San Michele Arcangelo Telef. 0864/727135 (parrocchia) Apertura: su prenotazione Visite guidate: su prenotazione 21 Un sistema museale per i Peligni di Antonio Carrara Presidente della Comunità Montana Peligna L’ingente patrimonio culturale presente sul territorio è stato oggetto,negli ultimi anni, di molte iniziative da parte di enti pubblici con interventi di recupero, scavi archeologici, allestimento di musei e centri di documentazione. Il restauro dei castelli di Pettorano, Pacentro e Roccacasale; le aree archeologiche di Corfinio e Cansano; il museo archeologico di Corfinio; il museo di Storia naturale della Comunità Montana; Centri visita legati alle aree protette (Anversa, Raiano, Pettorano, Pacentro, Campo di Giove); allestimenti museali e centri di documentazione con una forte connotazione demo-etno-antropologica: il museo della lana a Scanno, quello sui mestieri tradizionali a Villalago, sul rito dei Serpari a Cocullo, sulla civiltà contadina a Pratola, il museo etnografico missionario sempre a Pratola; il recupero di vecchi opifici artigianali: il Frantoio storico della famiglia Fantasia a Raiano e i mulini a Villalago e Pettorano. L ’eremo di celestino V e la villa di Ovidio hanno imposto anche in questo caso la legge inesorabile dei luoghi dell’anima. Se a tutto questo aggiungiamo il Parco letterario di Anversa, il museo dell’emigrazione a Cansano, alcuni luoghi particolarmente significativi come l’Eremo di San Venanzio o la chiesa di San Michele a Vittorito e altre iniziative progettate e in fase di realizzazione a Introdacqua , Prezza, Bugnara, Campo di Giove, Pacentro, Rocaccasale e Scanno, otteniamo un quadro abbastanza completo delle risorse presenti e pronte per essere fruite. La presenza di questo rilevante patrimonio culturale sul territorio della Valle Peligna e la necessità di trovare una forma organizzativa che ne consenta un’adeguata conservazione, gestione, valorizzazione e promozione, hanno spinto la Comunità Montana Peligna e i comuni che ne fanno parte a promuovere la costituzione di una rete territoriale in grado di connettere i numerosi musei, aree archeologiche, castelli, centri visita e di documentazioni esistenti. Tutti i comuni hanno sottoscritto con la Comunità Montana un protocollo di intesa nel quale sono state fissate le modalità di partecipazione e gli obiettivi comuni da raggiungere a breve e lungo periodo. L’idea è semplice e raccoglie quanto di meglio è stato fatto in altre parti d’Italia: lavorare insieme per rendere effettivamente fruibile quanto è stato realizzato, sapendo che presentare il territorio nel suo insieme significa rafforzare e valorizzare il lavoro di ognuno. Abbiamo un patrimonio interessante, piccoli gioielli che non sono adeguatamente conosciuti nemmeno da chi sul territorio ci vive, ma per renderli veramente attraenti abbiamo bisogno di organizzare l’offerta complessiva. Per questo è necessaria una forma di colla- borazione anche con il comune di Sulmona che ospita alcune strutture museali importanti (il museo civico, il museo in situ, il complesso museale di santa Chiara, l’area archeologica di Ercole Curino) e che dal punto di vista artistico raccoglie molta parte del patrimonio del territorio. Il lavoro è avviato, il protocollo d’intesa, oltre a prevedere gli aspetti organizzativi, traccia una linea di riferimento comune. Procedendo nel percorso condiviso con i comuni, la Comunità Montana Peligna sta realizzando un progetto preliminare che dà una prima forma al sistema museale che abbiamo in mente e non si limita solo alle strutture museali in senso stretto. È chiaramente individuabile già un doppio livello d’intervento: da una parte le strutture già funzionanti che dobbiamo organizzare e valorizzare al meglio e dall’altra gli interventi di più lungo periodo che ampliano e potenziano l’offerta complessiva. È un lavoro difficile ma necessario, se vogliamo che le risorse che abbiamo non rimangano sempre e solo a livello di potenzialità. 