Energie rinnovabili e non: tensioni e risoluzioni

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Energie rinnovabili e non: tensioni e risoluzioni
ENERGIE RINNOVABILI E NON: TENSIONI E RISOLUZIONI
Introduzione
Il conflitto odierno affonda le sue radici – e per certi versi ricorda – negli eventi della cosiddetta
Rivoluzione Arancione avvenuta in Ucraina nel 2006, allorché ci fu una transizione problematica
dal vecchio governo Kuchma a quello di Yushchenko. Questa transizione politica vedeva già, in
realtà, il contrapporsi degli interessi di Europa/Stati Uniti e della Russia di Putin. Gli interessi russi
dell'epoca erano incarnati dal candidato alla presidenza Yanucovich, la vittoria del quale avrebbe
posto le basi per la fondazione dello Spazio Economico Unito, un'idea russa per unificare le più
forti economie post-sovietiche (Russia, Ucraina, Bielorussia, Kazakhstan). Al contrario,
Yushchenko sosteneva legami più stretti con l'Europa, nell'ipotesi che l'Ucraina potesse aderire
all'UE. La vittoria di Yanucovich scatenò grandi polemiche da parte dei sostenitori di Yushchenko
(fra cui, appunto, gli Stati Uniti), dando vita alla Rivoluzione Arancione. A seguito di una grande
crisi politica e della denuncia da parte degli osservatori internazionali di brogli elettorali, venne
ripetuto il ballottaggio. Il candidato pro-occidente ottenne la vittoria, inaugurando l'era dei
cosiddetti “governi arancioni” (2005-2010) in Ucraina. Con il sostanziale fallimento amministrativo
di questi governi, si vide il ritorno di Yanucovich e l'inizio di una politica più vicina agli interessi
russi. Il leader odierno, Poroshenko, eletto Presidente il 25 maggio scorso, ha invece firmato
recentemente un patto di Associazione con l'UE, comunicando inoltre l'intenzione di entrare nella
NATO. Come ovvia conseguenza, c'è stato un inasprimento dei rapporti con la Russia.
La grande crisi che deriva dalla politica aggressiva della Russia e dal suo contrapporsi agli interessi
economici dell'Europa e degli Stati Uniti ha portato ad un gioco di sanzioni che sta destando grandi
preoccupazioni nel panorama internazionale. Con l'annessione della Crimea e il disastro aereo del
17 luglio scorso, si è intensificata la “semi-guerra commerciale” che consta in una serie di sanzioni
economico-finanziarie e in una possibile crisi energetica per l'Europa. L'Ucraina, a questo
proposito, adesso come ai tempi della Rivoluzione Arancione, gioca un ruolo fondamentale, in
quanto il 15% del gas destinato all'Europa transita nel suo territorio.
La conseguenza di queste tensioni politiche ed economiche è sicuramente lo scatenarsi di un panico
generalizzato per l'Europa. La guerra di Crimea ha infatti portato all'annessione di una regione da
parte della Russia, il che costituisce la prima modifica dei confini dopo la Seconda Guerra
Mondiale. Lo scatenarsi del gioco di sanzioni e l'eventuale crisi energetica sopra descritta, conduce
inevitabilmente ad una sensazione di panico per le possibili ripercussioni a livello economico e
politico.
Noi, in quanto europei, ci ritroviamo in una situazione di costante tensione in cui immaginiamo che
potrebbe succedere qualcosa di insicuro e che abbia conseguenze sulla nostra vita.
Questa situazione di minaccia reciproca che riguarda Europa e Russia produce effetti economici e
finanziari di grande rilevanza per il panorama internazionale: spostamenti di capitali, investimenti
che si fermano, aumento dei prezzi ed una eventuale crisi energetica.
Tuttavia, per rimediare al panico che questa condizione potrebbe scatenare, è possibile pensare a
delle soluzioni alternative che riguardino in primis l'approvvigionamento energetico. Il gas, in
quanto combustibile fossile, potrebbe essere sostituito dalle energie rinnovabili.
