GM – Dispensa 01-2013 _13marzo

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GM – Dispensa 01-2013 _13marzo
A.G.E.LL.PP.
Associazione Geometri Edilizia e Lavori Pubblici
ACQUISIZIONE E TRASFERIMENTO DELLA PROPRIETA'
IN
CAPO
ALLA
PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE:
ESPROPRIO, ACQUISIZIONE SANANTE, USUCAPIONE.
a cura di Gualtiero Medda
Marzo 2013
GEOM. GUALTIERO MEDDA . CONSULENTE P.P.AA. - DOCENTE AGELLPP
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ACQUISIZIONE E TRASFERIMENTO DELLA PROPRIETA' IN CAPO ALLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE: ESPROPRIO, ACQUISIZIONE SANANTE, USUCAPIONE.
Prima di addentrarci nelle più puntuali disquisizioni in materia di espropri, anche
con il rischio di arrivare a conclusioni non condivisibili dai più alti cultori della materia, è
bene ripercorrere alcuni momenti storici che hanno generato nel 'cittadino' la sensazione
che l'attività della Pubblica Amministrazione si svolge prevalentemente con l'azione
impositiva degli Organi preposti in luogo di un interesse collettivo e condivo. Cercheremo
quindi di proporre un percorso normativo della legislazione che ha caratterizzato la
materia, applicata spesso in maniera controversa, e la sua attuale interpretazione
operativa.
1.
Cenni storici
Nelle varie epoche storiche il concetto di esproprio così come lo intendiamo oggi
non ha quasi mai fatto parte delle azioni amministrative ordinarie, anche perché le attività
di acquisizione dei beni erano perlopiù regolate da interessi governativi condivisi. Lo stesso
diritto romano non trova richiami esaustivi tali da assimilarli al concetto di espropriazione
per pubblica utilità, semmai l'acquisizione, per interessi collettivi, dei beni privati,
normalmente di proprietà dei patrizi o dei militi, avveniva per volere dei magistrati o
dell'imperatore e dietro pagamento di un corrispettivo. In sostanza si eseguiva una vendita
forzata, previo consenso. Sul concetto di acquisto forzoso si sono regolate le attività del
Medioevo, dei Comuni e dei sistemi sociali europei sino alle innovazioni portate dalla
Rivoluzione Francese. E' infatti nel 1791 che in Francia, con la nuova Costituzione, si
enuncia, per la prima volta, che è inviolabile il diritto alla proprietà del cittadino il quale,
comunque, può essere limitato per "assoluta necessità pubblica e salvo il pagamento di un
indennizzo".
Nel XIX secolo, anche a seguito dei grandi effetti dei nuovi sistemi sociali generati
dalla Rivoluzione Industriale, vi fu uno spostamento di popolazioni dalle campagne verso le
città. Da qui la necessità dei governi locali di ridisegnare il sistema urbano, la viabilità ed i
servizi correlati.
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La Francia e la Gran Bretagna sono i primi stati a darsi delle norme in materia di
esproprio. La Francia nel 1841 e 1850 - con le prime leggi europee in materia di esproprio
(expropriation), per l’acquisizione delle aree per la costruzione delle linee ferroviarie e per
interventi urbani di interesse generale (pubblica utilità). In particolare con la legge del
1850 si consente ai Comuni di intervenire attraverso procedure espropriative per risanare i
quartieri con abitazioni insalubri. Tale legge sarà il modello base utilizzato anche per la
prima legge italiana del 1865.
Nel Regno Unito con il primo Public Health Act (legge per la salute pubblica) del
1848, per la realizzazione di fogne, strade, illuminazione, fornitura di acqua potabile, servizi
di nettezza urbana si dettano le prime regole sull'esproprio. Nel 1875 con il secondo Public
Health Act , si mettono in atto le regole urbanistiche, definendo gli standard per la
larghezza delle strade, le distanze tra gli edifici e gli spazi da garantire intorno agli edifici di
abitazione e le procedure di acquisizione delle aree private per uso collettivo. Da notare
che la parola esproprio in Gran Bretagna non trova un riscontro diretto in quanto tutte le
proprietà sono in capo alla casta monarchica (ancora oggi) o suoi eredi, pertanto non
potendo togliere direttamente alle proprietà del 'Regno' si costituisce l'istituto del
'compulsory purchase', ovvero dell'acquisto obbligatorio da parte del Governo o della
Pubblica Amministrazione verso la proprietà 'nobiliare'.
L'Italia si inserisce in questo contesto con la Legge n. 2359 del 1865 - “Sulle
espropriazioni per causa di pubblica utilità”. La legge attribuisce all’ente pubblico la facoltà
di espropriare aree ma, come ben enunciato all'Art. 39 - L’indennità di esproprio è
commisurata al “giusto prezzo in un regime di compravendita”……dove il criterio generale
per il calcolo dell’indennità fa riferimento al valore di mercato del bene oggetto di
esproprio considerato in condizioni di ordinarietà.
