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INDICE Premessa pag. 5 Capitolo Primo. Uno sguardo sullo scenario italiano SEZIONE I 1. Un passo indietro: esegesi del delitto di schiavitù, definizioni ed evoluzioni 1.1.La Costituzione 1.2 Dal delitto di “plagio” al delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù 1.3 Schiavitù e plagio nel codice Rocco 1.4. La svolta della Corte Costituzionale: la sentenza n.96/1981 dichiara l’illegittimità costituzionale del delitto di plagio 1.5 La Sentenza Ceric introduce un concetto “estensivo” di schiavitù. 1.6 Criticità e rischi di una lettura troppo elastica: la necessità di una riforma. 9 10 12 13 16 19 21 SEZIONE II 2. La risposta alla necessità di una riforma: la legge 11 agosto 2003, n. 228, “Misure contro la tratta delle persone”. 2.1. L’art. 600: la nuova riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù. 2.2 La nuova fattispecie della “riduzione in servitù”. 2.3. Incertezze circa la finalità dello sfruttamento: necessità di un movente economico? 2.4. Modalità di realizzazione del fatto. 2.5 Trattamento sanzionatorio 23 26 30 32 33 36 SEZIONE III 3. La tratta di persone 3.1. La tratta di persone nel riformulato art. 601 c.p. 3.2.Le principali novità della riforma. 3.3. Art. 416,c.p., sesto comma, aspetti criminologici della tratta. 4. La formula residuale dell’art. 602: il delitto di acquisto e alienazione di schiavi. 5. L’Italia, uno stato pioniere nella tutela e nella protezione delle vittime. 1 39. 40 43 45 50 53 Capitolo Secondo. Schiavitù e tratta nell’ordinamento francese. Introduzione pag. 63 SEZIONE I Il reato di schiavitù e tratta nel diritto francese pre-riforma 2013. 1.“La Loi sur la sécurité intérieure” del 2003 introduce il reato di tratta nell’ordinamento francese 1.1.Una necessaria definizione di sfruttamento: focus sul reato di riduzione in schiavitù. 1.2.Una protezione delle vittime ineguale ed insufficiente (pre-riforma 2013):Il Permesso di soggiorno. 2. La necessità di una riforma: le due condanne della Cedu. 2.1. Il rapporto Greta, trampolino di lancio per la Riforma del 2013 in merito ai reati di tratta 66 70 72 78 81 SEZIONE II. La riforma francese del 2013 in comparazione con il sistema italiano. 3. L’iter di approvazione. 3.1. Il nuovo reato di tratta. 3.2. Il reato di tratta a confronto: legislazione italiana e legislazione francese. 3.3. La Francia introduce i nuovi reati di schiavitù, servitù e lavoro forzato. 3.4. Reati di schiavitù e servitù a confronto: legislazione italiana e francese 3.5. Reato di Servitù a confronto: legislazione italiana e francese 85 86 91 102 105 111 SEZIONE III. Gli indirizzi dell’Unione europea: adempimento da parte dell’Italia e della Francia 4. La Francia e l’Italia si confrontano con l’Europa. 4.1. Recepimento della direttiva da parte della Francia ed inadempimento dell’Italia 4.2. Le inadempienze dell’Italia. 4.3. Adempimento integrale della Francia alla Direttiva 2011/36/Ue? 2 119 120 121 127 Capitolo Terzo Il delitto di schiavitù e tratta in una dimensione europea. SEZIONE I Lotta alle nuove schiavitù e tratta in una prospettiva europea. 1.Il diritto internazionale ed europeo di fronte alla schiavitù. 2. Il diritto internazionale di fronte al reato di tratta. 2.1 La convenzione di Palermo e i due protocolli: tratti generali. 2.2 La Convenzione di Palermo verso un’armonizzazione normativa a livello internazionale 2.3. Le disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria: la richiesta di assistenza giudiziaria nella Convenzione ONU 2.4. Altri strumenti di cooperazione giudiziaria nella fase investigativa e di prevenzione. 2.5.Un tentativo fallito? Limiti della Convenzione di Palermo 134 136 138 140 142 144 146 148 SEZIONE II 3. L’Europa verso la creazione di un Diritto penale europeo. 3.1.Verso un rafforzamento della competenza penale dell’Unione: il Trattato di Lisbona. 3.2. Altre forme di cooperazione giudiziaria: gli organi e gli strumenti della cooperazione operativa 3.2.1. Cooperazione di polizia: Europol e le squadre investigative comuni. 3.2.2. Europol dal Trattato di Amsterdam al Trattato di Lisbona. 3.2.3.Le squadre investigative comuni. 3.3. Gli attori della cooperazione europea a livello giudiziario: Eurojust e il Procuratore europeo. 3.3.1. La procura europea. 150 153 154 156 157 159 162 165 SEZIONE III 4. Punizione, prevenzione e protezione degli esseri umani nelle politiche europee: approccio olistico ed integrato. 4.1. La difficile attuazione di una tutela della vittima nei primi strumenti normativi europei di lotta alla tratta: la Decisione quadro del consiglio europeo 2002/629/GAI. 4.2. Il permesso di soggiorno temporaneo in una deludente logica premiale: la direttiva 2004/81/CE. 4.3 Il rapporto del gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani. 3 167 169 171 175 4.4. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani. 5. Esigenza di una riforma: la Direttiva 2011/36/UE. 5.1. I contenuti della nuova Direttiva: aspetti generali. 5.2.Profili di assistenza e tutela della vittima. 5.3. La prevenzione del reato di tratta nella Direttiva. 5.4.Il recepimento della Direttiva 2011/36/UE in Europa. 177 180 182 183 187 189 Conclusioni 192 Bibliografia 194 4 PREMESSA. La schiavitù è una parola dal forte impatto evocativo, rimanda a mondi lontani nel tempo e nello spazio, fatti di catene e pelle nera. Noi, “uomini moderni”, abitanti di un mondo civilizzato, ci sentiamo estranei e lontani da questa pratica così selvaggia: proprio quest’inganno probabilmente ci permette di ignorare le 27 milioni di vittime della “schiavitù moderna” 1, dato che ovviamente non considera tutti quei casi che sfuggono all’ufficialità di una statistica. Vi sono molti più schiavi viventi oggi di quanti non ne furono portati via dall’Africa durante l’intero periodo della tratta transcontinentale2. È vero, per millenni gli esseri umani sono stati fatti schiavi: nell’Antico Egitto come nella Grecia antica o sotto l’impero romano la schiavitù era parte integrante del sistema sociale: una pratica accettata e legalizzata3. Ed è attraverso le economie schiavistiche dell’America e del Brasile del secolo scorso che la schiavitù legale di vecchio tipo si è trasformata, assumendo forme nuove, quelle di oggi 4. La schiavitù in effetti non è mai scomparsa: le sue radici sono così profonde e salde da sembrare impresa impossibile estirparle: essa si presenta come un enorme business, garantisce ghiotti introiti economici che troppo spesso molti governi son portati ad ignorare, se non ad appoggiare. 1 DEPARTEMENT OF STATE, UNITED STATES OF AMERICA, Trafficking in persons report, June 2013. 2 K. BALES, I nuovi schiavi, la merce umana nell’economia globale , Feltrinelli editore, 2010, pg. 22. 3 A.G. CANNEVALE, C. LAZZARRI, voce schiavitù e servitù (diritto penale), in Digesto delle discipline penalistiche, a cura di Alfredo Gaito, Utet giuridica, IV edizione, “…in effetti, sia l’antichità greco romana, sia quella del vicino oriente, conobbero la schiavitù, si pensi che di essa vi è traccia già nelle XII tavole, intorno alla metà del V sec a.C.. Senza dubbio la condizione degli schiavi non fu uguale nei vari luoghi e nei vari tempi. E cosi come non fu uguale in Grecia e a Roma nel periodo antico e nei periodi successivi. Tuttavia, al di là delle varianti, anche di rilievo, una comune situazione di fondo sussisteva, e può individuarsi nel punto fondamentale per cui lo schiavo non aveva capacità giuridica, e quindi non poteva essere titolare di nessuna situazione giuridica. L’esperienza giuridico romana è caratterizzata dalla circostanza che lo schema del potere del padrone sullo schiavo coincide con la figura in genere della proprietà (…) Nella societas romana,perciò la posizione e lo status dello schiavo coincidevano perfettamente con quella condizione che i tempi moderni hanno poi definito la reificazione della persona, la riduzione cioè dell’essere umano a cosa; con la conseguenza che la concezione di schiavitù altro non è se non quel complesso fenomeno che consente una supremazia totale dell’uomo sull’uomo, e quindi la possibilità di utilizzare l’uomo come strumento, come res.(…) il regime giuridico della servitù in diritto romano coincide, sostanzialmente, con lo schema della proprietà, ma nell’esperienza romana si riscontrano delle situazioni che potrebbero chiamarsi “paraservili”,intermedie cioè fra la schiavitù e la libertà.(…)Ciò posto, se il diritto romano e il diritto intermedio conoscono istituti giuridici qualificabili come situazioni di assoggettamento di fatto (permanente e continuativo) di un uomo al servizio di un altro uomo, i nexi al creditore, i colini al signore, i servi della gleba al feudatario, è in esse che vanno ricercati gli antecedenti storici e le origini dell’istituto della servitù”. 4 M. MELTZER, Slavery: a world history, De Capo press, New York,1993. 5 Troppi gli interessi coinvolti, troppi i vantaggi economici a livello internazionale, la stretta connessione fra schiavitù e mondo degli affari, ed ultima ma non ultima, l’immutata/immutabile natura umana con il suo istinto di sopraffazione. La schiavitù è senza dubbio l’estrema violazione dei diritti umani- seconda solo all’assassinio- e per un’efficace azione di contrasto sono necessari due ingredienti fondamentali: la volontà politica (che si esprime attraverso le leggi) e la volontà di proteggere la vittima. In questo il diritto ha una grande responsabilità, che è quella di disporre leggi chiare e precise, che permettano di individuare le violazioni da perseguire5 e la necessità di predisporre strumenti che siano in grado di contrastare efficacemente il problema, che operino non solo a livello interno ma in un’ottica di armonizzazione con le politiche di altre nazioni: quest’esigenza nasce dal fatto che il problema della schiavitù pare intimamente connesso con il fenomeno della tratta, crimine che può essere efficacemente combattuto solo con un’azione coordinata fra più stati. Ed è proprio partendo da questa consapevolezza che intendiamo condurre uno studio di ricerca sul tema delle “Nuove forme di schiavitù”, con l’intenzione di svolgere un’analisi comparata del concetto di schiavitù, in una prospettiva europea. Nello spazio Schengen in cui abitiamo, uno spazio di libera circolazione che non conosce frontiere, un’analisi del fenomeno prettamente locale corre il rischio di non raffrontarsi con la realtà, restando ancorata a concezioni del passato, nelle quali ogni Stato poteva e sapeva risolvere i suoi problemi da sé. Oggi le cose sono decisamente cambiate. Risulterebbe così miope, o quantomeno obsoleto, il tentativo di analizzare il fenomeno da una prospettiva esclusiva, quale può esser la nostra realtà italiana o quella di un qualsiasi altro paese dell’Unione. Da qui nasce l’idea di approfondire il fenomeno in senso “europeo”. Ancor più esaustivo sarebbe uno studio a livello internazionale, qui però ci limiteremo ad un confronto fra due sistemi legislativi (caso francese e caso italiano) per giungere infine ad un’analisi delle risposte fornite dall’Unione al fenomeno della schiavitù e della tratta degli esseri umani. 5 K. BALES, op.cit, pg. 35. 6 Difatti, sempre più pressante emerge la necessità di una strategia comune, di una cooperazione fra Stati, l’urgenza di una sinergia che potrebbe condurre finalmente, se non proprio al completo superamento del fenomeno, per lo meno ad una drastica riduzione dello stesso. Per arrivare a queste conclusioni però, occorrerà lavorare per gradi, fare un passo indietro e “scomporre i pezzi “: Partendo dell’esperienza dei singoli stati, intendo indagare sull’evoluzione delle rispettive legislazioni in materia, dalle prime leggi alle ultimissime novità. Cercheremo di ricostruire il lungo percorso intrapreso che ci ha condotti sino allo scenario attuale, non solo dal punto di vista del legislatore, ma considerando anche il contributo fondamentale di giurisprudenza e dottrina. Come dicevo, lo studio si occuperà in particolare di due paesi dell’Unione Europea: da una parte la Francia, paese di estremo interesse in quanto protagonista di un recentissimo intervento riformistico su reati di schiavitù e tratta, e dell’altra l’Italia, il mio paese. Il confronto fra i due servirà per comprendere l’approccio che i relativi ordinamenti hanno riservato al tema della schiavitù e tratta; in una prospettiva comparatistica, faremo emergere le differenze e le analogie, le distanze che corrono fra le due concezioni, per valutare infine se e quanto i rispettivi paesi possano dirsi in linea con le indicazioni poste dall’Unione europea, in un tentativo di armonizzazione della materia. In particolare mi soffermerò sulle novità della riforma francese, per valutar gli aspetti di novità introdotti rispetto alla disciplina previgente e al fine di compararli con la legislazione del nostro paese. Nella ricerca, cercheremo di indagare inoltre sulle politiche nazionali messe in atto dai due paesi nella lotta contro la riduzione in schiavitù, ed infine le possibili implicazioni di criminalità organizzata in questo genere di reati. Il nostro viaggio nell’intricato e nebuloso mondo della legislazione in materia di schiavitù partirà nel prossimo capitolo proprio da un’analisi dei concetti base e delle definizioni che il nostro ordinamento ha teorizzato, spinta soprattutto dalla necessità di rintracciare una definizione chiara e univoca che permetta di individuare con precisione le violazioni che la legge intende perseguire. 7 ”Fil rouge” dell’intera trattazione saranno delle domande chiave alle quali tenteremo di dare riposta: quali sono gli strumenti che i singoli stati presi in esame predispongono per contrastare le moderne forme di schiavitù ? Sono sufficienti? E ancora, quali sono invece le misure predisposte dall’Unione europea? Un’armonizzazione della legislazione a livello europeo potrebbe effettivamente essere d’aiuto a contrastare efficacemente il fenomeno? L’obiettivo finale del lavoro è quello di ottenere un quadro completo della situazione a livello nazionale ed europeo, prendere atto di quella che è la situazione attuale, i possibili scenari futuri ed infine le azioni auspicabili affinché finalmente si spezzino le vergognose catene di questi “schiavi del nostro tempo”. 8 CAPITOLO PRIMO. Uno sguardo sullo scenario italiano. 1.Un passo indietro: esegesi del delitto di schiavitù, definizioni ed evoluzioni. Il concetto di schiavitù nel nostro ordinamento penale certo non è nuovo: i suoi antenati giacciono fra le pagine del codice Toscano del 18536 ,passando attraverso il codice penale Zanardelli del 1889, per approdare infine nell’art.600 del codice fascista “Rocco” e in ultimo modificato con l’intervento ad opera del’art. 1,l. 11 agosto 2003, n°228, sotto la rubrica “Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù””, che punisce con la reclusione da otto a venti anni “chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà”. La novella del 2003 ha altresì previsto la medesima pena per “chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento”.7 Occorre fare un passo indietro per cogliere i passaggi fondamentali e le circostanze storico-giuridiche che hanno portato questo delitto a trasformarsi nel corso del tempo ed assumere le dimensioni e le definizioni che possiede attualmente. L’ideologia illuministico-liberale e la visione contrattualistica sottesa al codice penale Zanardelli 8 emergono chiaramente dalla sistemazione del delitto di schiavitù all’interno del codice: rubricato sotto il nome di “plagio” all’art. 145,contemplava la condotta di chi avesse ridotto una persona in schiavitù o in una condizione analoga. 9 Il delitto 6 Il codice penale Toscano del 1853 prevedeva, all’art.358 il delitto di plagio, consistente nel fatto di chiunque “per qualsivoglia scopo,in grazia del quale il fatto non trapassi il titolo di un altro delitto,si è ingiustamente impadronito d’una persona,suo malgrado, od anche d’una persona consenziente,che sia minore di anni quattordici”. 7 S.APRILE, Delitti contro la personalità individuale, CEDAM , Torino,2006, pg. 47. 8 F. RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, Giuffrè editore, 2008, “…una concezione propria di quel contrattualismo classico- secondo cui l’abdicazione, da parte del singolo, alla propria sfera di libertà originaria è funzionale all’instaurazione di un ordinamento idoneo a garantire la tutela delle posizioni giuridico soggettive. Fini questi, che concorrevano a legittimare ab externo la sovranità statuale, ferma restando l’idea lockiana della conservazione, nello Stato, della naturale indipendenza dell’uomo dall’esercizio assoluto ed arbitrario del potere” 9 G. CARUSO, Delitti di schiavitù e dignità umana nella riforma degli art. 600, 601 e 602 del Codice Penale, contributo all’interpretazione della l. 11 agosto 2003, n.228,CEDAM,2005, pg. 14. 9 trovava spazio al titolo secondo cap.3° del codice nella sezione dei “delitti contro la libertà”, titolo autonomo (e precedente ) rispetto ai “delitti contro la persona”. Inoltre, lo stesso era in una posizione immediatamente successiva alla parte relativa ai “delitti contro lo Stato”. Questa sistemazione mostrava la forte valorizzazione del carattere metapositivo della libertà, quale diritto inalienabile e valore unitario la cui essenza non deriva da una creazione politica ma da una prerogativa connaturale all’uomo, nell’ottica di una concezione tipicamente contrattualistica che concepisce la libertà come un bene naturale preesistente alla costituzione della società giuridica.10 Il codice penale Zanardelli insomma s’inseriva appieno in quella corrente liberale che caratterizzava l’Italia di quel periodo. Le cose cambiarono drasticamente con l’irrompere dell’ideologia fascista e l’introduzione del nuovo codice penale del 1930, il “Codice Rocco”. La formulazione degli articoli sulla schiavitù è ispirata dalla ideologia fascista e dal ripensamento del bene giuridico della libertà individuale: la libertà è ridotta a mero riflesso del riconoscimento normativo e dell’ordinamento giuridico l’uomo non è più il fondamento, bensì il prodotto.11 Nell’ottica del legislatore fascista, era proprio dall’ordinamento statuale che discendeva il diritto di libertà del singolo;lo Stato è inteso quale unica fonte, autonoma e volontaria, di creazione dei diritti dei cittadini.12 1.1. La Costituzione. È con l’avvento della Costituzione che si assiste ad una rielaborazione del concetto di libertà di ogni singolo uomo, determinando un’inversione della “scala valori” rispetto a quella affermatasi precedentemente. Essa si preoccupa di garantire e tutelare i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2) fra questi naturalmente ricomprendendo lo stato di uomo 10 F.RESTA ,voce personalità individuale (delitti contro la),in Dizionario di diritto pubblico, A. Giuffrè Editore Milano, anno 2006, pg.6. 11 Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, II, 364 “La libertà individuale è intesa non già come una concezione astratta di un bene naturale preesistente alla costituzione della società giuridica, sibbene come il complesso delle condizioni necessarie allo svolgimento delle attività consentite per la libera esplicazione della personalità umana”. 12 V. MANZINI, Trattato di diritto penale, a cura di P.Nuvolone e G.D.Pisapia ,VIII, pg. 623, in cui si afferma la centralità dello Stato quale fonte dei diritti del cittadino. 10 libero. La novità risiede nel fatto che questi diritti inviolabili vengono per l’appunto “riconosciuti” e non “introdotti dall’ordinamento” ,come si sosteneva sotto il previgente ordinamento albertino e fascista, ove si rinveniva la fonte dei diritti del singolo rispettivamente nel sovrano e nello stato.13 L’articolo 2 della Costituzione valorizza la natura ontologica, e dunque pre-costituzionale, dei “diritti inviolabili” dell’uomo, quali diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dall’ordinamento, non da esso creati.14 I tre fattori di fondamentale importanza nel riconoscimento della libertà, attraverso cui la personalità di ogni individuo può esprimersi, diventano: indipendenza, autonomia e dignità. Si afferma cosi quell’importantissimo principio personalistico, che impedisce di considerare l’uomo in funzione di fini che lo trascendano, e che lo attesta titolare di diritti anteriori alla costituzione dello Stato, centro dell’organizzazione sociale e politica dello stesso. Dall’analisi condotta dall’illustre giurista Vincenzo Manzini, emerge che il bene giuridico tutelato dagli art.600 ss del codice penale del 1930 è esattamente “la libertà individuale,in quanto particolarmente si attiene all’interesse dello Stato di salvaguardare in ogni persona lo “status libertatis” contro i fatti individuali consistenti nella sottoposizione di una o più persone alla schiavitù od altra condizione analoga, di diritto o di fatto, o che contribuiscono al mantenimento in tale stato”. L’idea esposta dal Manzini conferma l’indirizzo della dottrina dell’epoca, che considerava lo “status libertatis” come il complesso delle singole manifestazioni di libertà, non riducibile ad una specifica forma; questo si concretizzava nello stato di uomo libero, presupposto indefettibile per il riconoscimento stesso dei singoli diritti di libertà.15 Dunque, a prescindere dall’aggressione ad un particolare aspetto della libertà individuale, la condizione primaria affinché la persona stessa potesse godere delle singole libertà di determinazione, sarebbe stato il completo godimento dello status di libertà individuale. Ecco perché nasce l’esigenza di reprimere la costituzione di rapporti di padronanza, in quanto un uomo verrebbe cosi a trovarsi privato delle capacità relative 13 S.APRILE, op.cit, pg. 45. P. SCEVI, Premesse per uno studio sui delitti di schiavitù e tratta di persone nel quadro della tutela del diritto alla libertà, in Rivista penale, n.10/2012, pg.934. 15 VIGANO’ F. ,in Codice penale commentato, Parte speciale, a cura di DOLCINI E., G. MARINUCCI, Milano, 1999, pg. 3115. 14 11 alla personalità individuale.16 La libertà di status si mostra quindi come la ineliminabile e massima fra le libertà individuali: senza di essa ogni altra libertà è priva di senso. Alla luce di questi chiarimenti, si noterà com’è proprio la “reificazione della persona” il profilo caratterizzante gli illeciti descritti dagli art. 600 e ss. del codice penale, in cui l’idoneità lesiva risiede nella privazione in capo alla vittima dello status dell’habeas corpus, negandole la libertà di autodeterminazione e la possibilità di realizzare se stessa come fine in se, impedendole di esercitare quelle libertà caratterizzanti lo status libertatis.17 1.2Dal delitto di “plagio” al delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù. La fattispecie descritta dal codice Zanardelli all’art.145, descriveva il fatto di plagio 18 come il fatto di “chiunque riduce una persona in ischiavitù o in altra condizione analoga”. La laconicità della norma poneva molti problemi esegetici e sistematici. Per anni giurisprudenza e dottrina si sono cimentate nel tentativo di attribuirle un significato preciso e chiaro, mostrandosi entrambe le tipologie fortemente carenti dal punto di vista descrittivo e lasciando all’interprete l’arduo compito di dare un contenuto al termine “schiavitù” (a quel tempo non si poteva ancora far riferimento alla definizione data nella Convenzione di Ginevra del 1926) 19 La dottrina unanime convenne nella necessità di considerare la nozione di schiavitù come una “schiavitù di diritto” ossia lo status di schiavo doveva, per assumere rilevanza 16 G.CARUSO, Delitti di schiavitù e dignità umana nella riforma degli art. 600, 601 e 602 del Codice Penale, contributo all’interpretazione della l. 11 agosto 2003, n.228,CEDAM,2005, pg.19. 17 F. RESTA, op. cit.,pg 75 ss. 18 Il nomen juris attribuito alla fattispecie dal legislatore del 1889 riprendeva il termine che nella tradizione greco-romana indicava la sottrazione di un servus al proprio dominus, così mutando lo status giuridico. In ordinamenti arcaici che, come quello greco o quello romano, legittimavano l’istituto della servitus quale diritto di proprietà dell’uomo su altri uomini il plagio rappresentava quini un’ipotesi qualificata di furto, il cui più significativo disvalore risiedeva nell’avere ad oggetto una persona considerata alla stregua di una res. 19 M.C. BARBIERI, La riduzione in schiavitù:un passato che non vuole passare. Un’indagine storica sulla costruzione e i limiti del tipo, in Quad. Fiorent, 2010, n°30, pg 229 ss. 12 ai fini dell’integrazione della fattispecie in esame, essere consacrato e disciplinato in un ordinamento.20 Maggiori perplessità sollevava l’ermeneutica della formula “condizione analoga di schiavitù” la quale secondo alcuni doveva essere intesa come situazione di mero fatto, caratterizzate dall’assoggettamento servile di un uomo ad un altro individuo. 21 Di contro vi era la tesi di coloro i quali, nell’intento di limitare l’arbitrio del giudice e ridimensionare la vaghezza della formula, la riferirono alle sole schiavitù di diritto, riferendo questa norma unicamente ad istituti giuridicamente riconosciuti. 22 Interpretazioni di questo tipo determinavano inevitabilmente un restringimento dell’applicazione della stessa, se non addirittura una sua sostanziale disapplicazione, escludendo la sua operatività in Italia, ove non esisteva la schiavitù né tantomeno istituti giuridici ad essa assimilabili. Secondo quest’interpretazione, la norma avrebbe trovato applicazione solo in relazione a fatti commessi all’estero, causando così un grave deficit di effettività della stessa. 1.3 Schiavitù e plagio nel codice Rocco. Fu probabilmente proprio a causa di queste incertezze esegetiche che i redattori del progetto del Codice Rocco, all’esito di un controverso dibattito in sede di lavori preparatori, decisero di scindere l’articolo in due ipotesi differenti: l’art. 600, riduzione in schiavitù (sostanzialmente identico all’art. 145 del delitto di plagio) e art. 603, delitto di plagio (chiunque sottopone una persona al proprio potere in modo da ridurla in uno stato di totale soggezione). Di questi, il primo previsto al fine di reprimere le condotte di schiavitù di diritto, il secondo le condotte di schiavitù di fatto.23 20 A.G. CANNEVALE, C. LAZZARI, voce schiavitù e servitù (dirtto penale), in Digesto delle discipline penalistiche, a cura di Alfredo Gaito, Utet giuridica, IV edizione. 21 Si veda MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit, pg. 69:egli riteneva che la legge,con entrambe le espressioni, avesse inteso riferirsi a situazioni di fatto,incriminando tutte le condotte capaci di ridurre un individuo “nello stato tradizionale dello schiavo, cioè nella più ampia soggezione servile verso un padrone”. 22 NOSEDA E., Enciclopedia del diritto penale italiano,diretta dal prof. Enrico Pessina, Milano, 1909 23 Cosi come lucidamente esplicato nella relazione del Ministro guardasigilli sul progetto definitivo del nuovo codice penale: “ Sono note le discussioni alle quali ha dato luogo l’art.145 del codice del 1889, intese a stabilire se per schiavitù o altra condizione fosse da intendere schiavitù e condizione di diritto, ovvero anche di fatto. Il progetto ha eliminato ogni dubbio,considerando la condizione di diritto quella dell’art. 600 e quella di fatto nell’art.603. Di fronte al vantaggio indiscutibile della chiarezza e per la 13 Come si vedrà in realtà questa scissione fu tutt’altro che risolutiva delle incertezze relative alla norma in esame. Come osserva l’Antolisei: “la scissione operata dai compilatori del codice Rocco costituì un esempio tipico di quella deplorevole tendenza alla moltiplicazione delle norme legali e allo spezzettamento delle figure criminose, tendenza che rappresentava e rappresenta uno dei maggiori difetti tecnici del codice medesimo”. 24 In sostanza i problemi prospettati dalla vaghezza del codice Zanardelli si ripetono in egual misura: continuano le incertezze circa la natura della schiavitù, numerosi sono i dubbi in relazione alle possibili applicazione a casi concreti, impedendo di comprendere ancora una volta il significato esatto di “condizioni analoghe alla schiavitù”. Innanzitutto si dovette rispondere alla necessità di dare delle definizioni: al concetto di schiavitù, in assenza di un preciso indirizzo del legislatore, s’impose la formula elaborata dalla Convenzione di Ginevra del 1926, che cosi recitava: “la schiavitù è lo stato o condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di essi”25. Maggiori dissensi si registrarono in relazione alla “condizione analoga alla schiavitù”, secondo alcuni ricavabile dalla Convenzione di Ginevra del 1956, 26 secondo altri svincolata da qualsiasi riferimento al diritto positivo e rinvenibile in una situazione socio economica riconoscibile dal comune sentire, qualificabile secondo le caratteristiche sostanziali dello stato obiettivo dello schiavo. La dottrina era ancora profondamente divisa e così, nonostante la chiarissima esplicazione fatta nella relazione del ministro del Guardasigilli sul progetto definitivo del nuovo codice (vedi nota 23), non mancava in dottrina chi sosteneva che nella formulazione dell’art. 600 non vi fossero elementi sufficienti per escludere dal suo considerazione che trattasi di figure delittuose distinte,non ho creduto di accogliere la proposta di fondere i due articoli” in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, pt. II,Roma, 1929, 24 ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, vol.I, Giuffrè, Milano 2008, pg. 275. 25 MARINI G., Delitti contro la persona, Torino, 1996: “La dottrina si rifà alle convenzioni internazionali sulla schiavitù e alla Dichiarazione europea sui diritti dell’uomo, chiarendo che la schiavitù cui si riferisce il legislatore è solo quella in senso giuridico(…..), Pg. 147 ss. 26 La Convenzione supplementare sulla schiavitù di Ginevra in data 7/9/ 1956,ratificata e resa esecutiva in Italia con l.20/12/1957, n° 1304, parifica ad ogni effetto alla schiavitù talune condizioni tassativamente elencate: “la servitù per debiti, il servaggio o servitù della gleba; le istituzioni e pratiche sociali che consentano: la vendita di una donna nubile come sposa anche in assenza del di lei consenso, la cessione di una donna a un terzo a titolo oneroso da parte del marito, della famiglia o del clan, il trasferimento della donna per successione alla morte del marito, la vendita di un minore di anni diciotto da parte dei genitori o del tutore, in vista dello sfruttamento del suo lavoro o della sua persona”. 14 ambito di applicazione le situazioni di assoggettamento di mero fatto27.Difatti non vi è nulla che faccia riferimento alla necessaria esistenza di un istituto giuridico che legittimi la reificazione umana. Nonostante l’indiscutibile correttezza di queste osservazioni, la dottrina prevalente e la giurisprudenza costante sostennero per lungo periodo l’ipotesi elaborata dal Guardasigilli, identificando i concetti di schiavitù e condizione analoga con situazioni di diritto, determinando l’impossibilità dell’applicazione della fattispecie sul territorio italiano e condannando gli stessi ad un destino di inutilizzazione pratica, considerato che gli istituti di schiavitù, del lavoro forzato e della servitù della gleba erano stati da molto tempo aboliti nel nostro ordinamento. La norma poteva trovare applicazione solo all’estero, in ordinamenti in cui queste pratiche fossero ancora previste dalla legge. Al contrario, le situazioni di schiavitù di fatto venivano ricondotte alla diversa norma incriminatrice del plagio28, così allontanando l’ipotesi di un’interpretazione letterale che avrebbe esposto l’articolo a facili censure d’indeterminatezza da parte della Corte Costituzionale.29 Inoltre, venivano ricomprese nell’ambito di applicazione del 603 anche quelle ipotesi di “servaggio psichico”: pertanto il plagio poteva configurarsi non solo tramite l’uso della violenza fisica ma anche per mezzo di violenza psicologica, in maniera tale che il soggetto passivo, in virtù di un vincolo di assoluta soggezione psicologica, fosse sottoposto al potere completo del reo, con una quasi integrale soppressione della libertà e dell’autonomia della persona.30 27 ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, Vol. I, Milano, 1977. S.LA ROCCA, La schiavitù nel diritto internazionale e nazionale, in AA.VV, Il lavoro servile e le nuove schiavitù, a cura di F. Carchedi, G.Mottura, E. Pugliese, Milano 2003, pg. 186. 29 Difatti,nel tentativo di conferire maggiore determinatezza alla fattispecie, ed evitare una pronuncia d’incostituzionalità per mancato rispetto art. 25 cost, che sanciva il principio di tassatività, la dottrina prevalente optò per un’interpretazione tassativa della fattispecie riferibile all’elenco prefigurato all’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1956. 30 S.LA ROCCA, La schiavitù nel diritto internazionale e nazionale, op. cit., pg. 186. 28 15 1.4. La svolta della Corte Costituzionale: la sentenza n.96/1981 dichiara l’illegittimità costituzionale del delitto di plagio. Questa situazione di stallo durò fino all’intervento della Corte Costituzionale, che con la sentenza n°96/198131 dichiarò l’illegittimità costituzionale del delitto di plagio, ex art. 603 del codice penale, in quanto in contrasto con gli art. 21 e 25 della Costituzione. Sino a quel momento giurisprudenza e dottrina, come già indicato, inquadravano la fattispecie del delitto di plagio nella situazione di permanente e fattuale soggezione al potere altrui, derivante da una condotta violenta, minacciosa o anche solo suggestiva in grado di operare sul piano psicologico, sacrificando la personalità del plagiato tanto da eliminarne le facoltà di autodeterminazione;32di contro, la riduzione in schiavitù veniva ristretta alle sole ipotesi di azione secondo diritto, escludendo la punibilità delle schiavitù di fatto. La Corte Costituzionale abbracciò un orientamento del tutto differente, affermando che il delitto ex art. 600 avrebbe ricompreso non solo situazioni di diritto ma altresì situazioni di fatto, in particolare dovendosi leggere la locuzione “schiavitù” e “condizioni analoghe alla schiavitù” alla luce delle definizioni date dalla Convenzione di Ginevra, stipulate dal nostro paese per contrastare la schiavitù e la tratta di schiavi. Conseguenze immediate ricadono sulla fattispecie di plagio che depurata dalla nozione di schiavitù di fatto che giurisprudenza e dottrina le attribuivano, si riduceva ai soli casi di soggezione psicologica: in tal modo, la norma superava i limiti costituzionali di determinatezza della fattispecie, violando il principio di tassatività e determinatezza imposti dalla Costituzione.33 La norma risultava così espunta dall’ordinamento.34 31 C. cost, 8 giugno 1981 n°96 (in G.U. del 10 giugno 1981 n°153) ne Il foro Italiano, I, 275. Cass, 30 settembre 1971, Braibanti, CED 119.95, FI 1972, II, diviene emblematico il caso Braibanti, in cui la corte di Cassazione diede delle definizioni esaustive del reato di plagio e dei suoi confini rispetto alla schiavitù. Cosi si legge: << L’evento del reato di plagio consistente in una situazione permanente di fatto (e non di diritto come nella schiavitù) può essere utilizzato non soltanto con minacce o violenza fisiche ovvero con sostanze droganti o allucinogene, ma anche mediante una condotta suggestiva, che operando precipuamente sul piano psicologico, sia idonea a sacrificare totalmente, anche se non in senso assoluto, la personalità della vittima, sopprimendone le facoltà di autodeterminazione in modo da farla sottostare al dominio esclusivo del sopraffattore, senza possibilità di critica e ribellione>>. 