L'origine delle tensioni
Dopo l'annessione della Crimea, il successivo sostegno formale e sostanziale offerto alle milizie
separatiste e la minaccia di chiudere i rubinetti del gas verso l'Europa, la vera goccia che ha fatto
traboccare il vaso è stato il disastro del Boeing della Malaysia Airlines del 17 luglio scorso.
Europa e Stati Uniti hanno cercato di far ragionare Putin col dialogo e imponendo sanzioni di fatto
simboliche, ma che non hanno ottenuto nessun risultato. Puntando sulle difficoltà economiche
interne al Paese, si è recentemente optato per sanzioni più forti: tuttavia, il modo in cui Putin ha
risposto all'ennesima provocazione occidentale sembra quasi dimostrare che Bruxelles e
Washington, forzando la mano, abbiano fatto il gioco di Mosca.
In un mondo globalizzato come quello attuale le economie sono fortemente interconnesse: secondo
i dati delle Nazioni Unite, le relazioni commerciali fra Russia ed Europa valgono circa 305 miliardi
di euro l'anno, quindi qualsiasi sanzione finisce con l'avere un effetto boomerang per il Paese che la
impone. Putin ne è perfettamente consapevole, e il suo vero punto di forza è proprio questo.
Che Vladimir Putin si sia messo in un vicolo cieco è fuor di dubbio, ma la posizione di Europa e
Stati Uniti non è certo migliore. L'unica vera conseguenza di questa escalation di tensioni e
sanzioni, infatti, è una situazione di semi-guerra commerciale che non conviene a nessuno.
Europa e Stati Uniti accusano la Russia di sostenere con armi e uomini i gruppi separatisti ucraini, e
hanno imposto una serie di sanzioni nella speranza di indurre Putin ad allentare il suo controllo sul
Paese confinante. Eppure, per quanto consapevole delle difficoltà economiche che il Paese sta
attraversando, il Presidente-Zar ha prima chiuso il corridoio aereo sopra la Siberia facendo salire
vertiginosamente i costi per le compagnie che si muovono nella zona, ha poi vietato alle compagnie
ucraine di sorvolare la Russia (e potrebbe presto fare altrettanto con quelle di Europa e Stati Uniti,
una mossa che avrebbe un impatto devastante per l'economia dell'Occidente), e infine ha approvato
un embargo di dodici mesi per una serie di prodotti alimentari che venivano importanti non solo da
Europa e Stati Uniti ma anche da Norvegia, Canada e Australia.
Sanzioni e conseguenze
L'Occidente ha ragione a sostenere che colpendo un'economia, quella russa, già in difficoltà
potrebbe riuscire, già nel medio periodo, a mettere Putin con le spalle al muro costringendolo a
collaborare per evitare il collasso del suo stesso Paese. Tuttavia, dal punto di vista della Russia,
anche l'Occidente ha molto da perdere in questo pericolosissimo gioco di sanzioni. Ecco perché,
invece di cercare il compromesso, rilancia con nuove restrizioni commerciali che sembrano avere
come unico obiettivo quello di spaccare l'Europa.
Oggi il 10% delle esportazioni agro alimentari del Vecchio Continente finiscono in Russia. Nel
2013 sono stati venduti prodotti per un valore complessivo di 11,8 miliardi di euro. Per gli Stati
Uniti, la Russia è un mercato relativamente meno importante, ma nel 2013 le esportazioni verso la
Federazione Russa hanno comunque prodotto un avanzo di 972 milioni di euro. In Europa le perdite
più grandi verranno registrate da Germania, Polonia, Olanda, Francia, Spagna e naturalmente Italia,
dove le prime stime elaborate dall'Istituto per il Commercio Estero ipotizzano perdite per almeno
100 milioni di euro solo nei prossimi 5 mesi.
