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n° 303 - febbraio 2002
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Antonio e Piero Pollaiolo
Grande interesse riveste
la bottega di Antonio e
Piero del Pollaiolo, che
si distingue e caratterizza
per la multiforme attività e versatilità dei due
fratelli, impegnati nell’oreficeria come nella
scultura, nella pittura
come nei disegni per ricami. Proprio questa straordinaria capacità di lavorare utilizzando i media artistici più diversi
ha consentito ai due fratelli di assumere un ruolo
centrale nella vicenda
dell’arte fiorentina rinascimentale, affrontando
talora anche spavaldamente le richieste di un
mercato sempre più competitivo ed esigente
quanto a manufatti di
lusso. Si trattava di una
competizione nel senso
più pieno ed esatto del
termine: artisti e botteghe impegnavano parte
dell’attività organizzativa nella ricerca serrata
delle commissioni più
rilevanti. Vi erano infatti
numerose botteghe polivalenti gestite da artisti imprenditori-intellettuali di maggior levatura, che esercitavano più
arti, e abituate a soddisfare le più svariate richieste e commissioni.
Oltre alla bottega dei fratelli Pollaiolo, un altro
esempio indicativo è rappresentato dai rivali dell’atelier del Verrocchio,
il quale per parte sua fu
orefice, scultore e anche
pittore, e la cui importanza è attestata dalla
qualità e quantità di pittori che si formarono
presso di lui o che ne su-
birono il forte ascendente.
Tanto più vistoso il ruologuida di Antonio e Piero
del Pollaiolo quanto più
legato comunque – insieme alla rivale bottega
verrocchiesca – alla componente di innovatività
e versatilità che li distinse
sulla scena della Firenze
dell’aureo decennio 1470.
Proprio il volgere dell’ottavo decennio del
Quattrocento segna un
importante vertice creativo dei due fratelli Pollaiolo: anni molto intensi,
che li vedranno impegnati a produrre alcuni
capolavori assoluti del
Rinascimento fiorentino,
come l’Annunciazione
(Berlino) o il Martirio di
san Sebastiano (Londra).
La collaborazione dei due
fratelli continua dunque
nelle opere di grande formato dando prova di risultati in un crescendo
qualitativo davvero paradigmatico nel grandioso Martirio di san Sebastiano di Londra (National Gallery, tempera
su tavola, cm. 291,5 x
202,5). Qui la scala veramente monumentale
e la complessità compositiva della pala d’altare
rendono quest’opera uno
dei dipinti più ambiziosi
che siano stati prodotti
negli anni Settanta del
Quattrocento a Firenze.
Secondo il Vasari, il dipinto fu completato nel
1475 e venne a soddisfare più che pienamente
le aspettative del committente - il mercante e
banchiere Antonio Pucci
- che fu pronto a pagare
la somma del tutto ecce-
Antonio e Piero Pollaiolo: Martirio di San Sebastiano - Londra, National Gallery
zionale di 300 fiorini. Le
dimensioni del quadro
possono spiegarsi con la
sua collocazione originale, a dominare l’estremità orientale dell’ampio oratorio familiare dei
Pucci nella chiesa della
Santissima Annunziata
e dedicato a San Sebastiano. Con la costruzione
e l’arredo dell’oratorio di
San Sebastiano, Antonio
Pucci sperava probabilmente di ottenere dei benefici spirituali.
La cappella dava anche
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espressione, in modo definitivo e permanente, al
trionfo della sua famiglia sulla scena socio-politica fiorentina, un trionfo
prodotto dalla intramontabile lealtà dei Pucci
verso la famiglia Medici,
a cui forse si vuole alludere anche nel dipinto.
Commissionando
un’opera così monumentale, su di un soggetto
quasi eroico, Antonio
Pucci fornì ai fratelli Pollaiolo l’opportunità di
esibire la loro padronanza
della figura maschile in
movimento, concepita
in un linguaggio ‘all’antica’: aspetto che era stata
la caratteristica principale delle loro innovative ed ammiratissime
tele con le Fatiche di Ercole dipinte per il palazzo
Medici circa un decennio prima. Il Martirio si
qualifica infatti, oltre che
per la funzione devozionale, per lo scoperto virtuosismo della rappresentazione.
La pala d’altare rappresenta il fallito martirio
del centurione romano
Sebastiano, condannato
a morte dall’imperatore
Diocleziano per la sua
professione di cristianità.
Sebastiano non era santo
eponimo della famiglia
Pucci, né la realizzazione
dell’altare coincise con
una delle numerose recrudescenze della pestilenza per la quale la protezione di Sebastiano era
ricercata con fervore. Antonio Pucci decise di accogliere una devozione
già stabilita presso la Santissima Annunziata, ottenendo il diritto di ospitare una reliquia dell’osso
del braccio di san Sebastiano nella sua cappella.