22 Passo San Leonardo. La faggeta in autunno ph. e testi di Luca Del Monaco Cacciatori di pace Passo San Leonardo e dintorni: escursioni, incontri e visioni sacre Passo San Leonardo è una sella posta a 1285 metri di quota situata tra le montagne del Morrone e della Majella. Si trova nel territorio del comune di Pacentro (AQ), al centro del Parco Nazionale della Majella ed è un perfetto punto di partenza per molte delle più belle escursioni su queste montagne dove ogni amante della natura può praticare l’attività a lui più adatta. ’autunno, contrariamente a quanto si pensa, è proprio uno dei migliori periodi dell’anno per visitare questi posti. Il ridotto afflusso turistico,la pace, il silenzio che avvolge questi luoghici immergono in un’atmosfera di sacralità; gli unici rumori ad accompagnare il visitatore durante le sue passeggiate sono quelli prodotti dal calpestio delle foglie secche e dello sferzare del vento. Non a caso la Majella è conosciuta anche come la “montagna sacra” o “il piccolo Tibet”, sia per le sue caratteristiche geomorfologiche che per il numero di eremi. La maggiore attrattiva di questa stagione è senza dubbio il bosco con il suo esplodere di colori, di profumi e sapori che stuzzicano i sensi anche del visitatore più distratto. Il sottobosco non mancherà di ricompensare la vostra fatica con la bellezza dei fiori di ciclamino o di crocus. L’aria autunnale sempre più fredda e sempre più limpida enfatizza l’intensità dei colori e facilita l’osservazione di tutte le sfumature cromatiche delle foglie. L’ atmosfera ovattata che ci aiuta nell’osservazione del paesaggio ci offre, inoltre, maggiori possibilità di osservare animali come i cervi in amore o le volpi in cerca di scorte per l’inverno che per motivi diversi sono in questo periodo più confidenti verso gli uomini. Passo San Leonardo è sicuramente uno dei migliori punti di partenza per gli amanti del trekking. Da qui si può scegliere di partire per il Morrone dove comode escursioni come quella della “Passeggiata delle signore” porta in splendidi punti di osservazioni panoramici sulla Valle Peligna. Ovviamente numerosi sono anche i sentieri che salgono sulla Majella e tutti gli itinerari di questo massiccio richiederebbero più di una settimana per poter essere completati. Dalla sella partono molte vie verso Monte Amaro che con i suoi 2795 m è la vetta più alta di questa montagna. Si tratta di percorsi impegnativi, ma nulla vieta di affrontarne solo un tratto. Si può per esempio salire fino al limite del bosco e raggiungere fonte dell’Orso a ridosso della conca di Fondo Majella con una salutare passeggiata di un paio d’ore per poi discendere. Nella adiacente riserva naturale di Lama Bianca anche i portatori di handicap possono godere delle bellezze della natura. Qui sono stati realizzati alcuni sentieri e strutture ricreative utilizzabili da tutti. I sentieri che si inoltrano nella faggeta sono a bassa pendenza, hanno percorsi lineari, segnaletica in braille per non vedenti e sono tutti delimitati da una staccionata. Se non si è interessati al trekking, basta semplicemente fare una passeggiata a piedi nei prati o nella faggeta. Le capanne a Tholos, strutture in pietra a secco costruite da pastori e contadini come ripari che ricordano i trulli pugliesi e i nuraghe sardi, nei colori autunnali appaiono ancora più romantiche. L’autunno è anche il momento in cui la natura ci regala frutti ottimi e ricercati. È il periodo in cui si possono raccogliere bacche di rosa e di biancospino per confezionare delicate marmellate, bacche di ginepro utili per aromatizzare