33 L’impossibilità di accertare nella realtà, l’esistenza di uno stato di soggezione psichica, tale da sopprimere integralmente ogni libertà o autonomia del soggetto plagiato, spinse la Corte a dichiarare l’illegittimità dell’art. 603 cod.penale alla luce dell’art. 25 co 2 della cost. 34 S.APRILE, Delitti contro la personalità individuale, CEDAM , Torino,2008. 32 16 Come già precisato, il richiamo operato dalla Corte Costituzionale è rivolto alla Convenzione di Ginevra del 1926, e alla convenzione supplementare del 1956: tali testi definiscono le “istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù”, ove figurano non solo condizioni di diritto ma altresì condizioni di fatto, realizzabili cioè senza che alcun fatto o atto normativo che le autorizzi. Pertanto la locuzione “condizioni analoghe alla schiavitù” contenuta nell’art. 600 dovrà essere interpretata alla luce delle definizioni dei patti internazionali, al fine di eliminare l’arbitrio interpretativo del giudice. Dopo qualche resistenza iniziale, dottrina e giurisprudenza iniziarono ad avvalersi della fattispecie di riduzione in schiavitù così come ridisegnata dalla corte di legittimità. Il caso pilota dell’applicazione del delitto di riduzione in schiavitù di fatto si registra con un caso esaminato dalla Corte d’Assise di Milano,35 al fine di reprimere il fenomeno dei c.d. minori argati,36 <<la spregevole pratica di sfruttamento e commercio di bambini, specie di origine slava>>.37 La decisione costituisce il primo esempio di applicazione del delitto di riduzione in schiavitù a fatti commessi in luogo ove non esiste lo schiavismo: è la prima pronuncia concreta in tema di schiavitù non secondo diritto, resa possibile solo grazie alla precedente sentenza ablativa del reato di plagio. In realtà però, non tutti i dubbi furono sciolti: resta irrisolta ancora una questione, e cioè se il collegamento fra art. 600 c.p. e la normativa internazionale avesse una rilevanza meramente esemplificativa, e non tassativa della catalogazione contenuta nell’art. 1 della Convenzione ginevrina del 1956. La tecnica del rinvio alla normativa convenzionale infatti vide dominare due contrapposti orientamenti in ordine all’individuazione delle situazioni di fatto: il primo, individuava la “condizione analoga alla schiavitù” in base all’elencazione tassativa convenzionale; il secondo, al contrario,attribuiva all’elencazione un valore meramente esemplificativo. 35 C. Ass.Milano, 27 ottobre 1986, Iskender, IP 1987, 113, con nota di PISANI, I bambini argati e la riduzione in schiavitù. Il caso in esame s’interessa della cessione, avvenuta nella repubblica federale Jugoslava, di minori da parte dei rispettivi genitori ad altri cittadini slavi-rom,che successivamente impiegavano i medesimi bambini acquistati, quale proprietà dominicale oggetto di sfruttamento economico, nel territorio italiano, per la commissione di furti. Esso ricadeva sotto il divieto imposto dalla norma convenzionale art. 1 lett.d. 36 Dallo slavo “argat” letteralmente “operaio”. 37 VISCONTI C. , Riduzione in schiavitù:un passo avanti o due indietro delle Sezioni Unite? in Foro it., 1997, II 313 ss. 17 La giurisprudenza era ancora una volta divisa sul fatto: fautori del primo orientamento, sentenze come quella emanata dalla Corte d’Assise di Milano, il caso Salihi, sempre in relazione alla pratica di minori argati. In essa si ribadisce la necessità di riferire l’art. 600 a situazioni di fatto, oltreché di diritto, precisando che il “significato e il contenuto dei termini <<schiavitù>> e <<condizione analoga>> derivano dagli strumenti pattizi internazionali”.38 Allo stesso modo si espresse la Corte di legittimità, con la sentenza 7 dicembre 1989 39 che avvallò definitivamente tale ricostruzione affermando che la schiavitù e le condizioni analoghe possono essere costituite da situazioni indifferentemente di diritto o di fatto; tuttavia limitò le situazioni di fatto rilevanti alla casistica di cui all’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1956. In opposta direzione si levarono le voci di chi riteneva che le condizioni analoghe alla schiavitù non fossero solo quelle tassativamente indicate dalla Convenzione ginevrina, bensì anche altre situazioni di fatto: in tal modo si sarebbe estesa di gran lunga la tutela della persona anche al di fuori di casi non contemplati dalla sintetica definizione normativa: a sostegno di questa tesi vi era l’idea che la Convenzione di Ginevra non persegue lo scopo di individuare in maniera tassativa le condizioni analoghe alla schiavitù, bensì quella di estendere quanto più possibile la tutela della personalità, attraverso la specificazione di alcune situazioni che, sebbene rappresentino vere e proprie forme di manifestazione della schiavitù, potrebbero non rientrare nella concisa definizione della stessa come “stato o condizione di un individuo sul quale si esercitino gli attributi del diritto di proprietà”, fornita dalla Convenzione del 1926. Del resto l’eventuale carattere tassativo dell’elenco contenuto nell’art. 1 della Convenzione del 1956 avrebbe generato difficoltà applicative. In primo luogo, si sarebbe configurato implicitamente il delitto di riduzione in schiavitù in forma vincolata, in contrasto sia con l’art. 600 c.p. sia con la definizione stessa contenuta nella Convenzione di Ginevra del 1926, richiedendo entrambe le norme esclusivamente la realizzazione dell’evento corrispondente alla reificazione dell’essere umano, senza attribuire alcuna importanza al mezzo utilizzato per raggiungere tale scopo. In secondo luogo, appariva incongruente identificare la condizione analoga con situazioni di soggezione di mero fatto e poi 38 C. Assise Milano, 18 maggio 1988, Salihi, FI 1989, II, 121, con nota di SOLA, Il delitto di riduzione in schiavitù un caso di applicazione, FI 1989, II, 121. 39 Cass, 7 dicembre 1989, Izet Elmaz, FI 1990, II, 369. 18 escludere che tali situazioni possano essere diverse da quelle previste dalle fonti normative , da invocarsi in via esclusiva ad integrazione della norma penale Sulla base di queste considerazioni si propose una nuova qualificazione della “condizione analoga” quale elemento normativo “extragiuridico” integrabile non solo con fonti normative ma anche con l’applicazione di parametri storico-sociali che consentano la repressione di fenomeni caratterizzati dai medesimi aspetti di offesa della personalità della personalità individuale connotanti le figure di schiavitù storicamente note. Si sostiene così il passaggio dal carattere “tassativo” a quello “esemplificativo” della catalogazione delle situazioni di fatto racchiuse nella disposizione convenzionale del 1956. In tal orientamento s’inserisce la sentenza 23 marzo 1993 emanata dalla Corte d’Assise di Firenze,40 secondo la quale i concetti di schiavitù e condizione analoga dovevano esser considerati come elementi elastici della fattispecie, e rispetto ad essi le disposizioni di fonte internazionale sarebbero state essenzialmente “orientative”, dovendosi integrare il precetto con definizioni legali o nozioni storico-culturali elaborate nel corso dei secoli. La decisione della corte d’Assise di Firenze “apriva la strada ad un’interpretazione del precetto di grande originalità, riconoscendo all’art. 600 c.p. una vitalità espansiva della nozione di condizione analoga, positivamente riscontrabile ogni qual volta si configurasse una condotta alla quale fosse dato ricollegare l’asservimento di un essere umano alla signoria dell’agente”.41 1.5 La Sentenza Ceric introduce un concetto “estensivo” di schiavitù. La parola fine a questo lungo dibattito fu messa dalla sentenza emanata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 1996 42,il caso Ceric43:in esso la Corte afferma che 40 Corte d’Assise di Firenze, sent. 23 marzo 1993, Tahiri,in Foro it.1994, II, pg. 298 ss. BENATI L., Il delitto di riduzione in schiavitù in una pronuncia della Corte d’Assise di Roma, nota a Ass. Roma, 23 Febbraio 2001. 42 Cass. Sez Un., 20 novembre 1996, Ceric, Foro It. 1997, II, pg 313 ss, con nota di SALAROLI, Il delitto di riduzione in schiavitù come fattispecie a forma non vincolata, RDPP, 1997, pg 713 ss. 43 Cass, sez un, 20 nov 1996, Ceric, cit., il caso riguardava una fattispecie collegata al fenomeno della tratta di persone. Una minorenne cecoslovacca, Eva Kindlova, avvicinata nel proprio paese da un tale Mehedalia Osmanovic, da questi convinta a seguirlo in Italia con la promessa di una vita migliore.La stessa era stata venduta ad un terzo, tale Ceric, per la somma di tre milioni. Osmanovic era stato condannato per il delitto di riduzione in condizione analoga alla schiavitù in primo e secondo grado, mentre la condotta di Ceric era stata ritenuta sussumibile nella condotta descritta dall’art. 602.La cassazione doveva decidere del ricorso presentato dai legali di Osmanovic, i quali lamentavano la 41 19 “il concetto di schiavitù, essendosi ormai tradotto in una nozione storica e culturale, il significato della locuzione “condizione analoga” può essere recepito come espressivo della condizione di un individuo che- per via dell’attività da altri esplicata sulla sua persona- venga a trovarsi (pur conservando nominativamente lo status di soggetto dell’ordinamento giurdico) ridotto nell’esclusiva signoria dell’agente, il quale materialmente ne usi, ne tragga frutto o profitto o ne disponga, similmente al modo in cui-secondo le conoscenze storiche, confluite nell’attuale patrimonio socio-culturale dei membri della collettività-il “padrone”, un tempo, esercitava la propria signoria sullo schiavo”. Alla luce di quanto detto, l’intero art.600 doveva essere inteso come complessivamente riferito a forme di asservimento della persona, indifferentemente di fatto o di diritto, da cui risultasse l’assoggettamento della vittima all’altrui potere dispositivo, e sulla quale venissero esercitate le potestà proprie del diritto dominicale. Questa lettura trovava il suo fondamento sulla base delle osservazioni fatte dalla corte di legittimità per cui “le condizioni analoghe alla schiavitù” devono essere interpretate con riferimento alla definizione di schiavitù compresa nell’art.1 della convenzione di Ginevra del 1926. Questa attua una distinzione tra “status” e “condition” di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà. L’articolo 600 ricalcherebbe questa dicotomia, attribuendo allo status il significato di schiavitù, nel senso di uno status giuridicamente fondato, e “condition” intesa come condizione analoga alla schiavitù, ossia una “situazione di fatto identica alla condizione materiale dello schiavo, con la sola particolarità che-a differenza di quest’ultimo- la vittima non può perdere lo stato giuridico di uomo libero”.44 Nella sentenza si precisa inoltre che le condizioni analoghe alla schiavitù, le “institution et pratiques” di cui alla Convenzione di Ginevra del 1926 e del 1956 realizzano un’elencazione meramente esemplificativa e non tassativa, non essendo definizioni idonee ad esaurire la virtualità espansiva della nozione di condizione analoga. 45 violazione o erronea applicazione dell’art.600, per avere il giudice di merito sanzionato come condizione analoga alla schiavitù una condotta non compresa nei casi della convenzione del 1956.Il giudice respinse il ricorso, dovendosi ritenere la locuzione “condizione analoga alla schiavitù” non solo con riferimento al tassativo elenco art. 1 conv. di Ginevra 1956. 44 Cass, sez un, 20 nov 1996, Ceric, cit. 45 P. DUBOLINO, commento agli art. da 600 a 604, in Commento al codice penale,II ed., CasaeditriceLaTribuna, pg.1941 ss. 20 La giurisprudenza ha così voluto rendere elastica la (non-) definizione codicistica di schiavitù optando per una soluzione esegetica evolutiva dell’art. 600, tesa a ricondurre nella sfera applicativa della norma le insidiose forme di neoschiavismo emergenti nella realtà attuale, quali accattonaggio minorile, prostituzione forzata, asservimento delle persone al fine di prelevarne gli organi da destinare al mercato nero etc… La considerazione della schiavitù quale elemento normativo di natura culturale permetterà di avere la massima duttilità e mutevolezza del concetto, e consentirà di aggiornare ed adattare il precetto a quelle che saranno le evoluzioni del fenomeno schiavistico. La soluzione proposta dalle Sezioni unite è stata confermata dalla giurisprudenza successiva46 che ha applicato l’art. 600 ai più svariati casi, anche se non tassativamente rientranti nelle definizioni normative. Facciamo riferimento ai casi di sfruttamento sessuale femminile, servitù domestica, lavoro forzato. Inoltre è stata resa possibile l’applicabilità dell’art. 600 anche alle ipotesi in cui residuasse in capo alla vittima un margine di autodeterminazione concesso dal reo, sulla base di un’interpretazione del concetto di condizione analoga alla schiavitù, quale esercizio su di una persona non necessariamente di una signoria assoluta, bensì di attributi tipici dell’istituto dominicale o di altro diritto reale.47 1.6 Criticità e rischi di una lettura troppo elastica: la necessità di una riforma. Ma la nuova lettura dell’art. 600 così come proposta dalle Sezioni Unite non è stata esente da critiche da parte della dottrina, critiche decisamente consistenti che resero 46 Vedi C. Cass., Sez V, 16 dicembre 1997, Hrustic N., in Guida al diritto del sole 24 ore, 18 aprile 1988, n°15, in cui si legge che “gli elementi costituivi o di tipicizzazione dei reati di schiavitù non si desumono solo da specifiche previsioni della Convenzione di Ginevra, bensì proprio dalle nozioni che le stesse convenzioni propongono, sia di schiavitù come istituzione, quando in un ordinamento una persona può essere oggetto di proprietà, che di condizione analoga alla schiavitù quale pratica sociale per via della replica di fatto della schiavitù in qualsiasi comunità.” Altri casi in cui la giurisprudenza di merito ha aderito all’interpretazione data dalle sezioni Unite: C. Ass. Roma, 23 febbraio 2001, Bibilushi, in Cass, Penale 2001, pg 2212, con nota di L.BENATI, Il delitto di riduzione in schiavitù in una pronuncia della corte d’Assise di Roma. In questo si legge come venga condiviso l’interpretazione della norma resa dalle sezioni unite in modo conforme alle odierne esigenze di tutela della libertà da forme di aggressione in continua modificazione, in quanto non in contrasto con il principio costituzionale di determinatezzatassatività della fattispecie. 47 F. RESTA, op. cit., pg.155 ss. 21 evidente la necessità di una riformulazione degli articoli in questione ad opera della novella del 2003. Due i punti maggiormente discussi: in primis, l’interpretazione culturale del concetto di schiavitù sottraeva la fattispecie al principio di tassatività; in secundis, il rischio che tale linea interpretativa conducesse all’utilizzo dell’analogia in materia penale. In merito al primo punto, le Sezioni unite, richiamandosi ad un concetto di schiavitù riferito ad una categoria storico-culturale non offrono all’interprete un criterio sufficientemente univoco, non garantendo così certezza ai confini applicativi della fattispecie. Quel che più si contesta, non è tanto il fatto che il concetto penale di schiavitù ricada al di fuori di situazioni descritte da una rigida casistica convenzionale. Il problema risiede nel voler qualificare la schiavitù alla luce di parametri culturali, quale elemento normativo descrittivo di origine sociale. In verità, sarebbe più corretto ed auspicabile individuare la schiavitù come un elemento normativo di origine legaleextrapenale, rintracciando un significato alla luce della legislazione interna ed internazionale, o sulla base dell’art. 10 della Cost. Solo cosi facendo si potrebbe sfuggire al rischio di violazione del divieto di tassatività e si potrebbe sottrarre al libero arbitrio del giudice di merito delle definizioni che invece devono essere precisate a monte.48 La proposta di qualificare la schiavitù e le condizioni ad essa analoghe come elementi descrittivi di natura normativo-legale consente sia una sufficiente elasticità interpretativa,sia il rispetto di tassatività e determinatezza, in quanto gli elementi normativi invocati restano saldi ai parametri descrittivi contenuti nella norma extrapenale, e sottratte alle mutevoli e nebuolose valutazioni del giudice. Sarà proprio a partire da queste criticità che si svilupperà la consapevolezza di una riforma normativa delle fattispecie in esame: riforma che approderà nella novella legislativa del 2003. 48 S. APRILE, op. cit.pg. 134 ss. 22 2. La risposta alla necessità di una riforma: la legge 11 agosto 2003, n. 228, “Misure contro la tratta delle persone”. A seguito di questa lunga querelle, condotta a colpi di sentenze e dispute dottrinali, il legislatore si ritrovò faccia a faccia con la necessità impellente di una riforma dovuta alle gravi lacune e carenze delle norme in questione. 49 Nello specifico, le esigenze più urgenti che condussero a questo intervento riformistico furono: in primis, la carenza di determinatezza e tassatività della fattispecie incriminatrice, che aveva fatto versare fiumi d’inchiostro a dottrina e giurisprudenza nel tentativo di trovare definizioni esatte e condivise. Difatti, come ampliamente sottolineato nel paragrafo precedente, vi furono moltissime divisioni circa il significato da attribuire alla nozione di “schiavitù” e “condizioni ad essa analoghe”. Il legislatore riformistico ha così abbandonato il vecchio modello di descrizione sintetica e di costruzione analogica della fattispecie per adottare un modello di descrizione analitica del contenuto prescrittivo delle disposizioni incriminatrici: in questo modo il legislatore non ha più lasciato all’interprete il compito di dare definizioni, con un notevole sforzo di tipizzazione delle condotte illecite. In questo modo si sarebbero, presumibilmente, dissipati gli ormai noti dubbi e incertezze interpretative sulla fattispecie. La seconda importante necessità alla quale la riforma ha tentato di dare risposta, è stata la diffusa presa coscienza da parte di giuristi, ma anche dell’opinione pubblica, dell’emergere di nuove forme di schiavismo e delle diverse declinazioni assunte dal fenomeno. In particolare destava gravissimo allarme, anche a livello di comunità internazionale, il salto di qualità rappresentato dalla presenza della criminalità organizzata transnazionale nella gestione del traffico degli esseri umani, in particolare di donne e bambini, per il loro sfruttamento ai vari livelli di prostituzione, accattonaggio, lavoro nero, prelievo di organi etc… per far fronte a questi fenomeni di criminalità 49 La “ratio” di questo intervento riformistico viene esplicata sinteticamente dal relatore della seduta della Commissione Giustizia della Camera, destinata al primo esame del progetto di legge n°1255, progetto che verrà poi approvato con legge 11 agosto 2003, n. 228:trattasi della “necessità di adeguare il testo codicistico ad un orientamento giurisprudenziale della Suprema corte che con difficoltà individua il ricorrere degli estremi del reato di riduzione in schiavitù, fuori dalle ipotesi in cui la parte offesa sia un minore, e ciò a ragione della difficoltà di provare uno stato di assoggettamento analogo alla schiavitù quando la persona mantiene un certo ambito di autodeterminazione” G. AMATO, Un nuovo sistema sanzionatorio e investigativo per una lotta efficace contro la schiavitù, in Guida al diritto, n.35, pg 40 ss. 23 organizzata si è intervenuti con l’introduzione del 5°comma dell’art. 416 del c.p., fattispecie originariamente prevista per la repressione dei reati di associazione a delinquere, ora estesa ai reati in materia di tratta e riduzione in schiavitù. Infine, è apparso doveroso adeguare la legislazione nazionale agli standard indicati dalla normativa internazionale ed europea. Difatti, in seguito all’emanazione dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, emanata nel 1950, e la convenzione supplementare di Ginevra del 1956, si registrarono interventi sul tema anche da parte dell’Unione europea. Di particolare importanza, in proposito, l’adozione da parte del Consiglio dell’Unione, di un’azione comune, nel febbraio del 1997, che obbligava gli stati membri a criminalizzare la tratta delle persone (97/154/GAI) . Inoltre, in occasione della conferenza interministeriale dell’Aja dell’aprile del 1997, l’Unione aveva formulato delle <<linee guida europee per misure efficaci di prevenzione e lotta contro la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale>>. Infine l’Assemblea generale dell’ONU aveva approvato la “Convenzione sulla criminalità organizzata transnazionale” e i due protocolli addizionali,50 seguita dalla decisione quadro 2002/629/GAI. Alla luce di questi interventi è sorta l’esigenza di allineare la nostra normativa nazionale ai richiami provenienti dall’Europa e dal resto del mondo.51 Grazie alla novella del 2003 – preceduta, peraltro , dall’importantissima legge n. 269/1998 recante le “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù” – la tutela della libertà individuale e della dignità della persona viene estesa anche a forme di reificazione che, sebbene più sottili e meno evidenti, presentano la stessa gravità delle classiche forme di schiavitù. Questo ci dà conto anche di un’evoluzione del concetto di dignità della persona, inteso ora in chiave rivendicativa e non più esclusivamente difensiva, quale catalizzatore per la garanzia di tutti i diritti fondamentali.52 50 La convenzione è stata aperta alla firma il 12 dicembre 2000 e firmata da 127 stati dopo negoziati durati due anni. E’ entrata in vigore con la ratifica da parte del quarantesimo stato. Il testo degli accordi è stato elaborato da un Comitato nominato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite 53/111 del 9 dicembre 1998. L’altro protocollo addizionale disciplina il contrasto al fenomeno dell’immigrazione clandestina (smuggling of migrants) . In conseguenza del carattere addizionale dei due Protocolli rispetto alla Convenzione, l’adesione ai Protocolli è consentita ai soli stati che hanno sottoscritto la Convenzione e le disposizioni dei protocolli devono essere interpretati secondo i principi stabiliti dalla Convenzione. 51 G. FIANDACA, E. MUSCO, I delitti contro la persona, Bologna 2008, pg.178. 24 Nei paragrafi successivi affronteremo un’analisi tecnica della legge riformata, che si compone di 16 articoli, solo alcuni dei quali rilevanti per i profili di diritto penale sostanziale. Questi sono: gli articoli 600/601/602 così come riformulati; l’introduzione del 5°comma dell’art. 416 c.p., fattispecie previgente che punisce il reato di associazione a delinquere, adesso estesa al compimento dei reati di tratta e riduzione in schiavitù.53 A tal proposito, ci dilungheremo in un’analisi approfondita del ruolo chiave svolto dalle organizzazioni criminali (nazionali e transnazionali) nella commissione del reato di riduzione in schiavitù e tratta di esser umani, aspetto assolutamente non secondario di un crimine che nella maggior parte dei casi trova in questi i principali responsabili. Rivolgeremo infine la nostra attenzione alle politiche di prevenzione e tutela della vittima adottate dal nostro Paese: in quest’ottica non potrà sfuggire alla trattazione l’analisi di un articolo di fondamentale importanza e dalla portata rivoluzionaria: parliamo dell’art. 18 T.U. n. 286 del 1998: in esso rinveniamo l’istituto del “permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale”, un istituto progressista, successivamente preso ad esempio da molti paesi d’Europa. Si tratta della possibilità di concedere uno speciale permesso di soggiorno all’immigrato sottoposto a violenza, sfruttamento o quando vi sia pericolo per la sua incolumità per effetto del tentativo di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione criminale o delle dichiarazioni rese in un procedimento penale: con il rilascio del permesso si dà l’opportunità allo straniero di sottrarsi alla violenza e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale, su richiesta o previo parere del Procuratore della repubblica. 54 Da non trascurare, inoltre, la predisposizione di un fondo anti-tratta e uno speciale programma di protezione ed assistenza in favore delle vittime. Dall’analisi delle questioni in gioco cercheremo di comprendere la situazione italiana, l’effettiva efficacia delle misure di contrasto e l’effettiva applicazione delle norme predisposte. 52 F. RESTA, op. cit.pg.24. A.M. PECCIOLI, Giro di vite contro i trafficanti di esseri umani:le novità della legge sulla tratta di persone, in Dir. pen e proc, 2004 n°1, pg 32 ss. 54 D.PETRINI, V. FERRARIS, <<Analisi dell’art.18 nel quadro della legislazione sull’immigrazione e della lotta alla criminalità organizzata.Storie e premialità dell’istituto e suoi antecedenti>> in AAVV, “Articolo 18:tutela delle vittime del traffico di esseri umani e lotta alla criminalità (l’Italia e gli scenari europei) Rapporto di ricerca, On the road edizioni, Martinsicuro (Te),pg. 25 ss. 53 25 2.1. L’art. 600: la nuova riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù. In via preliminare, occorre evidenziare come il legislatore abbia fatto ricorso ad una tecnica novellatrice, intervenendo sulle figure codicistiche di cui agli artt.600 e ss. c.p., mantenendone quantomeno il nomen juris. Tale scelta, seppur criticabile su altri fronti, ha il pregio di rimarcare l’intento del legislatore di escludere l’ipotesi di abrogazione del precedente delitto e di realizzare una successione di leggi penali: ciò in ragione di un “rapporto di continuità” realizzato, nella specie, per via della maggiore ampiezza di contenuto della normativa più recente. 55 Si assiste, infatti, ad una operazione tesa a ribadire, anche terminologicamente, la condotta precedentemente incriminata e ad allargare il campo del penalmente perseguibile con la descrizione di una serie corposa e dettagliata di comportamenti che, alla luce della nuova realtà sociale, si ritengono, in sostanza, ugualmente offensivi del bene giuridico tutelato. Come già ampliamente sottolineato, fra le tante ragioni che indussero alla riformulazione degli articoli56, la più impellente sembrava proprio quella di attribuire maggiore determinatezza alle fattispecie. In risposta a quest’esigenza, per la prima volta il diritto penale conosce una nozione di schiavitù dettata direttamente dal legislatore, affiancata dal nuovo concetto di servitù57. Lo si legge esplicitamente nel primo comma dell’art. 600, che descrive una fattispecie causalmente orientata (a forma libera) rubricato “Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù”, che recita: 55 B. ROMANO, Riflessioni penalistiche sulle misure contro la tratta di persone, in AA.VV., Contro ogni schiavitù.Programma di assistenza ed integrazione sociale ex. art. 18 T.U. sull’immigrazione Legge n. 228/2003 “Misure contro la tratta di persone”, Roma, 2006, pg. 182. 56 L’attuale novella del 2003 trova i suoi antenati nel progetto Pagliaro,1996,che ai tempi si era già fatto portavoce dell’esigenza di una riforma. Il progetto Pagliaro inseriva i reati di schiavitù tra i reati contro la dignità dell’essere umano: la definizione di schiavo veniva attribuita ad una persona che venisse sottoposta, anche solo di fatto, a poteri corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà o di un altro diritto reale o quando era vincolata al servizio di una cosa. Questa era una definizione che presentava maggiore chiarezza rispetto al previgente art. 600 e che non riprendeva il modello dell’elencazione casistica della Convenzione di Ginevra. Successivamente, venne presentato un tentativo di riforma dei reati in materia di schiavitù: un disegno di legge, d’iniziativa governativa, C. 5839, approvato dalla camera nel febbraio 2001, ma arenatosi in sede d’esame nella 2° Commissione giustizia del Senato. Infine, dall’esame congiunto di due distinti elaborati, la proposta di legge n° 1255, presentata nel luglio del 2001 e il disegno di legge n° 1584, presentato nel settembre 2001, approvati in un testo unificato dalla Camera dei deputati il 27 novembre 2001, sottoposti a successive modifiche, prese definitivamente corpo la legge n°228/2003. 57 A.G. CANNEVALE, C. LAZZARI, Schiavitù e servitù nel diritto penale, in L’Indice penale, 2006, anno IX,n°1, pg. 325 ss. 26 “Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento, è punito con la reclusione da otto a venti anni”. L’articolo può essere diviso in due condotte distinte: la prima, ascrivibile nella nozione di schiavitù, la seconda alla nozione di servitù. In quanto alla prima, la schiavitù viene descritta come quella condotta determinata “dall’esercizio su una persona dei poteri corrispondenti al diritto di proprietà”. Come già specificato, uno degli obiettivi principali del legislatore riformatore era quello di raggiungere determinatezza e conferire tipicità alla fattispecie. Ed è così che per la prima volta, la schiavitù trova esatta definizione nella stessa norma penale, a differenza della formulazione contenuta nel vecchio Codice Rocco, che rinviava alla definizione della Convenzione ginevrina del 1926. 58 La maggior parte della dottrina ha ricondotto il concetto di schiavitù così come riformulato, alla nozione di “schiavitù di fatto”, non volendo relegare il fenomeno ad una dimensione esclusivamente giuridico-normativa.59 Difatti, il rischio è quello di comprimere il fenomeno schiavistico nell’alveo di fenomeni puramente giuridici, che in verità non troveranno mai validi titoli giustificativi o fondamenti normativi, essendo ormai definitivamente bandita in tutti gli ordinamenti la pratica schiavistica. Proprio dal timore che il nuovo art. 600 venga così condannato ancora una volta ad un destino di “parziale desuetudine”, così com’era toccato alla vecchia formulazione dello stesso, la maggior parte della dottrina intende riferirsi alla schiavitù facendo riferimento sia a situazioni di fatto che di diritto.60 58 L. PICCOTTI, Nuove forme di schiavitù e nuove incriminazioni penali fra normativa interna ed internazionale, in L’indice penale, 2007, Anno X, n°1, pg.26 ss. 59 “ (…) i delitti di schiavitù ledono innanzitutto il bene primario dello status libertatis, cioè non questa o quella forma di manifestazione della libertà individuale, bensì il complesso delle manifestazioni che in tale stato si riassumono o che si risolvono in una reificazione, ad un tempo de jure e de facto della personalità(…) così F.MANTOVANI, La legislazione penale sulle nuove frontiere di schiavitù, in AA.VV., Contro ogni schiavitù, op.cit., pg.160. 60 In tal senso si veda G.FIANDACA-E.MUSCO, Diritto penale parte speciale, pg. 120, cosi: <<La” corrispondenza dei poteri” è formula in grado di contenere sia situazioni di fatto che di diritto>>. Sulla stessa linea si veda anche: AG CANNEVALE, C.LAZZARI, Schiavitù e servitù nel diritto penale, op. cit., ove si legge: << l’espressione esercizio di poteri corrispondenti chiarisce, senza possibilità di equivoci, che la nozione penalistica di schiavitù è- stavolta anche nelle intenzioni del legislatore-una 27 Una parte minoritaria invece, insiste nel voler ascrivere il delitto di schiavitù alle sole situazioni di diritto61, ma quest’orientamento pare non convincere, specie se giudicato alla luce delle intenzioni manifestate dal legislatore in sede di lavori preparatori della novella del 2003. Questi prevedevano l’espresso riferimento alla connotazione fattuale della schiavitù. Questa esplicita menzione è stata poi eliminata dal testo di legge definitivo in quanto considerata superflua; difatti, in un ordinamento nel quale non sia possibile ipotizzare un diritto di proprietà sulla persona, giuridicamente valido ed azionabile, la norma va a punire il rapporto possessorio di fatto instauratosi fra individui, al di là di un riconoscimento giuspositivo nell’ordinamento statale, incentrato sull’imposizione da parte del dominus alla vittima di obblighi e di uno status personale caratterizzato dall’assenza di diritti.62 Altro problema esegetico nasce dall’equiparazione della condizione di schiavitù al concetto civilistico di proprietà, o quantomeno dell’esercizio sulla vittima di alcuni degli attributi tipici del diritto reale.63 Il problema nasce dunque dalla necessità di stabilire se ricondurre alla fattispecie normativa anche l’esercizio dei poteri dispositivi propri dei diritti reali parziali, (ossia l’esercizio anche di alcune soltanto delle potestà costitutive del diritto di proprietà). In tal senso ci si chiedeva se anche l’eventuale esercizio di uno solo dei poteri corrispondenti al diritto di proprietà potesse integrare la fattispecie delittuosa in esame, o se al contrario, fosse necessario esercitare l’intero ventaglio di diritti e facoltà connessi al diritto di proprietà.64 L’interpretazione letterale della fattispecie indurrebbe a fare riferimento al solo diritto di proprietà, e parte della dottrina appoggia condizione di fatto.>> si legga infine V.MUSACCHIO, La nuova normativa penale, cit., pg. 2448 ove specifica: <<….il soggetto attivo si comporta come se fosse titolare di un diritto di proprietà (inteso in senso sostanziale e non formale..>>. 61 In tal senso si veda: PECCIOLI, Giro di vite contro i trafficanti di esseri umani, in Diritto penale e processo, n. 1/2004, pg. 37, ove si legge: “ La prima forma di realizzazione del novellato art. 600 è rappresentato dall’esercizio su una persona dei poteri corrispondenti al diritto di proprietà: è una condotta riconducibile alla schiavitù di diritto(…..) ed è esclusa l’ipotesi dell’esercizio di altri diritti reali.” Della stessa opinione anche:E. ROSI, La moderna schiavitù e la tratta di persone: analisi della riforma, in Dir.e Giust., 2004,III,pg. 52, ove chiarisce che “viene sanzionato il comportamento di chi <<esercita su una persona i poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà>>. Si tratta della nozione giuridica di schiavitù, nel senso di reificazione della persona umana, infatti la formulazione pone l’accento sul semplice esercizio dei poteri spettanti al proprietario.” Ed infine si veda G.CARUSO, in Delitti di schiavitù e dignità umana, op.cit., pg. 6, che aderisce all’opinione fornita da Peccioli. 62 F.RESTA, op cit., pg.43 ss. 63 S. APRILE, I delitti contro la personalità individuale, op.cit., pg.39. 64 A.ROSSETTI, Riduzione in schiavitù e nuovo art. 600 c.p.: riflessioni in tema di selezione delle condotte punibiili,in Cassazione penale, 2007/1, pg. 167 ss. 28 quest’orientamento.65Ma questa conclusione si scontra inevitabilmente con le indicazioni rinvenibili nel variegato universo di fonti normative intervenute a disciplinare la materia e che orientano l’interprete verso l’opzione estensiva, in virtù della quale per l’integrazione della condotta punibile non sarà necessaria la presenza di tutti i diritti e le facoltà connessi al diritto di proprietà, bensì anche uno solo di questi. 