Le sanzioni di Putin non sono selettive come quelle dei suoi avversari, quindi colpiscono tutto e
tutti in modo pesante, ecco perché risultano più aggressive e pericolose. Come se non bastasse,
bastonano duramente Paesi le cui economie non sono ancora del tutto uscite dalla crisi, e anche
quelle che vanno meglio restano estremamente vulnerabili. Lufthansa avrebbe stimato i danni del
blocco dei cieli in un miliardo di euro di perdite per solo 3 mesi, e anche le conseguenze del blocco
del commercio agroalimentare sono già insostenibili per tanti e rischiano di indurre alcune nazioni a
dissociarsi dalla scelta di Bruxelles creando una nuova profonda spaccatura in Europa.
Ultimo "schiaffo" di Putin alla Ue è lo stop del gasdotto South Stream, l'autostrada del gas.
Il capo del Cremlino gioca sul tavolo della politica internazionale. I bulgari "dovrebbero chiedere i
danni all'Ue per i mancati guadagni che avrebbero con South Stream, 400 milioni di euro all'anno
per il transito del gas". Il gas russo "sarà orientato verso altre regioni del mondo" e l'Europa "non
riceverà" questi approvvigionamenti. La posizione europea "non favorisce gli interessi economici
dell'Ue e danneggia la nostra cooperazione; ma questa è la scelta dei nostri amici europei".
Tra le sanzioni UE c'è il freno ai prestiti destinati alle prime cinque banche russe e alla
sottoscrizione di obbligazioni emesse da sei "grandi gruppi" russi operanti nel campo della difesa e
dell'energia. Inoltre, la "black-list" europea si arricchirà di altri 24 nomi di persone a cui saranno
congelati i beni e non saranno più concessi visti. Bloccate anche le forniture di servizi relativi allo
sfruttamento degli idrocarburi.
Mosca dal canto suo può colpire l'Europa tagliando le forniture di gas; circa il 15% del gas
consumato nell'Unione Europea transita dall'Ucraina e le precedenti "guerre del gas" tra Mosca e
Kiev nel 2006 e 2009 avevano avuto conseguenze sulle forniture di gas in Europa. Intanto le
forniture di gas naturale russo alla Polonia continuano a calare, raggiungendo un ribasso del 45%,
alimentando i timori che Mosca stia facendo salire la pressione politica in relazione alla crisi in
Ucraina. Secondo alcuni commentatori, Mosca starebbe provando a punire la Polonia per avere
venduto gas all'Ucraina.
Il Cremlino ha già preparato le sue misure di ritorsione, che potrebbero estendersi anche a farmaci,
auto, prodotti tessili e sanitari.
Conta dei danni
Il 27% delle auto immatricolate in Russia, proviene dall'estero, cosi come anche il 46% dei camion
e il 13% degli autobus. Tra i produttori ci sono gruppi come Fiat-Chrysler, Volkswagen e Renault,
per i quali la Russia è una delle destinazioni più interessanti per vendere e investire. Mentre la Opel,
in Russia ha già perso il 12% nei primi mesi dell'anno.
Se una cosa è certa, però, è che finora le sanzioni non hanno giovato a nessuno. Il primo embargo
deciso da Putin il 6 agosto, “il divieto di accesso a carne, pesce, latte, uova, frutta e verdura
dovrebbe cancellare 31,2 miliardi di euro su un totale di 52 miliardi di export agroalimentare”.
