- Novità fiscali

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Il regime fiscale di attrazione europea:
una disciplina in fase di attuazione
L’ingegnoso meccanismo giuridico per attrarre capitali esteri in Italia è compatibile con il regime degli aiuti di
Stato e con la regolamentazione del mercato interno dell’UE?
1. Introduzione
Il decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, così come
emendato dalla Legge di conversione del 30 luglio
2010, n. 122 (cosiddetta “Manovra correttiva 2010”), ha
introdotto, all’articolo 41[1] il cosiddetto regime fiscale
di attrazione europea, il quale prevede per le imprese
residenti in uno Stato membro dell’UE diverso dall’Italia,
che danno vita a nuove attività economiche in Italia,
l’opportunità di poter scegliere, per un periodo di tre
anni, la disciplina fiscale di uno dei 27 Stati membri
dell’UE, in alternativa a quella nazionale.
Sebbene tale fenomeno di “shopping fiscale” era stato
già analizzato in occasione della promulgazione del
suddetto decreto legge[2], risulta opportuno prendere in
considerazione nuovamente la tematica dell’attrazione
europea alla luce della bozza del decreto attuativo
pubblicato, in data 6 aprile 2011, sul sito del Ministero
dell’economia e delle finanze. Si tratta di atto provvisorio
di natura non regolamentare, suddiviso in 9 articoli,
aperto ad ogni forma di suggerimento o modifica, che
ha come fine quello di specificare e, quindi, chiarire, i
presupposti e gli effetti del regime di attrazione di
investimenti esteri in Italia.
2. Le caratteristiche del decreto
Le imprese, nonché le persone fisiche o qualsiasi ente
considerato persona giuridica ai fini dell’imposizione,
svolgenti un’effettiva attività di impresa ai sensi della
normativa tributaria dello Stato membro dell’UE di
appartenenza, potranno intraprendere nuove attività
economiche in Italia, optando, in alternativa alla
normativa tributaria italiana delle imposte sui redditi,
per le regole di determinazione della base imponibile e
le aliquote di imposta di uno dei Paesi membri dell’UE.
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Dal punto di vista soggettivo il decreto chiarisce che il
concetto di residenza dovrà essere riferito alla nozione
della stessa recata dalla specifica Convenzione per
evitare le doppie imposizioni stipulata dall’Italia con lo
Stato membro di residenza dei soggetti che usufruiranno
di tale agevolazione (articolo 1, comma 3 del decreto).
Lo speciale regime impositivo, valido per il periodo
d’imposta in cui sarà presentata l’apposita istanza e per i
due successivi, riguarderà tutti i soggetti sopra menzionati,
residenti da almeno 24 mesi in uno Stato membro dell’UE
che, successivamente all’entrata in vigore del decreto
in questione, daranno vita a nuove realtà economiche
mediante il trasferimento della residenza fiscale o
attraverso la costituzione di una stabile organizzazione
e/o di una società direttamente controllata o collegata,
ai sensi dell’articolo 2359 del Codice civile. Ciò avrà
l’inevitabile conseguenza che, a partire dal quarto periodo
d’imposta, quindi, al momento dello spirare del triennio
di agevolazione, si renderanno applicabili, ai fini della
determinazione della base imponibile e della relativa
aliquota di imposizione, le disposizioni della normativa
tributaria statale italiana. A tal fine i valori patrimoniali e
reddituali di partenza dell’azienda si assumeranno negli
importi risultanti dalla normativa fiscale estera applicata
nel precedente periodo di favore.
Si deve sottolineare che non potranno essere considerate
nuove attività economiche quelle già svolte in Italia e
acquisite direttamente dai soggetti esteri attraverso
l’acquisto di partecipazioni o operazioni straordinarie,
anche per il tramite di società controllate o collegate
(articolo 2, comma 4 del decreto).
La particolarità della disciplina in esame è che i soggetti
interessati potranno scegliere il regime impositivo di uno
degli Stati membri dell’UE e non, necessariamente, quello
del proprio Stato di appartenenza. Questo permetterà di
adottare il sistema tributario più favorevole alle proprie
attività imprenditoriali.
economica, le acquisizioni di aziende o rami di di azienda
nel territorio dello Stato comporteranno l’interruzione
tout court del regime agevolativo.