66 In tal senso, al fine dell’instaurazione della condotta criminosa in questione, il soggetto attivo potrà comportarsi sia come titolare di un diritto di proprietà sia come titolare di un altro diritto reale nei confronti della vittima,67 riferendosi la norma indifferentemente all’esercizio di qualche o di tutti i poteri connessi al diritto di proprietà e dunque della disposizione e del godimento dello stesso. Pertanto, potrà configurarsi il delitto di riduzione in schiavitù ogni qualvolta si eserciti su un altro individuo un diritto di proprietà o uno degli attributi dello stesso.68 In ogni modo, così come lucidamente affermato dal Botti, <<…il riferimento al diritto di proprietà, per quanto suggestivo ed efficace sul piano mediatico (…) crea non pochi imbarazzi in sede interpretativa>>.69 Dubbi non sussistono, invece, circa la natura di reato a forma libera: difatti non è richiesto che l’azione si articoli con particolari modalità o mezzi: non è necessario l’uso della violenza fisica o psichica, droghe o altri strumenti capaci di limitare le possibilità di autodeterminazione del soggetto, modalità necessarie come lo si vedrà per la seconda fattispecie di reato prevista dall’art. in questione.70 65 Così in dottrina:G.FIANDACA, E.MUSCO, Diritto penale parte speciale, op.cit., pg.120, ove si legge:<< …deve trattarsi solo dei poteri tipici del diritto di proprietà e non anche degli altri diritti reali. Non appare invero condivisibile una interpretazione estensiva del termine proprietà finno ad includervi i diritti reali: siffatta tesi cozza non solo contro il chiaro dettato normativo ma finisce per di più, per risolversi in un’indebita alterazione degli equilibri di tutela perché amplierebbe a dismusira l’ambito di applicazione degli art. 600 a scapito dei delitti di cui agli art. 01/602>>, AMATO, Un nuovo sistema sanzionatorio, cit., pg 42; PECCIOLI, Giro di vite, op. cit., pg.37; CARUSO, Delitti di schiavitù, op. cit., pg. 4 ss. 66 A.ROSSETTI, Riduzione in schiavitù e nuovo art. 600 c.p.: riflessioni in tema di selezione delle condotte punibiili,in Cassazione penale, 2007/1, pg. 167 ss. 67 V.MUSACCHIO, La nuova normativa penale contro la riduzione in schiavitù e la tratta di persone (L.11 Agosto 2003, n°228) in Giurisprudenza italiana, 2004 n°3, pg. 2448 68 S.LA ROCCA, La schiavitù nel diritto internazionale e nazionale, op.cit., pg.187 ss. 69 BOTTI, Legislatore miope e giudici ciechi. La cassazione cerca di ricondurre a razionalità l’art. 600 c.p., in Dir e giust., 2004, n°42, pg. 48. 70 S. APRILE, op. cit. pg.34. 29 2.2 La nuova fattispecie della “riduzione in servitù”. La seconda parte dell’articolo, che invero costituisce la vera novità della riforma, si occupa della riduzione o del mantenimento in servitù. I profili maggiormente innovativi si riscontrano nella definitiva soppressione della tanto discussa formula delle “condizioni analoghe alla schiavitù” ed inoltre nella previsione della condotta di “mantenimento”. In particolare, la previsione della condotta di mantenimento, (che in verità interessa anche i delitti di schiavitù) potrebbe apparire pleonastica, poiché il reato di schiavitù è un reato permanente, in cui la consumazione si realizza quando viene a cessare la privazione della libertà personale. Ma in realtà la previsione della condotta di mantenimento potrebbe consentire di dare rilevanza anche a condotte penali ulteriori. Ad esempio, si potranno incriminare coloro i quali non hanno partecipato inizialmente alla riduzione in schiavitù del soggetto passivo ma che intervengono in un momento successivo.71 La formula condizioni analoghe alla schiavitù è stata invece sostituita dal termine “servitù”, ossia la situazione di “soggezione continuativa”: questa qualifica il reato come abituale e rende necessaria per la sua configurazione una pluralità di condotte del soggetto attivo e di prestazioni del soggetto passivo: tale condizione non dovrà realizzarsi in maniera occasionale ma sarà necessario che assuma il carattere della continuità.72 Lo stato di soggezione continuativa è l’evento causalmente determinato dalla condotte di costrizione della vittima a prestazioni lavorative o sessuali o all’accattonaggio. L’elencazione delle condotte, peraltro, si conclude con una clausola aperta tesa a ricomprendere il costrizione a prestazioni che comportino lo sfruttamento della vittima Proprio con il compimento di tali atti, dipendenti da un agere (pur se non liberamente scelto) della vittima stessa, si consuma il reato, definibile come ipotesi di reato a cooperazione artificiosa della vittima.73 71 A.M.PECCIOLI, Giro di vite, op. cit. pg.38. TRANSCRIME, Rapporto di ricerca, raccolta ragionata di giurisprudenza in materia, Milano, 2010, si veda: Cass. Pen., sez. III, 26 ott 2006 n°2841; Cass.pen., sez. VI, 23 nov 2004, n°81; Cass.pen., sez V, 24 apr 2008, n° 21195, pg.19. 73 PICCOTTI L., I delitti di tratta e schiavitù. Novità e limiti della legislazione italiana, in Diritto immigrazione e cittadinanza, anno IX n°1/2007, pg. 54 ss. 72 30 Il secondo comma determina un’ulteriore tipizzazione normativa, ove vengono precisate le modalità attraverso cui devono essere realizzate le condotte di riduzione o mantenimento nello stato di soggezione, che peraltro ricalcano le previsioni definitorie dell’art.1 par.1 della decisione quadro europea 2002/629/GAI. La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione dovrà avvenire <<mediante violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, ovvero ancora frutto di promessa o di dazione di somme di danaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona>>.74 La struttura è quella di un reato a forma vincolata, in risposta all’esigenza di una più puntuale formulazione normativa; inizialmente la maggior parte della dottrina ha salutato con entusiasmo e soddisfazione questa nuova formula, individuando “il maggior pregio della riforma nella capacità di soddisfare appieno le esigenze di tipicità della fattispecie incriminatrice, attraverso una più concreta e puntuale definizione delle condotte incriminate”.75 Ma alle prime applicazioni iniziano a profilarsi i primi dubbi e le prime incertezze interpretative: le espressioni utilizzate per la puntigliosa descrizione degli elementi costitutivi sembrano essere suscettibili di interpretazioni non uniformi.76 Il maggior punctum dolens si rintraccia nella nozione di sfruttamento, rinvenibile a chiusura della formula che descrive le specifiche modalità di realizzazione della condotte offensive della dignità umana. Quest’ultima termina con il riferimento a “prestazioni che comunque ne comportino lo sfruttamento”: è sufficiente questo per causare la perdita di tassatività dell’elenco e far emergere la necessità di assegnare al termine condivise interpretazioni. Lo sfruttamento è l’elemento che caratterizza la prestazione ottenuta dalla vittima: la costrizione della persona umana ad una prestazione di lavoro o di attività caratterizzata 74 F. RESTA, op. cit., pg.50 ss. AMATO G., Un nuovo sistema sanzionatorio e investigativo per una lotta efficace contro la schiavitù, cit., pg.42.. 76 Così come descrivono G.CANNEVALE, C.LAZZARI, in Schiavitù e servitù nel diritto penale, op. cit.,pg. 67 “la diligente tipizzazione delle condotte punibili non deve generare illusioni: i contorni di questa ipotesi di reato sono ben lontani dallo stagliarsi con luminoso nitore nel panorama delle fattispecie incriminatrice.” 75 31 dallo sfruttamento rappresenta l’evento naturalistico e giuridico della fattispecie, necessario per il perfezionamento del reato.77 È lo sfruttamento, connesso all’assoggettamento della vittima, l’elemento caratterizzante il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù: idoneo a distinguerlo da ogni altra forma di <<inibizione della libertà personale>>. 78 2.3. Incertezze circa la finalità dello sfruttamento: necessità di un movente economico? Ci si chiede se questa nozione di sfruttamento debba necessariamente assumere una connotazione di tipo economico-patrimoniale o se sia sufficiente un’utilizzazione a fini egoistici di un soggetto da parte di un altro, trascurando eventuali fini di lucro della persona. La maggior parte della dottrina ha appoggiato quest’ultimo orientamento, stabilendo che lo sfruttamento della vittima non necessariamente assume una connotazione di tipo economico. Difatti, in un’ottica di reificazione della stessa, il disvalore della condotta di sfruttamento può essere determinato anche da pretese di natura diversa, che non comportino necessariamente la finalità patrimoniale: si pensi al caso in cui si pretenda da una donna prestazioni sessuali contro la sua volontà, pur senza sfruttare l’attività di prostituzione. Peraltro il concetto di sfruttamento rileva non già in termini economici, ma quale strumentalizzazione e negazione della dignità e del valore della persona come fine in sé.79 Ulteriori argomentazioni a sostegno di questa tesi possono derivare dalla previsione della clausola di chiusura della costrizione a <<prestazioni che comportino comunque lo sfruttamento>> ipotesi in grado di garantire l’applicabilità art. 600 anche ad ipotesi prive di connotazione economico- patrimoniale. L’interpretazione estensiva della nozione di sfruttamento ricalca inoltre i dettami della decisione quadro del 19 luglio 2002, ove si dà una definizione di sfruttamento comprensiva di sfruttamento lavorativo, 77 E. ROSI, La moderna schiavitù e la tratta di persone: analisi della riforma, in Dir.e Giust., 2004,III, pg.55. 78 Cosi F.RESTA, Schiavitù e sfruttamento fra vecchia e nuova disciplina, in Giur. di merito, 11/2010, n°11, pg.390 ss. 79 F. RESTA, op. cit., pg. 51. 32 della prostituzione ma anche di ogni altra e diversa forma di sfruttamento sessuale della vittima del reato.80 Ma vi è una parte della dottrina più recente che si distacca da quest’orientamento: dal loro punto, la nozione di sfruttamento assumerebbe una necessaria connotazione economico-patrimoniale. Dunque ai fini della configurazione del reato in questione sarà indispensabile il conseguimento di un vantaggio economico in capo all’autore del reato.81 Una interpretazione dello stesso segno viene suggerita da una sentenza della Corte di Cassazione82. In quest’occasione la suprema Corte annulla senza rinvio la pronuncia del tribunale del riesame che intendeva affermare la configurabilità della fattispecie riformulata dalla l. n°228/2003 in un’ipotesi di compravendita di un neonato, ma del tutto priva di finalità di sfruttamento economico. I giudici di legittimità sottolineano come la nuova norma incriminatrice dia fondamentale rilievo alla “cifra utilitaristica” delle condotte vietate. Viene ribadito ancora una volta come lo sfruttamento della vittima sia il tratto caratterizzante la fattispecie tipica di riferimento, elemento che permette di distinguere il reato previsto ex. art. 600 dalle altre forme di inibizione della libertà personale, intesa quale facoltà di spostamento nel tempo e nello spazio e tutelata dagli art. 605/609-decies. Indubbiamente bisognerà riconoscere movente principale delle forme di schiavismo moderno proprio la possibilità di sfruttamento economico-patrimoniale delle vittime. Per tanto, la fattispecie in esame potrà dirsi integrata solo <<allorché l’affermata signoria (in senso meramente fenomenico, dell’uomo sull’uomo) si traduca, o sia finalizzata a tradursi, nello sfruttamento della persona o del lavoro>> .83 2.4. Modalità di realizzazione del fatto. Qualche chiarimento in più meritano i requisiti modali di realizzazione della condotta descritti al secondo comma: mentre le nozioni di violenza, minaccia e condotta 80 A.M.PECCIOLI, Prime applicazioni delle nuove norme in materia di riduzione in schiavitù: è una vera riforma? In Diritto penale e processo, n°1/2006, pg.72 ss. 81 In tal senso si veda: ROSI, La tratta di persone e la riduzione in schiavitù, op. cit., pg. 55 “Lo sfruttamento coincide, insomma, con l’ottenimento di un utile finanziario od economico per l’autore.” 82 Sent. C.Cass, 10 sett 2004 n°39044, in Cassazione penale, n°1/2007, con nota di ANDREA ROSSETTI, Riduzione in schiavitù e nuovo art. 600 c.p.: riflessioni in tema di selezione delle condotte punibili, pg. 161. 83 Sent. C.Cass,10 sett 2004, in Cass.Pen.,cit. 33 ingannatoria risultano ampliamente definite in dottrina e giurisprudenza, qualche perplessità potranno destare le nozioni di “stato di necessita” e le “situazioni di inferiorità fisica o psichica”. In quanto al primo punto, parte della dottrina lo ha interpretato con un rimando ai requisiti descritti all’art 54 c.p., ma la giurisprudenza di legittimità ha smentito in più pronunce quest’indirizzo, richiamandosi invece allo “stato di bisogno” previsto dall’art. 1448 c.c.84 Lo stato di necessità deve essere inteso inoltre, alla luce dei requisiti esposti dalla normativa di fonte internazionale: ci riferiamo all’”abuse of a position of vulnerability” del Protocol on Trafficking dell’ONU, e dalla definizione contenuta nella decisione quadro 2002/629/GAI, ove si precisa che tale è la condizione di chi non “abbia altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all’abuso di cui è vittima”. 85 Rischio molto forte nasce dall’eventuale possibilità di riconoscere lo stato di necessità con riferimento ad ipotesi generiche di stato di bisogno, implicite per la qualità di soggetti passivi: in caso di soggetti provenienti da Paesi dell’est europeo o dal Terzo mondo che versano in una situazione di evidente povertà, lo stato di necessità potrebbe esser considerato in re ipsa, a prescindere da una prova concreta dello stesso, rischiando un’indiscriminata applicazione art. 600.86 Al fine di evitare squilibri di questo genere, sarà opportuno misurare l’effettivo stato di necessità in concreto, prendendo in considerazione la reale condizione di difficoltà in cui versa la vittima nel suo Paese d’origine. 84 Cass. pen. Sez. III, 20 dicembre 2004, n. 3368: lo «stato di necessità cui fa riferimento la norma non va inteso nel senso indicato dall'articolo 54 del c.p., perché non è una causa di giustificazione del reato, bensì è un elemento della fattispecie, e più precisamente un presupposto della condotta approfittatrice dell'agente. Per l'effetto, tale nozione è piuttosto paragonabile con la nozione di «bisogno» di cui all'articolo 1448 del c.c. (rescissione del contratto per lesione) e va intesa come qualsiasi situazione di «debolezza» o di «mancanza materiale o morale», adatta a condizionare la volontà della persona. Infatti, come nel caso di rescissione del contratto per lesione, nell'ipotesi di riduzione in schiavitù di cui si tratta si verifica una sproporzione tra la prestazione della vittima e quella del soggetto attivo, che deriva dallo stato di bisogno della prima di cui il secondo approfitti per trarne vantaggio>>. Così anche:Cass. pen. Sez. III, 12 aprile 2005, n. 33757: <<lo "stato di necessità" cui fa riferimento la norma riflette la nozione di "stato di bisogno " di cui all'articolo 1448 del codice civile e va intesa come qualsiasi situazione di "debolezza" o di "mancanza materiale o morale", adatta a condizionare la volontà della persona.>> Infine, si legga anche: Cass. pen. Sez. V, 15 dicembre 2005, n. 4012: <<nel reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù di cui all'art. 600 c.p., la situazione di necessità, che costituisce presupposto della condotta approfittatrice dell'agente, non si identifica nello stato di necessità cui fa riferimento l'art. 54 c.p., bensì nello stato di bisognomenzionato dall'art. 1448 c.c..>> 85 F.RESTA, op cit.pg.78. 86 Per ulteriori approfondimenti sul tema si legga: A.M. PECCIOLI, Prime applicazioni in materia di riduzione in schiavitù e servitù, op.cit., pg.73 ss. 34 In merito al secondo punto, ossia alla situazione di inferiorità fisica o psichica, il riferimento non è necessariamente ad un’ipotesi in cui l’autore abbia commesso il fatto ai danni di una persona in stato d’infermità o minoranza psichica, con ciò intendendo l’alterazione della capacità d’intendere e volere, non necessariamente in grado di configurare una vera e propria patologia mentale, ma piuttosto derivante da una disparità socio-culturale o da una vulnerabilità fisica da cui derivi un’incapacità di opporre resistenza al reo.87 Vi sono state comunque delle critiche al riferimento alla soggezione psichica del soggetto: una formula cosi indeterminata potrebbe essere interpretata come il tentativo di “far rientrare dalla finestra” la tanto discussa norma incriminatrice del plagio. Difatti, non pare semplice dimostrare senza un appiglio a specifici parametri di riferimento, il limite oltre al quale venga a configurarsi una situazione di soggezione e dipendenza fra due o più soggetti, tale da privare la vittima della capacità di autodeterminazione e della propria libertà.88 Per quel che concerne “l’abuso di autorità” non vi sono particolari osservazioni: questa condotta si riferisce a tutte quelle situazioni nelle quali, in virtù di un rapporto di gerarchia e superiorità, la vittima si trovi legittimamente soggetta al potere di un altro uomo che abusi della sua posizione di superiorità sino a realizzare la fattispecie di riduzione in schiavitù o servitù, mediante la costrizione al compimento delle attività descritte dall’articolo in questione. Infine, l’ultima azione illecita prevista dal comma in esame, si riferisce alla “promessa o dazione di somme di danaro o altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona oggetto del reato”: questa ipotesi sembra da ricondurre a quelle di negoziazione di persone, soprattutto minori, sia reale (si pensi alla vendita di bambini) che mascherata (quando la persona viene ceduta in forza di una persuasione operata verso il minore affinché segua il terzo al quale è affidato). Qui l’atto di sottomissione, apparentemente volontario, si realizza perché il soggetto adempie un ordine impartito da quel soggetto che ha autorità nei suoi confronti.89 Ciò che distingue l’ipotesi in questione di 87 S.APRILE, I delitti contro la personalità individuale, op. cit. pg., 46 ss. A.M. PECCIOLI, op. cit. pg. 38 89 ROSI, La moderna schiavitù e la tratta di persone, analisi della riforma, op. cit., pg.56. 88 35 compravendita rispetto alla vendita, qualificabile come esercizio di potere corrispondente al diritto di proprietà, è la direzione unilaterale dello sfruttamento.90 2.5 Trattamento sanzionatorio Un’attenzione particolare merita il trattamento sanzionatorio previsto per le due condotte di schiavitù e servitù: queste, seppur ben distinte fra loro, si trovano accomunate dalla pena prevista dal legislatore in caso di commissione dei rispettivi reati: è prescritta la reclusione dagli otto ai venti anni. Le circostanze aggravanti sono descritte in un articolo ad hoc, il 602-ter del codice penale91, che prevede un inasprimento del livello sanzionatorio da un terzo alla metà rispetto alla pena base nel caso in cui la vittima sia un minore degli anni 18; qualora i fatti siano diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi ed infine nel caso in cui dal fatto derivi un grave pericolo per la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa. La pena verrà egualmente elevata nel caso in cui i delitti relativi alla falsità in atti vengano commessi al fine di agevolare o commettere i delitti di schiavitù, servitù e tratta. Per il caso specifico in cui la vittima risulti essere un minore, oltre all’ipotesi già su menzionata, una riforma recentissima92 ha provveduto ad inserire ulteriori circostanze aggravanti. L’ulteriore inasprimento di pena, che giunge dalla metà sino ai due terzi della sanzione stabilita, viene applicata nel caso in cui il fatto sia commesso nei riguardi di un minore degli anni 16, o qualora la vittima sia comunque minore dei 18 anni, ma il fatto sia realizzato: da un ascendente, dal genitore adottivo, dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni ovvero se è commesso in 90 A.G.CANNEVALE, C.LAZZARI, Schiavitù e servitù nel diritto penale, op. cit., pg. 353 ss. L’articolo è stato introdotto dalla Legge 2 Luglio 2010, n.108 che ha provveduto ad eliminare il terzo comma degli articoli 600 e 601 del codice penale (descrivevano tre ipotesi di circostanze aggravanti) ed ha introdotto il nuovo articolo 602-ter.L’articolo è stato ulteriormente integrato dalla Legge 01.10.2012, n. 172. 92 Legge 01.10.2012, n. 172, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno, in G.U. 08.10.2012, n. 235. 91 36 danno di un minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata. L’aumento della pena dalla metà ai due terzi si registra infine nel caso in cui il fatto venga commesso mediante somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche, stupefacenti o comunque pregiudizievoli per la salute fisica o psichica del minore ovvero se viene commesso nei confronti di tre o più persone93.Pertanto, grazie all’intervento riformistico avutosi nell’ottobre 2012 con la legge n.172, l’Italia ha dimostrato non solo un’attenzione particolare nei riguardi dei minori ma si è peraltro posta in linea con gli impegni presi a livello europeo94. Il legislatore della riforma, come vedremo, ha inoltre inteso parificare il trattamento sanzionatorio anche per i delitti previsti agli art. 600, 601, 602, in virtù della loro ritenuta pari idoneità lesiva nei riguardi del bene giuridico tutelato. In verità, non pare una scelta particolarmente condivisibile quella di appiattire le diverse fattispecie di reato ad una eguale capacità lesiva: la risposta al perché di questa scelta ci viene suggerita da parte della dottrina, che ha rintracciato questa soluzione in risposta alla probabile progressione criminosa che potrebbe realizzarsi in caso di commissione di uno dei delitti in questione. Ad esempio, alla tratta potrebbe seguire la riduzione in schiavitù, ulteriormente si potrebbe verificare l’ipotesi della cessione ad un terzo etc etc..In quest’ottica di idee, ogni condotta criminosa sarebbe punita con la medesima sanzione95. Questa equiparazione dal punto di vista sanzionatorio, non dovrà comunque far perdere di vista la distinzione fondamentale che corre fra le due condotte previste ex art. 600. Differenza, questa, che non essendo rintracciabile sulla base di dati positivi, riferendosi ad una maggiore o minore <<completezza>>, <<totalità>> o <<intensità>> della soggezione, può ravvisarsi nella direzione nella quale il rapporto potestà-soggezione riesce ad affermarsi. In quest’ottica d’idee, la schiavitù è caratterizzata dall’esercizio di 93 Le suddette circostanze aggravanti previste per l’ipotesi in cui la vittima sia un minore sono frutto dell’ulteriore integrazione legislativa avutasi ad opera della Legge 01.10.2012, n. 172, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno, in G.U. 08.10.2012, n. 235. 94 Ci riferiamo alla “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei bambini contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale”, anche conosciuta come “Convenzione di Lanzarote”, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 12 luglio 2007 ed aperta alla firma il 25 ottobre 2007 a Lanzarote, dopo un’intensa attività di negoziato avviata nel 2006. L’Italia ha sottoscritto il testo il 7 novembre 2007 con la legge n.172/2012. 95 ROSI, La moderna schiavitù e la tratta di persone: analisi della riforma, in Dir e Giust., 2004, n°3, pg.59. 37 un potere corrispondente al diritto di proprietà, come manifestazione concreta di una potestà che si realizza in tutte le direzioni nelle quali si può godere e disporre dell’essere umano: si potrà esercitare anche un unico potere, ma questo dovrà essere qualificabile come corrispondente al diritto di proprietà. La condizione di servitù, invece, viene designata in maniera unilaterale: si fa riferimento a singole destinazioni di sfruttamento della persona (lavoro, prostituzione, accattonaggio ….). La potestà esercitata sulla vittima, e il correlativo sfruttamento, sono indirizzati verso una specifica destinazione ed un particolare uso della persona offesa. Naturalmente, trattandosi di rapporti interpersonali, non sempre sarà agevole per il giudice decifrare le situazioni nelle quali la relazione fra due soggetti possa effettivamente tradursi nella dialettica servo-padrone. Questo potrà essere accertato verificando se il soggetto attivo eserciti sulla persona offesa una potestà giuridicamente piena (è il caso della schiavitù) o se piuttosto sia limitata al particolare uso a quale è finalizzato lo sfruttamento (ed è questo il caso della servitù).96 Appare inoltre compatibile il realizzarsi del reato di riduzione in schiavitù o servitù con un margine di status libertatis riconosciuto in capo alla vittima, ben potendo lo stesso essere ridotto in schiavitù o servitù pur conservando spazi di libertà personale. Lungi dal rappresentare quello stato di libertà e di autodeterminazione che ad ogni uomo dovrebbe essere garantito, queste “concessioni”, per altro revocabili da parte del reo, altro non sono che semplici concessioni sotto lo stretto controllo dello sfruttatore, in cui il soggetto passivo resta comunque privato della possibilità di estrinsecazione della propria personalità.97 Altrettanto ininfluente ai fini del realizzarsi della condotta schiavistica sarà l’eventuale consenso prestato dalla vittima98: difatti appare difficile immaginare il caso in cui un soggetto accetti di essere ridotto in condizione di schiavo, se non in virtù di una condizione di estrema sottomissione e in mancanza di alternative. L’irrilevanza del consenso è stata esplicitamente prevista da varie fonti internazionali (si pensi all’art. 1 96 A.G.CANNEVALE, C.LAZZARI, Schiavitù e servitù nel diritto penale, op.cit., pg.353 ss. F.RESTA, op cit., pg.58 98 La commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani della Camera dei deputati cosi si esprimeva in data 5 giugno 2002 sul d.d.l. n.576: “…si ritiene da una parte ininfluente il consenso della vittima, poiché la riduzione in schiavitù e tratta delle persone si sviluppa proprio per la condizione di grande vulnerabilità(dipendenza psicologica e materiale) in cui versano le vittime potenziali.” 97 38 cpv della decisione quadro 2002/629/GAI e l’art. 3b del Protocol on Trafficking dell’Onu). Il legislatore del 2003 non ha introdotto nessun riferimento al consenso nell’articolo riformato. Una tale omissione non sembra affatto diretta ad escludere la rilevanza penale della condotta in presenza di un qualsivoglia consenso della vittima, piuttosto la ragione di tale omissione dovrà essere rintracciata nella natura indisponibile del bene tutelato (lo status libertatis). Anche la giurisprudenza di legittimità ha ampliamente appoggiato quest’orientamento, rendendolo esplicito in diverse pronunce.99 Dopo aver analizzato le caratteristiche squisitamente tecniche introdotte con la riforma del 2003 in merito al reato di schiavitù e servitù, passeremo al vaglio di un’analisi tecnico normativa del reato di tratta, null’altro che “un’altra faccia, della stessa terribile medaglia”. 3. La tratta di persone. Une delle forme più diffuse e terribili in cui si manifesta la schiavitù moderna è senz’altro il reato di tratta di persone. Negli ultimi anni peraltro il fenomeno ha assunto dimensioni sempre più preoccupanti, con numeri crescenti di anno in anno. Si stima che almeno un milione di esseri umani siano vittime di questo traffico, spinti con l’inganno e con la forza ad affrontare questi drammatici viaggi. 100 La crescita del fenomeno trova molteplici cause, tra le quali la caduta dei regimi comunisti, l’impoverimento della popolazione sottoposta alla “terapia choc” dell’economia di mercato, e i principali cambiamenti verificatisi a livello europeo, quali l’aumento dei tassi di disoccupazione, lo stravolgimento delle strutture statali e 99 Cass. Pen., sez V, 13 maggio 2008, n°24178, la giurisprudenza di legittimità ha confermato questa opinione affermando: “non è immaginabile che un soggetto (che non sia affetto da particolari turbe psichiche) possa prestare il proprio consenso alla sua reificazione. Ed è altrettanto evidente che, se pure tale consenso venisse prestato, esso non avrebbe, sul piano giuridico, alcun rilievo e certo non sarebbe penalmente scriminante nei confronti dello "schiavista". Quale che sia la "cultura" dalla quale i soggetti - attivi e passivi - di un rapporto interpersonale quale quello descritto dagli artt. 600 e 601 c.p. siano portatori, cosa certa è che, in presenza degli elementi costitutivi di una delle due fattispecie criminose (o di entrambe), un eventuale consenso del soggetto passivo non sarebbe affatto efficace al fine di escludere l'antigiuridicità. Come bene ha notato il giudice di secondo grado; la libertà personale non è bene disponibile e dunque non può essere oggetto di rinunzia”. 100 M.CHERIF BASSIOUNI, Introduzione a A.A.V.V., Il traffico internazionale di persone, a cura di G.TINEBRA, A.CENTONZE, Milano, 2004, pg.XII. 39 soprattutto l’abbattimento delle frontiere nello spazio Schengen, che ha comportato una liberalizzazione dei confini ed un’estrema facilità di movimento delle persone. Il tutti ulteriormente aggravato dall’inasprimento delle politiche d’immigrazione dei vari paesi dell’Unione Europea. 101 Tutto ciò, si trasforma inevitabilmente in un’ottima occasione per i trafficanti di esseri umani per implementare i loro mercati: è sufficiente pensare che questo traffico rappresenta oggi la terza attività criminale più redditizia dopo il traffico di sostanze stupefacenti e quello delle armi. Alla luce di queste osservazioni ci si rende conto di come siano mutati gli scenari: se nel passato il reato di tratta poteva essere ascritto ad una dimensione puramente nazionale102, oggi questa soluzione apparirebbe anacronistica e quantomeno inutile. Di questo hanno preso coscienza le autorità europee ed internazionali, che sono intervenute sul tema cercando soluzioni coordinate, in virtù di una cooperazione ed una sinergia fra stati, alla ricerca di un’armonizzazione fra i vari ordinamenti: questa dimensione transnazionale del fenomeno sarà oggetto di trattazione specifica nel capitolo terzo. Per il momento ci focalizzeremo sulla legislazione italiana, sulla riforma che ha interessato il reato di tratta, ancora una volta sulle novità principali introdotte rispetto al passato e con un occhio di riguardo alla conformità della nostra normativa ai principi ed agli obiettivi indicati dalle disposizioni europee ed internazionali, per capire a che punto si trova il nostro paese in questo processo di armonizzazione. 3.1. La tratta di persone nel riformulato art. 601 c.p. I motivi che spingo ad una riforma sono sostanzialmente gli stessi che hanno portato alla modifica del reato di schiavitù: la forte carenza di determinatezza della fattispecie, e l’impellente bisogno di un intervento riformistico che allineasse la legislazione previgente agli strumenti predisposti dall’Unione. Questa arretratezza ordinamentale 101 S.DAMBRUOSO, L’industria della tratta e le misure per contrastarla, in I diritti dell’uomo, 2010, pg.60. 102 E.LANZA, La condizione soggettiva dello straniero vittima del traffico di esseri umani, in Dottrina e ricerche 2010, che spiega : “Nel modello originario dello Stato nazionale lo straniero riceveva tutela nei limiti della copertura fornita dal Paese di provenienza. In un sistema, cioè in cui gli unici attori delle vicende internazionali erano gli stati sovrani, chi si recava all’estero, per qualsivoglia ragione, rimaneva sottoposto all’egida dello Stato d’origine, che era l’unico soggetto abilitato a pretendere il rispetto del proprio cittadino da parte del paese in cui questi si trovava. 40 diveniva una lacuna sempre più urgente da colmare, specie in relazione ai richiami e agli obiettivi imposti dall’Unione europea e dal diritto internazionale. In quanto al primo dei due punti, è importante ricordare come la norma, nella sua formulazione originaria contenuta nel Codice Rocco, si limitava ad incriminare tout court la tratta di persone, senza lasciare spazio a definizioni precise e corrette103. Lo stesso codice, nonostante gli interventi modificativi ai quali fu successivamente sottoposto104, conservò inalterata quella incompletezza e insufficienza definitoria tale da non assicurare un’adeguata tutela alla libertà e alla dignità della persona, rispetto ai nuovi fenomeni di tratta di persone che si stavano diffondendo105. I dubbi maggiori risiedevano nella fattispecie centrale di tratta descritta nel primo comma dell’art. 601: questa disponeva modalità alternative di realizzazione della condotta quali la tratta (concetto non ulteriormente specificato) ed il fare commercio di schiavi o di persone in condizioni analoghe alla schiavitù. La dottrina era intervenuta cercando di fare luce sulla definizione, esigendo innanzitutto la finalità di lucro della tratta. Inoltre, si riteneva che affinché potesse configurarsi il reato in questione, fosse necessaria oltre all’attività lucrativa anche un minimo di attività imprenditoriale che, per mezzo di un’organizzazione criminale, si occupasse della cattura, del trasporto e della compravendita di persone libere da ridurre in schiavitù. Questo, come si vedrà, sarà uno dei punti principali sui quali interverrà la riforma del 2003106. In merito al secondo punto, il legislatore è intervenuto sulla normativa interna allo scopo di allinearsi ai richiami internazionali contenuti nella Convenzione ONU sulla criminalità organizzata del 2000 (Conv. di Palermo), unitamente ai due protocolli supplementari (dei quali uno dedicato alla prevenzione, repressione e punizione del traffico di esseri umani finalizzato al loro successivo sfruttamento -trafficking of human 103 Il legislatore del codice Rocco sanzionava con l’art. 600 la riduzione in schiavitù delle persone libere, con l’art. 601, rubricato “Tratta e commercio di schiavi” il commercio, l’intermediazione ed il trasporto di persone già ridotte a schiave. L’articolo in esame puniva con la reclusione da cinque a vent’anni chiunque commettesse tratta o comunque facesse commercio di schiavi o di persone in condizioni analoghe alla schiavitù”. 104 In particolare ci riferiamo all’intervento modificativo prodotto dalla Legge Merlin, e alla L. n. 269/1998,che aggiunse un secondo comma all’art. 601, per cui “Chiunque commetta tratta o comunque fa commercio di minori degli anni diciotto al fine di indurli alla prostituzione è punito con la reclusione da sei a venti anni”. 105 F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, Op.cit., pg.106. 106 G.SPAGNOLO, voce Schiavitù (dir.pen.) in Enc. Dir,, XLI, 1989, Milano, pg. 638. 41 beings e l’altro dedicato al traffico dei migranti -smuggling of migrants) e l’emanazione della Decisione quadro 2002/629/GAI. 107 Si noti come dalle fonti internazionali si delinei per la prima volte la distinzione fra “trafficking in human beings” e “smuggling of migrants”108: la prima espressione, ossia “tratta di esseri umani”, si caratterizza per l’abductio (il trasferimento spaziale, sia esso intra- o trans-nazionale) della vittima, per mezzo di condotte costrittive, decettive o attraverso l’approfittamento della situazione di vulnerabilità della stessa. Altro elemento di caratterizzazione sarà la finalità di sfruttamento (inteso in senso non solo economico, a differenza del passato in cui la dottrina, come già accennato, individuava la finalità di sfruttamento economico un requisito indefettibile). 109 La possibilità di sfruttamento rappresenta dunque l’obiettivo finale della tratta di esseri umani110. In quanto alla seconda locuzione “smuggling of migrants”, con ciò intendendosi il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, s’indicano quelle attività delittuose tendenti all’ingresso illegale di una o più persone in uno Stato straniero. Si farà riferimento dunque a tutte le attività illecite poste in essere da organizzazione criminali transnazionali, al fine del trasporto e dell’ingresso illegale degli immigrati clandestini in uno Stato straniero. 111 Pertanto, mentre con il “trafficking in human beings” si avrà come finalità principale lo sfruttamento delle persone trasferite clandestinamente e destinate ad un mercato criminale allo Stato straniero d’ingresso, il “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” è finalizzato all’introduzione illegale all’interno del 107 In sede di lavori preparatori, in Seduta della II commissione permanente della camera del 26 luglio 2001, l’intervento introduttivo del relatore On. Anna Maria Finocchiaro, chiarisce come uno tra gli obiettivi principali del legislatore della riforma sia quello di riprodurre nel diritto interno i modelli definitori delineati nel contesto normativo internazionale”. 