I Paesi potenzialmente più danneggiati sono la Lituania (927 milioni di euro) e la Polonia (841
milioni), i due stati che più hanno spinto per convincere l'Ucraina a firmare il trattato di
associazione con l'Unione Europea. Anche la Confederazione italiana agricoltori e gli industriali
prevedono per l'Italia perdite stimabili tra i 100 e i 200 milioni. La Confindustria tedesca parla di
una perdita di 25 mila posti di lavoro; la Deutsche Bank calcola una diminuzione dello 0,5% del Pil
tedesco, causata dalle sanzioni incrociate e si prevedono sanzioni che colpiranno almeno un quarto
delle imprese che fanno business con l'estero. Anche l'economia Russa, però, ha pagato dazio alle
sanzioni e al suo stesso embargo che ha sicuramente accelerato la corda di un'inflazione troppo alta
(7,5% in luglio). I capitali stranieri continuano a evaporare. La Banca Centrale Russa ha dovuto
registrare la partenza di 44,7 miliardi di dollari (33,5 miliardi di euro) nella prima metà del 2014.
L'Italia aveva un ruolo di prima fila nell'infrastruttura che avrebbe dovuto trasportare in Europa il
gas russo aggirando l'Ucraina: Eni è socia al 20% di Gazprom nel consorzio South Stream mentre
Saipem, la società del gruppo specializzata proprio nella costruzione di gasdotti, aveva vinto una
commessa da 2,4 miliardi di euro per la costruzione del primo tratto e la posa dei tubi sui fondali del
Mar Nero.
In conclusione, ai mercati e agli investitori non piacciono le guerre, perché comportano incertezza.
Se poi alla situazione in Ucraina si aggiunge la guerra tra Israele e Gaza e il conflitto in Siria e Iraq
allora il pericolo che si inneschi il cosiddetto effetto domino diventa serio.
L'aumento dei costi energetici, potrebbe facilmente tarpare le ali alla ripresa nei paesi dove se ne
intravede appena la sagoma, ad esempio nelle nazioni del Nord Europa; potrebbe ulteriormente
rallentare l'economia tedesca, la locomotiva di quella dell'Unione e cosi via.
La politica della minaccia e l’istigazione della paura: come farvi fronte
Nell’era della globalizzazione, della macroeconomia e dei confini flessibili, molte sono le questioni
messe in gioco dalle vicende europee tra Ucraina, Russia e Crimea.
In primo luogo la guerra civile in Crimea ha portato l’annessione della regione da parte della
Russia: si tratta questo del primo “cambio di confini” europeo dalla fine della Seconda Guerra
Mondiale. Tutto ciò ha attivato, come abbiamo visto, reazioni a catena di natura politico ed
economica in tutto il mondo occidentale che, nel tentativo di arginare o fermare l’esuberanza Russa,
ha imposto diverse sanzioni al Cremlino, il quale a sua volta non ha fatto mancare una
controffensiva economica: bloccare il flusso di gas verso l’Europa.
Ciò che fa da sfondo a questa situazione politico–economica e che influenza la maggior parte dei
processi di azione–risposta è il gioco delle minacce, cioè dell’istigazione della paura nell’altro per
riuscire a dominarlo.
Ma che cos’è la paura? La paura è un'intensa emozione derivata dalla percezione di un pericolo,
reale o supposto. Fa parte dell’emozioni “primarie” prodotte dall’uomo e da molte altre specie
animali. Secondo Paul Ekman (1982) le emozioni primarie sono gioia, tristezza, disgusto, rabbia,
paura e sorpresa, che combinandosi tra loro andrebbero poi a produrre le emozioni “secondarie”
come, ad esempio, nostalgia o vergogna. Più recentemente Robert Plutchik ha distino otto emozioni
di base divise in quattro coppie: rabbia e paura, gioia e tristezza, sorpresa e attesa, disgusto e
accettazione.
La paura è quindi un emozione naturale, provata da tutti gli esseri viventi, necessaria a preservare la
vita dell’individuo segnalando un potenziale pericolo mortale al quale bisogna rispondere con una
precisa risposta conservativa o strategica: la lotta, la fuga e il congelamento. La messa in atto di uno
di questi tre comportamenti dipende da diversi fattori come l’entità del pericolo, la percezione di
poterlo contrastare, dalle possibili vie di fuga, dall’esperienza e così via.