Anche altri stati europei, quali la Germania nel 1875 (prima legge urbanistica
prussiana) e l'Olanda nel 1902 con la legge urbanistica regolano la disciplina dell’esproprio
(enteignung) limitando la proprietà nell'interesse collettivo con il riconoscimento di un
indennizzo sulla base del valore di mercato.
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2.
L'acquisizione della proprietà privata da parte della P.A.
Le forme di acquisto della proprietà, nel nostro ordinamento, sono regolate dal
diritto privato e dal diritto amministrativo:
• nel diritto privato, è sancito dall'art. 922 c.c. il quale recita "La proprietà si
acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o
commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e
negli altri modi stabiliti dalla legge". I modi di acquisto sono a titolo originario o a
titolo derivato.
• nel diritto pubblico, l'acquisto può avvenire in esecuzione del diritto
internazionale, sul diritto pubblico interno (successione tra enti); oppure in
forza di atti pubblicistici che comportano l'ablazione di diritti reali su beni di
altri soggetti (confisca, requisizione in proprietà, espropriazione, ecc.).
Riteniamo che l'azione della pubblica amministrazione debba sempre essere
ricondotta all'interno del diritto amministrativo, in particolar modo se indirizzata, come è
ovvio che sia, a soddisfare gli interessi della collettività. In realtà il dedalo di norme, la
formazione non sempre specialistica dei funzionari o le 'esigenze politiche' , seguono
percorsi non sempre riconducibili nella sfera del diritto amministrativo.
Con l'obbiettivo di dare un contributo interpretativo, ci accingiamo ad analizzare
alcuni elementi che, per mano della pubblica amministrazione, vanno ad incidere sulla
perdita della proprietà privata: espropriazione, acquisizione sanante, usucapione.
3.
L'espropriazione
La proprietà è un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione la quale all'Art. 42
ne definisce la funzione:
"La proprietà è pubblica o privata - La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne
determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di
renderla accessibile a tutti. - La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge e salvo
indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale. -Nessuno può essere privato in tutto o in parte dei
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beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico interesse legalmente dichiarata e contro il pagamento di
una giusta indennità."
Il codice civile, all'art. 834, definisce ulteriormente come di seguito:
"Nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico
interesse legalmente dichiarata e contro il pagamento di una giusta indennità. - Le norme relative
all'espropriazione per causa di pubblico interesse sono determinate da leggi speciali."
Le norme che in ordine cronologico hanno regolato l'istituto delle espropriazioni in
Italia sono state, prevalentemente, le seguenti:
legge 25.06.1865, n. 2359 (legge fondamentale)
legge 15.01.1885, n. 2892 (legge di Napoli)
legge 22.10.1971, n. 865 (legge casa)
legge 28.01.1977, n. 10 (legge Bucalossi)
legge 15.01.1978, n. 1 - art. 1
sentenza Corte Cost. 30.01.1980, n.5
legge 29.07.1983, 385 (legge tampone)
sentenza Corte Cost. 15.05.1983, n. 223
legge 08.08.1992, n. 359 - art. 5 bis
sentenza Corte Cost. 16.06.1993, n. 283
Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (integrato con
D.lvo 302/2002)
sentenza Corte Cost. 22.10.2007, n. 348
sentenza Corte Cost. 07.06.2011, n. 181
A queste leggi si dovrebbero poi aggiungere anche le varie leggi regionali che, in
funzione del livello di competenza (esclusiva o sussidiaria) assegnata dalla Costituzione,
hanno legiferato in merito.
Va detto inoltre che la casistica giurisprudenziale, in materia di espropri, si è da
sempre concentrata prevalentemente sul peso economico derivante dalla applicazione di
una 'giusta indennità', vero obbiettivo del contenzioso, anche se poi si utilizzava come
mezzo la nullità o l'illegittimità degli atti amministrativi di esproprio.
Gli effetti patologici di tali procedimenti verranno analizzati nella parte 'acquisizione
sanante' e 'usucapione'.
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Non vengono analizzati in questa sede gli aspetti riconducibili alla 'indennità di
espropriazione' in quanto l'evoluzione storica, la legislazione dedicata e la giurisprudenza
correlata ne fanno un argomento autonomo.
Come abbiamo visto, in Italia, le procedure di esproprio erano definite dalla Legge
Fondamentale n. 2359/1865, la quale pur subendo 'aggiustamenti' temporali ha
mantenuto, sino al 2003 l'impalcato fondamentale.
Dal 01 luglio 2003, con l'entrata in vigore del D.P.R. 08.06.2001, n. 327 “Testo Unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica
utilità”, e ss.mm.ii. tutta la materia viene armonizzata con alcune variazioni sostanziali che
vanno ad incidere sulla attuazione delle procedure.
