Claudio Strinati

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Claudio Strinati
 Claudio Strinati Soprintendente Speciale per il Polo Museale Romano Sebastiano Luciani è oggi ricordato come Sebastiano del Piombo perché nel 1531, a seguito della scomparsa del piombatore pontificio fra Mariano Fetti, gli venne assegnato quell’incarico, prestigioso ma di non eccezionale impegno. Si trattava di un lavoro di carattere burocratico, implicante l’iscrizione del funzionario incaricato nel clero minore, e consisteva nell’apposizione del sigillo pontificale sugli atti emanati dalla Curia. Comportava una conoscenza dei meccanismi amministrativi ma non dava responsabilità troppo gravi; garantiva una buona retribuzione e una posizione privilegiata all’interno della Chiesa, e veniva attribuito a una personalità competente ed equilibrata, quale certamente Sebastiano fu considerato. Una probabile conseguenza fu quella di una sensibile riduzione del suo lavoro di artista, ed effettivamente, sono poche le opere oggi conservate di Sebastiano Luciani che possano essere datate con assoluta certezza tra il 1531 e il 1547, anno della morte del grande maestro. Da qui è nata la leggenda, consolidata dalla Vita vasariana, di un Sebastiano lento e indolente, il contrario esatto di quel Michelangelo Buonarroti che fu suo amico per tanti anni, sostenitore e mentore, prodigo di consigli e di concreti aiuti, specie attraverso la messa a disposizione di Sebastiano di disegni indispensabili per la realizzazione delle sue opere. Questa l’immagine tradizionale di un artista sempre giudicato nei secoli come un grande, ma non del tutto degno di figurare nel vertice assoluto di quell’universo culturale che ancora oggi ci ostiniamo a chiamare Rinascimento. Sebastiano, dunque, è il tipico artista che attende sempre una “rivalutazione”. Amato dagli esperti, rispettato nelle trattazioni storiografiche, talvolta sommamente elogiato anche da un vasto pubblico, non è mai stato visto quale protagonista assoluto e incomparabile. Il suo stile, maestoso e solenne, è stato sempre confrontato con quello di Raffaello e Michelangelo. Essendo veneto è stato poi paragonato al Giorgione, suo maestro su testimonianza del Vasari, e non sono mancati accostamenti alla figura di Leonardo, che fu in effetti a Roma negli stessi anni in cui Sebastiano vi esordiva con opere ragguardevoli. Sul pittore veneto si è accumulata una notevole bibliografia e un cospicuo lavoro filologico ha permesso di chiarire molti equivoci, di precisare committenti e datazioni di tante opere. Non sono peraltro mancati tentativi di sondare l’opera complessiva di Sebastiano sul piano iconologico, con risultati sovente interessantissimi. Sebastiano è un pittore importante, un dotto, ma la sua figura resta gravata da molti dubbi, che la nostra mostra vorrebbe mettere in evidenza e chiarire nei limiti del possibile. Il punto fondamentale è quello inerente alla figura dell’artista visto nella sua globalità. È vero che avanzò tra mille incertezze e tirò per le lunghe un’infinità di commissioni, guadagnandosi la fama di inconcludente? È vero che l’amicizia con Michelangelo fu assolutamente determinante per lui, e che molte delle opere cruciali sono state in effetti guidate dai suggerimenti e dai disegni michelangioleschi? È vero che il Sacco di Roma, avvenuto quando Sebastiano era poco più che quarantenne, determinò in lui una svolta fatale, acuendone l’irresolutezza e l’enorme difficoltà a concludere? È vero che in qualche modo fu Sebastiano del Piombo il creatore della pittura della Controriforma, un aspetto determinante e peculiare del cosiddetto “manierismo”? La mostra intende dare alcune risposte a queste domande con maggiore precisione e approfondimento rispetto al passato, nel concreto della ricostruzione della carriera dell’artista e nei limiti consentiti dalla politica dei prestiti (manca, tra l’altro, la Resurrezione di Lazzaro di Londra, che non può in alcun modo essere prestata). Si capisce bene come Sebastiano del Piombo sia entrato in un limbo di incertezza, perché non ebbe mai la grande occasione del lavoro colossale e epocale, come furono la Cappella Sistina per Michelangelo, le Stanze Vaticane per Raffaello e l’Ultima Cena per Leonardo a Milano. Manca in Sebastiano l’opus magnum, ma l’opus magnum è l’insieme di tutte le sue opere, perché Sebastiano, a differenza di Raffaello e in modo molto diverso rispetto a Michelangelo, fu un modello assoluto di consequenzialità e coerenza nella sua vita di artista. Certo Sebastiano non è stato l’artista dei papi come fu per Michelangelo e Raffaello, sia pure da posizioni differenti. Con Raffaello condivise però il legame fortissimo con Agostino Chigi e in effetti, dopo la morte di Agostino qualcosa deve essere cambiato, e profondamente, nel suo animo e nella sua carriera. Le occasioni di lavoro che ebbe furono molte e importanti; fu però troppo presto diffamato, e questa sorta di non buona fama ha disturbato per secoli la piena affermazione dell’artista. Ma il pittore che ha fatto la Pietà di Viterbo e il Ritratto di Andrea Doria può con piena ragione collocarsi tra i grandi, e anzi il concetto stesso di Rinascimento, passato al vaglio della sua figura, assume nuovi e interessanti connotati che la mostra, attraverso il magistrale allestimento di Luca Ronconi, vuole rimarcare per aprire prospettive di analisi e interpretazioni più vaste su un’epoca che riserva ancora molte sorprese e scoperte a chi vi si accosti senza pregiudizi.