arrosti o per preparare distillati. Gli amanti dei funghi, se le condizioni del tempo lo permetteranno, potranno riempire i loro cestini con una grande varietà di specie. Gli appassionati delle due ruote possono noleggiare presso la struttura del Centro turistico San Leonardo Mountain Bikes o Tandem Bikes e percorrere i sentieri che si snodano nella faggeta o la panoramica strada che passando par Fonte Romana si dirige verso Campo di Giove costeggiando lo splendido massiccio della Majella. La struttura di Passo San Leonardo è un ottimo punto di Hotel Ristorante Celidonio appoggio. Qui oltre che man67039 Pacentro (AQ) giare specialità locali è possibiTelefono & Fax +39.0864.41.138 le dormire, ma anche praticare (+39.0368.35.18.560) il tiro con l’arco ed avvicinarsi www.sanleonardo.com alla pratica dell’orienteering. E [email protected] se tutto questo non bastasse, Curiosità aspettate il calar del sole, il rinOrientering: attività che prevede l’esplorazione corrersi dei colori in un tramondel territorio mediante l’uso di cartine topografito lento e indescrivibile. È il che e di una bussola per ritrovare dei punti presaluto intimo ed estroso di un stabiliti. Può essere affrontata sia come sport giorno che, tra i monti, trova il competitivo che come una piacevole attività da suo riposo. svolgere all’aria aperta. L Info In Mountain bike Sulmona - Campo di Giove Passo S. Leonardo Lunghezza: 55 km (andata e ritorno) Quota di partenza e di arrivo: 405m Quota massima: 1282 m Pendenza media: 4.4% Tempo: 2 h circa Difficoltà: media Tipico percorso ad anello, che si può fare anche solo fino a Campo di Giove. Si parte dal Cimitero di Sulmona con un falsopiano di circa 5 km che si può affrontare con un rapporto abbastanza grande. Non è però consigliabile forzare perché la salita è ancora lunga. Dopo un decina di minuti si arriva ad un bivio nel quale si gira a destra seguendo l’indicazione per Cansano. Qui la strada inizia a salire ed è necessario prendere il ritmo da subito perché le pendenze più impegnative si affrontano proprio in questa prima parte. Si supera un piccolo ponticello e si prosegue con un rapporto agile per un lungo tratto quasi rettilineo e del tutto ombreggiato. Proseguendo la strada diventa più tortuosa e una serie di curve e di tornanti che seguono il pesante rettilineo lasciano respirare. Infine si arriva su un breve falsopiano che immette poi nelle ultime due rampe che portano a Cansano. Si prosegue verso Campo di Giove attraverso una fitta boscaglia. Le pendenze più dure sono ormai superate. Dopo un piccolo ponte si lascia l’ombra del bosco e si affronta un lungo tratto allo scoperto dove gli ostacoli maggiori sono il sole e il vento. Infine, dopo circa un’ora, la strada si inerpica di nuovo in un tratto di bosco per arrivare a Campo di Giove. Superata la piazza del paese si prosegue per Passo S. Leonardo e per Caramanico Terme seguendo le indicazioni. Si affronta una ripida ma breve discesa e alcuni chilometri con discrete pendenze. Ancora un piccolo sforzo e si arriva ai 1282 metri di Passo San Leonardo. Qui la Maiella ed il Morrone offrono uno splendido scenario e ricompensano dello sforzo compiuto. Si può tornare a Sulmona proseguendo in discesa verso Pacentro (poco dopo il bivio si incontra una fontana con acqua freschissima). Attenzione però alla strada, per gli inconvenienti dovuti ai possibili sassi caduti sulla carreggiata e al fondo sconnesso dell’asfalto in alcuni tratti. 