Si evidenzia che, proprio per garantire un effettivo
radicamento della nuova attività economica estera in
Italia, troveranno applicazione le disposizioni in materia
di liquidazione, accertamento, sostituzione d’imposta,
dichiarazioni, riscossione e contenzioso previste per le
imposte sui redditi vigenti nell’ordinamento domestico.
A ciò si aggiunga che nel primo periodo di imposta
successivo alla scadenza o all’interruzione dell’accordo gli
acconti da versare saranno calcolati - ove venga utilizzato
il criterio storico - assumendo come imposta del periodo
precedente quella che si sarebbe determinata applicando
la normativa fiscale italiana.
3. I punti critici della disciplina
Per poter usufruire di questa particolare regolamentazione
si dovrà presentare, entro 30 giorni dalla data del
trasferimento della residenza fiscale o della costituzione
della stabile organizzazione o della società controllata
o collegata, un’apposita istanza di interpello[3] al
competente Ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate,
al fine di dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti
richiesti dalla suddetta normativa. In particolar modo,
si dovrà dare prova dell’effettiva operatività dell’attività,
o meglio, si dovrà presentare adeguata e copiosa
documentazione che attesti che l’impresa estera non
rappresenti una costruzione di puro artificio.
La scelta del regime impositivo è irrevocabile dal
momento della presentazione dell’istanza e vincola i
soggetti che hanno presentato la richiesta per il periodo
di agevolazione supra menzionato.
Si sottolinea che con la suddetta domanda si potrà
ottenere l’estensione del regime tributario prescelto
anche per i dipendenti e i collaboratori assunti in
Italia presso il soggetto estero che abbia trasferito la
residenza fiscale o presso la stabile organizzazione o la
società partecipata, salvo la possibilità per gli stessi di
optare per l’applicazione della normativa fiscale italiana.
Naturalmente l’estensione del regime a dipendenti o
collaboratori resta valida fino al periodo d’imposta in
cui terminerà o si interromperà il regime per il datore di
lavoro (articolo 8 del decreto).
Il decreto, inoltre, contempla anche il problema
dell’interruzione del regime agevolativo. Difatti, all’articolo
6 del suddetto provvedimento non regolamentare, si
chiarisce che qualora i requisiti richiesti per la fruizione
dell’agevolazione vengano meno nel corso del triennio, il
regime impositivo prescelto non sarà più valido a partire
dal periodo d’imposta in cui si paleseranno le modifiche
dei presupposti applicativi. Ciò avrà come immediata
conseguenza l’applicazione della disciplina tributaria
italiana.
Si specifica, inoltre che, nell’ambito della nuova attività
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Sebbene il regime fiscale di attrazione europea sia una
misura innovativa nel panorama dell’UE, lo stesso, però,
presta il fianco ad una serie di spunti critici che non
possono essere trascurati.
In primis, se da un lato il decreto ha chiarito alcuni
dubbi nati in sede di decreto legge come quello della
residenza, del significato da attribuire alle locuzioni
“nuova attività economica” e “normativa tributaria vigente
in uno degli Stati membri dell’Unione europea”, dall’altro
non sono stati presi in considerazione i risvolti pratici
della suddetta disciplina, come quello dell’effettività
dei controlli e degli accertamenti tributari, e le relative
conseguenze. Nonostante, si affermi che, per tali
questioni, si dovrà prendere in considerazione la
disciplina italiana, sarà necessario analizzare l’effettività
della richiamata normativa interna nel momento in cui
vi sarà il confronto con fattispecie ispirate a legislazioni
estere. Difatti, con riferimento agli obblighi dichiarativi,
si dovranno predisporre appositi format, uno per ogni
Stato membro dell’UE.
A ciò si aggiunga che anche la fase dell’accertamento e
del successivo ed eventuale contenzioso sarà coinvolta
dalla nuova disciplina. I funzionari dell’Amministrazione
finanziaria nonché gli organi della Giustizia tributaria
dovranno “cimentarsi” con legislazioni estere che molto
spesso sono caratterizzate da logiche e principi diversi
da quelli del sistema tributario italiano. Ciò potrebbe
comportare non solo errori nella fase di accertamento
ma anche e soprattutto un concreto rallentamento
dell’iter giurisdizionale in quanto i collegi giudicanti,
a qualunque livello, dovranno utilizzare norme e
disposizioni nazionali per realtà che saranno ancorate a
logiche sovranazionali, dando vita a palesi incongruenze.