La pala d’altare mostra
un carattere enfatico (solo
in parte giustificato dalle
necessità narrative), e
l’enorme rilevanza conferita agli aguzzini del
santo potrebbe essere
stata sorprendente per i
devoti. Questo indulgere
virtuosistico sulla muscolatura maschile e il
modo stesso di struttuare
la composizione con l’uso
delle medesime figure
(ma ruotate nello spazio)
sono tutte caratteristiche dell’invenzione di
Antonio piuttosto che
di Piero. Risulta veramente arduo stabilire con
certezza l’entità dell’intervento dei fratelli su
cui non c’è sostanziale
accordo tra gli studiosi.
Come per altre opere si
tratta di una collaborazione strettissima, tale
da rendere assai arduo
distinguere nei dipinti
a loro attribuiti le parti
di pertinenza dell’uno e
dell’altro maestro, segno
evidente di uno straordinario affiatamento professionale. Antonio pro-
babilmente come in altre commissioni poteva
essere responsabile del
disegno con l’impianto
generale del dipinto: qui
lo schema prospettico è
relativamente semplice
e segue la prassi costruttiva già rilevata nell’Annunciazione di Berlino.
Tuttavia la complessità
teatrale delle pose degli
esecutori del martirio –
simili a quelle di atleti
– e la loro sofisticazione
anatomica, tendono ad
allontanare lo sguardo
dalla figura del santo, favorendo piuttosto l’apprezzamento di una retorica visuale che deliberatamente pone in corrispondenza e in antitesi
coppie di figure in pose
o speculari oppure con
alcune variazioni delle
stesse.
Vasari ha dedicato uno
dei brani più eloquenti
delle sue Vite proprio ai
due aguzzini posti in
primo piano in atto di
preparare le loro balestre,
Antonio e Piero Pollaiolo: Martirio di San
Sebastiano (part.) - Londra, National Gallery
Antonio e Piero Pollaiolo: Martirio di San Sebastiano (dettagli dei rilievi dell’arco trionfale) - Londra, National Gallery
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con le loro difficili pose
scorciate e con la loro evidente fortissima tensione
corporea: conferma dell’interesse di Antonio per
l’anatomia umana in cui
la nudità era indagata in
senso dinamico e doveva
suonare come un esplicito riferimento ai grandi
esempi della plastica antica. Senza dubbio la rappresentazione di scene a
rilievo nell’arco trionfale
sullo sfondo, che fanno
riferimento alla vita da
soldato di Sebastiano e
alla sua condanna sotto
Diocleziano, rinforza questo elemento di competizione, implicito nell’opera, con gli antichi
rilievi scultorei. L’arco
poteva anche funzionare
come indicatore spaziotemporale del martirio
che ricordava al fruitore
l’ambientazione della
storia di Sebastiano soldato al servizio della guardia romana. Infine costituiva l’occasione per uno
sfoggio mimetico in cui
le arti si confrontano: la
pittura dei fratelli era in
grado di rendere perfettamente la scultura e l’architettura in tutte le sue
valenze e angolazioni, oltre a rendere un omaggio ai grandi maestri
come Brunelleschi e Donatello.
La figura dello stesso Sebastiano appare meno
impressionante per virtuosismo disegnativo, ed
è quasi una controparte
a livello visivo rispetto
alle tipologie “volgari”
dei balestrieri: un contrasto in cui la cui tipologia esile e femminea
del santo sarebbe stata
letta come segno di nobile distinzione ed elevatezza di spirito. Secondo una fonte antica,
Antonio e Piero Pollaiolo: Martirio di San Sebastiano (part.) - Londra, National Gallery
riportata da Vasari, i tratti
del San Sebastiano erano
quelli di Gino di Ludovico Capponi, considerato uno dei più bei giovani del suo tempo. La
fisionomia del santo, che
sembrerebbe essere stata
disegnata da Piero, appare piuttosto generica
che non simile ad un ritratto; tuttavia la rappresentazione di un individuo di spicco molto ammirato all’epoca – il giovane ed affascinante aristocratico – potrebbe essere servito a catturare
l’attenzione dello spettatore e ad inspirare devozione per il santo. Il
corpo esibito di Sebastiano è sollevato al di
sopra di un paesaggio panoramico esteso in profondità, che deve essere
sembrato eccezionalmente
naturalistico ad un os-
servatore contemporaneo che fosse familiare
con la nebbiosa valle dell’Arno. Raffigurazioni
di rocce e un paesaggio
paragonabili a questo potrebbero rintracciarsi solo
in pitture fiamminghe,
molto ammirate a Firenze
in questo periodo e che
costituiscono un marchio di riconoscimento
della bottega Pollaiolo.
Proprio il trattamento
straordinario del paesaggio esplorato con grande
dovizia di particolari,
l’animazione dei soldati,
l’incredibile virtuosismo
dell’arco con rilievi, testimoniano del modo in
cui questo dipinto venga
a porre nuovi canoni pittorici, standard con i quali
Leonardo in particolare
si sarebbe misurato.
federico poletti
Antonio Pollaiolo: Le fatiche di Ercole - Firenze,
Uffizi