108 Il legislatore immagina nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il caso in cui lo straniero, desideroso di giungere in Italia o altro paese, consapevole di non possedere i requisiti previsti dalla legge, si rivogle ad un vettore, che si limita a prestare un servizio, che verrà retribuito, cosi rendendosi autore del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. 109 F.RESTA, I delitti contro la personalità individuale alla luce delle recenti riforme, in Giurisprudenza di merito, 2006/2, pg. 1052. 110 E. ROSI, Le misure internazionali per la lotta contro le forme di criminalità connesse al fenomeno migratorio, in Riv. Giur. Circ. e trasp.,2002,II, pg.184 ss. 111 G. TINEBRA., A. CENTONZE, Il traffico internazionale di persone ed il controllo dell’immigrazione clandestina: una prima delimitazione del campo d’indagine, in A.A.V.V., Il traffico internazionale di persone, a cura di G.TINEBRA, A.CENTONZE, Milano, 2004, pg.16. 42 territorio di uno Stato straniero, a prescindere dal loro successivo inserimento in un mercato illegale e un loro sfruttamento.112 Inoltre è da sottolineare il fatto che il delitto di tratta viene sanzionato con una pena di reclusione dagli otto ai vent’anni113, mentre quella prevista per il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è da cinque a quindici anni (reato previsto ex. art. 12 comma 3 d.lgs. n°286/1989). Questa differenziazione del trattamento sanzionatorio, discende dalla diversità del bene giuridico tutelato: nel caso della tratta, la libertà personale, nell’altro caso, la sicurezza interna:114 difatti, nel delitto di favoreggiamento, manca il profilo di offesa alla libertà di autodeterminazione della vittima, oltre il fine specifico di sfruttamento115. 3.2.Le principali novità della riforma. Passiamo ad analizzare le novità della riforma del 2003116. In primis si noterà che il legislatore predispone due condotte criminose diverse, a seconda o meno che la vittima si trovi già in una condizione di schiavitù o servitù: la prima condotta punisce dunque la tratta di schiavi o servi, di quelle persone già sottoposte alle condizioni descritte all’art. 600; la seconda invece, si rivolge ai casi in cui la persona versi ancora in uno stato di libertà.117 Lo schema descrittivo di questa ricalca quello della precedente incriminazione: occorre quindi che il soggetto versi già in una situazione di schiavitù, servitù o comunque in uno stato di soggezione. Pertanto, le ipotesi nelle quali l’agente abbia egli stesso ridotto la 112 G. CARUSO, Delitti di schiavitù, op. cit., pg. 38. Per quel che concerne la disciplina delle circostanze aggravanti previste per la fattispecie di tratta si fa riferimento all’articolo 602-ter, per il quale si rimanda al paragrafo 2.5. del presente capitolo. 114 A.M. PECCIOLI, Giro di vite, op. cit., pg.43. 115 PICCOTTI, I delitti di tratta e schiavitù. Novità e limiti della legislazione italiana, in Diritto immigrazione e cittadinanza, anno IX, N:1/2007, pg..58 SS. 116 Di seguito il testo del nuovo articolo cosi come riformulato: “Chiunque commette tratta di persona che si trova nelle condizioni di cui all’art. 600 ovvero, al fine di commettere i delitti di cui al primo comma del medesimo articolo, la induce mediante inganno o la costringe mediante violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità o mediante promessa o dazione di somme di danaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo interno è punito con la reclusione da otto a venti anni.” 117 C. BERNASCONI, La repressione penale della tratta di esseri umani nell’ordinamento italiano, in AA.VV., La lotta alla tratta di esseri umani fra dimensione internazionale e ordinamento interno, a cura di S. FORLATI, Napoli 2013, pg.69. 113 43 vittima in quelle condizioni, esulano dal delitto de quo, integrando solo il reato ex art. 600. Restano comunque dubbi sul contenuto della condotta tipica, la tratta per l’appunto, che non viene meglio specificata; per essa si predilige l’interpretazione per la quale con il concetto di “tratta” ci si riferisca alla descrizione contenuta nella seconda ipotesi incriminatrice, e cioè ai soli eventi dell’ingresso, del soggiorno, dell’uscita o del trasferimento nel territorio dello Stato.118 Quanto alla seconda condotta, la cosiddetta “cattura a scopo schiavistico”, pare decisamente più determinata. Si fa riferimento al comportamento criminale di chi ha come obiettivo finale la riduzione di una persona in schiavitù o servitù e la induce a tal fine ad uno spostamento transfrontaliero, o all’interno della stessa nazione; a differenza dell’ipotesi precedente, presupposto del delitto in questione è lo stato di libertà della vittima. In tal modo la fattispecie offre una tutela prodromica, punendo le condotte finalizzate allo schiavismo119. Nel tentativo di conferire maggiore determinatezza, inoltre, vengono descritte le modalità tipiche attraverso le quali debbono realizzarsi le condotte di costrizione o induzione: con riferimento allo schema ex. art. 600 si fa menzione della violenza, minaccia, abuso di autorità, approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica, di uno stato di necessità o della promessa di dazione di somme di danaro. 120 Per mezzo, poi, dell’induzione e della costrizione si realizza l’ingresso, il soggiorno, il trasferimento o l’uscita dal territorio italiano delle vittime della tratta. 121 Altri profili di novità sono rinvenibili nella possibilità di configurazione del reato anche nel caso in cui la vittima sia una sola, novità molto importante rispetto ad un passato in cui la tratta doveva avere necessariamente una dimensione organizzativo- imprenditoriale, e poteva realizzarsi solo nel caso in cui le condotte avessero ad oggetto più soggetti passivi122. In favore di questa interpretazione depone anche la previsione, da parte del legislatore della riforma, di un ulteriore e specifico comma (il sesto) all’art. 416 c.p., che individua 118 ROSI, La tratta di persone, op. cit., pg. 57. C. BERNASCONI, La repressione penale della tratta, op.cit., pg.79. 120 PECCIOLI, Giro di vite, op. cit., pg 43. 121 Dal punto di vista esegetico dei termini utilizzati, si rinvia a quanto già analizzato nel paragrafo 2 relativo alla riduzione o il mantenimento in servitù o schiavitù in G.FIANDACA, E. MUSCO, I delitti contro la persona, op. cit., pg.126. 122 G.CARUSO, Delitti di schiavitù, op. cit., pg.12. 119 44 una circostanza aggravante nel caso in cui il reato di associazione a delinquere risulti finalizzato alla commissione dei delitti ex. art. 600/601/602. La previsione di un’autonoma figura incriminatrice della tratta in forma organizzata avvalora la tesi testé esposta123. Irrilevante l’eventuale consenso rilasciato da parte della vittima, (cosi come anche previsto per i delitti di schiavitù e servitù); a tal proposito si parla di una “non configurabilità di un consenso, validamente prestato dal soggetto titolare del diritto, come base sufficiente a costituire una scriminante all’illecito comportamento dell’autore del reato, essendo di solare evidenza l’ambito di indisponibilità dei diritti in gioco nella fattispecie criminosa in esame”124. 3.3. Art. 416,c.p., sesto comma, aspetti criminologici della tratta. L’introduzione di un sesto comma al previgente art. 416 c.p. 125, nasce dalla consapevolezza del legislatore dello stretto legame esistente fra delitti di schiavitù e tratta con la criminalità organizzata. L’ulteriore disposizione incriminatrice, relativa alle associazione a delinquere finalizzata al compimento di uno dei delitti di cui agli art. 600, 601, 602, punisce con la reclusione da cinque a dieci anni i promotori, costitutori, organizzatori e capi, e con la reclusione dai quattro ai nove anni i meri partecipanti. 126 Nella quasi totalità dei casi, il fenomeno della tratta viene interamente gestito da organizzazioni criminali, sicché la fattispecie in esame potrà essere definita come un “fatto delittuoso a necessaria struttura associativa”127. Attualmente, i delitti di schiavitù e tratta rappresentano il principale campo d’azione della criminalità organizzata, specie transnazionale. La gestione di questi flussi 123 F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg. 111. Cosi E. ROSI, Le misure internazionali per la lotta contro le forme di criminalità connesse al fenomeno migratorio, in Riv. Giur. Circ. e trasp.,2002,II, pg.178. 125 Articolo 416 codice penale, 6°comma: “…Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché all'articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma. “ 126 A.M. PECCIOLI, Giro di vite, op. cit., pg 46. 127 S.ALEO, “La repressione penale del traffico internazionale delle persone nel quadro delle problematiche generali dell’organizzazione e della globalizzazione, in A.A.V.V., Il traffico internazionale di persone, a cura di G.TINEBRA, A.CENTONZE, Milano, 2004, pg.281 124 45 migratori illegali, e le correlative attività di sfruttamento costituiscono una delle fonti di maggior profitto per il crimine organizzato. Il sistema criminale si presenta in forme articolate e complesse: ciò che lo caratterizza maggiormente è un sistema integrato, a rete: difatti fra le varie organizzazioni criminali esistono rapporti di interdipendenza e di complementarietà fra i vari livelli in cui si situano queste organizzazioni128. Dietro i movimenti di clandestini e dietro quei trasferimenti da un paese ad un altro si cela l’operatività di organizzazioni ben consolidate, che operano a livello nazionale ma soprattutto a livello transnazionale. La transnazionalità è di certo una caratteristica peculiare di questo genere di reati 129, anche se non si esclude l’esistenza di una dimensione prettamente nazionale del fenomeno, a prescindere dal coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato. Generalmente però, la commissione del reato vede coinvolte varie organizzazioni malavitose, di solito appartenenti a diverse etnie, uniti da un vincolo differente rispetto a quello che teneva unite le mafie più tradizionali –vale a dire le origini comuni-ma piuttosto il comune interesse dei profitti ricavabili da queste attività130. Questi gruppi criminali di diverse etnie o nazioni collaborano efficacemente fra di loro, con la conseguenza che ogni singola struttura trae un valore aggiunto, in termine di potenziale criminale, dai rapporti e dalla collaborazione con altri gruppi131. Solitamente s’intrecciano relazioni fra le organizzazioni criminali straniere dedite alla tratta e quelle autoctone. Il rapporto si basa sul reciproco vantaggio che le 128 F.Spiezia, F. Frezza, N.M.Pace, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore, 2002.pg.33 ss. 129 “La mobilità delle <<cose>> oggetto dei traffici- che debbono essere spostate dal paese di produzione a quello di destinazione, passando attraverso i territori di <<paesi ponte>> - ha determinato il sorgere ed il consolidarsi di sinergie tra i gruppi criminali di vari stati, dando cosi luogo alla transnazionalità che caratterizza la moderna criminalità .” cosi: F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE,ne Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore, 2002, pg. XVI. 130 F. SPEZIA, Relazione tenuta presso il Congresso del Consiglio superiore della magistratura, 14 ottobre 2008, La tratta di esseri umani: gli strumenti investigativi di cooperazione internazionale, pg.5. 131 In particolare, è emerso che le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta di persone si articolano su tre livelli. Livello alto: sono le organizzazioni di base etnica che pianificano e gestiscono lo spostamento di connazionali dal paese di origine a quello di destinazione. I capi non vedono e non entrano in contatto con gli immigrati clandestini. Essi si occupano solo di spostare questa “merce umana” da un continente ad un altro, attraverso una rete appositamente costituita; Livello medio: sono le organizzazioni che operano in punti strategici, normalmente nelle zone di confine. Ad esse è affidata la fase operativa del viaggio: predisporre i documenti falsi, corrompere i funzionari, scegliere i mezzi di trasporto, consegnare i clandestini agli emissari nel Paese di transito o di arrivo; Livello basso: sono le organizzazioni minori che si occupano di ricevere e smistare i clandestini, avviarli alla prostituzione, ricevere i compensi. 46 organizzazioni riescono ad ottenere: ad esempio, le mafie italiane consentono lo sbarco dei clandestini sulle coste meridionali del paese, grazie ad un controllo del territorio al fine di prevenire eventuali azioni di contrasto delle Forze dell’ordine. In cambio, ricevono droga, armi, tabacchi o in alternativa, un compenso monetario132. Ma non necessariamente la commissione di questi delitti richiede un’organizzazione così sofisticata e complessa: in alcuni casi difatti, agiscono in maniera decisamente più modesta e semplificata. Pensiamo al caso della Romania, ove soggetti attivi del reato sono spesso singoli o piccoli imprenditori (agenzie di viaggio, gruppi familiari etc…) che possono operare allo scoperto, tramite ad esempio pubblicizzazione di offerte di viaggi di trasporto verso i paese dell’Unione europea; ciò a causa di una legislazione molto permissiva, priva di serie misure di contrasto, che ha trasformato il traffico di clandestini in un mercato di fatto libero e alla portata di chiunque133. Torneremo successivamente sull’aspetto transnazionale della criminalità organizzata e sugli strumenti predisposti a livello internazionale ed europeo per contrastarla, limitando ora la nostra indagine conoscitiva all’ordinamento italiano. Come anticipato, il nostro legislatore è intervenuto sul preesistente art. 416 c.p., fattispecie che configura il reato di associazione a delinquere 134, introducendo una circostanza aggravante al sesto comma, operante nei casi in cui l’associazione sia finalizzata al compimento di reati in materia di tratta e riduzione in schiavitù. I primi dubbi sono sorti in relazione alla possibilità di configurarla come un’autonoma ipotesi di reato associativo oppure come un’aggravante ad effetto speciale e di natura oggettiva. Nell’originaria versione del progetto di legge 135 si preferì l’ipotesi della creazione di una fattispecie ad hoc ed autonoma, ipotesi che venne successivamente ribaltata dal Senato 132 F. SPEZIA, Relazione tenuta presso il Congresso del Consiglio superiore della magistratura, 14 ottobre 2008, La tratta di esseri umani, op.cit., pg.8. 133 F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, op.cit., pg. 5 134 G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, parte speciale, op. cit., pg.476, in cui si legge: “Secondo un orientamento giurisprudenziale abbastanza consolidato, i requisiti che caratterizzano l’associazione sono: il vincolo associativo tendenzialmente stabile o permanente fra tre o più soggetti, cioè destinato a durare anche dopo l’eventuale realizzazione di ciascun delitto programmato; l’indeterminatezza del programma criminoso; la presenza di una struttura organizzativa adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira.” 135 In favore di questa ipotesi si veda ROSI, La moderna schiavitù e la tratta di persone, op. cit., pg. 60, spiega come “sia evidente che il comma 6 disciplina una fattispecie autonoma di reato, non solo come consegue ad un’attenta esegesi del dettato normativo, ma anche in considerazione del richiamo alla fattispecie criminosa operato ripetutamente dalle disposizioni processuali contenute nella legge”. 47 che al posto della previsione di un delitto associativo specifico, modulato in relazione alle peculiari finalità perseguite, preferì classificarlo come un’ipotesi di circostanza aggravante all’interno dell’art. 416, al fine di evitare un inutile moltiplicarsi delle fattispecie associative autonomamente disciplinate136. Proprio a causa di questa natura circostanziale dell’associazione finalizzata alla tratta, si configura il rischio dell’applicabilità del giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti con le circostanze attenuanti, e la conseguente possibile eliminazione e vanificazione della circostanza aggravante137. In definitiva, di fronte alla dimensione quasi sempre organizzata di questa attività criminosa, appare decisamente riduttiva la costruzione della circostanza aggravante del delitto di associazione a delinquere e non la configurazione di una autonoma ipotesi di reato associativo138. Un altro aspetto da sottolineare riguarda il locus commissi delicti, profilo che interessa anche l’individuazione dell’autorità giurisdizionale territorialmente competente. Aspetto particolarmente problematico questo, se posto in relazione alla transnazionalità dei delitti in questione. Sul tema è intervenuta la Corte di legittimità, la quale ha stabilito che la competenza territoriale viene stabilita in base al luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, con esso intendendosi il luogo di costituzione del sodalizio criminoso a prescindere dalla localizzazione dei reati fine eventualmente realizzati. Di verso contrario parte della dottrina, che invece trova difficilmente applicabile il criterio che considera determinante il luogo in cui l’associazione diviene in concreto operante, prescindendo dal luogo di realizzazione dei delitti di scopo. Un ulteriore profilo problematico è rappresentato dalla possibile concorrenza di questo reato con l’associazione di stampo mafioso ex art.416-bis139, potendosi rintracciare le caratteristiche tipiche del sodalizio criminoso mafioso in organizzazioni straniere le 136 A sostegno di questa tesi che vede la configurazione di una circostanza aggravante e non come una fattispecie autonoma, si veda F. RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op.cit. pg.160.ss., e AMATO, Dubbio aggravante per le associazioni a delinquere, in Guida al dir., 2003, pg. 48. 137 A.M. PECCIOLI, Giro di vite, op. cit, pg.46. 138 S.ALEO, “La repressione penale del traffico internazionale, op. cit., pg. 303. 139 G.FIANDACA, E.MUSCO, Diritto penale, parte spec, op cit, pg. 481, individua i profili caratterizzanti l’associazione di tipo mafioso, quali: il ricorso alla forza intimidatrice accompagnata da una condizione di assoggettamento e omertà della vittima. 48 quali, riescono ad assoggettare al proprio potere criminale persone immigrate o fatte immigrare clandestinamente, con l’ausilio di metodi tipicamente mafiosi. 140 La Corte di legittimità in un caso specifico, ha riconosciuto il carattere della “mafiosità” in un sodalizio criminoso di soggetti stranieri dediti allo sfruttamento della prostituzione di alcune donne, clandestinamente introdotte nel nostro paese, avendo dimostrato, nel caso di specie, la presenza degli elementi caratteristici del vincolo associativo di tipo mafioso141. Ma a tutt’oggi, l’utilizzo dell’art. 416 bis c.p. nell’ambito del contrasto ai traffici di esseri umani resta un’ipotesi non frequentemente utilizzata nelle decisioni della Corte. Per tirare le somme, potremmo concludere con un’osservazione circa i principali profili di criticità di questo nuovo comma ex art. 416 c.p., propri delle fattispecie associative e della logica emergenziale spesso ad esse sottesa. Quanto al primo punto, v’è da sottolineare il fatto che generalmente, nella repressione della criminalità organizzata si ha una sovraesposizione della figura dell’autore, rinunciando ad una distinzione fra ruoli centrali e marginali. In queste ipotesi criminose l’autore del fatto viene percepito come un “nemico”, e lo Stato per tutta risposta si arma di una legislazione d’emergenza. I limiti della stessa, tuttavia, sono insiti nella sua natura, “emergenziale” per l’appunto, caratterizzata dunque da un notevole rigore sanzionatorio, spesso sproporzionato all’idoneità lesiva del fatto. Fra gli altri disvalori evidenziamo: l’anticipazione della soglia della tutela penale ed una notevole riduzione delle garanzie processuali e sostanziali per il tendenziale ricorso a strategie premiali incentrate sul dissociazionismo e sulla collaborazione processuale. Tutto ciò conduce inevitabilmente ad una sostanziale ineffettività delle norme e ad una disfunzionalità rispetto al fine dichiarato, soprattutto in ragione della pretesa di voler risolvere un problema di siffatta portata con lo strumento del diritto penale. La questione in realtà coinvolge moltissimi e diversi fattori e si gioca piuttosto sul piano sociale, economico, istituzionale; l’idea di voler ridurre un fenomeno così 140 E. ROSI, La tratta di persone, op. cit., pg. 61. Sent. Cass. Pen., Sez V, 20 novembre 2007, n. 10431,in TRANSCRIME , DIPARTIMENTO DELLE PARI OPPORTUNITA’, Rapporto di ricerca, pg.44 ove si legge in motivazione: “nello sfruttamento della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivava, (…) i giudici di merito hanno ravvisato la connotazione mafiosa, sulla base di una corretta lettura delle norme di cui all’art. 416 bis c.p., (…) riconnettendo la caratteristica della mafiosità all’irresistibile forza di intimidazione conseguente al vincolo associativo e, ad un tempo, allo sfruttamento della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”. 141 49 complesso ad un mero problema di ordine pubblico, da risolvere con lo strumento penale, pare una soluzione insufficiente, oltreché limitata e limitante142. 4. La formula residuale dell’art. 602: il delitto di acquisto e alienazione di schiavi. L’ipotesi prevista dall’art. 602, è senz’altro quella che ha subito meno modifiche da parte del legislatore del 2003. Le condotte incriminate consistono nell’acquistare, alienare o cedere una persona che si trovi in uno stato di schiavitù o servitù, fuori dai casi indicati nell’art. 601. La pena prevista della reclusione va dagli otto ai vent’anni143. Rispetto alla pregressa formula normativa, non costituiscono più oggetto di previsione né l’impossessamento né il mantenimento della persona in condizione di schiavitù, ipotesi ora riconducibili al riformulato art. 600. La nuova formula presenta un carattere complementare rispetto alla fattispecie prevista all’attuale art. 600, essendo rivolta all’incriminazione delle condotte che si inseriscono cronologicamente dopo l’avvenuta riduzione in schiavitù o servitù dell’uomo. Presupposto per l’operatività della norma dunque è la preesistente condizione di schiavitù in capo alla vittima.144 Qualche problema interpretativo si può porre nel rapporto fra il nuovo art. 602 e il novellato delitto di tratta. Attualmente la fattispecie presenta un carattere di assoluta alternatività rispetto al delitto di tratta, carattere esplicitamente dichiarato nella clausola di riserva, che stabilisce: la norma si applica “fuori dai casi indicati dall’art. 601”. La stessa clausola di riserva, peraltro, può essere ricondotta al principio di specialità, in quanto l’art. 602 si configurerebbe come norma generale rispetto all’art. 601, poiché ogni caso di tratta di persone che si trovino in condizione di schiavitù o di servitù è anche acquisto o alienazione di schiavi, mentre il ragionamento contrario non pare valido145. Divisioni sussistono circa gli elementi che differenziano le due condotte: nella formulazione precedente, era più chiara la diversità, di tipo eminentemente quantitativo, che correva fra le due fattispecie: il delitto di tratta si configurava nel caso dell’esistenza 142 F.RESTA, Delitti di schiavitù, op.Cit.,pg.155 ss. G.FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, parte speciale, op. cit., pg 127. 144 S.APRILE, I delitti contro la personalità individuale, op. cit., pg.63. 145 P. SCEVI, Premesse per uno studio sui delitti di schiavitù e tratta di persone nel quadro della tutela del diritto alla libertà, in Riv. Pen., n.10/2012, pg.943. 143 50 di una dimensione organizzativa mentre il vecchio 602 nei casi di singole alienazioni, cessioni, etc...146. Ad oggi, ancora parte della dottrina insiste nell’individuare come tratto distintivo fra le due fattispecie la dimensione necessariamente imprenditoriale del delitto di tratta, o quantomeno organizzativa, relativamente ampia e stabile, requisiti del tutto assenti nei delitti di alienazione e acquisto di schiavi147. Di tutt’altro avviso invece altra parte della dottrina che partendo dall’idea per cui il delitto di tratta non ha carattere necessariamente imprenditoriale, individua quali criteri interpretativi che potrebbero guidare alla distinzione delle due norme, quelli della condizione in cui versa la vittima e l’ambito territoriale del reato. In merito al primo profilo, sarà sempre l’art. 601 ad esser chiamato in causa qualora le vittime non versino già in uno stato di schiavitù o servitù; in caso contrario occorre una distinzione. Non operando il requisito della pluralità delle vittime né l’imprenditorialità della tratta, unico criterio discretivo sarà il contesto spaziale dell’operazione criminale. Qualora si limiti al territorio nazionale, ricadremo nel caso descritto dal 602, quando al contrario assumi una dimensione transnazionale, saremo nel caso descritto ex. art 601148. La modalità di realizzazione della condotta criminosa è un altro prezioso elemento che separa la fattispecie in esame dal delitto di tratta: il 602 troverà applicazione solo quando i comportamenti incriminati di “alienazione-cessione-acquisto” siano attuati senza ricorrere alle modalità tipiche della tratta, ovvero violenza, minaccia, etc…. 149 Come anticipato, le condotte perseguite sono: l’alienazione di uno schiavo, la cessione e l’acquisto. Le prime due sono perfettamente sovrapponibili, in quanto con il termine alienazione intendiamo ogni atto di trasferimento, per volontà del titolare del diritto, del potere dominicale sullo schiavo ad un altro soggetto. In tal senso, il concetto di alienazione prescinde dalla natura onerosa o meno della traslazione, essendo punibili anche atti gratuiti di trasferimento. La cessione è perfettamente ascrivibile alla condotta 146 E.LANZA, Gli stranieri, o. cit., pg. 594. Di quest’avviso vedi PICCOTTI, I delitti di tratta e schiavitù, novità e limiti della legislazione italiana, op. cit., ed E.LANZA, Gli stranieri e il diritto penale, op. cit., pg.594. 148 G.CARUSO, in Delitti di schiavitù, op. cit., pg. 14 e AMATO G., Un nuovo sistema sanzionatorio, op cit., pg 46. 149 G.FIANDACA, E.MUSCO, Diritto penale, parte speciale, op. cit., pg.128. 147 51 esaminata. Infine, l’acquisto, comprende ogni atto di appropriazione del diritto dominicale sullo schiavo che taluno faccia. Fra le condotte incriminate è stata trascurata il caso della mera “recezione” della persona offesa: in tal caso, resterebbe sostanzialmente impunito il comportamento di colui che riceve. Secondo parte della dottrina la condotta di acquisto dovrebbe essere interpretata in senso atecnico, comprensiva dunque anche del ricevimento del bene a titolo gratuito. Difatti, in caso contrario, la condotta complementare a quella del cedente resterebbe impunita150. V’è da sottolineare infine, come venga individuata la finalità di sfruttamento della vittima come un requisito necessario ed ineliminabile ai fini del realizzarsi della fattispecie di reato, in assenza del quale sarà impossibile la configurazione dell’art. 602: viene richiesto il fine di mantenere lo stato di schiavitù o di servitù (o di alienare o cedere lo schiavo acquistato)151. Dal punto di vista sanzionatorio, il reato in esame è stato ritenuto di pari gravità rispetto ai delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù e tratta, per i quali è stato previsto uno stesso trattamento punitivo. Questo ha portato parte della dottrina a dubitare dell’effettiva utilità della norma in esame, in quanto l’identità edittale renderebbe scarsamente rilevante la distinzione e probabilmente superflua la fattispecie, se non in vista di una puntualizzazione dei contenuti minimi che la tratta, non altrimenti definita dal codice, deve avere152. Per quel che concerne la disciplina delle circostanze aggravanti, anche in questo caso si rimanda all’articolo 602-ter, già precedentemente analizzato 153. Per concludere, si veda come ancora una volta oggetto della tutela è la libertà della persona e della dignità umana, non suscettibile di strumentalizzazione e reificazione alcuna. Dunque è lo status libertatis ad essere ancora una volta difeso dalla norma rispetto alle deplorevoli condotte di mercificazione dell’uomo, che trascinano lo stesso nella dimensione di mera cosa, negandone inevitabilmente la sua dignità e libertà. 150 In tal senso si veda F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg.134/135 P. SCEVI, Premesse per uno studio, op. cit. pg. 943. 152 PICCOTTI, Nuove forme di schiavitù e nuove incriminazioni penali, fra normativa interna ed internazionale, op. cit., pg.33. 153 Si rinvia al paragrafo 2.5. del presente capitolo. 151 52 5. L’Italia, uno stato pioniere nella tutela e nella protezione delle vittime. Nell’indagine conoscitiva condotta, sarà utile al fine di una profonda comprensione indagare, oltre che sulle norme modificate con l’intervento riformistico del 2003, anche sui precetti che orbitano attorno alle disposizioni codicistiche in esame e preesistenti alla modifica legislativa stessa. Il vaglio di queste norme pre-riforma, testimonia come il nostro legislatore abbia sin dal passato impostato la disciplina normativa riservando un’attenzione particolare per le vittime, in vista della loro protezione. Prendendo come punto di partenza l’art. 601, ci accorgiamo come sia del tutto irrilevante, ai fini di una tutela penalistica, che la persona oggetto del traffico risulti essere italiana o straniera, regolare o clandestina: la cittadinanza non viene presa in considerazione, trattandosi della tutela di beni assoluti e intangibili, quali lo status libertatis dell’individuo e la sua dignità umana, che di certo non potranno dipendere dal riconoscimento o meno di un diritto di cittadinanza154.Tali diritti difatti, non vengono creati mediante norme: possono solo essere riconosciuti dagli Stati come ad essi preesistenti, poiché i diritti umani sono innati, indisponibili e incedibili, e soprattutto preesistenti allo Stato. La loro promozione e il loro rispetto sono valori fondanti ed ineliminabili degli Stati democratici moderni, in assenza dei quali l’appellativo “democratico” risulterebbe quanto meno inadeguato e paradossale155. Nell’ottica del legislatore italiano dunque, la tutela dell’individuo e dell’uomo non vengono mai messe in discussione, risultando peculiari e sovraordinate rispetto ad ogni altra esigenza: questa lodevole convinzione non è altrettanto forte e radicata in altri paesi europei, che, come analizzeremo nel terzo capitolo, preferiscono dare la precedenza alla difesa dell’ordine pubblico interno, disconoscendo del tutto la dimensione di libertà che ogni Stato di diritto, per potersi definire tale, dovrebbe garantire ad ogni uomo. Libertà, la cui titolarità “ha sempre costituito, nella storia dell’uomo e delle società, il requisito distintivo della condizione giuridica dei liberi rispetto ai servi, e che oggi rappresenta 154 E. LANZA, La condizione soggettiva dello straniero clandestino vittima del traffico di esseri umani, in Dottrina e ricerche, 2010, pg.12. 155 P. SCEVI, Premesse per uno studio sui delitti di schiavitù e tratta di persone nel quadro della tutela del diritto alla libertà, in Rivista Penale, n.10/2012, pg.934. 53 non un mero attributo dello statuto della cittadinanza, ma la qualità essenziale e costitutiva dell’essere umano, in quanto tale e non in quanto civis”. 156 A testimonianza di ciò, osserviamo come gli stati in questione adottino politiche di forte restrizione in materia d’immigrazione, le cui ripercussioni inevitabilmente ricadranno sui soggetti più deboli.157 Il nostro paese al contrario, cerca di conciliare il principio di accoglienza dello straniero con l’esigenza della comunità nazionale di non subire politiche migratorie eccedenti la capacità di assorbimento economico e lavorativo da parte del proprio tessuto produttivo e sociale: in questa direzione si considera il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che rappresenta un tentativo di disciplinare i flussi migratori.158 L’Italia, accompagnata dai solo due casi di Belgio ed Austria, è riconosciuta a livello europeo ed internazionale come pioniera della salvaguardia dei diritti dell’uomo, a differenza degli altri stati, che spesso preferiscono non guardare. Il nostro sistema tenta di conciliare da un lato, una politica “di contrasto e repressione” con la tutela, protezione ed assistenza alle vittime, e dall’altro non trascura l’ambizioso obiettivo di “prevenzione” del crimine, al fine di intervenire sulle cause prima ancora che sulle conseguenze dello stesso. Questi gli obiettivi che hanno mosso il legislatore nella sua riforma del 2003, che in vista di una protezione e tutela della vittima ha previsto un fondo per le misure anti-tratta all’art.12, accompagnato da uno speciale programma di protezione ed assistenza delle vittime dei reati di tratta e riduzione in schiavitù, all’art. 13. Inoltre, nell’ottica di prevenzione del crimine, all’art. 14 è stata prevista l’adozione di misure al fine di evitare ogni forma di assoggettamento degli individui.159 In verità il legislatore italiano, come sopra accennato, non è nuovo ad indirizzi di questo genere: egli ha sempre riservato un’attenzione particolare alla tutela delle vittime. Un piccolo passo indietro ci permette di recuperare un istituto assolutamente avanguardista e rivoluzionario: parliamo dell’art. 18 T.U. immigrazione, antesignano ed ispiratore 156 Così F.RESTA, in Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg.14. 157 STEFANO DAMBRUOSO, L’industria della tratta e le misure per contrastarla, in I diritti dell’uomo, 2010, pg.60. 158 G.CARUSO, Delitti di schiavitù, op. cit., pg. 34. 159 E. LANZA, Gli stranieri e il diritto penale, CEDAM, 2011, pg. 538. 54 dell’istituto del “permesso di soggiorno a fini di protezione sociale”, che verrà successivamente preso a modello dalla legislazione europea. Quest’articolo 18160 previsto nel decreto legislativo 286/1998 consentì di dare vita ad un’esperienza per quei tempi unica a livello europeo, basata su una protezione incondizionata dei diritti della persona e su un capovolgimento dello schema premiale161. La norma prevede la possibilità del rilascio da parte del questore di un permesso di soggiorno allo straniero sottoposto a violenza o grave sfruttamento, nel caso in cui sussista un pericolo per la sua incolumità per effetto del tentativo di sottrarsi ai condizionamenti dell’organizzazione criminale o per le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale. Aspetto peculiare di tale previsione, unica nel suo genere al tempo in cui venne emanata, è data dal fatto che le condizioni suddette di violenza o sfruttamento possono essere accertate sia nel corso di operazioni di polizia, sia nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali e degli enti locali. La finalità del rilascio del permesso di soggiorno è quella di consentire allo straniero di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale, su richiesta o previo parere del Procuratore della Repubblica162. Dubbi sussistevano circa la necessità o meno del parere del Procuratore della Repubblica in merito alla concessione del permesso di soggiorno, anche nei casi in cui la situazione di violenza sfruttamento e pericolo fosse emersa durante gli interventi dei servizi sociali. La dottrina maggioritaria, e gli interventi successivi da parte di legislatore e Ministero dell’interno 163 non ritennero 160 Art. 18 t.u. immigrazione, 1°comma:” quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all’art.3 della legge 20 febbraio 1958, n.75 (la c.d. Legge Merlin in materia di prostituzione) o di quelli previsti dall’art. 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio il questore, anche su proposta del procuratore della repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale”. 