Il Dpr 327/01 non nasce per caso, ma è il percorso travagliato di un uso inflazionato
dell'occupazione d'urgenza, prevista dall'art. 20 della L. 865/71 1, il quale attuato in
combinato disposto con il comma 1 art. 1 della L. n. 1/78 2, consentiva di immettersi nella
proprietà privata per la realizzazione di opere ritenute di 'urgenza ed indifferibilità' .
In sostanza una norma che prevedeva l'istituto della occupazione d'urgenza solo in
casi eccezionali, grazie all'abuso amministrativo della stessa, diventò una regola. Infatti in
Italia il 90% delle pubbliche amministrazioni riteneva urgente eseguire l'opera pubblica,
tralasciando la procedura ordinaria di esproprio.
Purtroppo il termine perentorio dei cinque anni, entro i quali si doveva concludere
la procedura ordinaria di esproprio, apparentemente abbondante, per il 70% dei casi
spirava lasciando aperti i contenziosi con i privati. Ti tali contenziosi ancora oggi si pagano
le conseguenze con procedimenti in itinere anche a distanza di trenta anni ed aggravio
degli oneri a danno della finanza pubblica.
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Art. 20 L. 875/71
1. L'occupazione di urgenza delle aree da espropriare è pronunciata con decreto del prefetto. Tale decreto perde
efficacia ove l'occupazione non segua nel termine di tre mesi dalla sua emanazione.
2. L'occupazione può essere protratta fino a cinque anni dalla data di immissione nel possesso.
(...omisis),
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Art. 1 L. 1/78
1. L'approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi statali, regionali, delle province
autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed
indifferibilità delle opere stesse.
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Il T.U. interviene i modo sostanziale su tale aspetto eliminando, nella prima stesura
del 2001, l'occupazione d'urgenza. Le traversie politiche dell'epoca, con cambio di governo,
portarono alla sospensione dell'entrata in vigore del Dpr, prima e, con l'inserimento di un
nuovo articolo poi, il '22bis', il ripristino in parte dell'occupazione d'urgenza.
Altro elemento di novità sostanziale portato dal T.U. riguarda il soggetto preposto
alla emissione del decreto, non più in capo ad un organo puntuale (prefetto, regione, ecc.),
ma in capo alla Amministrazione preposta alla realizzazione dell'opera. La medesima
Amministrazione ha l'obbligo di istituire l'Ufficio per le espropriazioni (art. 6).
Ci consta evidenziare che, mentre precedentemente il T.U. le forme di acquisizione
erano la 'cessione volontaria' da effettuarsi con atto pubblico e si demandava al decreto di
esproprio per le parti non cedenti volontariamente oggi, a norma dell'art. 23, il decreto di
esproprio si emette indipendentemente dalla manifestazione di volontà cedente degli
espropriati. Ciò fa venire meno i presupposti dell'atto pubblico di cessione volontaria, pur
tenuto in piedi dall'art. 45.
Le procedure con il Dpr 327/01
L'amministrazione preposta alla redazione dell'opera pubblica o di pubblico
interesse è la medesima che emette il decreto di esproprio, il quale diventa un endoprocedimento dell'opera medesima. Considerato che la normativa sui lavori pubblici sin
dalla L. 109/94 ed ora con il D.lvo 163/06, prevede la pianificazione delle opere pubbliche
con l'approvazione del Piano Triennale, si può ragionevolmente affermare che con una
buona programmazione delle fasi, ed una attenta competenza professionale, si può
arrivare alla acquisizione delle aree in esproprio prima della esecuzione dei lavori.
Perché si possa emettere un legittimo decreto di esproprio occorre:
1. il vincolo preordinato all'esproprio conforme allo strumento urbanistico, ovvero che
l'opera, per la sua natura 'pubblicistica' sia prevista dallo strumento urbanistico. In
caso negativo deve essere avviata autonoma procedura di variante secondo gli
istituti normativi regionali vigenti;
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2. la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera. Ordinariamente l'approvazione del
progetto definitivo comporta la dichiarazione di P.U.. E' in questa fase che,
attraverso la puntuale individuazione delle superfici in esproprio, inserite nel Piano
Particellare allegato al progetto definitivo, si conforma la quota di superficie che va
ad inserirsi nella competenza del diritto amministrativo.
3. sia stata determinata, anche in via provvisoria, l'indennità. E' evidente che
trattandosi di trasferimento di diritti reali (proprietà), anche se in forma coattiva, è
necessario individuare il corrispettivo, ancorché provvisorio, del bene. In presenza di
aree soggette a frazionamento l'indennità può essere individuata solo dopo
l'approvazione del 'tipo di frazionamento'.
In tutte le fasi è prevista la partecipazione dei proprietari, accertati secondo i registri
catastali, a termini degli artt. 7 e 8 della L. 241/90 ss.mm.ii.. La mancata comunicazione di
avvio del procedimento rende gli atti amministrativi illegittimi.