Anche l’essere umano percepisce questi tre possibili tipi di risposte in presenza di un pericolo reale,
ma la percezione della paura risulta più complessa di quella di un animale, portando l’individuo ad
esperire diverse sfumatura della paura, come il timore o l’ansia, fino ad arrivare al panico o al
terrore (freezing).
I comportamenti manifestati da un essere umano che ha paura sono molto simili per tutti, anche per
diverse culture. Infatti, se qualcosa ci fa paura (ad esempio un forte rumore) la nostra prima
reazione è quella di interrompere ciò che stiamo facendo e quasi immediatamente di girarci verso la
fonte del rumore tentando di valutarne il pericolo reale. Queste azioni si svolgono in modo
automatico, ossia senza l’intervento della coscienza o della volontà. Se la fonte del rumore ci
sembra minacciosa, tentiamo di valutare se c’è la possibilità di fuggire o di nasconderci.
Infine, se c’è un contatto diretto con la fonte del rumore che, ad esempio, si scoprirà essere un
animale, non abbiamo altra scelta che la lotta (ossia un comportamento aggressivo per allontanare o
eliminare la minaccia) o la disfatta (immobilità assoluta) in assenza di vie di fuga.
Nella situazione Russia-Crimea gli unici individui che quotidianamente attivano qualcuno di questi
comportamenti preservativi sono i civili che si sono ritrovati in mezzo ad una guerra con interessi
che vanno al di là dell’identificazione nazionale. Noi, cittadini europei, ci ritroviamo a in una
situazione di costante tensione o ansia, cioè in una situazione di pericolo supposto e non reale o
astratto, in cui immaginiamo che potrebbe succedere qualcosa di problematico e che abbia
conseguenze sulla nostra vita.
Il clima costante di minaccia reciproca, di tensione e di ansia, di paura che accada qualcosa che
possa nuocerci, produce tutti gli effetti economici di cui abbiamo parlato in precedenza: spostamenti
di capitali, investimenti che si fermano, aumento dei prezzi e così via.
Quando si ha paura, le cose da poter fare per contrastarla non sono molte, in modo speciale quando
la paura non ha un oggetto immediato e percepibile e si trasforma in ansia pervasiva, come può
essere una minaccia di tipo economico come quella posta dalla Russia. Possiamo però leggere la
situazione in maniera differente per poter trovare degli strumenti che ci aiutino ad affrontare la
situazione: una costante situazione d’ansia può essere letta come una situazione fortemente
stressante. Lo stress può essere ridotto aumentando le risorse a nostra disposizione e riducendo il
gap tra la richiesta ambientale e le nostre capacità. Così facendo è come se avessimo una via di fuga
da uno stimolo minaccioso non diretto e non immediato, riducendo l’intensità dello stimolo
pauroso.
Prendendo il nostro esempio, il blocco del transito del gas russo vero i paesi europei provoca una
vera e propria situazione stressante poiché il progetto “South Stream” prevedeva la diffusione di
quasi 63 miliardi di metri cubi annui di gas tra Bulgaria, Serbia, Austria, Ungheria, Slovenia e
Italia. La minaccia economica, almeno per la parte sud dell’Europa, non è da trascurare ma, come
abbiamo detto, possiamo trovare delle soluzioni alternative per ridurre tale tensione economica. Una
soluzione, purtroppo non a breve termine ma molto interessante che permetterebbe al nostro Paese
di avere delle proprie risorse e non doverne più importare, o di fare i conti con i ricatti economici,
potrebbe essere la progressiva rinuncia all’utilizzo dei combustibili fossili (petrolio, carbone e gas
naturale) a favore di fonti rinnovabili. Vediamo quali potrebbero essere le alternative.
Combustibili fossili, farne a meno è possibile
I combustibili fossili rappresentano oggi la principale fonte di energia dell’umanità, questo perché
hanno un alto rapporto tra energia prodotta e volume di materiale usato, sono facilmente
trasportabili e costano ancora relativamente poco.