161 M.G.GIAMMARINARO, Aspetti positivi e nodi critici della normativa contro la tratta di persone, in Questione giustizia, n.3/2005, pg.456. 162 S. CENTONZE, Diritto penale dell’immigrazione, op. cit., pg.362. 163 Ci riferiamo all’art. 27 del Testo unico d.P.R. 31 Agosto 1999, n. 394, che indica chiaramente che “la proposta per il rilascio del permesso di soggiorno può essere effettuata anche dai servizi sociali degli enti locali, dalle associazioni, enti o altri organismi qualora rilevino situazioni di violenza o grave sfruttamento e il questore in questo caso deve valutare la sussistenza del pericolo anche sulla base degli elementi contenuti nella proposta senza acquisire alcun parere del pubblico ministero, che risulta 55 indefettibile il parere del P.M : in caso contrario, la portata e l’importanza del percorso sociale verrebbe del tutto vanificata poiché implicherebbe l’apertura di un procedimento penale ed un’eventuale audizione della vittima, in modo analogo a quanto accadeva nel classico iter giudiziario. Qui invece è possibile seguire la via del “percorso sociale”, opzione che introduce nel nostro sistema l’innovativo sistema del “doppio binario”: il titolo di soggiorno potrà essere richiesto sia per via giudiziaria (e qui il p.m. gioca un ruolo fondamentale) o altrimenti seguendo la via di un percorso sociale, 164 che consente alla persona trafficata di chiedere aiuto ad un’associazione o ad enti e ONG, ancor prima e indipendentemente dalla presentazione di una denuncia, con un approccio certamente più agevole e meno traumatico. Sarà l’associazione stessa a richieder in sua vece il permesso di soggiorno, e solo in un secondo momento la persona offesa potrà essere chiamata a rendere testimonianza165. Questo consentirà la protezione e l’integrazione sociale dello straniero, al quale, in attuazione del programma di assistenza verrà rilasciato un permesso di soggiorno valido per l’accesso allo studio o al lavoro, in una prospettiva che determina una piena rottura con il passato e con le vicende da cui ha tratto origine la sua presenza irregolare in Italia. La via del percorso sociale diventa così perfetta sintesi fra l’esigenza di accertamento giudiziario ed un’azione di sostegno e protezione nei confronti delle vittime. Nel primo caso, l’esigenza di accertamento trova soddisfacimento in quanto il percorso sociale è comunque destinato a sfociare in un procedimento giudiziario (il questore è un pubblico ufficiale e ha l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria le situazioni di violenza o sfruttamento, estremi che costituiscono delitti procedibili in ufficio); in quanto al sostegno delle vittime, esso sarà realizzato dallo speciale rapporto di fiducia che si crea necessario solo nei casi in cui sia iniziato un procedimento penale”. O ancora si faccia riferimento all’indicazione proveniente dall’Ufficio legislativo del Dipartimento per le pari opportunità, che afferma esplicitamente in una nota informativa al Comitato per i Diritti Civili delle prostitute del 21 aprile 2000 che “la novità dell’art. 18 del testo Unico è sganciare la concessione del permesso di soggiorno dalla collaborazione, permetterne il rilascio tempestivamente indipendentemente dalla comunicazione della notizia di reato alla Procura che seguirà il suo corso con tempi diversi”. 164 D.PETRINI, V. FERRARIS, I riferimenti generali e la collocazione della ricerca nel contesto delle riflessioni sull’art. 18, in A.A.V.V., Articolo 18: tutela delle vittime del traffico di esseri umani e lotta alla criminalità (l’Italia e gli scenari europei) Rapporto di ricerca, On the road edizioni, 2002, pg.40 ss. 165 M.G.GIAMMARINARO, Aspetti positivi e nodi critici, op. cit., pg.457. 56 con le associazioni, ed anche con le istituzioni, incentivo per la collaborazione giudiziaria successiva166. La ratio essenziale della disposizione potrà comprendersi anche in riferimento alla natura nient’affatto premiale dell’istituto: il suo rilascio non è minimamente influenzato dalla collaborazione della vittima alle indagini (almeno inizialmente), la quale può ricevere protezione a prescindere dalla denuncia dei fatti di sfruttamento nei quali è coinvolta. Le persone trafficate, vittime di gravi violazioni dei loro diritti umani, hanno diritto alla protezione, all’assistenza e al risarcimento indipendentemente dal loro valore come testimoni nell’ambito giudiziario167. Si muove dunque in una logica del tutto estranea a quella premiale di un contributo dato al corso delle indagini, che caratterizzava la legislazione del passato168 e le classiche norme a protezione del “testimone di giustizia” (pensiamo ad esempio al permesso di soggiorno a fini investigativi, contenuto nel pacchetto anti-terrorismo, tipico esempio di una previsione espressiva della logica premiale)169. Il permesso di soggiorno in questione invece, ha come obiettivo non tanto la protezione del teste, al fine di garantire la genuinità delle sue dichiarazioni, quanto piuttosto mira all’emersione alla legalità di uno straniero vittima di tratta e al suo inserimento in un contesto sociale-lavorativo, la pianificazione di un intervento pubblico di reintegrazione e valorizzazione dei diritti fondamentali delle persone. Una vita normale, prima di tutto. Questa disposizione ha anticipato di qualche anno la legislazione europea sul tema, rendendo superfluo il recepimento della direttiva europea 2004/81, che prendendo come modello il sistema italiano, indirizzava gli Stati europei al rilascio del titolo di 166 D. MANCINI, Traffico di migranti e tratta di persone, tutela dei diritti umani e azioni di contrasto, Milano 2008, pg.77. 167 D. MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 81. 168 L’art. 18 in questione è stato difatti preceduto dalla rapida apparizione dell’art. 5 del decreto legge 13 settembre 1996, n. 477, improntato ad una logica strettamente premiale e di scarsa efficacia, nel marzo 1988, nell’ambito di un più ampio intervento sulla disciplina dell’immigrazione, il nostro legislatore ha adottato l’art. 16 della legge 6 marzo 1998, n.40, poi divenuto l’art. 18 del testo unico 25 luglio 1998, n.286, coniugando il rafforzamento delle azioni repressive della tratta di persone e la tutela dei diritti delle vittime, in M.G.GIAMMARINARO, Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall’art. 18 del T.U. immagrazione, in Diritto immigrazione e cittadinanza, n.4/1999. 169 “Nella previsione contenuta nel pacchetto anti-terrorismo si dà la possibilità allo straniero, clandestino o irregolare, che non presenti i requisiti per ottenere altre forme di legalizzazione della presenza nel territorio dello Stato, di ottenere un titolo di soggiorno qualora dia un contributo rilevante nella lotta contro la criminalità terroristica. La finalità perseguita con questo strumento è di tipo eminentemente investigativo o giudiziario, eslcludendo qualsiasi connotazione protezionistica” cosi E.LANZA in Gli stranieri e il diritto penale, op. cit., pg. 610. 57 soggiorno ai cittadini di paesi terzi vittime di tratta di persone o di traffico di migranti; si pensi ancora alla Convenzione n.197 del 2005 del Consiglio d’Europa sulla tratta, che sanciva l’obbligo in capo agli Stati membri di istituire nei rispettivi ordinamenti un istituto analogo al nostro art. 18. Notevoli sono stati i vantaggi ottenuti nel campo dell’azione penale , grazie al tentativo di coniugare gli interessi investigativi con quelli della vittima; proprio muovendo da un approccio di tutela della stessa si è giunti, grazie alla sua collaborazione, all’accertamento giudiziario di condotte gravissime. Non è un caso se dall’entrata in vigore dell’articolo in questione il numero dei procedimenti penali sul tema sia passato da poco più di 200 a 2.930, con l’ottimo risultato che quasi tutti i processi sono terminati con delle condanne170. Il permesso ha durata di sei mesi, prorogabile per un anno o per il maggior periodo necessario per motivi di giustizia. Inoltre, il titolo potrà essere convertito in permesso di soggiorno indipendentemente dall’esito della vicenda processuale, instaurata con la denuncia della vittima (nel caso del percorso giudiziario) o a seguito di notitia criminis proveniente dalla Questura (nel percorso sociale) in presenza di specifiche condizioni legate a motivi di studio o lavoro171. Eccoci giunti al cuore della disposizione, qui comprendiamo come il fine ultimo sia la piena acquisizione dei diritti di cittadinanza172. Il passaggio da vittima di tratta a status di cittadino è separato da una strada che pare infinita, una strada sulla quale però il nostro paese si è coraggiosamente messo in cammino, tentando di colmare le distanze. Infine, resta da osservare come la disposizione in questione presentava, così come originariamente formulata, un limite molto forte: era sostanzialmente rivolta a soggetti stranieri, ossia cittadini non di area europea: ciò determinava una grande imparzialità rispetto ai cittadini neo-comunitari vittime di tratta (si pensi ad esempio al caso della Romania o della Bulgaria, stati comunitari dal gennaio 2007). I popoli di questi stati sarebbero iniquamente rimasti privi delle tutela ex. art. 18, in quanto non più stranieri bensì cittadini comunitari a tutti gli effetti, perdendo la possibilità di accedere ai programmi di protezione sociale. A sanare la paradossale situazione è intervenuta la 170 M.G.GIAMMARINARO, Aspetti positivi, op. cit., pg. 457. F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, op.cit, pg. 152. 172 D.PETRINI, V. FERRARIS, I riferimenti generali e la collocazione della ricerca nel contesto delle riflessioni sull’art. 18, in A.A.V.V., Articolo 18: tutela delle vittime del traffico di esseri umani e lotta alla criminalità (l’Italia e gli scenari europei) Rapporto di ricerca, On the road edizioni, 2002, pg.56 171 58 legge 26 febbraio 2007, n.17, che ha aggiunto all’art. 18 un comma 6-bis, in cui estende l’applicabilità delle disposizioni anche ai cittadini di stati membri dell’Unione europea in situazione di gravità ed attualità di pericolo. Naturalmente la suddetta estensione non riguarda il rilascio del permesso di soggiorno, ma piuttosto si riferisce all’applicabilità dei programmi di assistenza e tutela delle vittime173. Con un’eredità così preziosa alle sue spalle, il legislatore di oggi non poteva che continuare sulla stessa scia. Così nella riforma del 2003 ecco spuntare tre nuovi articoli, sempre fortemente orientati in vista di una protezione e di tutela della vittima. Parliamo in primis dell’art. 12, che prevede l’istituzione di un fondo anti-tratta destinato a programmi di assistenza e integrazione sociale in favore delle vittime dei reati ex art. 600-601-602. Con le somme stanziate per il fondo s’intendono finanziare: i programmi di assistenza e d’integrazione sociale in favore delle vittime; le misure di protezione sociale previste dall’art. 18 d.lg. n. 286 del 1998, consistenti in programmi di assistenza e d’integrazione sociale, in favore di stranieri per i quali siano accertate situazioni di violenza o grave sfruttamento ovvero concreti pericoli per l’incolumità per effetto del tentativo di sottrarsi ai condizionamenti di un’organizzazione dedita a reati in questione174. Il fondo è finanziato con le somme già destinate alla realizzazione delle attività di cui all’art. 18 , con i proventi della confisca ordinata a seguito di sentenza di condanna o di patteggiamento, per i reati di cui agli art. 600-601-602 ed infine, con i proventi della confisca ordinata nelle particolare ipotesi di cui all’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992. Anche in questo settore si attua la destinazione sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali, già sperimentata con successo nel terreno della legislazione anti-mafia: i proventi dei reati vengono devoluti in favore delle vittime, in funzione (seppur parzialmente) risarcitoria. Realisticamente parlando però, come osserva parte della dottrina critica nei riguardi di quest’iniziativa, due delle tre fonti indicate, almeno nel medio periodo, risulteranno inevitabilmente “secche”, riferendosi ai canali di finanziamento relativi alle somme derivanti dalla confisca. 175 Per ottenerle difatti, bisognerebbe attendere non solo il passaggio in giudicato, dopo anni e traversie processuali, delle sentenze dei relativi processi, ma anche che si provveda alla 173 E.LANZA, Gli stranieri e il diritto penale, op. cit., pg 607. F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit.pg. 22. 175 FORLENZA, Dal fondo di assistenza un aiuto concreto, in Guida dir., 2003, n.35, pg. 60. 174 59 successiva vendita dei beni confiscati. Per farla breve, di fatto il fondo sarà principalmente finanziato dalle somme già destinate alla realizzazione delle attività di cui all’art. 18, contributi da reperire dai capitoli di spesa dello Stato, ergo dalle tasche dei contribuenti. Ma c’è di più: il ricorso all’ennesima politica dei “Fondi di sostegno delle vittime” (pare che il nostro ordinamento ci sia particolarmente affezionato: si pensi al fondo di solidarietà per le vittime dell’usura, al fondo di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso etc etc…) presenta il rischio di una deresponsabilizzazione del reo, il quale non è chiamato direttamente a riparare il danno provocato, ma sarà lo Stato ad accollarsi ogni responsabilità. Questo in coerenza con l’impostazione del nostro stato sociale, onde evitare un’inaccettabile colpevolizzazione della vittima.176 Il legislatore, ad ulteriore conferma del percorso intrapreso, introduce l’art. 13, riaffermando la volontà di valorizzare strumenti giuridici di assistenza e sostegno alle vittime con la previsione di uno speciale programma di assistenza in favore delle vittime di cui agli art. 600/601/602, anche in caso di vittime di nazionalità italiana, volto a garantire, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria; il programma di assistenza verrà realizzato da enti locali o da soggetti privati accreditati.177 Le misure predisposte si applicano al di fuori dei casi previsti per la concessione delle speciali misure di protezione per i testimoni di giustizia, anche di concerto con quelle previste ex. art. 18 d.lgs. n. 286 del 1998. Questo è un articolo d’importanza fondamentale, poiché interviene nel cuore del problema, cercando materialmente di recidere vincoli di dipendenza e assoggettamento che corrono tra sfruttatore e vittima, ed al fine di paventare soluzioni alternative vengono proposti programmi di assistenza consistenti in interventi che assicurino condizioni di alloggio, vitto, assistenza sanitaria e d’integrazione sociale. Anche in questo caso, come per l’art. 18, il legislatore ha messo al primo posto la tutela e il riconoscimento dei diritti delle persone, punto di partenza nei rapporti tra autorità e vittime di tratta,178 affinché la vittima recuperi una dignità annichilita dalla tragica esperienza subita. 176 A.FIADINO, La vittima della tratta di persone e la ricorrente politica dei fondi di sostegno, in Dir. Pen.e proc, n.9/2004, pg.1153 ss. 177 E.LANZA, La condizione soggettiva dello straniero clandestino, op. cit., pg 14. 178 D.MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 81. 60 Ma il legislatore non si è fermato solo a questo: ha tentato di intervenire a monte del problema, disponendo l’adozione di opportune misure operative nella fase di prevenzione, per quanto sia possibile incidere su un fenomeno così complesso e radicato, di certo non risolvibile solo con gli strumenti del diritto penale, ma piuttosto con interventi strutturali di più ampia portata179. In ogni modo e nei limiti suddetti, all’art. 14 è previsto che il Ministro degli affari esteri definisca le politiche di cooperazione nei confronti dei paesi interessati dai fenomeni in esame. Egli dovrà provvedere all’organizzazione, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, d’incontri internazionali, campagne d’informazione e corsi di formazione del personale coinvolgendo anche i Ministri dell’interno, per le pari opportunità, giustizia, lavoro e delle politiche sociali. Nulla da eccepire, se non fosse per l’ultimo comma della disposizione in esame che lascia quantomeno perplessi e porta a dubitare della effettiva capacità di realizzazione delle misure previste. Questo comma difatti, con l’introduzione di una clausola d’invarianza della spesa, sbarra di fatto la possibilità di ottenere fondi aggiuntivi per la concreta realizzazione di queste iniziative. Innegabile il ridimensionamento dell’efficacia della previsione in esame, 180 che sprovvista di finanziamenti ad hoc difficilmente riuscirà a concretizzarsi. Per tirare le fila del nostro discorso, al di là di quelli che possono essere e sono delle lacune ed inesattezze della normativa in materia, probabilmente inevitabili nell’affrontare un problema cosi complesso e di cosi ampia portata, v’è da premiare un sistema come il nostro che pone l’uomo, in quanto individuo al centro delle sue preoccupazioni, che combatte per la salvaguardia della dignità dello stesso, e che si è accorto prima di molti altri paesi europei dell’importanza di tutto ciò. Una lotta combattuta innanzitutto in nome del rispetto dei diritti umani. Nel prossimo capitolo, getteremo uno sguardo d’insieme sull’ordinamento della vicina Francia, presa come punto di riferimento in quanto patria dei diritti umani per eccellenza. L’idea di un confronto nasce dall’esigenza di vagliare un sistema diverso dal nostro al fine di far emergere differenze, analogie, lacune e aspetti positivi, dell’uno come dell’altro. Tutto ciò nel tentativo di soddisfare l’obiettivo principale ed ultimo che è quello di trovare un punto d’incontro fra diversi sistemi normativi e creare una 179 180 F.RESTA,Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg.24. E.LANZA, Gli stranieri e il diritto penale, op.cit., pg.538. 61 sinergia fra Stati: questa, l’unica via possibile da percorrere per cercare di vincere questa battaglia contro le vergognose schiavitù del nostro tempo. 62 CAPITOLO SECONDO. Schiavitù e tratta nell’ordinamento francese. Introduzione. Il 2013 è stato un anno di notevoli cambiamenti per l’ordinamento francese in tema di reati di schiavitù, servitù e tratta. Una profonda riforma ha interessato l’ordinamento su questi temi, introducendo delle importanti modifiche, che da tempo venivano invocate da più parti e che hanno trovato compiuta attuazione nella “Loi 2013-711” dello scorso 6 Agosto. L’obiettivo era quello di allineare la Francia ai dettami imposti dall’ordinamento europeo ed internazionale introducendo nuove definizioni ( le travail forcé et la reduction en servitude) ed ampliandone altre già esistenti (la traite des etres humains). L’esigenza di una riforma che interessasse il sistema era divenuta una priorità assoluta, dettata dalle forti carenze e lacune evidenziata nell’ambito della legislazione francese. Basti pensare al fatto che dall’inizio del XX° secolo e sino al 2003, solo la tratta di una persona ai fini di prostituzione veniva incriminata nel diritto francese, sotto la denominazione di “proxénétisme,181mentre il divieto di tratta ai fini di schiavitù, contenuto nella Convenzione del 1926 e definito dal diritto internazionale come “il trasporto o il commercio di uno schiavo o di una persona destinata a divenirlo” non aveva lasciato alcuna traccia nel Codice penale francese. La situazione d’immobilità venne scossa dall’adesione della Francia alla Convenzione di Palermo, nel 2000, e da un successivo Rapporto del 2001, realizzato da una commissione d’inchiesta parlamentare e consegnato all’Assemblea Nazionale, in cui venne evidenziata la necessità di creare una nuova infrazione incriminante la tratta di essere umani e di una maggiore attenzione nei riguardi degli stranieri che, in situazione irregolare ed esposti al pericolo dell’espulsione, rinunciavano a denunciare i propri aguzzini. 181 C. pén., art. 225-5, 3°: “ Il prossenetismo è il fatto commesso da chiunque con qualsiasi mezzo: (…) di assumere, di portare o distogliere una persona in vista della prostituzione o di esercitare su quest’ultima una pressione al fine che essa si prostituisca o continui a farlo.” L’art. 225-5 veniva utilizzato per punire la tratta di donne ridotte allo sfruttamento della prostituzione e al prossenetismo aggravato (nei casi in cui venisse commesso nei confronti di un minore) 63 Seguì la legge n°2003-2391, 18 marzo 2003, la “Loi sur la sécurité intérieure”. Tuttavia, la nuova legge non riuscì a colmare le notevoli carenze esistenti. La situazione si aggravò quando, due anni più tardi, la Francia venne colpita da una pesante sentenza da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, per il caso “Siliadin contre France” sentenza resa il 26 luglio 2005, n. 73316/01, ove si condannò la Francia per l’inosservanza dei parametri minimi di legislazione penale in relazione all’articolo 4 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e per la mancata previsione d’incriminazioni specifiche in tema di schiavitù, servitù e lavoro forzato obbligatorio. La Francia veniva chiamata a rispondere dei suoi obblighi internazionali ed a rinforzare la sua legislazione così poco determinata e garantista nei riguardi dei diritti umani delle vittime. Dopo questo pesantissimo ammonimento la Francia interviene con l’approvazione di una legge nel corso del 2007, la “Loi n° 2007-1631 relative à la maitrise de l’immigration, à l’intégration et à l’asile”, che introdusse alcune modifiche alla legge del 2003; tuttavia, neanche quest’ultima riuscirà a centrare l’obiettivo e colmare le profonde lacune esistenti. Il biennio seguente 2008-2010 fu segnato da molte iniziative sul tema: deposito al Senato di una proposta di legge per la lotta contro le nuove forme di schiavitù (in data 16 ottobre 2008) e l’elaborazione di un progetto di piano nazionale d’iniziativa dei ministri della Giustizia e dell’interno, nel dicembre 2008. Poi più nulla. La proposta di Legge del 2008 fallì miseramente, e i poteri pubblici cessarono di incontrarsi in virtù del piano d’azione iniziato un anno e mezzo prima, ed una volta elaborato il progetto, lo stesso non ebbe più alcun seguito. Questo lassismo dei poteri pubblici francesi dovrà presto fare i conti con una seconda condanna per la Francia, ancora una volta dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, per il caso “C.N. et V. contre France”, risalente all’11 ottobre 2012. L’urgenza di intervenire seriamente sul tema diviene improcrastinabile, ancor più dopo il rapporto reso dalla delegazione Greta sulla situazione della legislazione francese, messa nera su bianco nel “Rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta contro la tratta degli esseri umani”, pubblicato il 28 gennaio 2013. La delegazione Greta, istituita dalla Convenzione del Consiglio d’Europa del 2005, (vedi capitolo 3°), ha l’obiettivo di verificare l’attuazione da parte degli Stati delle 64 misure predisposte dalla Convenzione. I risultati del Rapporto e le raccomandazioni segnalate dovranno essere tenute in conto dagli attori della legislazione francese, che intanto si apprestavano a presentare un progetto di legge per l’adattamento delle disposizioni esistenti nell’ambito della giustizia, in applicazione del diritto dell’Unione europea e degli obblighi internazionale della Francia. Seguì un complesso iter di approvazione che fra rimandi e modifiche trovò infine il suo esito positivo nell’adozione definitiva, il 5 agosto 2013 della “Loi n° 2013-711 du 5 aout 2013”. La Francia dunque può finalmente trovarsi in linea con gli obblighi internazionali ed europei? Soddisfa le esigenze fondamentali di repressione, protezione e tutela della vittima? A conti fatti, la nuova legge ha disposto un sistema più o meno garantista rispetto quello italiano? Queste ed altre le domande a cui tenteremo di dare una risposta nel corso di questo secondo capitolo, ripercorrendo le tappe fondamentali che hanno condotto la Francia sino a questa recentissima riforma e confrontandola con la legislazione del nostro paese. 65 SEZIONE I Il reato di schiavitù e tratta nel diritto francese pre-riforma 2013. 1.“La Loi sur la sécurité intérieure” del 2003 introduce il reato di tratta nell’ordinamento francese. Il reato di tratta fa la sua prima comparsa nel codice penale francese grazie alla riforma legislativa del 2003, che introduce all’articolo 225-4-1182 il reato di “Traite des etres humains”,183 in netto ritardo rispetto agli obblighi assunti dalla Francia sia a livello internazionale- si pensi all’adesione al Protocollo di Palermo inerente la tratta- sia a livello europeo- si pensi alla ratifica della Decisione quadro del 19 Luglio 2002 contro la tratta degli esseri umani, all’epoca in vigore. L’idea d’introdurre questo delitto nasce da una specifica inchiesta parlamentare condotta nel 2001, conclusa con un Rapporto consegnato all’Assemblea Nazionale 184, in cui venivano evidenziate due priorità: la prima, quella di creare una nuova infrazione incriminante il reato di tratta degli esseri umani; la seconda, quella di prestare una maggiore attenzione nei riguardi delle vittime straniere che, in situazione irregolare e sotto la minaccia di essere espulsi dal territorio francese, preferivano non denunciare i propri sfruttatori. In prima battuta, venne presentato un progetto di legge dal Parlamento, il quale ebbe vita breve e sfortunata a causa dell’interruzione della sessione parlamentare, che impedì che il testo venisse tradotto in legge. Qualche mese più tardi, il 18 marzo 2003, finalmente si adottò la legge sulla sicurezza interiore (Loi n.2003-239), introducendo 182 Articolo 225-4-1: “La tratta degli esseri umani è il fatto, in cambio di una remunerazione o di qualsiasi altro vantaggio o di una promessa di remunerazione o di vantaggio, di reclutare una persona, di trasportarla, di trasferirla, di ospitarla o di accoglierla, per metterla a sua disposizione o a disposizione di un terzo, anche non identificato, al fine sia di permettere la commissione ai danni di questa persona dei reati di prossenetismo, di violenza o abusi sessuali, di sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla sua dignità, sia di costringere questa persona a commettere qualsiasi crimine o delitto. La tratta degli esseri umani è punita con sette anni di prigione e 150000 euro di ammenda.” 183 Atto n. 2003-239, Journal Officiel N. 66, 19/03/03, pg. 4761, consultabile sul sito <www.legifrance.gouv.fr> 184 L’esclavage en France, aujourd’hui, N. 3459, registrato all’Assemblea Nazionale il 12.12.01, rintracciabile sul sito internet www.assemblee-nationale.fr. 66 per la prima volta un’infrazione generale di tratta all’articolo 225-4-1- del codice penale francese. V’è da notare però come quest’ultima presenti delle profonde differenze rispetto al progetto di legge fallito nel 2002: questi era decisamente orientato verso una maggiore protezione dei diritti umani delle vittime di tratta, al contrario della legge in ultimo adottata, il cui scopo principale sembra quello di una maggiore garanzia di sicurezza nei riguardi dei cittadini francesi185. Il reato di tratta così come descritto nel nuovo articolo, nonostante si sia ispirato alle definizioni contenute nella Convenzione di Palermo e nella Decisione quadro del 2002, si allontana parzialmente dalle stesse, con il risultato di una definizione del reato che risulta al contempo più stretta e più estesa rispetto a quelle suggerite dal diritto internazionale ed europeo. Tale maggiore estensione viene resa principalmente dalla scelta del legislatore francese di non considerare i mezzi utilizzati dal trafficante per realizzare la fattispecie criminosa quali elementi costituitivi del fatto di reato, bensì piuttosto come semplici circostanze aggravanti, ai sensi dell’articolo 225-4-2 del code pénal.186 Il diritto francese, peraltro, non si accontenta di rispettare i dettami imposti dall’ordinamento internazionale, spingendosi ben al di là ed estendendo anche ai soggetti maggiorenni la stessa protezione riservata precedentemente ai soli minorenni, così come previsto nel Protocollo di Palermo e nella Decisione quadro del 2002. Ulteriore elemento a riconferma dell’estensione della reato di tratta, discende dall’anticipazione della soglia di punibilità: anche il semplice tentativo e la complicità 185 J. VERNIER, French Criminal and Administrative law concerning smuggling of migrants and trafficking in human beings: punishing trafficked people for their protection? in AA.VV., Immigration and criminal law in the European union, Martinus Nijhoff Publishers,2006,pg.16. 186 Agli articoli 225-4-2 e seguenti sono indicate le circostanze aggravanti considerate, fra le quali alcune sanzionano il ricorso a dei mezzi di coercizione, ed altre tengono conto della vulnerabilità della vittima. Da una parte si legge <<L'uso di minacce, coercizione, violenza o manovre fraudolente nei riguardi dell’ interessato, dei familiari o di una persona che ha un rapporto abituale con lui; l’ abuso di autorità, o ancora il ricorso a delle torture o barbarie>>. D’altra parte, s’incontra:<< La vulnerabilità della vittima, senza che sia necessario provare il fatto che l’autore ne abbia abusato. Sarà sufficiente che al momento dei fatti ella sia stata: minore, particolarmente vulnerabile in ragione della sua età, , di una malattia, di un’infermità, di una disabilità fisica o psichica o dal suo stato di gravidanza, nel caso in cui la sua condizione risulti vidente o conosciuta all’autore; od ancora, vulnerabile in ragione del fatto che la stessa si trovava al di fuori del territorio francese o che vi stesse arrivando>>. 67 saranno soggette a sanzioni,187ed in caso di associazione a delinquere (association de malfaiteurs)188, sarà possibile intervenire per reprimere il fatto, nel caso in cui più persone siano riunite allo scopo della preparazione di un fatto qualunque rientrante nella nozione di tratta, ai sensi dell’articolo 225-4-1. Dunque, nel diritto francese, i mezzi utilizzati nel compiere il reato assumono un’importanza del tutto secondaria: quel che più conta è il movente perseguito, che è quello di facilitare lo sfruttamento altrui. Il delitto di tratta viene difatti concepito come “un’infrazione ostacolo”, strutturata in tal modo al fine di poter intervenire a monte dello sfruttamento della persona, ed impedirne la sua realizzazione.189 D’altra parte però e malgrado una riforma intervenuta nel 2007, la definizione francese di tratta si mostrava per altri versi, più “stretta e limitata” rispetto a quella internazionale. In primis, si consideri che inizialmente, con la riforma del 2003, solo chi facilitava lo sfruttamento di una persona a favore di un terzo veniva qualificato come trafficante e poteva essere punito ai sensi dell’articolo 225-4-1. Era necessario dimostrare che il trafficante avesse reclutato, trasportato, trasferito o accolto una persona per metterla a disposizione di un terzo, anche non identificato, ai fini di uno sfruttamento. Da ciò derivava la paradossale situazione nella quale moltissime forme di tratta restavano impunite, quali ad esempio, il caso in cui il trafficante fosse stato lui stesso l’autore dello sfruttamento della vittima. Questi, in virtù della riforma del 2003, non avrebbe potuto subire condanna alcuna. Sul tema intervenne la legge n.2007-1631190, che allineandosi con la Decisione quadro e il Protocollo di Palermo, stabilì la punibilità di tutti i trafficanti, indipendentemente dal fatto che fossero o meno gli stessi a sfruttare la vittima. Altro elemento che faceva della definizione di tratta ex art. 225-4-1 un concetto alquanto ridotto rispetto alle definizioni internazionali, era la necessità di un profitto economico in capo al trafficante. 187 Articolo 121-7 del Codice penale: la complicità nel diritto francese è considerata sia come il fatto di facilitare la preparazione o la consumazione di un crimine o di un delitto nell’apportare coscientemente il proprio aiuto o la propria assistenza, sia come il fatto di provocare o di organizzare la commissione di un’infrazione per dono, promessa, minaccia, ordine, abuso d’autorità o potere. 188 Articolo 450-1 e seguenti del code pénal. 189 J. VERNIER, La traite et l’explotation des etres humains en France, étude réalisée par la Commision nationale consultative des droits de l’homme, La Documentation française, 2010, pg. 58 ss. 190 Loi n°2007.-1631 relative à la maitrise de l’immigration, à l’intégration et à l’asile, 20 Novembre 2007. 68 Un trafficante dunque, per essere considerato in quanto tale e subire le punizioni del caso, doveva necessariamente poter trarre dalle sue azioni una remunerazione o altri tipi di vantaggi 191, disposizione questa che non permetteva di rispettare la soglia minima di repressione della tratta da parte degli Stati, così come fissata nel diritto internazionale. Eventuali punizioni sarebbero sorte solo nel momento in cui lo sfruttamento fosse portato a termine, e il trafficante punito in quanto “autore del reato” 192. Infine, ultimo aspetto da rilevare, sarà la sostanziale incompletezza delle condotte di sfruttamento punite ai sensi dell’articolo 225-4-1193, il quale non fa riferimento allo sfruttamento nella sua “accezione larga” così come concepita nel diritto internazionale. L’articolo in questione, piuttosto, si limita ad enunciare una lista esaustiva d’infrazioni che caratterizzano lo sfruttamento, idonee a qualificare il reato di tratta ( più precisamente il prossenetismo, l’aggressione o le minacce sessuali, lo sfruttamento dell’accattonaggio e quelle condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla dignità umana) trascurando altre rilevanti ipotesi -peraltro previste nel Protocollo di Palermo e nella Direttiva del 5 aprile 2011194- quali lavoro forzato, la servitù e la schiavitù. Queste potranno essere ricomprese in alcune delle infrazioni enumerate, seppur in maniera del tutto imperfetta. In particolare, mentre il prossenetismo copriva quelle ipotesi di sfruttamento della prostituzione e le aggressioni o minacce sessuali riguardavano tutte le altre forme di sfruttamento sessuale, al contrario, il lavoro forzato, la servitù e la schiavitù- non presentando un carattere sessuale- non potevano essere ricomprese fra queste venendo ricondotte, in maniera imperfetta, nell’alveo delle altre infrazioni enumerate nell’articolo (condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla dignità umana). In quanto alla tratta al fine del prelievo di organi, essa non viene ricompresa nell’articolo 225-4-1, bensì la si rintraccia all’articolo 511-3 del codice penale, (sezione 191 Art. 225-4-1 code pénal: <<…in cambio di una remunerazione o di qualsiasi altro vantaggio o di una promessa di remunerazione o di vantaggio>> 192 J. VERNIER, La lutte contre la traite des etres humains en France depuis 10 ans. Quel bilan? In La semaine juridique, édition génèrale- supplement au n°19-20-6 mai 2013, pg.13. 193 Art. 225-4-1, versione in vigore sino al 7 agosto 2013: “La traite des êtres humains est le fait, en échange d'une rémunération ou de tout autre avantage ou d'une promesse de rémunération ou d'avantage, de recruter une personne, de la transporter, de la transférer, de l'héberger ou de l'accueillir, pour la mettre à sa disposition ou à la disposition d'un tiers, même non identifié, afin soit de permettre la commission contre cette personne des infractions de proxénétisme, d'agression ou d'atteintes sexuelles, d'exploitation de la mendicité, de conditions de travail ou d'hébergement contraires à sa dignité, soit de contraindre cette personne à commettre tout crime ou délit.” 