Ulteriori problemi nascono nel momento in cui dal piano
nazionale si passa a quello europeo. Difatti, valutando
il regime fiscale di attrazione europea alla luce della
normativa degli aiuti di Stato, disciplinata nel Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito
TFUE) è possibile ravvisare molteplici profili di criticità.
L’articolo 107 TFUE stabilisce che “a livello europeo risultano
incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui
incidono sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli
Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma
che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o
minaccino di falsare la concorrenza”.
Com’è possibile notare, l’incompatibilità delle misure
nazionali, anche a carattere fiscale, si fonda sull’esistenza
congiunta di quattro circostanze fondamentali:
1. si deve appurare la concessione di un vantaggio diretto
o indiretto alle imprese;
2. il vantaggio deve provenire da risorse statali o
concretizzarsi in eventuali esoneri o agevolazioni
tributarie[4];
3. il beneficio deve essere idoneo, in atto o in potenza, a
falsare e ad incidere sugli scambi tra Stati membri;
4. il vantaggio deve essere selettivo, cioè concesso solo a
talune imprese o specifiche produzioni.
Analizzando la disciplina dell’attrazione fiscale europea
e le relative conseguenze pratiche, è possibile sostenere
che la regolamentazione agevolativa italiana integri
i requisiti previsti dall’ordinamento europeo in tema di
aiuti di Stato.
Con riferimento alla concessione di un vantaggio
diretto o indiretto, la possibilità offerta alle imprese
europee di scegliere una qualunque disciplina fiscale
dei Paesi membri dell’UE, alternativa a quella italiana,
permetterà alle aziende di prendere in considerazione un
vantaggio fiscale, come una minore aliquota, garantito
da altri regimi impositivi. Difatti è giocoforza pensare
che un’impresa opti per un sistema tributario che non sia
quello italiano solo ed esclusivamente per ottenere un
risparmio d’imposta: difatti “sfruttando” la legge italiana,
viene garantito un vantaggio tutt’altro che indiretto od
implicito.
A questo si lega una conseguenza inevitabile. Nel
momento in cui verrà scelta una disciplina fiscale che
permetta un risparmio di imposta considerevole, ciò
si tramuterà, almeno per il triennio agevolativo, in un
processo di sottrazione di base imponibile e, quindi, in
un minor gettito erariale conseguito dallo Stato. Ecco
quindi ravvisare quella situazione di esonero tributario
che consiste in una rinuncia ad un introito economico,
paragonabile ad un materiale trasferimento di risorse
finanziarie.
Inoltre, il vantaggio ottenuto dalle imprese europee avrà
come ulteriore conseguenza la concreta possibilità di
inficiare la concorrenza e gli scambi degli Stati membri
dell’UE. Difatti i vantaggi competitivi che la scelta di
un regime nazionale, alternativo a quello italiano, può
garantire alle imprese europee rispetto a quelle italiane,
operanti in contesti internazionali, o rispetto a quelle
imprese che operano in altri Stati membri dell’UE,
differenti dall’Italia, ma che sono soggette ad un livello
di tassazione simile a quello cui sono ordinariamente
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soggette le imprese italiane, costituiscono un vero e
proprio ostacolo alla concorrenza, soprattutto in base al
concetto di mercato unico europeo dove i singoli mercati
nazionali si fondono in uno solo[5]. Così facendo, si va
ad intaccare l’essenza del mercato dell’UE, inteso come il
luogo d’incontro tra domande ed offerta, in cui le imprese,
poste sullo stesso piano, producendo medesimi beni o
servizi, soddisfano le esigenze della Comunità. Ma ciò
difficilmente potrà accadere in quanto, proprio la minor
leva fiscale, che dovrebbe caratterizzare, inizialmente,
l’attività delle imprese europee rispetto a quelle nazionali,
falserà la concorrenza e quindi i rapporti economici fra gli
Stati membri dell’UE.
Infine, il criterio della selettività è integrato proprio
nella condizione soggettiva richiesta dal decreto: infatti
potranno accedere al regime di attrazione solo società
europee, e non italiane, che avviano una nuova attività
in Italia.