Proprio la caratteristica di costare mediamente poco ha di molto rallentato lo sviluppo di ogni
possibile tipo di energia alternativa: ad oggi tuttavia le cose sono molto cambiate e, per numerosi
motivi, la ricerca di combustibili alternativi è diventata una priorità.
Non sono da sottovalutare i numerosi effetti negativi dei combustibili fossili: essi sono
enormemente inquinanti e determinano un elevato aumento di anidride carbonica nell’atmosfera,
non sono rinnovabili e questo spiega il loro esponenziale aumento dei prezzi negli ultimi trent’anni.
Eppure le alternative non mancherebbero, grazie soprattutto alle scoperte degli ultimi anni che
hanno permesso di localizzare fonti energetiche rinnovabili e non inquinanti. Ad oggi, da questi
elementi naturali si ricava un quantitativo pari al cinque per cento della produzione mondiale:
questa statistica ci rende pienamente consapevoli di quanto queste fonti alternative di energia siano
ancora poco sfruttate e male incentivate.
Le principali fonti di energia rinnovabile sono l’acqua, il vento, il calore solare e l’idrogeno.
Esistono diversi modi per sfruttare al meglio queste fonti alternative: ad esempio l’acqua dei fiumi è
usata per produrre energia elettrica attraverso le centrali idroelettriche. Questo è uno dei sistemi più
semplici per produrre energia alternativa pulita e rinnovabile, tuttavia presenta uno svantaggio di
tipo tecnico; a causa dell’interramento in cui inevitabilmente vanno incontro nel tempo i bacini di
accumulo di acqua, questi devono essere periodicamente dragati presupponendo quindi un costo di
manutenzione non indifferente.
Noto e notevole è l’apporto che dà e che potrebbe darci ancora di più il Sole. Il calore del sole
infatti, o meglio le sue radiazioni vengono trasformate attraverso le celle fotovoltaiche in energia
elettrica; queste celle vengono sistemate su pannelli solari che possono essere installati sui tetti delle
abitazioni come già se ne possono notare, anche se ancora in quantità esigua, nelle nostre città. In
un Paese come l’Italia, con temperature miti e possibilità di ricevere la luce del sole per molte ore
del giorno e durante tutto l’anno, ogni abitazione o palazzo potrebbe provvedere al suo fabbisogno
energetico semplicemente installando questi pannelli nelle zone più esposte ai raggi solari. I
pannelli solari sono stati utilizzati anche per delle centrali solari elettriche: questo progetto però è
stato ostacolato pesantemente dagli immensi costi che hanno queste strutture e per questo ne
esistono pochissimi esempi in tutto il mondo.
Si produce energia anche sfruttando l’apporto e la forza del vento, grazie a dei generatori eolici: essi
sono già mediamente diffusi in Italia (si pensa che essa potrà soddisfare il 50% del fabbisogno
primario di energia nel 2050), ma richiedono grandi spazi senza ostacoli per centinaia di metri,
nonché una posizione ideale per poter sfruttare al massimo i venti. Gli aerogeneratori funzionano
come i vecchi mulini a vento, il movimento così generato produce elettricità; tra le energie
rinnovabili è la più diffusa la mondo, non a caso in Italia copre già il 20% dell’energia alternativa
prodotta. È una fondamentale risorsa a sviluppo sostenibile, disponibile a tempo indeterminato priva
di possibilità di danneggiare la natura.
Anche l’acqua marina e degli oceani è in grado di fornirci energia, l’energia marina appunto. Può
essere estratta con molte tecnologie diverse e, ad oggi, sono stati sperimentai doversi sistemi che
sono in uno stato pre–commerciale; infatti tramite particolari tecniche, siamo in grado di sfruttare il
moto ondoso marino, il movimento dell’aria al di sopra delle onde, le maree o la differenza di
temperatura tra il fondo e la superficie. L’impiego di questa fonte di energia però risulta ancora
abbastanza complesso perché piuttosto costoso.