194 La direttiva 2011/36/UE che sostituisce la Decisione quadro 2002/629/Gai. 69 del codice dedicata alla salute pubblica), ove si sanziona il fatto di prelevare un organo da un minore in vita o di un maggiorenne in vita, nel caso in cui non sia stato ottenuto il consenso da parte di quest’ultimo secondo la normativa in vigore. Resta pertanto privo di tutela il caso in cui vengano poste in essere le condotte tipiche del reato di tratta (reclutamento, trasporto ed accoglienza di una persona) finalizzate al prelievo illecito di organi.195 Considerato che il reato di tratta nel codice francese vuole essere una “disposizione ostacolo” al realizzarsi dello sfruttamento della persona, si noti come in realtà l’articolo così come riformato nel 2003 poneva in essere una copertura assolutamente imperfetta delle forma di sfruttamento alle quali può esser finalizzata la tratta, determinando uno scarto tra i possibili fatti di sfruttamento e le risposte previste in termini di sanzione penale. Pertanto la Francia pareva rispettare solo parzialmente i suoi obblighi internazionali: le infrazioni dirette a colpire i fatti di sfruttamento lo fanno in maniera decisamente insoddisfacente, lasciando scoperte alcune tra le forme più gravi. Infine, si noti come l’infrazione generale del reato di tratta, inserito all’articolo 225-4-1, conviveva con delle disposizioni speciali preesistenti, sulle quali non si pensò d’intervenire abrogandole. Parliamo del reato di tratta in vista della prostituzione e della tratta in vista dell’accattonaggio o del lavoro di strada. Il fatto che non si sia provveduto all’abrogazione di questi articoli preesistenti determinò una ridondanza e confusione nella scelta dell’applicazione delle norme, da poter superare solo tramite l’eliminazione delle disposizioni speciali previste, lasciando in vigore la novella generale di tratta. 1.1.Una necessaria definizione di sfruttamento: focus sul reato di riduzione in schiavitù. Indubbiamente l’ordinamento francese doveva fare i conti con un “vuoto giuridico” non indifferente, dato dalla continua necessità di rinviare a diverse infrazioni presenti all’interno del codice incriminanti l’insieme delle forme di sfruttamento; queste risultavano generalmente inadatte o incomplete ed impedivano il realizzarsi di una politica criminale coerente in materia. Difatti, nel diritto francese, lo sfruttamento non è 195 J. VERNIER, La traite et l’exploitation des etres humains en France, op. cit., pg.59 ss. 70 oggetto di alcuna definizione specifica, essendo disgregato all’interno del codice fra diverse fattispecie incriminatrici. Il reato di tratta, ad esempio, copre il limitato elenco di forme di sfruttamento su elencate; accanto ad esso convivono altre disposizioni che incriminano direttamente la situazione di sfruttamento di una persona. Questi sono i reati di prostituzione (225-5. 3°comma del Code pènal), di accattonaggio(225-12-5 code Pénal) ed infine di schiavitù (212-1 Code Pènal).196 Proprio su quest’ultimo concentreremo la nostra attenzione, per valutare quanto l’articolo fosse effettivamente in linea con le definizioni dettate dal diritto internazionale. Nonostante l’adesione della Francia alle Convenzioni del 1926 e del 1956 che vietavano tutte le forme di schiavitù, non vi era traccia alcuna nel codice penale francese di un’infrazione che permettesse la condanna dell’esercizio di alcuni attributi del diritto di proprietà su di una persona, a meno che questi comportamenti non s’inscrivessero in un contesto particolare, vale a dire quello nel quale vengono commessi i crimini contro l’umanità.197 Difatti, l’articolo 212-1 che incriminava il reato di riduzione in schiavitù era compreso nella sezione del codice destinata ai “crimini contro l’umanità”. Pertanto, risultava perseguibile solo nel caso in cui <<fosse ispirato da motivi politici, filosofici, razziali o religiosi ed organizzato, in esecuzione di un piano d’attacco contro la popolazione civile>>.198 Questa fattispecie delineava il reato aggravato di schiavitù; tuttavia, in assenza delle circostanze richieste, il fatto di esercitare un diritto di proprietà o alcuni dei suoi attributi su di una persona non poteva essere penalmente perseguito, non essendo oggetto di alcuna disposizione specifica. Difatti, la riduzione in schiavitù di una persona, nel caso in cui non fosse inscrivibile nell’alveo dei crimini contro l’umanità non risultava punibile, se non facendo riferimento ad altri fatti commessi in parallelo nella stessa occasione. Ad esempio possiamo fare riferimento alla violenza, al sequestro, alle condizioni indegne di lavoro o di alloggio, ossia a tutte le infrazioni correlate che 196 L’articolo 212-1 del Code Pénal nella sua versione originaria in vigore sino alla riforma dell’agosto 2013: “La deportazione, la riduzione in schiavitù o la pratica diffusa e sistematica di esecuzioni sommarie, di rapimenti di persone seguite dalla loro scomparsa, della tortura o di atti inumani, ispirati da motivi politici, filosofici, razziali o religiosi ed organizzati in esecuzione di un piano concertato contro un gruppo di popolazione civile sono puniti con la pena dell’ergastolo.” L’articolo è poi stato profondamente modificato dalla Loi 2013-711, della quale ci occuperemo più avanti. 197 J. VERNIER, La traite et l’exploitation, op. cit., pg.71. 198 Articolo 212-1 Code Pénal. 71 tuttavia non permettevano di racchiudere tutti gli elementi del fatto, né tantomeno di cogliere la sua gravità.199 Nel 2001, all’occasione dell’inchiesta parlamentare d’informazione, si prese coscienza della necessità impellente di inserire un reato specifico di riduzione in schiavitù, che fosse all’altezza della gravità della condotta e dei valori in gioco, ed inoltre che fosse in grado di adeguarsi agli obblighi internazionali assunti dalla Francia.200 Il divieto di schiavitù in effetti, è considerato come uno dei principi fondamentali ed universali ai quali gli Stati dovranno necessariamente allinearsi. A tal scopo, successivamente diversi progetti di legge vennero proposti al fine di colmare questo vuoto giuridico nella legislazione francese, ma senza alcun successo. 201 Bisognerà attendere il 2013 per ottenere un’inversione di rotta, che finalmente porterà all’adozione dello specifico delitto di “réduction en esclavage” nel codice penale francese, agli articoli 224-1-A e seguenti, dei quali ci occuperemo più avanti. 1.2.Una protezione delle vittime ineguale ed insufficiente (pre-riforma 2013): Il Permesso di soggiorno. L’inchiesta parlamentare condotta nel 2001202 rappresenta a tutti gli effetti l’inizio di un riconoscimento ufficiale dell’esistenza di situazioni di schiavitù e tratta di esseri umani nell’ordinamento francese. Il Rapporto svelò non solo le forti carenze legislative e giuridiche presenti nell’ordinamento, ma puntò il dito anche contro lo scarso sistema predisposto a tutela e protezione delle vittime di tratta, raccomandando l’adozione di misure coerenti con gli standard minimi previsti a livello internazionale 203. 199 J. VERNIER, French criminal and Administrative law, op. cit., pg. 22 ss. LAZERGES C., VIDALIES A., L’esclavage en France aujourd’hui, Rapport d’information parlamentaire n. 3459, tome II, 2001, pg. 350, in cui si constatava: <<certes, un arsenal de textes permet, à la périphérie, de poursuivre les auteurs de pratiques d’esclavage (…), mais les incriminations ne sont ni spécifique ni à la hauteur des enjeux et ne correspondent pas aux valeurs qu’il s’agit de protéger, et cela au mépris de nos engagements internationaux>> 201 Progetto di legge deposto al Senato il 21 Novembre 2005; proposta di legge n° 3116 deposta a l’Assemblea nazionale, il 31 maggio 2006; proposta n° 384 deposta a l’Assemblea nazionale il 7 novembre 2007; proposta di legge deposta al Senato il 16 ottobre 2008. 202 LAZERGES C., VIDALIES A., L’esclavage en France aujourd’hui, Rapport d’information parlamentaire n. 3459, op.cit, pg. 46. 203 VAZ CABRAL G., “La traite des etres humains- Réalité de l’esclavage contemporaire”, La decouverte, 2006, pg. 189. 200 72 La Francia, posta di fronte a queste urgenti sollecitazioni, opta per un modello nient’affatto garantista nel rispetto dei diritti umani delle vittime ed ispirato da una logica repressiva, piuttosto che d’ aiuto ed assistenza. Punto di partenza per un’effettiva realizzazione di tutela e protezione delle vittime è la possibilità di avere accesso alla giustizia, che si concretizza nel diritto di denuncia, diritto ad essere ascoltati e nel diritto di ottenere una riparazione del pregiudizio subito. Condicio sine qua non per aver accesso a queste tipo di misure sarà il riconoscimento di un titolo di soggiorno in capo agli stranieri vittime del reato204. Da questa consapevolezza, nel 2003 l’articolo 76 della “Loi pour la sécurité intérieure”, codificato all’articolo L. 316-1 del “Code d’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile”205, apre la possibilità agli stranieri vittime o testimoni di fatti di tratta o prossenetismo di far richiesta di un’autorizzazione provvisoria di soggiorno (APS), concessa dai prefetti in maniera del tutto discrezionale che li abilita ad un inserimento di tipo lavorativo. Per ottenere il rilascio di questa autorizzazione sarà necessaria la partecipazione al processo penale in veste di testimoni o l’aver sporto denuncia contro i propri aguzzini. La ratio del rilascio dell’autorizzazione provvisoria è quella di incoraggiare (o per meglio dire costringere) le vittime a testimoniare e collaborare con le autorità di giustizia in cambio del soggiorno provvisorio sul territorio francese 206. Tuttavia la misura predisposta dovrà fare i conti con il diritto europeo, che nel frattempo ha approvato sul tema la Direttiva 2004/81/CE207. In ottemperanza alle modificazioni introdotte dalla stessa, l’autorizzazione provvisoria di soggiorno prevista all’art. L.316-1 del Ceseda viene convertita in una carta di soggiorno temporanea, con la denominazione “vita privata e famigliare”.208 Questa viene concessa agli stranieri che denuncino una persona per aver commesso i reati di 204 J. VERNIER, La Traite et l’exploitation des etres humains, op. cit., pg. 218. Articolo 76 della “Loi n° 2003-239 du 18 mars 2003 pour la sécurité intérieure” rinvenibile su www.legifrance.gouv.fr. 206 J. VERNIER, La lutte contre la traite, op. cit., pg. 14. 207 La direttiva riconosce un titolo di soggiorno valido per almeno sei mesi e fino al termine del processo penale, a condizione sempre di cooperare utilmente ed in buona fede con le autorità, purché la permanenza dello straniero non rappresenti una minaccia all’ordine pubblico e sotto la condizione di rompere ogni legame con i proprio sfruttatori. Per altro la Direttiva prevede un periodo di riflessione di una durata minima di 30 giorni nel corso dei quali le vittime non potranno essere allontanate dal territorio. Per approfondimenti, si veda paragrafo 4.2. del capitolo terzo. 208 Modifica introdotta dall’articolo 39 della “Loi relative à l’immigration et à l’intégration” du 24 Juillet 2006, n. 2006-911. 205 73 tratta degli esseri umani o di prossenetismo o nel caso in cui decidano di rendere testimonianza nell’ambito di un processo nei riguardi di una persona imputata per gli stessi reati. La carta di soggiorno temporaneo ha una durata minima di sei mesi ed assicura la possibilità di esercitare un’attività professionale, e nel caso di condanna definitiva dell’imputato, potrà essere convertita in carta di residenza permanente. 209 In un secondo tempo, agli articoli R.316-1 e seguenti del Ceseda sono state chiarite le condizioni di attuazione della disposizione. Vengono prescritti obblighi d’informazione in capo ai servizi di polizia nei riguardi delle potenziali vittime di tratta o di prossenetismo, quali: il diritto di beneficiare di un periodo di riflessione di 30 giorni 210 (in mancanza di questa informazione, le eventuali misure di allontanamento predisposte nei confronti dello straniero dovranno essere annullate); la possibilità di ottenere la carta di soggiorno; il diritto di ottenere una riparazione del pregiudizio subito; quello di rivolgersi alla “Commission d’indemnisation des victimes d’infractions” (CIVI) per ottenere un aiuto giuridico per far valere propri diritti ed infine, la possibilità di ottenere l’aiuto delle associazioni operanti sul campo211. Nonostante i correttivi apportati, il sistema francese riconferma l’adozione di un sistema retrogrado, vale a dire il “permesso di soggiorno a scopo premiale”, di protezione contro cooperazione.212 Si concedono misure di assistenza e protezione agli stranieri esclusivamente a condizione della loro collaborazione con le autorità di giustizia ponendo le vittime di reati così atroci di fronte ad un vero e proprio ricatto assolutamente inaccettabile, la cui posta in gioco è la libertà e la vita stessa di queste persone. Siamo lontani anni luce dal dispositivo introdotto nel ’98 dall’Italia, il “permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale” ed il suo garantista sistema del doppio binario213. Qui al contrario, la sicurezza e la protezione delle vittime diventano del tutto secondarie rispetto all’esigenza di ottenere delle condanne penali degli autori. Non si ha 209 VAZ GABRAL G., La traite des etres humains- Réalité de l’esclavage contemporaire, op. cit., pg. 192 ss. 210 L’articolo R-316-2 del Ceseda prevede che lo straniero vittima di tratta o di prossenetismo in grado di collaborare con ke autorità di giustizia deve essere informato della possibilità di beneficiare di un periodo di riflessione di 30 giorni nell’ambito del quale non potrà essere allontanato dal territorio francese, a men che non vi rinunci di sua iniziativa o nel caso in cui rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico. Allo spirare del termine potrà decidere se cooperare o meno con la giustizia. 211 J. VERNIER, La lutte contre la traite, op. cit., pg. 14. 212 N. MARTIN, Victimes de la traite et migrations, in La sem.Jurid, op.cit, pg 30 ss. 213 Si veda capitolo primo, paragrafo 5. 74 minimamente la percezione di trovarsi innanzi delle vittime, piuttosto degli “stranieri pentiti”, il cui soggiorno è previsto in maniera del tutto provvisoria in relazione alla collaborazione delle stesse al processo. V’è da notare come l’istituto del permesso di soggiorno abbia trovato scarsa applicazione nella pratica: nel 2010 solo 150 CST sono state rilasciati sulla base dell’articolo L.316-1.214 Questo innanzitutto a causa della natura discrezionale del rilascio dello stesso: difatti l’articolo L.316-1 non impone nessun obbligo di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno alle vittime straniere -nonostante le stesse rientrino nelle condizioni richieste- spettando una tale decisione al prefetto, il quale, con la massima discrezione, stabilirà in quali casi sia opportuno rilasciarlo o meno. La decisione verrà presa essenzialmente sull’utilità della permanenza delle vittime in territorio francese, e più precisamente sulla base della loro utilità nell’economia del processo. Pertanto, e contrariamente alla Direttiva europea del 2004 relativa al titolo di soggiorno, il diritto francese fa del rilascio del titolo di soggiorno e del suo rinnovo una semplice possibilità lasciata all’apprezzamento da parte dei prefetti. Ciò conduce a delle importanti differenze pratiche fra prefetti, e dunque un trattamento ineguale delle vittime.215Il parlamento francese si è preoccupato di giustificare questo discutibile sistema discrezionale con la necessità di evitare flussi di migranti che sostengano di essere vittime di tratta al solo scopo di ottenere il titolo. E dunque, la necessità di discernere le false vittime da quelle autentiche dovrebbe bastare a giustificare questo sistema diseguale, discrezionalmente garantista nonché incapace di fornire la medesima protezione alle vittime216. La scarsa applicazione del permesso trova spiegazione anche nello stretto campo d’applicazione della norma e della sua formulazione. In primis, solo gli stranieri vittime di tratta o di prossenetismo potranno vedersi accordato il permesso. Tuttavia, raramente si è giunti alla condanna di episodi di tratta in applicazione dell’articolo 225-4-1 e ciò a causa della configurazione della fattispecie normativa di tratta spesso accessoria o in concorrenza con altre disposizioni. Di conseguenza, saranno esclusi dalla concessione del permesso di soggiorno gli stranieri 214 GRETA, Rapport concernant la mise en ouvre de la Convention du Conseil de l’Europe sur la traite des etres humains par la France: Conseil d’Europe, Strasbourg, 2013, pg.167. 215 C. LAZERGES, Propos conclusifs et recommandations, in La sem.jurid., op.cit., pg. 32 216 J. VERNIER, French criminal and Administrative law, op.cit., pg. 72. 75 vittime di forme di sfruttamento diverse dallo sfruttamento della prostituzione e la maggior parte delle vittime di tratta217. Saranno ulteriormente esclusi quegli stranieri che, benché rientranti nelle condizioni su esposte, si trovino nell’impossibilità di avviare un procedimento penale a causa ad esempio, della carenza di elementi di prova o nel caso in cui rinuncino a parteciparvi per paura di ritorsioni nei propri confronti o della propria famiglia. Inoltre, sussistono numerosi altri casi nei quali, nonostante vi siano le condizioni per qualificare gli stranieri come vittime di tratta o prossenetismo, gli stessi si vedranno negare il permesso di soggiorno. Questi casi discendono dall’ipotesi in cui gli stranieri rappresentino una minaccia per l’ordine pubblico; nel caso in cui non abbiano reciso tutti i legami con i loro aguzzini; ancora, nei casi in cui il procuratore e il giudice non abbiano ancora qualificato il fatto come rientrante nei casi di tratta o prossenetismo ed infine, qualora non rispettino più le condizioni richieste a causa del ritardo con il quale è stata esaminata la domanda218. Date le condizioni esposte, l’accesso alla giustizia per le vittime straniere di sfruttamento rischia di trasformarsi in una chimera, e la maggior parte di questi che si vedono concesso un titolo di soggiorno, lo otterranno sulla base di altre disposizioni rispetto a quelle descritte dall’articolo L.316-1 del Ceseda: ci riferiamo all’articolo 31314 del Ceseda ed alla domanda di asilo o del beneficio della protezione sussidiaria. Nel primo caso viene prevista la possibilità di concedere il permesso di soggiorno alle vittime che decidano di non collaborare con la giustizia per paura di ritorsioni nei propri riguardi o della propria famiglia. In questo caso, si potrà rilasciare uno speciale titolo di soggiorno per “considerazioni umanitarie o motivi eccezionali”, sulla base di valutazioni effettuate dal prefetto. La possibilità di inoltrare domanda d’asilo o richiedere il beneficio della protezione sussidiaria219 viene riservata agli stranieri che non rientrino nelle condizioni stabilite dall’articolo L.316-1 e la cui eventuale espulsione e ritorno nel proprio paese d’origine potrebbe esporli ad una minaccia grave e ad un serio pericolo di vita. In tali situazioni, 217 J. VERNIER, La lutte contre la traite, op. cit., pg. 15. J. VERNIER, La traite et l’exploitation en France, op. cit., pg. 224 ss. 219 La protezione sussidiaria è rivolta alle persone che non rientrano nelle condizioni di “rifugiato” così come stabilito nella Convenzione di Ginevra, che tuttavia risultano esposti ad una minaccia grave nel caso in cui facciano ritorno al proprio paese d’origine. La necessità di una protezione si traduce per loro nella concessione, in pieno diritto, di una carta di soggiorno di un anno dalla menzione “vita privata e famigliare”, in conformità dell’articolo L.313-13 del Ceseda. 218 76 le vittime straniere potranno inoltrare domanda d’asilo (ai sensi dell’articolo L. 712-1b del Ceseda). I beneficiari della protezione sussidiaria si vedranno accordare una carta di soggiorno di un anno, denominata “vita privata e famigliare”.220 Il meccanismo predisposto dal diritto francese si presenta così fortemente lacunoso e soprattutto ineguale, incapace di fornire la stessa protezione alle vittime di tratta, troppo spesso basato su valutazioni discrezionali del prefetto. Il rilascio del titolo rappresenta difatti il punto cardine della protezione e tutela offerta alle vittime: tramite il permesso le stesse potranno ottenere accesso alla giustizia ed inoltre usufruire dei diritti economici e sociali, condizione essenziale per sottrarsi dalla situazione di sfruttamento e fattore decisivo per il loro reinserimento. L’irregolarità del soggiorno, al contrario, costituisce di fatto un ostacolo maggiore tanto al loro reinserimento quanto al loro accesso alla giustizia, ed un allontanamento dal territorio li condannerebbe ad una perdita di tutti i diritti economici e sociali dei quali potrebbero beneficiare. Sulla base di ciò, nel 2009 la CNCDH invoca un urgente intervento di modificazione della legislazione francese sul tema affinché si arrivasse ad affermare che tutte le vittime di tratta o sfruttamento, qualunque forma esso abbia, possano avere accesso al diritto di soggiornare sul territorio francese a prescindere dalla loro collaborazione con le autorità di giustizia, per garantire loro accesso alla giustizia e misure di assistenza e protezione.221 Un altro tipo di protezione disposto a favore delle vittime e di estremo interesse è rappresentato dall’articolo 122-2222 del Codice penale, il quale introduce una clausola di non punibilità in capo alle vittime di tratta, per i reati da loro commessi in queste circostanze e sotto costrizione. La fattispecie legislativa però fallisce nel suo intento di tutela in quanto le stesse, per sfuggire effettivamente alla sanzione, dovrebbero provare di non aver potuto resistere alla costrizione fisica subita, essendo la costrizione di natura psicologica, sotto forma di minaccia o provocazione, raramente ammessa e considerata. 220 Séminaire OCSE Rome, Sur la coopération pour prévenir la traite des etres humains, 8 Février 2013, Rome. 221 C. LAZERGES, Propos conclusifs et recommandations, in La sem.jurid., op.cit., pg. 32 222 Article 122-2: “Non è penalmente responsabile la persona che ha agito sotto l’influenza di una forza o di una costrizione alla quale non ha potuto resistere.” 77 Molti di loro finiscono così per l’essere sanzionati per migrazione irregolare, accattonaggio, borseggio etc…nonostante la coercizione subita, trovandosi al banco degli imputati accanto ai loro stessi sfruttatori. Alla luce della direttiva del 5 aprile 2011 s’imponeva così un adeguamento obbligatorio della legislazione francese, in particolare in merito alla tutela offerta alla vittima: tutela questa caratterizzata da trattamenti ineguali e altamente discriminatori. L’obiettivo è quello del riconoscimento di uno status universale di vittime, che sia capace di garantire l’accesso agli stessi diritti per tutti. 2. La necessità di una riforma: le due condanne della Cedu. La Francia incassa un record tanto negativo quanto esclusivo: ben due sentenze di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, a distanza fra loro di soli sette anni. La prima, risalente al 2005, per il caso Siliadin contre France223 e la seconda, C.N. et V. contre France224, dell’ottobre 2012. Il capo d’accusa si ripete sostanzialmente identico in ambedue le condanne: la Francia non adempie agli obblighi imposti dall’articolo 4 Cedu225, che ordina agli Stati di incriminare gli atti di schiavitù, servitù o di lavoro forzato e disporre un sistema capace di punire gli autori in maniera effettiva. La Francia viene dunque accusata di non rispondere efficacemente ai suoi obblighi d’incriminazione penale che impongono di reprimere e punire in maniera adeguata le condotte vietate dall’articolo 4 Cedu, di modo che i soggetti riconosciuti responsabili possano essere condannati a pene congrue e proporzionate alla gravità del fatto di reato.226 In particolare, in entrambe le condanne, la Corte ha riconosciuto l’esistenza di obblighi positivi in capo agli Stati, i quali dovranno adottare norme penali atte a criminalizzare e reprimere la riduzione o il mantenimento di una persona in schiavitù e servitù o a 223 CEDH, 26 Julliet 2005, n°73316/01, Siliadin contre France: JurisData n°2005-400043 CEDH, 11 oct. 2012, n° 67724/09, C.N. et V. contre France: JurisData n° 2012-024813. 225 Articolo 4, CEDU. Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato: 1. Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o servitù. 2. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio(…) 226 A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010: il divieto di schiavitù e del lavoro forzato, in Diritto penale contemporaneo, 2011, pg.253. 224 78 sottometterla ad un lavoro forzato227. Il fatto che uno Stato si astenga dal violare i diritti garantiti non è condizione sufficiente per concludere che lo stesso abbia adempiuto ai propri obblighi internazionali, dovendo questo rispettare anche obblighi positivi di criminalizzazione.228 A conti fatti, la Corte stimava che le disposizioni penali della Francia, in vigore all’epoca dei fatti, non avevano assicurato ai richiedenti una protezione concreta ed effettiva. Nello specifico, il caso esaminato nel 2005 229 naufragò clamorosamente in un’assoluzione dei responsabili, non avendo la Francia disposto un sistema repressivo adeguato .La Corte ha concluso che le disposizioni penali applicabili alla situazione di servitù domestica in considerazione, non avessero assicurato alla richiedente una protezione concreta ed effettiva contro gli atti di sfruttamento di cui era stata vittima. Ma questo non è tutto, poiché dopo sette anni di silenzio, ecco pronta una nuova condanna a carico della Francia, con la sentenza C.N.et V. contre France, in cui la vicenda si ripete pressoché identica: identici sono gli attori (la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Francia), identica la condanna (infrazione dell’articolo 4 CEDU).Data la rarità della giurisprudenza esistente in tema di violazioni dell’articolo 4 Cedu 230, stupisce il fatto che la Corte Edu sia tornata ad occuparsene nuovamente e per una seconda volta nei riguardi della Francia, la quale incassa una doppia condanna per violazione dell’obbligazione positiva a capo dello Stato di realizzare un quadro legislativo ed amministrativo in grado di reprimere i reati di servitù e lavoro forzato, con particolare riferimento all’inadeguatezza degli articoli predisposti dall’ordinamento, 227 P. SCEVI, Premesse per uno studio sui delitti di schiavitù e tratta di persone nel quadro della tutela del diritto alla libertà, in Riv. Pen., n.10/2012, pg.936. 228 Cour européenne des droits de l’homme, Guide sur l’article 4,interdiction de l’esclavage et du travail forcé, article 4 de la Convention, Strasbourg, December 2012, pg.12. 229 Sent. 26 Luglio 2005, Siliadin c. France (ric. N. 73316/01): il caso descrive la vicenda di Siliadin, una giovane togolese giunta in Francia nel 1994 e ridotta in condizione di servitù. La giovane fu privata per diversi anni della libertà personale e sottoposta a sfruttamento e lavoro forzato, trovandosi costretta a prestare la propria attività lavorativa per 15 ore al giorno e senza la benchè minima retribuzione. La ragazza denunciò i propri aguzzini alle autorità francesi. Il procedimento penale si concluse con un’assoluzione, in quanto all’epoca dei fatti la legislazione francese non prevedeva uno specifico reato di tratta degli esseri umani, di riduzione in servitù o lavoro forzato, e, seppur modificata successivamente, la legislazione francese comunque non poteva esser applicata al caso in questione. 230 Sino a questa nuova condanna la Corte si era occupata solo due volte di violazioni ex.articolo 4 Cedu: la prima, nella Sentenza Siliadin contre France, la seconda, per il caso Rantsev contre Chypre et Russie del 2010. Così DAMIEN ROETS, L’article 4 de la Convention Européenne des droit de l’homme une nouvelle fois violé par la France, in Dalloz, revue de science criminelle,2013, pg 149 ss. 79 il 225-13 e il 225-14231 del codice penale, che sanzionavano le condizioni di lavoro e di alloggio contrari alla dignità della persona umana. La vicenda esaminata nella sentenza C.N. et V. contre France232 riconferma la giurisprudenza preesistente della Corte in materia, ribadendo la necessità dello Stato di adempiere ai propri obblighi positivi e dell’obbligazione procedurale di avviare attività d’inchiesta sulle situazioni di potenziale sfruttamento, nel caso in cui le autorità ne vengano a conoscenza. In particolare poi, la Corte considera insufficienti le disposizioni legislative in vigore al momento della commissione dei fatti incriminati, commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge del 2003 233, caratterizzati da una formulazione vaga e soggetta ad interpretazioni differenti. Questa seconda condanna in capo alla Francia pare forse anche più imbarazzante rispetto alla prima poiché mostra come, a distanza di sette anni di tempo, nulla sia effettivamente cambiato, fotografando una situazione pressoché immobile. Gli ammonimenti contenuti nella prima sentenza non hanno minimamente inciso sulle politiche legislative del paese, il quale non ha provveduto a criminalizzare e reprimere effettivamente tutti gli atti previsti all’articolo 4 della Cedu, ignorando non solo la condanna ricevuta nel 2005, ma anche gli appelli da parte della Commissione nazionale consultativa dei diritti dell’uomo, che nel 2009 deliberò una serie di raccomandazioni in cui si incitava la Francia a chiarire e completare la legislazione penale. Tuttavia, nulla fu fatto e così, all’occasione della nuova sentenza del 2012, la Corte fu costretta a constatare il fatto che lo stato di diritto riscontrato nel 231 Articolo 225-13: Il fatto di ottenere da una persona, abusando della sua vulnerabilità o della sua situazione di dipendenza, la prestazione di servizi non retribuiti o in cambio di una retribuzione chiaramente sproporzionata rispetto all’importanza dei lavori compiuti è punito con la pena di due anni di prigione e di 500000 F di ammenda. Articolo 225-14: Il fatto di sottomettere una persona, abusando della sua vulnerabilità o della sua situazione di dipendenza, a delle condizioni di lavoro o di alloggio incompatibili con la dignità umana è punito dalla reclusione di due anni di prigione e di 500000 F di ammenda.(entrambe le versione risalgono alla formulazione pre-riforma 2003) 232 Sent. C.N. et V. contre France, Jurisdata n°2012- 024813: La vicenda vede protagoniste due sorelle del Burundi, giunte in Francia nel ’94 rispettivamente all’età di 16 e 10 anni. La sorella maggiore, sotto la costante minaccia di essere rispedita in Burundi e senza aver ricevuto la minima formazione scolastica, era costretta a svolgere tutti i lavori domestici, sette giorni su sette, senza alcun riposo né retribuzione di sorta. La ragazza per altro conviveva con la convinzione di non poter sfuggire a questa tragica situazione e di non aver nessuna via d’uscita. 233 Le disposizioni imputate sono gli articoli 225-13, 225-14 del codice penale, rispettivamente riferibili, in maniera imperfetta, alle ipotesi di condotte di servitù e lavoro forzato, nella loro versione precedente all’entrata in vigore della legge del 2003. 80 presente caso era sostanzialmente lo stesso di quello vigente all’epoca della sentenza Siliadin. Potrebbe allora far tirare un sospiro di sollievo l’idea che queste condanne si riferiscano alla legislazione vigente pre-riforma del 2003, confidando proprio in quest’ultima dei passi in avanti. A ben guardare però, lo stato del diritto francese ai tempi della condanna del 2012, nonostante la riforme intervenuta in particolare con riferimento agli articoli incriminati (225-13, 225-14), era caratterizzato ancora dall’incapacità di riconoscere le vittime in quanto tali e segnato dalle profonde lacune legislative date dalla mancata integrazione nel codice dei delitti di servitù, schiavitù e lavoro forzato che continuavano a trovare una copertura del tutto imperfetta 234. 2.1. Il rapporto Greta, trampolino di lancio per la Riforma del 2013 in merito ai reati di tratta. Le leggere modifiche introdotte dalla legge del 2003 risultavano così insufficienti per un allineamento effettivo della Francia agli standard europei ed in tal senso veniva invocata a gran voce una riforma sostanziale del sistema, capace di colmare le lacune esistenti 235. La superficialità con la quale la Francia si era rapportata sino a quel momento a reati di tale gravità non era più accettabile e l’urgenza di affrontare seriamente il tema divenne improcrastinabile, specie a seguito della diffusione del rapporto reso dalla delegazione Greta sulla situazione della legislazione francese in tema di tratta messa nero su bianco nel “Rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta contro la tratta degli esseri umani”, pubblicato il 28 gennaio 2013. La delegazione Greta, istituita dalla Convenzione del Consiglio d’Europa del 2005, (vedi capitolo 3°), ha l’obiettivo di verificare l’attuazione da parte degli Stati delle misure predisposte dalla Convenzione: nel marzo 2012 ha svolto un’inchiesta conoscitiva nel territorio francese dalla quale sono scaturite una trentina di proposte atte a migliorare la lotta contro la tratta236. I risultati del Rapporto e le raccomandazioni 234 -M. XAVIERE CATTO, Etat des lieux de la lutte contre la traite des êtres humains en France, in Actualités Droits-Libertés du CREDOF, 2013. 235 L.B.LARSEN, Actualité de la Convention européenne des droits de l’homme (juillèt-december 2012), in AJDA,2013, pg.169. 236 C. FLEURIOT, Traite des etres humains: vers une nouvelle definition de l’infraction, in Dalloz, Février 2013, pg. 1. 81 segnalate dovranno essere tenute in conto dagli attori della legislazione francese e sulla base delle stesse consolidare i loro dispositivi nazionali237. Fra i vari punti esaminati dalla delegazione, quelli più consistenti e sui quali il Greta chiede alle autorità francesi d’intervenire sono inerenti ad una riformulazione ed adattamento dei concetti base e definizioni materiali delle infrazioni; mettere in atto degli strumenti adatti a permettere agli attori di identificare il fenomeno, ed infine quello di intensificare le misure di assistenza e protezione in favore delle vittime 238. In quanto al primo aspetto, il Greta esorta le autorità innanzitutto ad intervenire modificando la definizione di tratta esistente al fine di includere fra gli scopi previsti anche lo sfruttamento ai fini di lavoro o servizi forzati, di schiavitù o di pratiche analoghe alla schiavitù, di servitù e di prelievo di organi 239. Difatti, la formulazione dell’articolo 225-4-1 non offre protezione rispetto alle violazioni più gravi e diffuse dei diritti dell’uomo quali lavoro forzato, servitù o schiavitù, a meno che le stesse non abbiano un carattere sessuale. Ricorderemo come sul punto sia già intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo, che sia con la sentenza Siliadin contre France che con la C.N et V. contre France aveva sottolineato l’inadeguatezza delle disposizioni previste agli articoli 225-13 e 225-14 (applicati per il caso di specie) che << non offrono una garanzia dei diritti sanciti nell’articolo 4 della Cedu, ma si riferiscono, in maniera più restrittiva, allo sfruttamento per il lavoro ed alla sottomissione a delle condizioni di lavoro o di alloggio incompatibili con la dignità umana>>240. Difatti, se le condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla dignità umana possono sanzionare le manifestazioni di una situazione di schiavitù e servitù (ad esempio per una remunerazione inesistente o sproporzionata al lavoro fornito), queste non vanno ad incidere alla radice del problema, ossia sul fatto di esercitare su di una persona gli attributi del diritto di proprietà che ricomprende la nozione di schiavitù e la forma grave di negazione della libertà rappresentata dalla servitù241. 