Sanzioni, le insidie di un braccio di ferro
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Sanzioni, le insidie di un braccio di ferro
Sanzioni, le insidie di un braccio di ferro Alessandro De Nicola L'Unione Europea ha confermato il nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia per le sue azioni destabilizzanti in Ucraina, tra cui il blocco dei finanziamenti verso le compagnie petrolifere russe. Obama ha subito annunciato azioni più dure nei confronti dei settori della finanza, energia e difesa, e Mosca a sua volta ha minacciato il blocco delle importazioni di auto europee e di altri prodotti (abbigliamento, meccanica). É ormai da mesi che la situazione ucraina non si risolve e, nonostante errori e colpe di Kiev, l'atteggiamento di Mosca, che ha prima annesso la Crimea e poi foraggiato i separatisti e inviato truppe da combattimento nella zona orientale del paese, ha irrigidito l'Occidente. L'abbattimento del volo dalla Malaysia Airlines e le bugie ufficiali del Cremlino che assomigliano ai raffreddori di Andropov e Chernenko, hanno contribuito a far sì che i politici europei più amichevoli verso la Russia cambiassero parere. Le sanzioni costituiscono una reazione di grado inferiore sia a un intervento armato che a un riarmo dell'esercito ucraino o ai provvedimenti restrittivi su larga scala tipo quelli che colpirono l'Irak di Saddam o oggi l'Iran. Si spera così di centrare due obiettivi. Il primo é di creare incertezza nei mercati relativamente al paese colpito. Scoraggiati dalla situazione, gli operatori economici e i governi dovrebbero evitare la Russia, bloccare le iniziative e gli investimenti, cercare nuove fonti di approvvigionamento, infliggendo così danni ancor più ragguardevoli di quanto farebbero le misure individuali di per sé. Si può dire che questo sia in effetti un risultato che si sta ottenendo se si pensa alla svalutazione del rublo, alla fuga di capitali (in tre mesi hanno lasciato il paese capitali pari a quelli dell'intero anno precedente), al rallentamento della crescita economica. Alcune contromisure russe, tipo il blocco dell'importazione di generi alimentari, benché dannose per le imprese occidentali, lo sono ancor di più per i consumatori russi che si troveranno un'inflazione più alta (già al 7,5%) e prodotti di qualità inferiore. Il secondo obiettivo é di ingenerare consapevolezza nel Cremlino che l’Occidente fa sul serio. É pur vero che Putin non si lascia impressionare facilmente ma, come ha giustamente notato l'ex campione del mondo di scacchi Kasparov, oggi oppositore del nuovo zar, ogni qualvolta l'Occidente vacilla davanti a Putin, quest'ultimo guadagna consenso in patria ed incentivi a rischiare di più. Ma le sanzioni funzionano? La risposta è complessa. Secondo un monumentale studio del Peterson Institute di Washington, storicamente, a partire dal blocco alleato della Germania nel periodo 1914-18, le sanzioni hanno raggiunto almeno in parte gli obiettivi prefissati nel 34% dei casi, ma la variabilità è alta. Se l'obiettivo è limitato (tipo il rilascio di un prigioniero politico), allora il successo passa al 50%, se invece si ha di mira un risultato politico su larga scala si scende al 30%. Se il sanzionato è un paese autoritario (o semi-autoritario come la Russia) é più probabile che ignori i provvedimenti punitivi, se invece é un importante partner commerciale (ancora una volta come la Russia) risulta più sensibile. Un'altra conclusione raggiunta nello studio è che le chance di evitare un confronto militare aumentano se le sanzioni sono inflitte con il massimo impatto possibile per il Paese punito. Meglio dare un pugno subito che ricorrere più tardi alla pistola, insomma. Naturalmente più elevate sono le conseguenze economiche negative per le nazioni che impongono le misure restrittive, più nel lungo periodo l'opinione pubblica interna e i gruppi di interesse colpiti spingeranno per la loro abrogazione. Secondo il Peterson Institute, infatti, é molto importante anche stabilire ex ante gli obiettivi raggiunti i quali cominciare a togliere le sanzioni (ad esempio, se la tregua in Ucraina regge per 6 mesi si possono alleggerire le misure punitive?). Sotto questo profilo, il premier Renzi ha colto un problema fornendo la risposta sbagliata. Alla richiesta di aumentare le spese militari la risposta non doveva essere positiva solo se si otteneva il permesso di sfondare il 3% di deficit (il rigore serve a noi, non ad accontentare l'Europa), ma ponendo una questione di costi delle sanzioni. Se l'Italia è colpita di più e gli Usa meno, ad esempio, all'interno dell'Alleanza Atlantica non sarebbe illegittimo richiedere meccanismi compensativi. Come la democrazia, le sanzioni sono il peggiore di tutti i rimedi di fronte a comportamenti contrari ai trattati internazionali e ai diritti umani, eccettuati tutti gli altri (inazione, guerra, riarmo). Paradossalmente possono favorire una soluzione diplomatica, in quanto la loro abolizione fa parte del pacchetto per salvare la faccia all'aggressore che torni almeno parzialmente sui suoi passi. Certamente, un atteggiamento ondivago e riluttante quando il problema si presenta, renderà necessario ricorrere a provvedimenti più pesanti successivamente e ciò dovrebbe servire di monito ai nostri politici spesso avulsi dalle questioni di politica estera. (15 settembre 2014) © Riproduzione riservata