L'esecuzione del decreto
Una volta che tutti gli atti amministrativi rispondono ai requisiti di conformità, entro
i termini della dichiarazione di pubblica utilità, può essere emanato il decreto di esproprio
il quale deve essere eseguito, a pena decadenza, entro due anni.
Se vogliamo seguire l'indicazione pedissequa dell'art. 23 commi 2,3,4 3, si dovrebbe
immediatamente eseguirne la trascrizione, previa sospensiva sino alla sua esecuzione che
può durare, come abbiamo già visto, sino a due anni.
Qui la norma è un po' farraginosa, se infatti l'obbiettivo è il trasferimento del bene
dal patrimonio privato al patrimonio pubblico indisponibile, è necessario che il decreto sia
formalmente eseguito nei termini dell'art. 24 4, quindi una trascrizione immediata non
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Art. 23 Dpr 327/01
2. Il decreto di esproprio è trascritto senza indugio presso l'ufficio dei registri immobiliari.
3. La notifica del decreto di esproprio può avere luogo contestualmente alla sua esecuzione. Qualora vi sia
l'opposizione del proprietario o del possessore del bene, nel verbale si da' atto dell'opposizione e le operazioni di
immissione in possesso possono essere differite di dieci giorni. )
4. Le operazioni di trascrizione e di voltura nel catasto e nei libri censuari hanno luogo senza indugio (...).
4 Art. 24. Dpr 327/01
1. L'esecuzione del decreto di esproprio ha luogo per iniziativa dell'autorità espropriante o del suo beneficiario, con il
verbale di immissione in possesso, entro il termine perentorio di due anni.
2. Lo stato di consistenza del bene può essere compilato anche successivamente alla redazione del verbale di
immissione in possesso,senza ritardo e prima che sia mutato lo stato dei luoghi.
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porta nessun risultato se non quello di censire il il peso sulla proprietà. Viene inoltra saltata
la fase della registrazione dell'atto presso l'Ufficio delle entrate. Quindi la norma ci indica
che prima si trascrive, in sospensiva, poi si esegue e poi si trascrive definitivamente e si
voltura.
L'attività dell' Ufficio per le espropriazioni ha come l'obbiettivo primario
l'acquisizione in proprietà delle aree in esproprio, ciò al fine di consentire all'impresa
esecutrice dei lavori di entrare legittimamente nelle aree ed evitare 'riserve' in danno per
l'Amministrazione. Quindi le procedure ritenute più funzionali, nonché ritenute in sintonia
con il principio di efficienza ed efficacia, sono come di seguito elencate.
A. emettere il decreto e contestualmente notificare la data della sua esecuzione. E'
previsto un termine minimo di 7gg.. Considerato che le notifiche vengono eseguite
preferibilmente per posta si suggerisce un termine per l'esecuzione di 15gg;
B. esecuzione del decreto con redazione del 'verbale di immissione' e, se non già
redatto, dello 'stato di consistenza' dell'immobile;
C. entro 20gg. dalla sua esecuzione, per non incorrere in sanzioni amministrative,
presentare all'Agenzia delle Entrate la richiesta di registrazione con allegato il
pagamento con mod. F23 delle imposte per ditta. Si evidenzia che l'imposta di
registro e l'imposta ipotecaria sono a tassazione fissa (€.168/cad) mentre l'imposta
catastale è l'1% del valore dell'immobile con importo minimo di €.168;
D. dopo la registrazione, ed entro il termine di 30gg dalla esecuzione, procedere alla
trascrizione definitiva e voltura della proprietà, a titolo originario, a favore dell'Ente
o del soggetto preposto.
3. Lo stato di consistenza e il verbale di immissione sono redatti in contraddittorio con l'espropriato o, nel caso di
assenza o di rifiuto, con la presenza di almeno due testimoni che non siano dipendenti del beneficiario
dell'espropriazione. Possono partecipare alle operazioni i titolari di diritti reali o personali sul bene.
4. Si intende effettuata l'immissione in possesso anche quando,malgrado la redazione del relativo verbale, il bene
continua ad essere utilizzato, per qualsiasi ragione, da chi in precedenza ne aveva la disponibilità.
5. L'autorità espropriante, in calce al decreto di esproprio,indica la data in cui è avvenuta l'immissione in possesso e
trasmette copia del relativo verbale all'ufficio per i registri immobiliari, per la relativa annotazione.
(...)
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Non è solo importante eseguire quanto prima il decreto di esproprio per poter
acquisire la piena proprietà del bene, ma anche perché con tale azione ogni eventuale
diritto di rivalsa, anche da parte di terzi, si può far valere unicamente sull'indennità5.
4.