Alla luce di quanto supra affermato, è possibile sostenere
che, essendo il regime fiscale di attrazione europea una
disciplina border-line, caratterizzata da punti di presunta
illegittimità, una volta entrata in vigore, non si esclude
un possibile intervento da parte della Commissione
europea, volta ad accertare la conformità della disciplina
in questione con il sistema europeo in quanto sembra
avere tutte le caratteristiche proprie di un regime di aiuti
di Stato.
A tal proposito, la risposta dell’organo esecutivo dell’UE
sarà molto importante anche per valutare se possa
sussistere la possibilità di poter proporre, nei confronti
dell’Italia, un ricorso per infrazione per violazione del
principio di leale cooperazione (articoli 258 e 260 TFUE).
Difatti quest’ultimo prevede un divieto assoluto, per
gli apparati statali, di porre in essere atti che vadano a
compromettere la realizzazione di obiettivi comunitari.
L’Italia, con tale disciplina, sembra proprio aver violato
tale obbligo in quanto il regime fiscale dell’attrazione
europea si porrebbe come un ostacolo concreto al
raggiungimento del mercato interno dell’UE che è non
solo un obiettivo dell’UE ma anche uno strumento per
garantire la realizzazione di un sistema di concorrenza
perfetta.
4. Considerazioni conclusive
La disciplina dell’attrazione europea, allo stato dell’arte,
rappresenta un ingegnoso meccanismo giuridico per
attrarre capitali esteri in Italia. Dando la possibilità agli
investitori non nazionali di rimanere vincolati al regime
fiscale dello Stato di appartenenza o, addirittura, di
scegliere quello più vantaggioso a livello europeo, si
favorirà la creazione di un canale preferenziale per le
imprese estere che potranno “alleggerire”, almeno
temporaneamente, la pressione fiscale italiana
attraverso una legge emanata dallo stesso Parlamento
italiano.
L’esercizio dell’opzione da parte dell’impresa estera
comporta un duplice vantaggio per la stessa:
Ŝ la possibilità di poter applicare regole fiscali già
conosciute alla nuova iniziativa produttiva, ponendosi
al riparo da possibili modifiche legislative nazionali che
potrebbero o aumentare le aliquote di imposizione o
ampliare la base imponibile, con il rischio di
destabilizzare l’impresa in fase di start-up;
Ŝ l’opportunità di poter elaborare un vantaggioso
tax planning per l’impresa e per i relativi dipendenti e
collaboratori, con l’obiettivo di dar vita ad un business
solido sia a livello italiano che internazionale.
Nonostante ciò la norma, come ampiamente illustrato,
presenta diversi aspetti critici che si manifestano sia sul
piano pratico che su quello giuridico. Orbene, se i problemi
di compliance potrebbero essere arginati attraverso una
modifica del sistema che si pone a fondamento della
fase dichiarativa dei redditi, quindi con appositi modelli
di denuncia dei redditi e un aggiornamento dei sistemi
informatici della Pubblica amministrazione, i problemi
relativi alla fase di accertamento e di contenzioso saranno
di più difficile soluzione.
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Difatti,
tutto
l’organigramma
della
Pubblica
amministrazione dovrà letteralmente cimentarsi
su i diversi sistemi fiscali degli Stati membri dell’UE,
comprendere le logiche sottostanti ed essere in grado di
far rispettare le normative sovranazionali, complicando
di non poco il sistema fiscale italiano già di per sé molto
articolato e complesso.
Inoltre anche la realtà del mondo professionale sarà
coinvolta: i professionisti dovranno destreggiarsi non
solo con il diritto tributario italiano ma anche con altri
26 sistemi fiscali, situazione che ad oggi sembra ardua da
fronteggiare, già dalla fase di semplice comprensione e
traduzione linguistica delle diverse normative tributarie.
Da un punto di vista giuridico, i problemi legati al possibile
riconoscimento da parte della Commissione europea
della creazione di un regime di aiuti di Stato per le
imprese non italiane rendono particolarmente pericolosa
la normativa dell’attrazione europea, soprattutto per i
risvolti negativi che potrebbero verificarsi sia per quanto
riguarda la distorsione del mercato nazionale e di quello
interno dell’UE, nonché per le possibili misure che
potrebbero essere adottate qualora venisse attribuita
all’Italia una condotta in contrasto con il diritto europeo.