237 T. JAGLAND,Contre la traite des etres humains, une prise de conscience européenne, in La semaine Juridique, supplement au n°19/20, 2013, pg.3. 238 M. XAVIERE CATTO, Etat des lieux de la lutte contre la traite des êtres humains en France, op.cit., pg.2 ss. 239 C. FLEURIOT, Traite des etres humains, op. cit. pg.1. 240 Sent. 26 Luglio 2005, Siliadin c. France (ric. N. 73316/01). 241 GRETA, Rapport concernant la mise en ouvre de la Convention du Conseil de l’Europe sur la traite des etres humains par la France: Conseil d’Europe, Strasbourg, 2013, pg. 19. 82 Altro punctum dolens è il concetto di “dignità” contenuto nell’articolo 225-4-1242 e richiamato nella sentenza, in merito al quale sono sorte non poche polemiche e contestazioni. Nella specie, ciò che suscita malcontento è l’inadeguatezza del concetto di “dignità” a garantire un eguale standard di protezione per tutte le vittime, essendo questa una definizione suscettibile di differenti interpretazioni a seconda delle giurisdizioni. Altro aspetto di peculiare importanza sarà la necessità di estendere il concetto di tratta e di riferirlo non soltanto ai casi di sfruttamento sessuale, ma anche a fini di sfruttamento lavorativo (ad esempio nell’ambito dei lavori stagionali, nel settore della costruzione o di lavori domestici)243. Un’assenza che pesa molto nel diritto francese è la definizione di “sfruttamento”, concetto questo che dovrà prender forma in maniera chiara e precisa. Difatti, la nozione di tratta contenuta nella Direttiva 2011/36/UE (alla quale la Francia si riferirà nell’opera riformistica) si basa essenzialmente sulla nozione di sfruttamento: pensare in termini di sfruttamento e non di tratta permetterà alla Francia di costruire una definizione di tratta universalizzata244. Infine, si richiede non di ritenere più lo scambio di remunerazione come elemento costitutivo del reato di tratta. Al di là della necessaria riformulazione ed integrazione di concetti base e definizioni, il Greta concentra la sua attenzione anche sul tema dell’assistenza, tutela e protezione della vittima, sottolineando l’importanza di garantirne livelli adeguati ed eguali per tutti, senza discriminazioni di sorta. Punto di partenza sarà una corretta identificazione della vittima, la quale non dovrà dipendere dalla cooperazione della stessa con le autorità, ma dovrebbe essere del tutto incondizionata, poiché “il fatto che la vittima abbia commesso una infrazione sotto la pressione dei trafficanti o che la stessa si trovi in situazione irregolare sul territorio non dovrà impedire la sua identificazione”245. 242 Articolo 225-4-1: “….. di condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla sua dignità (…)”. GRETA, Rapport concernant la mise en ouvre de la Convention du Conseil de l’Europe , op. cit., pg.23. 244 M. XAVIERE CATTO, Etat des lieux de la lutte contre la traite des êtres humains en France, op.cit., pg.2 ss. 245 C. FLEURIOT, Traite des etres humains, op. cit. pg.1 243 83 Le vittime devono inoltre essere precisamente informate di tutti i loro diritti. Con specifico riferimento alla concessione del periodo di riflessione di 30 giorni, questa è una possibilità della quale le vittime devono venire tassativamente a conoscenza, ricadendo un obbligo di informazione specifico a carico delle autorità francesi, le quali dovranno intensificare il sistema d’informazione 246. Infine e con riferimento all’istituto del permesso di soggiorno, il Greta richiede alle autorità francesi di concedere il titolo in maniera omogenea su tutto il territorio, per abbattere l’alto tasso di discrezionalità che caratterizza il dispositivo francese 247. 246 GRETA, Rapport concernant la mise en ouvre de la Convention du Conseil de l’Europe sur la traite , op. cit., pg.67 ss. 247 M. XAVIERE CATTO, Etat des lieux de la lutte contre la traite des êtres humains en France, op.cit., pg.4 ss. 84 SEZIONE II. La riforma francese del 2013 in comparazione con il sistema italiano. 3. L’iter di approvazione. Dinnanzi alla necessità irrevocabile di introdurre delle modifiche al sistema francese, il Governo dell’esagono si mette al lavoro per adottare nel più breve tempo possibile una legge di riforma. Il complesso iter che porterà all’adozione della “Loi n.2013-711” in data 5 agosto 2013 ha inizio con la presentazione del progetto di legge n°736, in data 20 febbraio 2013 in Consiglio dei ministri, all’indomani della pubblicazione del Rapporto Greta sopra esaminato. Il progetto porta diverse disposizioni per adattare il campo della giustizia alle priorità imposte dal diritto dell’Unione europea, in particolare alla Direttiva 2011/36/UE e agli obblighi internazionali assunti dalla Francia. Il 15 maggio successivo, i deputati hanno adottato in prima lettura e con procedura accelerata tale progetto di legge, il cui contenuto essenziale riguarda delle modifiche al reato di tratta e la creazione delle nuove infrazioni di lavoro forzato, riduzione in schiavitù e servitù248. Tuttavia, al successivo passaggio in Senato, il 27 maggio 2013, la portata innovativa del testo viene in parte stemperata: i senatori, difatti, pur adottando il progetto di legge ne apportano delle modifiche sostanziali. Le più rilevanti sono la soppressione dell’articolo 2 bis, introdotto dai deputati, che mirava ad inserire nel codice penale il tanto agognato crimine di schiavitù e di servitù. Ciò a causa del ritardo con il quale i senatori sono stati chiamati a pronunciarsi sul tema, i quali hanno ritenuto opportuno non conservare la disposizione in esame e conferire ad un gruppo di lavoro specifico il compito di continuare una riflessione più approfondita sulla formulazione di queste fattispecie 249. Il progetto passò successivamente al vaglio di una Commissione mista paritaria, che il 25 luglio 2013 ha adottato definitivamente il Progetto di legge discusso, intervenendo sulle questioni che dividevano l’Assemblea nazionale e Senato. Innanzitutto, decide 248 C. FLEURIOT, Les députés introduisent les crimes d’esclavage et de servitude dans le code penal, in Dalloz, Mai 2013. 249 W. ROUMIER, Adoption du project de loi portant diverses dispositions d’adaptation dans le domaine de la justice en application du droit de l’Union européenne et des engagements internationaux de la France, in Revue Droit penal, Julliet 2013. 85 definitivamente sull’introduzione nel codice penale dei reati di schiavitù e servitù (scelta non condivisa e rigettata precedentemente dai Senatori). Il reato di servitù non verrà considerato come un crimine, essendo la pena massima prevista di dieci anni di prigione; stessa sorte spetta al reato di “lavoro forzato”, per il quale è prevista una pena di sette anni250. Vengono introdotte delle novità anche con riferimento ai poteri riconosciuti in capo ad Eurojust, che risulteranno rafforzati251. Nel paragrafo che segue ci preoccuperemo di analizzare nel dettaglio le novità apportate della riforma, proponendo un raffronto con la legislazione italiana, al fine di rilevare le divergenze ed i punti di contatto esistenti fra le due discipline. Il tutto verrà poi valutato nel più ampio contesto europeo, per comprendere se i due ordinamenti possano considerarsi conformi ed in linea con gli obblighi imposti dall’Unione europea, specie con riguardo all’ultima Direttiva 2011/36/UE. 3.1. Il nuovo reato di tratta. La nuova versione del reato di tratta ex articolo 225-4-1 si mostra profondamente rielaborata rispetto alle precedenti stesure del 2003 e del 2007. L’articolo viene diviso in due paragrafi, nei quali si condensano tutti gli sforzi fatti dal legislatore francese al fine di allinearsi alle disposizioni contenute nella direttiva 2011/36/UE, alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani ed infine, alle raccomandazioni del Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta252. L’elemento materiale dell’incriminazione è sostanzialmente lo stesso di quello previsto nella vecchia versione: si condanna il fatto di reclutare una persona, di trasportarla, trasferirla, darle alloggio o accoglierla a dei fini di “sfruttamento”. Per la prima volta la nozione di sfruttamento compare nel testo in maniera esplicita, ma non solo, poiché nello stesso articolo vengono chiarite ed enunciate le finalità specifiche di sfruttamento in vista delle quali la persona viene reclutata. 250 Nel diritto penale francese le infrazioni si distinguono in contravvenzioni, delitti e crimini sulla base della gravità dell’infrazione commessa. Il crimine si caratterizza per la sua sanzione, e più precisamente per la pena prevista, che è superiore a dieci anni di reclusione. 251 C. FLEURIOT, Le parlement introduit le crime de réduction en esclavage dans le code pénal, in Dalloz, Julliet 2013. 252 N. LE COZ, La repression des atteintes aux personnes dans la loi n°2013-711 du 5 aout 2013, in AJ Pénal, octobre 2013, pg. 512. 86 Alle infrazioni preesistenti già nella vecchia versione, pensiamo al prossenetismo, violenza o abusi sessuali, lo sfruttamento dell’accattonaggio, il collocamento in condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla dignità e la costrizione a commettere qualsiasi altro crimine o delitto253, vengono aggiunte cinque nuove infrazioni di sfruttamento -in linea con la direttiva del 2011, la Convenzione del 2005 ed il Protocollo di Palermo- consegnando una fattispecie legislativa di tratta decisamente più estesa. Parliamo dei casi in cui il reato di tratta miri ad uno sfruttamento da realizzarsi sotto forma di riduzione in schiavitù, sottomissione ad un lavoro o servizi forzati, riduzione in servitù, ed infine prelievo degli organi 254. In questo modo si provvede a colmare una lacuna molto forte presente nella previgente versione, la quale lasciava crudelmente impunite quelle ipotesi di tratta volte alla messa in atto di condotte di tale gravità. Il reato di tratta difatti, come precedentemente osservato, trovava applicazione principalmente nei casi di sfruttamento di tipo sessuale, lasciando scoperte tutte queste altre ipotesi che finalmente trovano una collocazione. Così, da una parte, con l’introduzione del riferimento ai lavori o servizi forzati ed alla schiavitù e servitù si dà una risposta alle condanne registrate dalla Francia da parte della Cedu; dall’altra, il riferimento al prelievo di organi pone la disposizione francese in linea con le definizioni contenute nel paragrafo 3 dell’articolo 2 della direttiva 2011/36/UE ed anche con quelle rese nell’articolo 4 della Convenzione di Varsavia ed infine, in conformità all’articolo 3 del Protocollo anti- tratta del 2000. Il fatto, inoltre, che si sia data una definizione specifica di “sfruttamento” pone fine ai molteplici dubbi che si addensavano sul significato esatto da poter attribuire al termine, individuando una lista completa ed esaustiva delle infrazioni. 253 Art. 225-4-1, versione in vigore sino al 2013:”……al fine sia di permettere la commissione ai danni di questa persona dei reati di prossenetismo, di violenza o abusi sessuali, di sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla sua dignità, sia di costringere questa persona a commettere qualsiasi crimine o delitto (…).” 254 Art. 225-4-1 Nuova versione 2013: “Lo sfruttamento menzionato nel primo comma è il fatto di mettere la vittima a sua disposizione o a disposizione di un terzo, anche non identificato, al fine sia di permettere la commissione contro la vittima delle infrazioni di prossenetismo, violenza o abusi sessuali, di riduzione in schiavitù, di sottomissione a del lavoro o servizi forzati, di riduzione in servitù, del prelievo di uno dei suoi organi, di sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di lavoro o di alloggio contrari alla sua dignità, sia di costringerla a compiere qualsiasi altro crimine o delitto (….)”. 87 Seconda importante novità è data dalla creazione di un elenco dettagliato di circostanze caratterizzanti l’incriminazione della tratta, atte per altro a provare l’assenza di consenso da parte della vittima255. L’elenco si compone di quattro circostanze, quali: “1.l’impiego di minaccia, costrizione, violenza o manovre fraudolente esercitate nei riguardi della vittima, della sua famiglia o di una persona in relazione abituale con la stessa;2.il caso in cui gli atti di reclutamento, trasporto, trasferimento, alloggio o accoglienza siano messi in atto da un ascendente legittimo, naturale o adottivo della vittima o da una persona che ha autorità sulla stessa o abusa dell’autorità conferitagli dalle sue funzioni.3. La terza ipotesi si riferisce all’abuso di una situazione di vulnerabilità dovuta all’età della vittima, ad una malattia, infermità, una disabilità fisica o mentale o da uno stato di gravidanza, apparente o noto all’autore del reato.” Nel passato, queste tre circostanze venivano considerate come “circostanze aggravanti”, aventi carattere cumulativo, e non alternativo, rispetto all’ultima ipotesi prevista attualmente dall’articolo256, vale a dire quella che si realizza “nel caso in cui si riceva una remunerazione o un qualsiasi altro vantaggio o una promessa di remunerazione o di vantaggi.”; quest’ultima veniva invece considerata come un elemento costitutivo del reato di tratta: solo l’esistenza di uno scambio di remunerazione permetteva di qualificare il fatto come reato. Questa necessaria finalità economica venne giustamente criticata dalla delegazione GRETA, in quanto assolutamente non prevista nella definizione imposta nella Convenzione antitratta del 2005. Nonostante ciò, nella nuova formulazione dell’articolo questa circostanza trova ancora spazio e viene riconfermata, questa volta in vista di un unico e strategico scopo: garantire il più possibile la repressione dei trafficanti. Ciò in quanto, se la verifica dell’esistenza delle altre circostanze risulta particolarmente complessa da stabilire, la prova di una remunerazione o di qualsiasi altro vantaggio sarà sicuramente più facile da verificare257. Il fatto comunque che si sia eliminato il riferimento ad un necessario introito economico come elemento costitutivo del reato (dato il suo nuovo carattere alternativo rispetto alle 255 Ricordiamo come l’assenza di consenso da parte della vittima sia condicio sine qua non per il realizzarsi della fattispecie, secondo gli standard europei ed internazionali. 256 Queste prime tre circostanze nella formulazione pre riforma erano previste in quanto “circostanze aggravanti” all’articolo 225-4-2. 257 N. LE COZ, La repression des atteintes aux personnes ,op.cit., pg. 513. 88 altre circostanze descritte) porterà inevitabilmente ad un’importante estensione del concetto di tratta. Un ultimo punto merita una precisazione: è evidente che la legge non stabilisca con precisione se i destinatari della remunerazione o di altri vantaggi siano i trafficanti, le vittime o persone molto vicine alle stesse. Pertanto, una tal proposta fatta alla vittima per ottenere il suo consenso potrebbe essere letta come una prova dell’abuso di una situazione di vulnerabilità economica della stessa: ma la nuova formulazione dell’articolo, poco chiara sul punto, lascia aperta alla possibilità di molteplici interpretazioni. Infine, notiamo come grazie ai principi stabiliti nella Direttiva, nella Convenzione e nel Protocollo anti-tratta, l’infrazione potrà costituirsi anche in assenza di una delle quattro circostanze previste dall’articolo in questione, nel caso in cui la vittima sia un minore degli anni diciotto258. In questo caso, difatti, il consenso prestato dalla vittima risulta del tutto superfluo, a differenza delle ipotesi in cui la stessa sia maggiorenne, ove verrà tassativamente richiesta l’assenza di consenso per qualificare la fattispecie di reato, ai sensi anche del diritto internazionale ed europeo. Dal punto di vista delle penalità previste, queste restano fissate in 7 anni di prigione e 150000 euro di ammenda, al pari di come stabilito nella precedente versione; nel caso in cui il reato venga commesso ai danni di un minore, le penalità salgono a 10 anni di carcere e 1.500.000 euro di ammenda. La medesima pena si applicherà anche nei riguardi delle vittime maggiorenni nel caso in cui il reato sia commesso in presenza di due delle circostanze previste dal 1° al 4° punto del I comma, secondo quanto stabilito nell’articolo 225-4-2. In più, lo stesso elenca sette circostanze aggravanti, riprese dal testo di legge anteriore al 2013259. 258 N. LE COZ, La repression des atteintes aux personnes ,op.cit., pg. 513. Articolo 225-4-2: L’infrazione prevista al primo comma dell’articolo 225-4-1 è punita con dieci anni di prigione e da 1.500000 euro d’ammenda nel caso in cui sia stata commessa in presenza di due delle circostanze menzionate dal 1° al 4° punto dello stesso I comma o con una delle circostanze supplementari seguenti: 1- nei riguardi di più persone; 2- nei riguardi di una persona che si trovava al di fuori del territorio della Repubblica o in arrivo sul territorio della Repubblica; 3- nel caso in cui la persona sia stata messa in contatto con l’autore dei fatti grazie all’utilizzo, per la diffusione di messaggi a destinazione di un pubblico non determinato, di una rete di comunicazione elettronica; 4- in delle circostanze che espongano direttamente la persona nei riguardi della quale l’infrazione è commessa ad un rischio immediato di morte o danno che può provocare una mutilazione o invalidità permanente; 5- con l’impiego di violenze che hanno cagionato alla vittima una incapacità totale di lavorare per più di otto giorni; 6- da una persona chiamata a partecipare, per le sue funzioni, alla lotta contro la tratta od al mantenimento 259 89 La nuova legge non interviene con delle modifiche sugli articoli successivi, e dunque con riferimento all’articolo 225-4-3 e seguenti del codice penale. La tratta commessa in una banda organizzata viene sempre punita con venti anni di reclusione criminale e con 3 milioni di euro d’ammenda e nel caso in cui il reato sia accompagnato da torture o barbarie, resta sanzionato con la pena dell’ergastolo. dell’ordine pubblico; 7- qualora il reato abbia messo la vittima in una situazione materiale o psicologica grave. 90 3.2. Il reato di tratta a confronto: legislazione italiana e legislazione francese. La nostra indagine ci spinge ora verso un raffronto fra due ordinamenti, quello italiano e quello francese, con riferimento alla formulazione legislativa del reato di tratta prescelta nei rispettivi ordinamenti. Il fine ultimo è quello di cogliere eventuali differenze ed affinità che corrono fra i due sistemi legislativi ed il grado di tutela e repressione raggiunto. Per comodità, abbiamo disposto una tabella sintetica, che ci appresteremo a commentare qui di seguito, focalizzandoci sui punti di maggior interesse. Tabella 1. Reato di Tratta di esseri umani BENE GIURIDICO TUTELATO SOGGETTI ATTIVI SOGGETTI PASSIVI ELEMENTO OGGETTIVO: la condotta. MODALITA’ SPECIFICHE DELLA CONDOTTA. Art. 601 codice penale italiano Libertà individuale. Art. 225-4-2 codice penale francese Dignità della persona umana. Chiunque (reato comune) 1. persone già ridotte in schiavitù o in servitù; 2.persona libera (da ridurre in schiavitù). Due distinte fattispecie tipiche: 1. Tratta di persone già ridotte in schiavitù o servitù. In assenza di una definizione specifica, si rimanda a quella precisata nella condotta successiva 2.Cattura a scopo schiavistico: induzione o coazione della vittima a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo interno. (condotta di tipo prodromico, punisce le condotte finalizzate allo schiavismo) Sono descritte dalla induzione ingannatoria e dalla costrizione della vittima a fare ingresso, soggiornare, trasferirsi nello Stato o uscirne. A sua volta la Chiunque (reato comune) Chiunque 91 La tratta di esseri umani ossia il reclutare, il trasportare, il trasferire, l’ospitare o accogliere persone. Vengono indicate:1.dall’uso di minaccia, coazione, violenza o manovre fraudolente nei confronti della vittima, della sua famiglia o di una persona in relazione costrizione dovrà avvenire mediante la violenza, minaccia, abuso di autorità, approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità ovvero mediante promessa o dazione di somme di danaro o di altri vantaggi alla persona che ha autorità sulla vittima. L’induzione della vittima a trasmigrare deve avvenire mediante inganno. L’induzione consiste nella persuasione non violenta a fare qualcosa, al contrario della costrizione, che è un’azione tipicamente violenta ovvero ablativa o limitativa della volontà della vittima. CONSENSO. FINALITA’ DELLA CONDOTTA. Il consenso, seppur formalmente presente, è sempre irrilevante perché invalido, in quanto si riferisce ad un bene indisponibile, quale lo status libertatis della vittima. La tratta è finalizzata alla commissione dei delitti previsti al primo comma dell’articolo 600, ossia l’esercizio di poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero la riduzione o il mantenimento di una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento. 92 abituale con la vittima; 2.il reato viene messo in atto da un’ascendente legittimo, naturale o adottivo della vittima o da una persona che ha autorità sulla stessa o abusa dell’autorità conferitagli dalle sue funzioni; 3.in presenza di un abuso di una situazione di vulnerabilità dovuta all’età della vittima, ad una malattia, infermità, una disabilità fisica o mentale o da uno stato di gravidanza, apparente o nota al colpevole; 4.- sia se realizzato in cambio o per la concessione di una remunerazione o di qualsiasi altro vantaggio o di una promessa di remunerazione o di vantaggio. Queste circostanze sono destinate a provare l’assenza di consenso da parte della vittima, condicio sine qua non per la costituzione del reato di tratta. La tratta degli esseri umani è finalizzata a dei fini di sfruttamento. Questo consiste nel fatto di mettere la vittima a disposizione dell’autore stesso o di un terzo, anche non identificato, al fine sia di permettere la commissione contro la vittima delle infrazioni di prossenetismo, violenza o abusi sessuali, di riduzione in schiavitù, di sottomissione a del lavoro o servizi forzati, di riduzione in servitù, del prelievo di uno dei suoi organi, di sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di lavoro o di alloggio contrari alla sua dignità, sia di costringerla a compiere qualsiasi altro crimine o delitto. NOZIONE DI SFRUTTAMENTO SANZIONI PREVISTE Non precisamente stabilito. Precisamente stabilito. Pena della reclusione dagli otto ai venti anni di carcere. CIRCOSTANZE AGGRAVANTI Articolo 602-ter: La pena per i reati previsti dagli articoli 600, 601 e 602 è aumentata da un terzo alla metà: a) se la persona offesa è minore degli anni diciotto; b) se i fatti sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi; c) se dal fatto deriva un grave pericolo per la vita o l'integrità fisica o psichica della persona offesa. -Se i fatti previsti dal titolo VII, capo III, del presente libro sono commessi al fine di realizzare od agevolare i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, le pene ivi previste sono aumentate da un terzo alla metà. Pena di sette anni di reclusione e di un’ammenda di 150.000 euro. Articolo 225-4-2: L’infrazione prevista al primo comma dell’articolo 225-4-1 è punita con dieci anni di prigione e 1.500000 euro d’ammenda nel caso in cui sia stata commessa in presenza di due delle circostanze menzionate dal 1° al 4° punto dello stesso I comma o con una delle circostanze supplementari seguenti: 1- nei riguardi di più persone; 2- nei riguardi di una persona che si trovava al di fuori del territorio della Repubblica o in arrivo sul territorio della Repubblica; 3nel caso in cui la persona sia stata messa in contatto con l’autore dei fatti grazie all’utilizzo, per la diffusione di messaggi a destinazione di un pubblico non determinato, di una rete di comunicazione elettronica; 4- in delle circostanze che espongano direttamente la persona nei riguardi della quale l’infrazione è commessa ad un rischio immediato di morte o danno che può provocare una mutilazione o invalidità permanente; 5- con l’impiego di violenze che hanno cagionato alla vittima una incapacità totale di lavorare per più di otto giorni; 6- da una persona chiamata a partecipare, per le sue funzioni, alla lotta contro la tratta od al mantenimento dell’ordine pubblico; 7qualora il reato abbia messo la vittima in una situazione materiale o psicologica grave. 93 REATO COMMESSO AI DANNI DI UN MINORE DEGLI ANNI 18. -La pena è aumentata da un terzo alla metà se la persona offesa è minore degli anni diciotto; -La pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni sedici -Se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni diciotto, la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso da un ascendente, dal genitore adottivo, o dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni ovvero ancora se è commesso in danno di un minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata. -La pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso mediante somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche, stupefacenti o comunque pregiudizievoli per la salute fisica o psichica del minore, ovvero se commesso nei confronti di tre o più persone. -La pena prevista è di dieci anni di reclusione e 1.500000 di ammenda. -Il reato può costituirsi anche nel caso in cui non si realizzi una delle circostanze previste dal 1° al 4° punto del primo comma dell’articolo 225-4-2. La classificazione francese del reato di tratta nel capitolo dedicato agli “oltraggi contro la dignità della persona” induce a riflettere innanzitutto sul bene giuridico che in primis si considera violato al verificarsi di episodi di tratta, vale a dire la “dignità ineliminabile della persona umana”. Il legislatore francese ha inoltre deciso di non classificare il reato in questione come un “crimine”, bensì alla stregua di un delitto, lasciando alla sola schiavitù la denominazione di “crimine”. 94 “La dignità umana” quale bene giuridico oggetto di tutela ricorre sia per il caso della tratta che della servitù, mentre si riserva una collocazione speciale nella sezione del codice dedicata agli oltraggi contro la “libertà della persona” al crimine di riduzione in schiavitù. Dunque, nonostante la tratta sia destinata a porre in essere ipotesi di sfruttamento della persona, nell’ordinamento francese sarà idonea a ledere un bene giuridico diverso rispetto al reato di schiavitù, vale a dire quello della dignità umana. Riassumendo, il legislatore francese si serve di tre articoli differenti per descrivere le fattispecie di tratta, riduzione in schiavitù e servitù, classificando nella sezione del Code Pénal dedicata ai delitti contro la dignità della persona la tratta e servitù ed in quella dedicata agli oltraggi contro la “libertà della persona” per il solo crimine di schiavitù. Non così nel nostro ordinamento, nel quale il legislatore ha riassunto in un unico articolo i delitti di schiavitù e servitù (articolo 600) e ne ha previsto uno specifico per il reato di tratta (articolo 601). Entrambi gli articoli trovano collocazione nella medesima sezione del codice dedicata ai “delitti contro la libertà individuale”: in tal modo le condotte, seppur diversificate fra loro, risulteranno idonee a ledere lo stesso bene giuridico rappresentato dalla “libertà individuale”. Per il caso specifico della tratta dunque, il legislatore italiano introducendo il reato nel capitolo dedicato ai delitti contro la “libertà individuale”, ed in particolare contro la “personalità individuale”, riconosce al verificarsi della fattispecie di tratta la negazione di un bene primario ed ineliminabile come quello della “libertà della persona umana”, a differenza dell’ordinamento francese nel quale il realizzarsi della fattispecie di tratta rappresenta un evento lesivo della dignità umana. Le prime differenze le incontriamo in relazione ai soggetti passivi, ovvero le persone che saranno vittime della condotta incriminata. Se nel diritto francese non vi sono distinzioni di sorta, potendo chiunque divenire oggetto del reato, il diritto italiano pone una distinzione fra i potenziali soggetti passivi, dettata dalla particolare struttura del reato che individua due distinte fattispecie all’interno dell’articolo 601 del codice dedicato alla tratta: la tratta e la cattura a scopo schiavistico. Da una parte, allora, 95 oggetto del reato saranno quei soggetti che versano già in condizioni di schiavitù o servitù e, dall’altra, gli uomini liberi (destinati ad essere ridotti in schiavi) 260. Per quel che riguarda l’elemento oggettivo, questo viene reso efficacemente dall’estrema chiarezza del delitto francese che si preoccupa di esplicare a chiare lettere il concetto di tratta, ricalcando fedelmente la definizione posta dall’articolo 3 del Protocollo sulla tratta degli esseri umani, definendo il reato di tratta come “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone (…)”. Altrettanta chiarezza non si concede la fattispecie italiana che, nonostante la riforma intervenuta nel 2003 con lo scopo specifico di fugare dubbi concettuali previgenti, conserva tutt’ora spazi d’indeterminatezza terminologica. Abbiamo anticipato la scelta del legislatore italiano di individuare nell’ambito dell’articolo due condotte criminose distinte, a seconda o meno che la vittima si trovi già in una condizione di schiavitù o servitù. Nel primo caso la condotta incriminata è la tratta, la quale però non trova alcuna specifica definizione nell’articolo. In assenza di una determinazione particolare, si rimanda a quella precisata nella seconda parte del medesimo articolo261, in relazione all’ipotesi in cui la vittima non versi ancora in una situazione di schiavitù 262. In questa seconda parte viene dettagliatamente descritta l’ipotesi di “cattura a scopo schiavistico”, la quale si realizza tramite l’induzione o coazione della vittima a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo interno. La dottrina maggioritaria riconduce la condotta di tratta a quest’ultima definizione. Di certo si noterà come la persistenza di dubbi in merito alla definizione chiave del reato in questione, ossia la tratta, pone l’Italia in una situazione di svantaggio rispetto alla Francia in cui, sebbene con notevole ritardo, si è provveduto all’inserimento di una fattispecie di estrema limpidezza ed in perfetta linea con gli obblighi internazionali. Per quel che concerne le modalità specifiche della condotta, seppur la Francia mostri, ancora una volta, una maggiore rigorosità e specificità nelle descrizioni fornite, la versione italiana, in parte più vaga ed approssimata, garantisce comunque una copertura 260 C. BERNASCONI, La repressione penale della tratta di esseri umani nell’ordinamento italiano, in AA.VV., La lotta alla tratta di esseri umani fra dimensione internazionale e ordinamento interno, a cura di S. FORLATI, Napoli 2013, pg.69. 261 La definizione di tratta poteva ricavarsi da un rinvio recettizio alle disposizioni internazionali che definiscono la tratta oppure la si poteva considerare come espressione sintetica ed equivalente al fenomeno più dettagliatamente descritto nella seconda parte dell’articolo; si è scelto infine di optare per questa seconda possibilità. Così F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg. 109. 262 ROSI, La tratta di persone, op. cit., pg. 57. 96 esaustiva delle modalità specifiche in cui trova realizzazione la condotta. Punto a favore per l’Italia è dato dalla specificazione, fra le varie modalità della condotta, dei destinatari dell’eventuale promessa o dazione di somme di danaro o di altri vantaggi, da indirizzarsi a chi ha autorità sulla persona. In Francia invece quella specifica modalità della condotta realizzata “in cambio o per la concessione di una remunerazione o di qualsiasi altro vantaggio o di una promessa di remunerazione o di vantaggio” non si preoccupa di individuarne i potenziali destinatari , i quali potrebbero essere i trafficanti, le vittime o persone molto vicine alle stesse. Pertanto, una tal proposta fatta alla vittima per ottenere il suo consenso, potrebbe essere tale da provare un abuso di vulnerabilità economica della stessa263. Tornando alle specifiche modalità della condotta, in ambedue le discipline si richiede l’assenza di consenso da parte della vittima: difatti, condicio sine qua non per la configurazione del reato di tratta sarà la totale assenza di approvazione da parte della stessa, mentre l’eventuale consenso risulterà irrilevante nei casi in cui la vittima sia stata sottoposta alle soggezioni e coercizioni descritte nei due articoli. Questo in conformità a quanto stabilito nel Protocol of Trafficking dell’Onu, in cui compare una specifica disposizione in merito all’irrilevanza dell’eventuale consenso prestato dalla vittima nelle ipotesi di soggezione a qualsiasi forma di coercizione 264. L’Italia non ha introdotto una specifica previsione relativa all’irrilevanza del consenso della vittima, in ragione della natura indisponibile del bene tutelato (status libertatis). Difatti, la caratterizzazione delle condotte ex articolo 601 in termini coercitivi o decettivi, ne esprime sufficientemente l’incompatibilità con ogni forma di consenso che, anche se formalmente presente, sarebbe irrilevante perché invalido, in quanto viziato od estorto265. Stesso atteggiamento da parte della Francia, che non introduce una fattispecie specifica sull’irrilevanza del consenso ma si preoccupa di elencare le modalità che ne rendono irrilevante l’eventuale presenza, innovando rispetto alla disciplina pre-riforma che ignorava l’eventualità di atti miranti a viziare il consenso. Questo si spiega in ragione del fatto che il diritto penale francese era orientato innanzitutto alla protezione della società, piuttosto che degli interessi individuali. In tal senso, qualora si fosse 263 N. LE COZ, La répression des atteintes aux personnes, op. cit., pg.513. Protocol of trafficking, articolo 3, lett.b: “Il consenso di una vittima della tratta di persone allo sfruttamento è irrilevante nei casi in cui qualsivoglia dei mezzi di cui alla lettera (a) sia stato utilizzato”. 265 F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op.cit., pg. 116. 264 97 registrato un consenso da parte della vittima, tanto sarebbe bastato per la disapplicazione del reato di tratta, senza preoccuparsi minimamente delle modalità con le quali lo stesso fosse stato ottenuto. Fortunatamente la Francia è intervenuta sul punto superando quest’impostazione retrograda, con la riforma del 2013, ed introducendo all’articolo 225-4-1 le quattro circostanze destinate a provare l’effettiva assenza di consenso della vittima266. La possibilità di sfruttamento rappresenta l’obiettivo finale della tratta di esseri umani in ambedue gli ordinamenti. La differenza si pone ancora una volta sul piano della tassatività e determinatezza: di fronte alla Francia, che enuncia chiaramente in un elenco quelle che sono le modalità specifiche nelle quali potrà trovare realizzazione lo sfruttamento, l’Italia licenzia la questione con un rinvio all’articolo 600 del codice penale, il quale viene chiamato in causa per definire le finalità della condotta. Nell’elenco contenuto all’articolo 600 c.p. vengono enunciate: la riduzione od il mantenimento della vittima in condizioni di schiavitù o servitù, ricomprendendo anche la costrizione a prestazioni lavorative o sessuali, l’accattonaggio ovvero quelle prestazioni che ne comportino comunque lo sfruttamento. Notiamo come la nozione di “sfruttamento” compare soltanto alla fine della disposizione, come formula di chiusura che resta alquanto vaga ed indeterminata e sulla quale tutt’ora non vi è unanimità di consensi circa l’effettiva portata267. Se è vero che in tal modo all’interno della nozione potranno rientrarvi le modalità più varie di sfruttamento, prediligendo una nozione estensiva della stessa 268, d’altro canto in tal modo tale nozione soffre di una forte carenza di determinatezza che potrebbe esporre la fattispecie ad una pericolosa arbitrarietà di interpretazioni da parte dei giudici. Non così per la Francia che con la sua riforma del 2013 si preoccupa di stilare un elenco preciso e completo di tutte le declinazioni possibili dello sfruttamento. V’è da dire che un risultato simile nell’ordinamento francese è di assoluta novità rispetto ad un passato recentissimo: basti pensare che il reato di tratta nella previgente versione non era in grado di fornire protezione nelle ipotesi di sfruttamento realizzato sotto forma di 266 N.LE COZ, La répression des atteintes aux personnes, op. cit., pg. 512. Così come descrivono G.CANNEVALE, C.LAZZARI, in Schiavitù e servitù nel diritto penale, op. cit.,pg. 67 “la diligente tipizzazione delle condotte punibili non deve generare illusioni: i contorni di questa ipotesi di reato sono ben lontani dallo stagliarsi con luminoso nitore nel panorama delle fattispecie incriminatrice.” 