23 Agenda di stagione 2425 festetradizionali Cansano Benedizione dei pani di S.Nicola 6 Dicembre Info: Comune, tel. 0864.40131, e-mail: [email protected] Prezza S.Lucia 13 Dicembre Info: Comune, tel. 0864.45138-45325 ,email: [email protected] Villalago Processione di sub Fine Dicembre Info: Comune, tel. 0864.740134, e-mail: [email protected] Pettorano Serenata di Capodanno con questua 31 Dicembre Info: Associazione De Stephanis www.pettorano.com Festa dalle radici molto antiche. Le pagnottelle, ottenute con pasta di pane speziato ai semi di anice, vengono portate nelle chiesa di san Nicola per essere benedette e poi distribuite. Il rito consisteva nel pesare prima la donna che offriva il pane e poi il pane offerto: quest’ ultimo doveva essere di peso maggiore. La leggenda vuole che Santa Lucia sia morta a Prezza e le sue spoglie rimasero lì fino al X secolo. Santa Lucia si festeggia con messa solenne e processione per le vie del paese. In casa si preparano i “Pani”: pasta all’uovo zuccherata con aggiunta di anice, a forma di occhi, a ricordare il martirio della Santa. Nel periodo natalizio si svolge una processione di sub, nelle acque del bacino di S. Domenico. Qui viene deposta una rappresentazione della natività. L’antica tradizione del canto di questua, rivive nella forma in uso dal 1925 con un canto augurale composto per l’occasione. Anche quest’anno il “concertino di Capodanno” si avvale della collaborazione di Michele Avolio e dei Discanto. teatro Pratola Peligna Teatro comunale “D’Andrea” Pinocchio 12 Dicembre Info: Comune, tel. 0864.274141/2/3/4. Teatro “Florian”, tel. 085.4224087, e-mail: [email protected] Sulmona Teatro comunale “Maria Caniglia” Serata d’addio 10 Dicembre info: ufficio informazioni turistiche Sulmona tel. 0864.210216 a cura del Teatro Del Canguro di Ancona. Con Nicoletta Briganti, Renato Patarca, Lara Giancarli, Umberto Ronzi. Regia: Lino Terra. Musiche: Gustavo Capitò. Organizzazione: “Florian” Teatro di Pescara. RASSEGNA DI TEATRO PER RAGAZZI Serata d’addio, con Paolo Villaggio. Regia: A.Buscemi. Prenotazioni a partire dal giorno 8 dicembre. Villaggio mette in scena la disperazione, la ribellione e la solitudine di un uomo accompagnato dalla sua inconfondibile carica comica e grottesca. Tre atti unici tratti dalle opere di due maestri del teatro: Il fumo che uccide (ispirato a Il tabacco fa male di Anton Cechov); Una vita all’asta (tratto da Il canto del cigno di Cechov); L’ultima fidanzata (ispirato a L’uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello). arte Pratola Peligna Palazzo Colella Nestore Presutti Risonanze di un mondo perduto 2-20 Dicembre «... Il viaggio coinvolge tutti i sensi: il frinire delle cicale, il gusto dolce dell’uva, la pelle che brucia a contatto delle spighe bollenti che tagliano le mani dei meititori; il riverbero forte del sole brucia gli occhi e il vento trasporta, acre, l’odore della fatica. Non c’è dolcezza nei visi dolenti e severi di uomini e donne contadini, pastori, lavoratori; ma la dolcezza la ritrovi nei colori che degradano nei toni: il rosso si fa rosa, l’azzurro sfuma in un celeste che abbaglia nella sua luminosità, il verde diventa tenero nei fili d’erba e il giallo si sfinisce nel bianco...». Orario di apertura Tutti i giorni1000-1300 / 1600-2000 Lo scaffale musica Sulmona Teatro Comunale “M. Caniglia” Ivano Fossati in concerto 1 - 2 Dicembre (info: Nomadi Fans Club, tel. 0864.52224, cell. 389.9737620) Sulmona CAMERATA MUSICALE SULMONESE Auditorium dell’Annunziata Teatro comunale “Maria Caniglia” 26 Novembre - 26 Dicembre concerti (Info: tel. 0864.212207, sito internet: www.cameratamusicalesulmonese.it) Ivano Fossati, in concertoParte da Sulmona la tournée invernale di Ivano Fossati, ridisegnati per gli spazi e le atmosfere avvolgente dei teatri. Due ore di musica, sentimento, riflessioni e speranze in uno spettacolo intenso e vigoroso tra nuove canzoni (come Il battito per la prima volta suonata dal vivo) e storici successi, nella cornice scenografica curata dal pittore livornese Dario Ballantini. 1 dicembre concerto riservato agli studenti. 