Alla luce di quanto affermato è possibile sostenere che
l’obiettivo ultimo della disciplina mal si concilia con gli
strumenti previsti per la relativa realizzazione. Sebbene
il regime di favore potrebbe avere grande successo
nel mondo imprenditoriale, sarà necessario verificare
l’applicazione pratica di tale sistema e vedere se le
problematiche poc’anzi descritte si manifesteranno, ma
soprattutto quale sarà la valutazione dell’agevolazione
sul piano comunitario e la compatibilità con il regime
degli aiuti di Stato e con la regolamentazione del mercato
interno.
Per maggiori informazioni:
Ballancin Andrea; Lo shopping italiano delle regole
fiscali, Novità fiscali, luglio 2010, pagina 18 e seguenti,
in:
http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/
NovitaFiscali_luglio.pdf
[20.07.2011]
Ministero dell’Economia e delle Finanze; Regime fiscale
di attrazione europea, Bozza del decreto attuativo, 6
aprile 2011, in:
http://www.mef.gov.it/primo-piano/primo-piano.
asp?ppid=26642
[20.07.2011]
Elenco delle fonti fotografiche:
http://ec.europa.eu/avservices/photo/photoDetails.cfm?s
itelang=en&ref=P-013967/00-03
[20.07.2011]
http://ec.europa.eu/avservices/photo/photoDetails.cfm?s
itelang=en&ref=P-019077/00-02
[20.07.2011]
http://www.oipamagazine.eu/public/immagini/
foto/2273.jpg
[20.07.2011]
Andrea Ballancin
Professore a contratto
di Diritto Tributario presso
l’Università degli Studi
del Piemonte Orientale
Note: 1) La disposizione stabilisce che “Alle imprese
residenti in uno Stato membro dell’Unione europea
diverso dall’Italia che intraprendono in Italia nuove attività
economiche, nonché ai loro dipendenti e collaboratori - per
un periodo di tre anni - si può applicare, in alternativa alla
normativa tributaria statale italiana, la normativa tributaria
statale vigente in uno degli Stati membri dell’Unione
europea”. 2) Cfr. Ballancin Andrea; Lo shopping italiano
delle regole fiscali, in: Novità fiscali, luglio 2010, pagina
18 e seguenti. 3) Il suddetto interpello dovrà essere
presentato secondo la procedura di cui all’articolo
8 del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003,
convertito, con modificazioni dalla Legge n. 326 del
24 novembre 2003. Trattasi di ruling internazionale
per il quale è previsto che “[…] 1. Le imprese con attività
internazionale hanno accesso ad una procedura di ruling
di standard internazionale, con principale riferimento ai
prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle
royalties. 2. La procedura si conclude con la stipulazione
di un accordo, tra il competente ufficio dell’Agenzia delle
Entrate e il contribuente, e vincola per il periodo d’imposta
nel corso del quale l’accordo è stipulato e per i due periodi
d’imposta successivi, salvo che intervengano mutamenti
nelle circostanze di fatto o di diritto rilevanti al fine delle
predette metodologie e risultati dall’accordo sottoscritto
dai contribuenti. 3. In base alla normativa comunitaria,
l’amministrazione finanziaria invia copia dell’accordo
all’autorità fiscale competente degli Stati di residenza
o di stabilimento delle imprese con i quali i contribuenti
pongono in essere le relative operazioni. 4. Per i periodi
d’imposta di cui al comma 2, l’Amministrazione finanziaria
esercita i poteri di cui agli articoli 32 e seguenti del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
600, soltanto in relazione a questioni diverse da quelle
oggetto dell’accordo. 5. La richiesta di ruling è presentata
al competente ufficio, di Milano o di Roma, della Agenzia
delle Entrate secondo quanto stabilito con provvedimento
del direttore della medesima Agenzia. 6. Le disposizioni
del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo
d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in
vigore del presente decreto. 7. Agli oneri derivati dal presente
articolo, ammontati a 5 milioni di euro a decorre dal 2004,
si provvede a valere sulle maggiori entrate derivanti dal
presente decreto”. 4) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 15
marzo 1994, Banco Exterior de Espana, C-387/92, in:
Racc. I-977; ordinanza 25 marzo 1998, FFSA, C-174/97,
in: Racc. I-1303. 5) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 5
maggio 1982, Schul, C-15/81, in: Racc. I-1409.