Un discorso a parte merita la possibilità dell’impiego dell’idrogeno come possibile energia
alternativa pulita a basso costo. Questo elemento viene sfruttato in doversi modi: uno è quello delle
celle a combustione, sistemi elettrochimici capaci di convertire l’energia chimica di un combustibile
(appunto l’idrogeno) direttamente in energia elettrica e pertanto presentano rendimenti di
conversione più elevati rispetto a quelli delle macchine termiche convenzionali. Ma come funziona
questo metodo? Nella cella vengono messi un combustibile, l’idrogeno, e un ossidante come è
l’ossigeno da cui si è in grado di ricavare corrente elettrica continua, acqua e calore; la cella infatti
si comporta in modo analogo a quello di una batteria. Bruciare idrogeno in condizioni appropriate
all’interno di motori a combustione o turbine di gas determina una notevole riduzione delle
emissioni e quindi dell’inquinamento atmosferico. Inoltre la conversione diretta del combustibile in
energia attraverso una reazione elettrochimica, consente alla cella di ottenere, a parità di
combustibile, una potenza superiore rispetto alla tradizionale combustione: il rendimento è
superiore con valori che vanno di un minimo del 40% in più ad un massimo del 60% in più di
potere calorifico prodotto. Le emissioni causate da questo procedimento saranno soltanto calore,
acqua ed energia elettrica risultando quindi totalmente non inquinanti. Questo ridottissimo impatto
ambientale consente di collocare gli impianti anche in aree residenziali nonché la creazione di un
progetto semplice, in quanto non ha bisogno di alcun organo di movimento, dotato di una maggiore
affidabilità e silenziosità.
Tuttavia vi sono anche alcuni piccoli svantaggi come la difficoltà di reperire il carburante che
alimenti le celle a combustione e i fondi necessari a costruire gli impianti; è per questo che il
mercato delle celle a combustibile non è ancora una realtà consolidata.
L’idrogeno è una risorsa speciale e, per ora, non sfruttata adeguatamente. Essa infatti è applicabile
anche al più comune motore tanto da poter determinare una rivoluzione nel campo dei trasporti: il
motore ad idrogeno inquina molto meno di quello a benzina, è un ottimo combustibile per produrre
energia mediante combustione o ricongiungimento chimico con l’ossigeno. Tuttavia anche in questi
caso ci troviamo molto indietro nell’applicazione di questo motore per le macchine dei comuni
cittadini; questo perché molte case automobilistiche non sono riuscite a trovare, malgrado
moltissimi tentativi, un prototipo che possa essere prodotto e commercializzato a basso costo.
L'utilizzo di suddette energie comporta notevoli vantaggi rispetto ai combustibili fossili, fra cui la
riduzione dell'inquinamento, la più facile reperibilità, la diminuzione dell'effetto serra e così via. Ad
oggi, le principali energie rinnovabili sono l'acqua, il vento, il calore solare e l'idrogeno. Attraverso
degli investimenti nella ricerca e sviluppo di queste energie, sarebbe possibile un futuro che non ci
leghi all'utilizzo dei soli combustibili fossili per quanto riguarda la produzione, i trasporti e le
infrastrutture urbane.
La chiave per l'autosufficienza energetica, a questo punto, sembrerebbe essere un maggiore
sviluppo e diffusione di quelle fonti di energia che rendano superfluo l'approvvigionamento
dall'estero e la dipendenza, quindi, dalle oscillazioni dei mercati internazionali.
A cura di
Pier Armando D’Amico
Valerio Bocci
Giada Giacomini
Andrea Poliseno
Bibliografia e sitologia
M. Cilento, Democrazia (in)evitabile. Lezioni dal mondo post-sovietico, EGEA, 2013.
S. Freud (1926), Inibizione, sintomo e angoscia, trad.it. in Opere, vol.X, Boringhieri, Torino, 1978.
http://www.ilsole24ore.com/