L'acquisizione sanante
Come abbiamo visto l'applicazione delle procedure 'urgenti ed indifferibili'
riconducibili all'applicazione sistematica della L. 1/78, non concludendosi ordinariamente
entro il periodo di legittima occupazione con l'esproprio, configurava, allo scadere un
'illecito istantaneo con effetti permanenti'.
In sostanza la realizzazione dell'opera pubblica, su un'area non trasferita in
proprietà al patrimonio pubblico, che configurasse una irreversibile trasformazione del
suolo, generava la seguente patologia:
- occupazione illegittima: se conseguente alla legittima dichiarazione di P.U.
- occupazione usurpativa: - se conseguente ad atti amministrativi diventati nulli a seguito di
sentenza.
La giurisprudenza italiana, in materia, ha generato una notevole mole di atti,
sentenze e casistiche, non sempre in linea con il diritto fondamentale del cittadino di
beneficiare del legittimo ristoro per la perdita del bene.
Anzi preso atto delle difficoltà, spesso anche in capo alla finanza pubblica, e non
potendo nei fatti restituire il bene trasformato al privato, nell'interesse prevalente della
'cosa pubblica', fu creato l'istituto della 'accessione invertita'. Per poter meglio focalizzare
tale concetto dobbiamo partire dalla 'accessione' regolata dal codice civile.
Con il termine 'accessione' si intende l'unione al suolo di una cosa, la quale passa in
azione forzosa a vantaggio della proprietà del suolo, così come enunciato dall'art. 934 c.c.:
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Art. 25. Dpr 327/01
(.....)
3. Dopo la trascrizione del decreto di esproprio, tutti i diritti relativi al bene espropriato possono essere fatti valere
unicamente sull'indennità.
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"Qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al
proprietario di questo, salvo quanto disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo
diversamente dal titolo o dalla legge."
Il concetto generale è che il suolo attrae tutto ciò che vi è sopra incorporato.
Davanti alle patologie derivate dalle occupazioni illegittime od usurpative, viene
individuato l'istituto, di creazione giurisprudenziale, della 'accessione invertita', ovvero è
l'opera realizzata sul fondo che attrae a se il fondo medesimo.
In termini cronologici l'accessione invertita o occupazione appropriativa, nasce nei
primi anni '80 e si conclude definitivamente nel 2003 con l'inserimento nel Dpr 327/01
dell'istituto della 'acquisizione sanante'.
Il percorso normativo
Tra i primi provvedimenti troviamo la sentenza Corte di Cassazione 26.02.1983, n.
1464, con la quale si stabilì che "nell'ipotesi di occupazione illegittima di un bene di proprietà privata
da parte della P.A. per la costruzione di un'opera pubblica, la radicale trasformazione del bene stesso da un
lato comporta l'estinzione in quel momento del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione,
a titolo originale, della proprietà in capo all'ente costruttore, dall'altro costituisce un illecito, istantaneo e
permanente, che abilita il privato a chiedere, nel termine prescrizionale di cinque anni dal momento della
trasformazione del fondo, la condanna dell'ente medesimo a risarcire il danno derivante dalla perdita del
diritto di proprietà".
A parte le problematiche generate dalla competenza giurisdizionale se in capo al
Giudice Amministrativo, in quanto generata da atti amministrativi, o in capo al Giudice
Ordinario in quanto trattasi di risarcimento del danno, si vuole portare l'attenzione sulla
azione subita dal cittadino in attuazione alla sentenza.
Il titolare di un bene, interessato dalla realizzazione dell'opera pubblica, secondo le
procedure in uso all'epoca, si vede notificare, a termini dell'art. 20 L. 865/71, un decreto di
occupazione d'urgenza, almeno 20 giorni prima dell'esecuzione dello stesso, con obbligo di
liberare le cose mobili ma senza avere nessuna notizia dell'indennizzo di competenza. Il
decreto viene eseguito, non sempre in forma pacifica, ed il proprietario ne perde l'uso per
cinque anni. Scaduti i cinque anni, senza che sia stata emesso un legittimo decreto di
esproprio, e quindi senza percepire alcun tipo di indennità, il bene non gli viene restituito
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in quanto sopra vi è l'opera pubblica. A questo punto, secondo la sentenza citata, non è più
proprietario, ma non percepirà nessun risarcimento se non avvia entro i successivi 5 anni
(secondo altre sentenze 10) la richiesta di risarcimento. Quindi se il proprietario non era un
attento osservatore delle procedure e delle evoluzioni normative vigenti all'epoca, si
trovava a perdere il bene nel giro di 10 anni senza averne alcun ristoro.
Arriviamo quindi con alterne sentenze interpretative al 1996, quando il legislatore
decide di mettere mano agli effetti degli atti amministrativi illegittimi con sistematica
richiesta del risarcimento del danno, inserendo un comma al criterio di determinazione
dell'indennità ex l'art. 5bis L. 359/92, inserendo, con l'art. 3 c. 65 L. 662/1996, il comma 7
bis al predetto, il seguente.