26 Novembre, ore 17,30 – Auditorium dell’Annunziata Chicago Gospel Group High Spirit Gospels, Spirituals, Folk Songs 3 Dicembre, ore 17,30 - Auditorium dell’Annunziata Giuseppe Andaloro, pianoforte – 1° premio Concorso Internazionale “F. Busoni” Musiche di: Mozart, Guck, Beethoveen, Franck 10 Dicembre, ore 17,30 - Auditorium dell’Annunziata Hector Ulises Passerella, bandoneòn Musiche di: Santorsola, Bach, Gardel, Piazzolla, Bacalov, Passarella 17 Dicembre, ore 17,30 – Teatro comunale “Maria Caniglia” Orchestra sinfonica nazionale di Bucarest – Direttore: Gorge Costin N. Rimsky-Korsakov: Sherazade M.Mussorsgkji (Revel): Quadri di una esposizione 26 Dicembre, ore 17,30 – Teatro comunale “Maria Caniglia” Balletto nazionale rumeno dell’Opera di Timisoara Giulietta e Romeo: balletto in tre atti di S.Radlov e S.Prokofiev (prenotazione obbligatoria) altrieventi Sulmona Casa di reclusione Diario di un gatto con gli stivali 11 Dicembre, ore 17,00 info: Agenzia Promozione Culturale, tel. 0864.34833, e-mail: [email protected]) Sulmona Sala del consiglio comunale Presentazione del libro Memorie storiche dei Peligni 02 Dicembre, ore 17,00 info: Agenzia Promozione Culturale, tel. 0864.34833, e-mail: [email protected]) Sulmona Sala del consiglio comunale Premio “Giuseppe Capograssi” Presentazione del Diario di un gatto con gli stivali, CD contenente la lettura, da parte di 15 reclusi, delle favole ‘rivisitate’ tratte dall’omonimo libro di Roberto Vecchioni, presente alla manifestazione. L’iniziativa, promossa dall’Agenzia di promozione culturale di Sulmona, dalla Comunità Montana Peligna e dalla Casa di reclusione, si inserisce in un progetto che impegna l’Unione Italiana Ciechi nella realizzazione della Biblioteca nazionale del libro parlato. Deputazione Abruzzese Storia Patria presentazione del libro Memorie storiche dei peligni di E.De Matteis; manoscritto a stampa d’inizio ’800. partecipano E. Mattiocco, G. Papponetti, W. Capezzale. Premio “Giuseppe Capograssi”, XXVI edizione: consegna del premio al filosofo Antonio Delogu. Partecipano G.Conso, G.Vassalli, N.Borsellino, Savarese. 09 Dicembre, intera giornata info: Agenzia Promozione Culturale, tel. 0864.34833, e-mail: [email protected]) NOTA: Alcune date potrebbero subire variazioni. È consigliabile verificare in anticipo telefonando agli indirizzi indicati o collegandosi al nostro sito www.abruzzoeappennino.com. I libri di questo numero in ordine di apparizione. Halloween. Nei giorni che i morti ritornano di F. Baldini e G. Bellosi, Einaudi,2006 Il Morandini. Dizionario dei film. 2001, Zanichelli. Capetièmpe. Capodanni arcaici in area peligna di V. Monaco, Synapsi 2004 Canti di Castelvecchio di G. Pascoli, Rusconi 2004. Buono, pulito e giusto di C. Petrini, Einaudi 2005 Storia dei colori di M. Brusatin, Einaudi 1999 La favola pitagorica di G. Manganelli, Adelphi 2005 L’olio 2006. Il libro guida degli oli d’Italia, Bibenda 2006 L’Abruzzo del vino. Storia e caratteristiche di un territorio, Bibenda 2004 Ovidio. L’arte di amare, Mondadori 1991 Ovidio. Rimedi contro l’amore, Marsilio 1986 Due papi per un giubileo. Celestino V, Bonifacio VIII e il primo anno Santo di C. Frugoni, Rizzoli 2000 Cittanovablues di F. Guccini, Mondatori 2004 Il Museo diocesano di A. Colangelo, E. Mattiocco, E. Giovacchini, Synapsi 2006 Ocriticum. Frammenti di terra e di cielo a cura di R. Tuteri, Synapsi 2005 Pietre sacre di G. Berengo Gardin, Carsa 1999 Paesaggi. Landscapes di F. Fontana e M. Giacomelli, Gribaudo 2003 Riflessioni: Pescara. La città di Luciano D’Angelo di L. D’Angelo, LD editore 2003 Mountain Bike in Abruzzo di D. Roggiero, Ed. Il lupo Mountain Bike nel Parco d’Abruzzo di G. Cappellari, Ed. Il lupo 2005 Abruzzoèappennino la rivista dell’appennino abruzzese abruzzoeappennino.com