"comma 7bis - In caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità, intervenute
anteriormente al 30 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di
determinazione dell'indennità di cui al comma 1, con esclusione della riduzione del 40 per cento. In
tal caso l'importo del risarcimento è altresì aumentato del 10 per cento. Le disposizioni di cui al
presente comma si applicano anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in
giudicato".
L'uso di tutti questi 'bis' da parte del legislatore sono correttivi dell'ultima ora,
inseriti per porvi rimedio temporaneo in attesa di un dispositivo più organico. Ma si sa che
nel nostro Paese non vi è niente di più definitivo dei provvedimenti temporanei.
Abbiamo visto che con l'accessione invertita, aldilà degli aspetti risarcitori, la
pubblica amministrazione diventava proprietaria solo dopo che la sentenza passava in
giudicato con trascrizione del titolo a favore dell'ente. Per tutti gli altri casi, dove il
proprietario non avviava il contenzioso per risarcimento del danno, veniva a mancare uno
strumento legislativo e non si poteva eseguire il trasferimento del titolo da possesso
illegittimo a proprietà. In alcuni casi, restati assai dubbiosi, alcuni giudici ritenevano
ammissibile l'acquisizione per usucapione, che comunque vedremmo in seguito.
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Con l'attuazione del comma 7 bis art. 5 L.359/92, arriviamo sino al luglio 2003,
quando entra in vigore il 'T.U. - Dpr 327/01 il quale all'art. 43 6 istituisce il criterio di
acquisizione sanante. Oltre gli aspetti di incostituzionalità, che porterà nel 2010 alla sua
abrogazione, per la prima volta si da alla medesima amministrazione che aveva generato
l'illecita occupazione, la possibilità di diventare proprietario effettivo, previa
determinazione del risarcimento del danno, trascrivendo l'acquisizione sanante nelle
stesse forme e benefici fiscali del decreto di esproprio.
Il T.U. comunque tiene in vita il citato 7 bis, che viene riportato nelle norme
transitorie all'art. 55, lasciando intendere che l'art. 43 era applicabile solo dal 2003.
Nello stesso periodo si pronunciò anche il Consiglio di Stato - sez. IV che con
decisione del 10.11.2003, n. 7135, la quale confermava, a distanza di venti anni, i contenuti
della sentenza Corte di Cassazione 26.02.1983, n. 1464, già citata, con prescrizione del
diritto al risarcimento del danno in cinque anni, individuandolo quale debito di valuta.
Dietro la spinta di numerosi ricorsi, ma soprattutto con la subordinanza legislativa a
termini dell'art. 117 della Costituzione sui trattati europei, la Corte Costituzionale con la
sentenza 24.10.2007, 349, recependo i dettami della CEDU (Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo) dichiarò incostituzionale il comma 7bis citato. Gli effetti della CEDU vanno ad
incidere sul diritto di privato.
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Art. 43. Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico
(poi dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte costituzionale, sentenza 8 ottobre 2010, n. 293)
1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato
in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso
vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni.
2. L'atto di acquisizione:
a) può essere emanato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio,
l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio;
b) dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area, indicando, ove risulti, la data dalla
quale essa si è verificata;
c) determina la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento, entro il termine di trenta giorni, senza
pregiudizio per l'eventuale azione già proposta;
d) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili;
e) comporta il passaggio del diritto di proprietà;
f) è trascritto senza indugio presso l'ufficio dei registri immobiliari;
g) è trasmesso all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2.
3. Qualora sia impugnato uno dei provvedimenti indicati nei commi 1 e 2 ovvero sia esercitata una azione volta alla
restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il
bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la
condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo.
(segue.....)
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In particolare la prassi dell'espropriazione indiretta o accessione invertita, è
elemento di violazione del principio di proprietà tutelato dall'art. 1 della Convenzione.
Contrariamente da quanto novellato dalla giurisprudenza nazionale, non vi è trasferimento
di proprietà su occupazione 'sine titulo', e quindi l'assenza di prescrizione dell'azione
risarcitoria. Si passa, quindi, da debito di valuta (prescrivibile) a debito di valore (non
prescrivibile). Recependo tale indirizzo e con l'obbiettivo di dare una norma nasce l'art. 43.
A questo punto lo stesso Consiglio di Stato - sez. IV, rivedendo quanto enunciato nel
2003, con decisione 30.11.2007, n.6124, stabilisce:
"L’art. 43 T.U. sulle espropriazioni per pubblica utilità preclude che la PA diventi proprietaria di
un bene sine titulo, potendo essa divenirlo nei seguenti casi:
1) fisiologicamente, al termine del procedimento espropriativo, concluso con il decreto di esproprio
o con la cessione del bene espropriando;
2) o, patologicamente, ove il bene sia stato modificato in assenza di un valido ed efficace
provvedimento, mediante il decreto di acquisizione coattiva sanante ex art. 43, che non
presuppone un quinquennale termine prescrizionale per eventuali richieste risarcitorie, decorrente
dalla trasformazione irreversibile dell’area o dalla realizzazione dell’opera;.
Ma anche la vita dell'art. 43 non è di grande durata, inserito come norma innovativa
all'interno di un T.U., viene dichiarato illegittimo con sentenza Corte Costituzionale del
08.10.2010, n. 293, in quanto emanato in violazione della legge delega.
Gli effetti della sentenza sono che la pubblica amministrazione si trova di colpo
senza strumenti operativi e non tardano ad arrivare le richieste, soprattutto da parte dei
proprietari con contenziosi in itinere, della restituzione delle aree secondo il presupposto
dell'accessione artt. 934 e 9367 del codice civile, già citati precedentemente.
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Articolo 936.
Quando le costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di
ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle.
(....)
Se il proprietario del fondo domanda che siano tolte, esse devono togliersi a spese di colui che le ha fatte (2933).
Questi può inoltre essere condannato al risarcimento dei danni.
Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni od opere, quando sono state fatte a sua
scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede (1147).
La rimozione non può essere domandata trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia
dell’incorporazione (2964 e seguenti)
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Per circa otto mesi si vive un doppio paradosso, uno il legittimo diritto del
proprietario al recupero dell' uso pieno della proprietà previa 'eliminazione' dell'opera
pubblica, l'altro il mantenimento dell'opera pubblica, magari essenziale, basti pensare ad
una scuola, ma con il dovere del risarcimento non più riconducibile all'azione
amministrativa.
Il legislatore pone rimedio con l'art. 34 D.L. 98/11, convertito con legge 111 del
15.07.2011, inserendo nel T.U. l'art. 42 bis, quale nuova disciplina per l'acquisizione
sanante. Norma tutt'ora in vigore.
5.
L'usucapione
Nel codice civile, agli artt. 11588 e segg., troviamo le norme che regolano
l'usucapione, la quale è uno dei modi di acquisto della proprietà, a titolo originario,
maturato in virtù del possesso continuato (venti anni per gli immobili), se lo stesso viene
esercitato in buona fede (non violento o clandestino).
L'istituto della usucapione, pur pacifico nel diritto privato, è stato per alcuni periodi
oggetto di interpretazione giurisprudenziale dell'azione amministrativa, derivata da
occupazione illegittima o usurpativa, legittimando la pubblica amministrazione alla
acquisizione del bene senza oneri di risarcimento, ma con procedimento civile presso il
Tribunale ordinario.
Riteniamo, da sempre, che la P.A. non è legittimata alla usucapione, per due
semplici motivi:
1) L'occupazione di un'area per la realizzazione dell'opera pubblica deve quantomeno
essere legittimata dalla dichiarazione di P.U. e nel rispetto del giusto procedimento
amministrativo. L'azione formale è sempre passata attraverso un atto impositivo, quale è il
decreto di occupazione, e questo basta per affermare che l'uso è conseguente ad azione
forzosa, pur legittima.
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Art.1158 -Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari - La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti
reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per vent'anni.
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2) Trattandosi di procedura propria del diritto privato, non abbiamo mai trovato conforto
della forma, e della conseguente responsabilità, che legittimerebbe il funzionario (dirigente
della P.A.) ad avviare una azione di natura privatistica, stante le acquisizioni in capo ad
Organi collegiali quali il Consiglio Comunale.
A dare alcune risposte , oltre che la CEDU, troviamo due sentenze del T.A.R. Lazio,
una la n. 162/2009, con la quale si conferma che la P.A. può diventare proprietaria del
bene solo nei modi classici-formali (decreto o cessione) o mediante l'atto di acquisizione, e
pertanto senza possibilità di usucapione. La seconda, la n. 9557/2009, ammette la
possibilità dell'usucapione, ma con effetti dalla data di entrata in vigore del Dpr 327/01, in
quanto la massiccia partecipazione del proprietario in tutte le fasi, può legittimare un
possesso, anche se in capo alla P.A., del bene a cui il proprietario non ha fatto alcuna
azione di tutela del proprio diritto legittimandone l'uso pacifico.
Prendiamo atto che recentemente il TAR Sicilia con la sentenza 9/13 del 14.01.2013,
ha posto elementi sostanziali utili a definire, almeno per ora, gli indirizzi in materia, che di
seguito si riassumo.
I. la controversia in esame ha ad oggetto i rapporti tra l'istituto dell'espropriazione per
pubblica utilità e quello dell'usucapione civilistica ex art. 1158 c.c..
II. L'interazione dell'istituto dell'usucapione con le problematiche relative alle varie forme di
espropriazione per pubblica utilità di beni privati, invero, si è atteggiata in maniera diversa
a seconda del momento storico. In un primo periodo, come è noto, l'elaborazione
giurisprudenziale ha dato vita, nelle varie ipotesi di occupazione illegittima di beni privati
da parte della P.A. all'istituto della 'occupazione appropriativa' (o acquisitiva).
III. Attualmente in forza della nuova disciplina - con l'articolo 43 d.P.R. 327/2001, e poi
riproposta dall'articolo 42 bis del citato Dpr - la trasformazione del fondo seguita alla
realizzazione dell'opera pubblica non determina più né l'acquisto della proprietà dell'area in
capo alla p.a. procedente né tantomeno la cessazione dell'illecito. Al contrario, la situazione
antigiuridica originata dall'occupazione illegittima, colorandosi dei caratteri della
permanenza, si protrae fino all'adozione dell'atto di acquisizione sanante, produttivo
dell'effetto traslativo della proprietà in favore della p.a.
IV. Acquisita l'ipotesi circa l'applicazione dell'usucapione anche in favore della p.a. (e,
ovviamente, non il contrario -usucapione di beni pubblici da parte di soggetti privati -
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stante il carattere di demanialità dei beni pubblici), occorre valutare da quale momento
inizia a decorrere il periodo necessario per la sua maturazione.
La sentenza in esame riporta tre casistiche che di seguito si riassumono:
A. La pubblica amministrazione occupa, con comportamento di mero fatto, il fondo di
proprietà del privato. In tale ipotesi non v'è dubbio che l'occupazione - a condizione che
non sia violenta o clandestina ex articolo 1163 c.c. - determina l'inizio del possesso
valido per il maturare dell'usucapione.
L'occupazione usurpativa di un fondo da parte della P.A.. infatti, è compatibile con
l'usucapione del fondo medesimo da parte dell'ente occupante, in quanto la totale assenza
dei presupposti di esercizio del potere ablativo, che connota detta occupazione, lascia
intatta la facoltà del proprietario di rivendicare il bene, col limite di diritto comune
dell'intervenuta usucapione.
B. Un secondo caso ipotizzabile è quello relativo alla mancata adozione del provvedimento
di esproprio nei termini previsti (articolo 22 bis. comma 6, d.P.R. cit.) quando il fondo
viene occupato in via d'urgenza e in vista dell'espropriazione ai sensi dell'articolo 22 bis
d.P.R. 327/2001.
In siffatta ipotesi, non v'è dubbio che per un primo periodo l'amministrazione
legittimamente occupa il fondo in qualità di detentore e conseguentemente tale rapporto
di fatto con la cosa non è utile per far maturare l'usucapione trattandosi, si ripete, di
detenzione e non anche di possesso. Scaduto il termine di occupazione legittima, la
mancata restituzione del fondo legittimamente occupato ma non espropriato, la
protrazione dei lavori sul fondo per la realizzazione dell'opera pubblica o l'utilizzazione
dell'opera ivi realizzata (sempre in assenza di decreto di esproprio) possono certamente
qualificarsi come atti di opposizione nei confronti del proprietario-possessore, compiuti
dall'amministrazione, ex articolo 1141. comma 2, c.c., per trasformare la (originaria)
detenzione in possesso. Conseguentemente, verificandosi il mutamento della detenzione
in possesso, inizierà a decorrere il termine utile per realizzare l'acquisto a titolo originario
ai sensi dell'articolo 1158 c.c.
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C. Un terzo caso ipotizzabile è quello dell'immissione in possesso in esecuzione di un
decreto di esproprio successivamente annullato dal giudice amministrativo. In casi
siffatti non v'è dubbio, a giudizio del Collegio, che il possesso (e non anche la proprietà
in ragione dell'effetto retroattivo dell'annullamento giurisdizionale del decreto di
esproprio) sia acquisito dall'amministrazione dal momento dell'immissione in possesso
(articoli 23-24 d.P.R. 327/2001).
I rapporti tra usucapione ed espropriazione sono rilevanti anche con riferimento alla
giurisdizione.
L'art. 133 comma 1, lett. g) c.p.a. devolve, alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi ed i
comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere
della p.a. in materia di espropriazione per pubblica utilità.
Al giudice ordinario, per contro, sono devolute tutte le controversie relative
all'accertamento del possesso ventennale ininterrotto necessario per l'usucapione in
quanto ove l'interesse dei ricorrenti fosse da correlarsi unicamente al dedotto diritto di
proprietà, derivante dall'acquisto a titolo originario per intervenuta usucapione, sulla
controversia deve pronunciarsi il giudice ordinario.
6.
Conclusioni
Gli argomenti trattati hanno voluto fornire al lettore un percorso, non
esclusivamente nozionistico, illustrando le norme e le azioni, in capo alla P.A. (Stato,
Regioni Comuni, ecc.), utilizzate per trasferire la proprietà immobiliare esclusiva dal privato
cittadino all'uso pubblico.
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