268 A.M.PECCIOLI, Prime applicazioni delle nuove norme in materia di riduzione in schiavitù: è una vera riforma? In Diritto penale e processo, n°1/2006, pg.72 ss. 267 98 riduzione in schiavitù, sottomissione ad un lavoro o servizi forzati, riduzione in servitù, ed infine prelievo degli organi269. Dunque la riforma del 2013 interviene colmando una lacuna pesantissima presente nella previgente versione, la quale lasciava crudelmente impunite quelle ipotesi di tratta volte alla messa in atto di condotte di gravità estrema 270. Le sanzioni base previste nell’ordinamento italiano e francese sono rispettivamente fissate nella reclusione che va dagli otto ai venti anni nel caso dell’Italia e nella reclusione fissata in sette anni ed un’ammenda di euro 150.000 nel caso francese. Nel medesimo articolo francese dedicato alla tratta (225-4-1), il secondo comma specifica delle penalità più severe nel caso in cui la vittima risulti essere un minore degli anni 18: in tal caso, la sanzione prevista sale a dieci anni di reclusione e 1.500.000 euro di ammenda e la fattispecie potrà realizzarsi anche nel caso in cui manchino le circostanze atte a dimostrare l’assenza di consenso da parte della vittima (circostanze queste, definite nel primo comma). Dal canto suo l’Italia prevede in un articolo ad hoc, il 602-ter del codice penale271 delle circostanze aggravanti per il caso specifico in cui la vittima risulti essere un minore degli anni 18, con un aumento di pena che oscilla da un terzo alla metà della stessa 272. L’ulteriore aggravio di pena che giunge dalla metà sino ai due terzi della sanzione stabilita viene applicata nel caso in cui il fatto sia commesso nei riguardi di un minore degli anni 16, o qualora la vittima sia comunque minore dei 18 anni, ma il fatto sia realizzato: da un ascendente, dal genitore adottivo, dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, 269 Ricordiamo di come la Francia venne condannata per ben due volte dalla CEDU a causa della mancata incriminazione degli atti di schiavitù, servitù o di lavoro forzato e per l’assenza di un sistema capace di punire gli autori in maniera effettiva. 270 Così, da una parte, con l’introduzione del riferimento ai lavori o servizi forzati ed alla schiavitù e servitù si dà una risposta alle condanne registrate dalla Francia da parte della Cedu; dall’altra, il riferimento al prelievo di organi pone la disposizione francese in linea con le definizioni contenute nel paragrafo 3 dell’articolo 2 della direttiva 2011/36/UE ed anche con quelle rese nell’articolo 4 della Convenzione di Varsavia ed infine, in conformità all’articolo 3 del Protocollo anti- tratta del 2000.Il fatto inoltre che si sia data una definizione specifica di “sfruttamento” pone fine ai molteplici dubbi che si addensavano sul significato esatto da poter attribuire al termine, individuando una lista completa ed esaustiva delle infrazioni. 271 L’articolo è stato introdotto dalla Legge 2 Luglio 2010, n.108 che ha provveduto ad eliminare il terzo comma degli articoli 600 e 601 del codice penale (descrivevano tre ipotesi di circostanze aggravanti) ed ha introdotto il nuovo articolo 602-ter.L’articolo è stato ulteriormente integrato dalla Legge 01.10.2012, n. 172. 272 Tale aggravante è frutto dell’intervento legislativo ad opera della Lg. 2 Luglio 2010, n.108, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno. (10G0131), in G.U. N.163 del 15 Luglio 2010 . 99 dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni ovvero se è commesso in danno di un minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata. L’aumento della pena dalla metà ai due terzi si registra infine nel caso in cui il fatto venga commesso mediante somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche, stupefacenti o comunque pregiudizievoli per la salute fisica o psichica del minore ovvero se viene commesso nei confronti di tre o più persone273. Pertanto , con riferimento ai casi in cui il reato si consumi a danno dei minori, l’Italia offre una maggiore rigidità sanzionatoria, con la previsione di pene più aspre rispetto a quelle francesi, fissate in dieci anni di detenzione; difatti, la pena base prevista, che oscilla dagli otto ai venti anni di reclusione, come già osservato, potrebbe subire un aumento da un terzo alla metà della stessa o anche spingendosi dalla metà ai due terzi, superando in tutti i casi i 10 anni previsti dal legislatore francese. Per contro però, l’ordinamento italiano è del tutto sprovvisto della previsione di una sanzione di tipo pecuniaria, fissata nell’articolo francese in 1.500.000 euro di ammenda. Tornando al codice francese, oltre alla circostanza aggravante prevista nel caso in cui la vittima risulti essere minore degli anni 18, un articolo ad hoc ( il 225-4-2) raccoglie circostanze aggravanti ulteriori, al verificarsi delle quali la pena da applicare si innalzerà a dieci anni di prigione e 1.500.000 euro di ammenda274. Da sottolineare come fra queste, la Francia ricomprenda la particolare ipotesi in cui la tratta abbia ad oggetto una persona che al momento del verificarsi dell’evento lesivo si trovasse al di fuori del territorio francese, prescrivendo al contrario la pena semplice nel caso in cui la persona fosse già sul territorio francese. L’aggravante idonea a far sorgere un inasprimento della pena sarà così l’eventuale “dimensione esterna” del reato di tratta, attribuendo maggiore gravità al fatto di reato qualora lo stesso mostri una connotazione di tipo “immigratoria”. Distinzioni di tal tipo sono del tutto estranee alla logica seguita dal legislatore italiano che, al contrario, non prevede alcuna distinzione sulla base del luogo 273 Le suddette circostanze aggravanti previste per l’ipotesi in cui la vittima sia un minore sono frutto dell’ulteriore integrazione legislativa avutasi ad opera della Legge 01.10.2012, n. 172, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno, in G.U. 08.10.2012, n. 235. 274 Vedi articolo 225-4-2. 100 in cui la condotta si realizza, slegandosi totalmente dalla dimensione territoriale del fatto. Al di fuori dei casi specifici in cui la vittima risulti essere minore degli anni 18, il legislatore italiano dispone un inasprimento della pena per il caso in cui i fatti risultino diretti allo sfruttamento della prostituzione o al prelievo degli organi, ipotesi queste soggette nel diritto francese alla pena base e ricomprese tra le finalità specifiche della condotta incriminata. L’Italia si distingue infine per aver inserito come ulteriore circostanza aggravante il caso in cui i delitti relativi alla falsità in atti vengano commessi al fine di agevolare o commettere il delitto di tratta: una disposizione di tal tipo è del tutto assente nell'ambito del diritto francese275. Anche la Francia dal canto suo però schiera una serie d’ipotesi aggravanti che non vengono contemplate nell’ordinamento italiano: si pensi al caso al quale si accennava prima, ossia qualora il reato venga commesso nei riguardi di una persona che si trovava fuori dal territorio francese; o qualora si faccia uso di internet come mezzo per reclutare la vittima; ancora si annovera l’esposizione della vittima ad un rischio immediato di morte o danno in grado di provocare una mutilazione o invalidità permanente, o qualora la condotta sia stata posta in essere da una persona chiamata a partecipare, per le sue funzioni, alla lotta contro la tratta o al mantenimento dell’ordine pubblico 276 ed infine l’ipotesi in cui, a causa dell’utilizzo di violenza sia stata cagionata alla vittima una incapacità totale di lavorare per più di otto giorni. Unico punto d’accordo fra i due ordinamenti si rintraccia in relazione al caso in cui il reato abbia messo la vittima in una situazione materiale o psicologica grave . Pertanto si vedrà come, se da un lato l’ordinamento italiano è particolarmente attento alle ipotesi in cui la vittima sia minorenne -disponendo un’ampia schiera di ipotesi atte ad inasprire la pena prevista- dall’altro, l’ordinamento francese si mostra più completo sulle aggravanti generali, applicabili indipendentemente dalla maggiore o minore età della vittima. V’è da osservare però che le circostanze aggravanti predisposte dal legislatore italiano si dimostrano ai fatti più rigide rispetto a quelle previste nel diritto francese; a 275 Articolo 602-ter: Se i fatti previsti dal titolo VII (Dei delitti contro la fede pubblica), capo III, (Della falsità in atti, articoli da 476 al 493-bis) sono commessi al fine di realizzare o agevolare i delitti di cui agli articoli 600, 601, 602, le pene ivi previste sono aumentate da un terzo alla metà. 276 Ipotesi questa prevista nel diritto italiano come circostanza aggravante ma solo nel caso in cui la vittima risulti essere un minore degli anni 18. 101 riconferma di ciò, l’ultimo comma dell’art. 602 ter deroga alla regola generale del concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti previsto al comma 2 art. 69 c.p. ed ad un giudizio di bilanciamento di circostanze lasciato al giudice penale viene sostituita una prevalenza ex lege delle aggravanti indicate nella sezione dedicata ai delitti contro la personalità individuale. La conseguenza è che la rigidità sanzionatoria che appare maggiore nel diritto penale italiano rispetto a quello francese si appalesa come reale, perché il trattamento penale non è influenzato dalle possibili circostanze attenuanti, ad eccezione del contributo di minima importanza nell’ambito del concorso di persone (114 c.p.) e della diminuzione di pena per i soggetti agenti minori secondo la disciplina dell’art. 98 c.p In conclusione , al d là delle circostanze aggravanti, non si potrà fare a meno di invocare una maggiore chiarezza per la fattispecie italiana che posta a raffronto con il diritto francese lascia ancora aperti spazi di indeterminatezza e di forte ambiguità, inammissibili in riferimento a reati di tal portata e gravità. Non bisogna dimenticarsi del fatto che il reato di tratta ha fatto il suo ingresso nel codice penale italiano nel 2003, con una formulazione decisamente avanzata per i tempi; tuttavia, per evitare che un’avanguardia si trasformi con il passar del tempo in retroguardia, sarà necessario intervenire con delle riforme al più presto. 3.3. La Francia introduce i nuovi reati di schiavitù, servitù e lavoro forzato. Abbiamo visto come il legislatore francese abbia provveduto ad un profondo restyling del reato di tratta. Fra le tante, una novità molto importante è rappresentata dall’inserimento tra le modalità specifiche di sfruttamento, quella della riduzione in schiavitù, servitù e lavoro forzato. Tuttavia il codice francese risultava del tutto sprovvisto di disposizioni atte a descrivere tali fattispecie, rendendo così inevitabile un intervento parallelo nel codice al fine di chiarire in disposizioni autonome il contenuto esatto di tali condotte. Basti ricordare con riferimento al reato di schiavitù che, nonostante l’adesione della Francia alle convenzioni del 1926 e del 1956 (le quali vietavano tutte le forme di schiavitù), sino a quel momento non vi era traccia alcuna nel codice. Mancava difatti un’infrazione ad hoc che permettesse la condanna dell’esercizio di alcuni attributi del 102 diritto di proprietà su di una persona, a meno che questi comportamenti non s’inscrivessero in un contesto particolare, vale a dire quello nel quale vengono commessi i crimini contro l’umanità (ex articolo 212-1 del codice penale)277. All’occasione della riforma del 2013, il legislatore crea così 3 nuove fattispecie, con l’obiettivo di definire e reprimere in maniera autonoma le condotte di schiavitù, servitù e lavoro forzato. L’intervento riformatore si pone per altro anche in risposta alle due condanne incassate dalla Francia da parte della Cedu (vedi paragrafo 2), le quali lamentavano l’inadeguatezza delle incriminazioni previste in merito alle condizioni di lavoro e di alloggio contrarie alla dignità umana ed il mancato rispetto degli obblighi posti dall’articolo 4 della CEDU, che incriminava le condotte di schiavitù, servitù e lavoro forzato278. La profonda lacuna dettata dall’assenza di un crimine di schiavitù viene finalmente colmata dall’introduzione dell’articolo 224-1 A del codice penale, che in perfetta linea con gli obblighi imposti dal diritto internazionale sanziona , per la prima volta nell’esperienza francese, la condotta di riduzione in schiavitù come “il fatto di esercitare nei riguardi di una persona uno degli attributi del diritto di proprietà”279, formula ripresa dalla Convenzione del 1926. Non viene ulteriormente chiarita la nozione di “diritto di proprietà”, essendo rinvenibile ed ampliamente esplicata nella definizione dettata dal diritto civile, per cui “un proprietario ha la facoltà di disporre dei suoi beni e dei suoi frutti, trasformarli, separarsene o distruggerli”. Queste stesse condotte, che possono essere crudelmente messe in atto su di una persona, diventano inaccettabili e finalmente perseguibili dal diritto penale francese, seppur con un ritardo davvero inspiegabile. La pena prevista sarà quella di 20 anni di reclusione carceraria. Tuttavia il legislatore non si è fermato qui introducendo all’articolo successivo, il 2241-B, il concetto di sfruttamento di una persona ridotta in schiavitù. Esso consisterà nel fatto di “commettere nei riguardi di una persona di cui lo stato di schiavitù sia apparente o conosciuto all’autore, una violenza sessuale, sequestrarla o sottometterla a lavori forzati o servizi forzati”280. Con la disposizione in esame si mira ad assicurare una copertura completa alla vittima di un reato così atroce, anche in quei casi specifici 277 J. VERNIER, La traite et l’exploitation, op. cit., pg.71. A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010: il divieto di schiavitù e del lavoro forzato, in Diritto penale contemporaneo, 2011, pg.253. 279 Articolo 224-1-A, code pénal. 280 Articolo 224-1-B, Code pénal. 278 103 in cui la persona versi già in una situazione di schiavitù e proprio in virtù di questo, venga ulteriormente sfruttata dai suoi aguzzini nei modi descritti. La pena prevista è ancora fissata in 20 anni di carcere. Completa le disposizioni in esame l’articolo successivo 224-1-C, il quale introduce delle circostanze aggravanti atte ad innalzare la pena a trent’anni di reclusione. Ciò si potrà verificare nei casi in cui il reato di riduzione in schiavitù o lo sfruttamento di una persona ridotta in schiavitù trovino attuazione in speciali condizioni, precisamente elencate nell’articolo281. Altra grande mancanza nel codice penale francese, come anticipato, era la previsione di una disposizione che sanzionasse il reato di riduzione in servitù. Omissione denunciata e condannata duramente in due occasioni dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, di fronte alle quali la Francia non poteva più permettersi di tacere o d’ignorare una situazione di tale arretratezza legislativa. Il concetto di servitù viene in prima battuta chiarito nella sentenza Siliadin contre France, in cui si afferma che “lo stesso consiste in una forma di negazione della libertà particolarmente grave, e si caratterizza dall’obbligo, imposto con mezzi coercitivi, di fornire a taluno un determinato servizio, cui si accompagnano una notevole restrizione della libertà personale e la sottoposizione a forme penetranti di controllo” 282. Tuttavia in tale definizione i contorni della figura apparivano particolarmente sfumati: difatti era possibile individuare un parziale ambito di sovrapposizione tra il servizio oggetto dell’obbligo in cui si sostanzia la servitù e quello oggetto del divieto di lavoro forzato283. A porre fine a queste incertezze ci pensò la sentenza successiva, la C.N. et V. contre France, sempre emanata dalla Cedu. Qui viene dettato un criterio specifico atto a distinguere la servitù rispetto al lavoro forzato obbligatorio: l’elemento fondamentale che distingue le due condotte è dato dal sentimento delle vittime, che nel caso della servitù è contraddistinto dalla convinzione che la propria condizione sia immutabile, e 281 Articolo 224-1-C: “(….) 1. nei riguardi di un minore;2.nei riguardi di una persona la cui vulnerabilità, dovuta all’età della vittima, ad una malattia, infermità, una disabilità fisica o mentale o da uno stato di gravidanza, apparente o nota al colpevole; 3. da un’ascendente legittimo, naturale o adottivo della vittima o da una persona che ha autorità sulla stessa o abusa dell’autorità conferitagli dalle sue funzioni;4. da una persona chiamata a partecipare, per le sue funzioni, alla lotta contro la schiavitù od al mantenimento dell’ordine pubblico; 5. Qualora il crimine sia preceduto o accompagnato da torture o barbarie 282 Sent. 26 Luglio 2005, Siliadin c. France (ric. N. 73316/01) 283 A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo, pg.249, op. cit.. 104 nient’affatto suscettibile di evoluzione alcuna. Pertanto la servitù dovrà considerarsi come una specifica forma di “lavoro forzato o obbligatorio”, altrimenti detto “lavoro forzato o obbligatorio aggravato”284. Il legislatore francese non poteva che partire da queste preziose indicazioni fornite dalla Cedu per introdurre e sviluppare le due nuove fattispecie di servitù e lavoro forzato, rispettivamente agli articoli 225-14-2 e 225-14-1. La servitù viene definita come il fatto di far subire ad una persona, la cui vulnerabilità o dipendenza siano apparenti o conosciuti all’autore ed in maniera abituale, le infrazioni previste all’articolo 225-14-1, sarebbe a dire la fattispecie di lavoro forzato. Le pene previste sono di dieci anni di carcerazione e 300.000 euro di ammenda. Dal canto suo, l’articolo 225-14-1, rubricato sotto la denominazione di “lavoro forzato” e richiamato dall’articolo sulla riduzione in servitù, finalmente fa la sua comparsa nel codice colmando una lacuna oramai storica, risalente addirittura all’adesione della Francia alla Convenzione n.29 sul lavoro forzato del 1937 ed ad ulteriori trattati siglati successivamente. La fattispecie viene descritta come “il fatto di costringere una persona ad effettuare un lavoro senza retribuzione o in cambio di una retribuzione palesemente sproporzionata all’importanza del lavoro posto in essere, con l’uso peraltro di violenza o minaccia.” Dieci anni di carcerazione e 200.000 euro di ammenda sono le pene stabilite. Si noti come, in ossequio alle indicazioni fornite dalla Cedu, le due condotte, apparentemente sovrapponibili, trovino l’elemento di distinzione nella particolare condizione di vulnerabilità in cui versi la vittima e nella convinzione della stessa dell’impossibilità di veder evolvere la propria terribile situazione. 3.4. Reati di schiavitù e servitù a confronto: legislazione italiana e francese. Così come precedentemente fatto per il reato di tratta introdotto dalla riforma legislativa francese, ci apprestiamo ad un’analisi comparata fra l’ordinamento italiano e quello francese in merito ai reati di riduzione in schiavitù e servitù, sistemando in una tabella le due fattispecie e riservandoci un commento sugli aspetti più interessanti individuati nelle due discipline. 284 COUR EUROPEENNE DES DROITS DE L’HOMME, Guide sur l’article 4, op.cit., pg.6. 105 Tabella 2. Reato di Schiavitù. Reato di schiavitù BENE GIURIDICO TUTELATO SOGGETTI ATTIVI SOGGETTI PASSIVI ELEMENTO OGGETTIVO: la condotta. MODALITA’ SPECIFICHE DELLA CONDOTTA SANZIONI PREVISTE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI REATO COMMESSO AI DANNI DI UN MINORE DEGLI ANNI 18. Art. 600- Riduzione o mantenimento in schiavitù Personalità individuale. Art. 224-1 A- La réduction en esclavage Status libertatis Chiunque (reato comune) Chiunque La riduzione o il mantenimento in schiavitù consiste nell’esercizio su di una persona dei poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà. Non richieste (reato a forma libera) Reclusione dagli otto ai venti anni. Articoli 602-ter:La pena prevista è aumentata da un terzo alla metà: (…) b) se i fatti sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi; c) se dal fatto deriva un grave pericolo per la vita o l'integrità fisica o psichica della persona offesa. -Se i fatti previsti dal titolo VII, capo III, del presente libro sono commessi al fine di realizzare od agevolare i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, le pene ivi previste sono aumentate da un terzo alla metà. Chiunque Chiunque La riduzione in schiavitù è il fatto di esercitare nei riguardi di una persona uno degli attributi del diritto di proprietà. N.b. no mantenimento. Non richieste (reato a forma libera) Reclusione di 20 anni. Articolo 602-ter: La pena per i reati previsti dagli articoli 600, 601 e 602 è aumentata da un terzo alla Il crimine di riduzione in schiavitù viene punito con 30 anni di reclusione nel caso in cui il reato sia commesso: 106 Previsione di un articolo ad hoc, 224-1 C: Il crimine di riduzione in schiavitù viene punito con 30 anni di reclusione nel caso in cui il reato sia commesso: (…)2.nei riguardi di una persona la cui vulnerabilità, dovuta all’età della vittima, ad una malattia, infermità, una disabilità fisica o mentale o da uno stato di gravidanza, apparente o nota al colpevole; 3. da un’ascendente legittimo, naturale o adottivo della vittima o da una persona che ha autorità sulla stessa o abusa dell’autorità conferitagli dalle sue funzioni;4. da una persona chiamata a partecipare, per le sue funzioni, alla lotta contro la schiavitù od al mantenimento dell’ordine pubblico; 5. Qualora il crimine sia preceduto o accompagnato da torture o barbarie metà: a) se la persona offesa è minore degli anni diciotto; -La pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni sedici -Se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni diciotto, la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso da un ascendente, dal genitore adottivo, o dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni ovvero ancora se è commesso in danno di un minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata. - La pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso mediante somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche, stupefacenti o comunque pregiudizievoli per la salute fisica o psichica del minore, ovvero se è commesso nei confronti di tre o più persone. 1. nei riguardi minore;(…). di un Per la descrizione dei reati di schiavitù e servitù sarà necessario l’uso di due tabelle: difatti, mentre il legislatore italiano ha accorpato in un unico articolo (il 600 c.p.) le due condotte, non così per quello francese che ha inteso creare due articoli distinti per le rispettive fattispecie, collocati peraltro in sezioni differenti del codice penale. Il delitto di schiavitù trova posto nel capitolo del codice francese destinato agli “oltraggi contro la 107 libertà della persona”, mentre il reato di servitù viene inserito nel capitolo degli “oltraggi contro la dignità”, quasi a voler sottolineare il carattere assoluto di negazione della libertà associato al delitto di schiavitù a differenza della servitù, in cui residuano degli spazi di libertà in capo alla vittima. Il nostro ordinamento al contrario, opta per una medesima qualificazione dei due delitti ponendoli entrambi nella sezione dei “delitti contro la libertà personale”. Il centro gravitazionale della fattispecie criminale della riduzione in schiavitù, viene individuato, in entrambi gli ordinamenti, “nell’esercizio su di un essere umano, dei poteri inerenti alla proprietà”. Se la formulazione francese non lascia spazio a dubbi, in quanto si fa letteralmente riferimento all’esercizio di uno qualsiasi degli attributi del diritto di proprietà, la fattispecie italiana pone qualche dubbio in più, in quanto la sua interpretazione letterale indurrebbe a far riferimento all’esercizio del solo diritto di proprietà. Ma questa conclusione si scontra inevitabilmente con le indicazioni rinvenibili nel variegato universo di fonti normative intervenute a disciplinare la materia, che orientano l’interprete verso l’opzione estensiva, in virtù della quale, al fine dell’instaurazione della condotta criminosa in questione, il soggetto attivo potrà comportarsi sia come titolare di un diritto di proprietà, sia come titolare di un qualsiasi altro diritto reale nei confronti della vittima 285. Una precisazione merita la dicitura del titolo di reato, diversa per i due ordinamenti: riduzione e mantenimento in schiavitù per l’Italia ed il solo riferimento alla riduzione (in schiavitù) nel caso francese. Il fatto che il legislatore italiano abbia deciso di tipizzare anche la condotta di mantenimento (oltre a quella di riduzione di un soggetto in schiavitù)- riferendosi così ad un comportamento che determina il permanere della condizione servile- si spiega nella volontà d’integrare gli estremi della fattispecie non solo con riferimento all’atto di privazione della libertà ma anche in relazione all’esercizio di un potere corrispondente al diritto di proprietà su di una persona già da altri resa schiava286: in tal modo, l’espressa incriminazione del “mantenimento in condizioni servili”, che potrebbe apparire pleonastica, in verità si mostra utile con 285 V.MUSACCHIO, La nuova normativa penale contro la riduzione in schiavitù e la tratta di persone (L.11 Agosto 2003, n°228) in Giurisprudenza italiana, 2004 n°3, pg. 2448 286 F. RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg. 48. 108 riguardo alle condotte lesive ulteriori che la vittima, già ridotta nello stato di schiavitù, potrebbe subire da soggetti diversi dal suo primo aguzzino 287. La risposta che invece viene offerta dalla Francia, con riferimento a tale genere di situazioni, è contenuta in un articolo realizzato ad hoc e relativo al reato di “sfruttamento di persone (già) ridotte in schiavitù”288, concepito in occasione della riforma del 2013. Potremmo così rinvenire un omologo del reato di “mantenimento in schiavitù” del diritto italiano nel reato specifico di sfruttamento della persona ridotta in schiavitù (articolo 224-1-B code pénal). Con la differenza che, nell’ordinamento francese, viene ulteriormente delimitato il concetto di sfruttamento di una persona ridotta in schiavitù, tipizzando il contenuto dello stesso nell’aggressione sessuale, nel sequestro o nella sottomissione della vittima a lavori forzati o servizi forzati. Nonostante l’estrema chiarezza e tassatività della fattispecie, questa novella pone qualche dubbio: l’elencazione specifica delle modalità con le quali potrà realizzarsi lo sfruttamento difatti rischia di limitare il concetto stesso di “sfruttamento della persona ridotta in schiavitù” e di escludere dal penalmente perseguibile eventuali altre condotte non citate nell’elenco ( si pensi all’accattonaggio, al prelievo di organi etc…) Pertanto, probabilmente la formula del legislatore italiano, seppur maggiormente evasiva, è capace di assicurare maggiori garanzie di tutela da particolari forme di aggressione al bene giuridico tutelato. Trattandosi in entrambi i casi di un reato a forma libera, non vengono richieste modalità specifiche della condotta; in quanto alla penalità prevista, la Francia statuisce in maniera incontrovertibile la pena di venti anni di reclusione, mentre l’Italia nel fissare le sanzioni si mantiene cauta (troppo), con la previsione di una pena oscillante tra gli otto e i venti anni di carcere. L’eventualità che responsabili di reati così atroci possano essere puniti con la pena minima prevista in otto anni di reclusione di certo non è un punto a nostro favore e sul quale il nostro Paese è chiamato ad intervenire, se non altro per la necessità di allinearsi con le direttive europee sul tema che chiedono all’Italia d’inasprire le sanzioni. 287 A.M PECCIOLI, Commento alla legge 11 agosto 2003, n. 228, op. cit., pg 38.. Articolo 224-1 B Code pénal: “Lo sfruttamento di una persona ridotta in schiavitù è il fatto di commettere nei riguardi di una persona la cui riduzione in schiavitù risulti apparente o conosciuta all’autore una violenza sessuale, sequestrarla o sottometterla a lavoro forzato o servizi forzati.” 288 109 Infine, direzioni completamente diverse sono state intraprese dai due legislatori in tema di circostanze aggravanti. Per quel che concerne l’ordinamento italiano si rimanda a quanto osservato sopra in relazione al reato di tratta con riferimento all’articolo 602-ter del codice penale, il quale disciplina anche le circostanze aggravanti relative alla fattispecie della schiavitù. Discorso diverso per la Francia, che introduce un articolo specifico (224-1-C), nel quale si occupa di fissare una lista di circostanze aggravanti valide sia per il reato di riduzione in schiavitù (224-1 A), sia per il reato che definisce lo sfruttamento di una persona già ridotta in schiavitù (224-1 B)289. Anche in questo caso (come per il reato di tratta), viene prevista una formula generale per l’ipotesi in cui il reato abbia ad oggetto un minore degli anni 18: si rinuncia ad ulteriori specificazioni, con la previsione di un inasprimento della pena che sale a 30 anni, da applicarsi in qualsiasi caso si trovi coinvolto un minore290. Ed a proposito di sanzioni, in questo caso la differenza fra l’Italia e la Francia diviene davvero notevole: di fronte alla disciplina francese, che nel caso di circostanze aggravanti fissa i 30 anni di reclusione certi, il sistema predisposto dall’Italia, con una pena che oscilla dagli 8 ai 20 anni di reclusione, potrebbe non essere in grado di porre le medesime garanzie. Difatti (come già osservato in merito alla sanzione base) qualora si dovesse applicare la sanzione minima prevista, pari agli otto anni, l’autore di condotte così gravi, nonostante l’eventuale presenza di circostanze aggravanti, potrebbe essere punito con sanzioni irrisorie e decisamente sproporzionate alla gravità del fatto commesso, specie se paragonate ai 30 anni imposti dalla Francia. Anche in questo caso dunque, l’ordinamento francese si distingue per la previsione di una durata della pena assolutamente certa nella sua rigidità e durata, contrariamente al sistema italiano che si mostra alquanto vago ed indeterminato e potenzialmente non all’altezza della gravità dei fatti imputati. 289 Articolo 224-1-C: “Il crimine di riduzione in schiavitù viene punito con 30 anni di reclusione nel caso in cui il reato sia commesso:1. nei riguardi di un minore;2.nei riguardi di una persona la cui vulnerabilità, dovuta all’età della vittima, ad una malattia, infermità, una disabilità fisica o mentale o da uno stato di gravidanza, apparente o nota al colpevole; 3. da un’ascendente legittimo, naturale o adottivo della vittima o da una persona che ha autorità sulla stessa o abusa dell’autorità conferitagli dalle sue funzioni;4. da una persona chiamata a partecipare, per le sue funzioni, alla lotta contro la schiavitù od al mantenimento dell’ordine pubblico; 5. Qualora il crimine sia preceduto o accompagnato da torture o barbarie.” 290 Articolo 224-1-C: Il crimine di riduzione in schiavitù viene punito con 30 anni di reclusione nel caso in cui il reato sia commesso: nei riguardi di un minore (…). 110 3.5. Reato di Servitù a confronto: legislazione italiana e francese Tabella 3. Reato di servitù. BENE GIURIDICO TUTELATO SOGGETTO ATTIVO SOGGETTO PASSIVO ELEMENTO OGGETTIVO: la condotta. SFRUTTAMENTO MODALITA’ SPECIFICHE DELLA CONDOTTA. SANZIONI PREVISTE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI Art. 600 c.p. : Riduzione o mantenimento in servitù. Personalità individuale. Chiunque. Chiunque. Ridurre o mantenere una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento. Menzionato nella norma ma non precisamente specificato, lascia problemi esegetici. -La soggezione deve essere continuativa, presentare il carattere dell’abitualità. -Fattispecie a forma vincolata: la condotta deve essere attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di danaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona. La reclusione dagli otto ai venti anni. Articolo 602-ter: La pena per i reati previsti dagli articoli 600, 601 e 602 è aumentata da un terzo alla metà: (…) b) se i fatti sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi; 111 Art. 225-14-2: La réduction en servitude. Dignità inviolabile della persona. Chiunque. Chiunque. La riduzione in servitù è il fatto di far subire ad una persona, in maniera abituale, il lavoro forzato, ossia costringerla a compiere un lavoro senza retribuzione o in cambio di una retribuzione palesemente sproporzionata rispetto alla prestazione resa. Non menzionato. -Viene richiesta l’abitualità della condotta. -È previsto l’uso di violenza o minaccia; -la vittima deve versare in uno stato di dipendenza o vulnerabilità che risultino apparenti o conosciuti all’autore. Dieci anni di detenzione e 300.000 euro di ammenda. Previsione di un articolo ad hoc, Art. 225-15: 1. per il caso in cui l’infrazione sia commessa nei riguardi di più persone: pena della reclusione di 15 anni e 400.000 euro di ammenda; (….) c) se dal fatto deriva un grave pericolo per la vita o l'integrità fisica o psichica della persona offesa. -Se i fatti previsti dal titolo VII, capo III, del presente libro sono commessi al fine di realizzare od agevolare i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, le pene ivi previste sono aumentate da un terzo alla metà. REATO COMMESSO AI DANNI DI UN MINORE DI ANNI 18. Articolo 602-ter: -La pena per i reati previsti dagli articoli 600, 601 e 602 è aumentata da un terzo alla metà: a) se la persona offesa è minore degli anni diciotto; -La pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni sedici -Se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni diciotto, la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso da un ascendente, dal genitore adottivo, o dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni ovvero ancora se è commesso in danno di un minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata. - La pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso mediante somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche, 112 Previsione di un articolo ad hoc, Art. 225-15: 2. la vittima sia un minore degli anni 18: reclusione di 15 anni e 400.000 euro di ammenda; 3.per il caso in cui sia commessa nei riguardi di più persone fra le quali vi sono diversi minori: reclusione di 20 anni e 500.000 euro di ammenda. stupefacenti o comunque pregiudizievoli per la salute fisica o psichica del minore, ovvero se è commesso nei confronti di tre o più persone. La prima rilevante differenza fra i due ordinamenti la s’incontra in relazione al bene giuridico oggetto di tutela. La Francia considera la servitù come un delitto che lede innanzitutto la dignità della persona (al pari del reato di tratta), deduzione questa ispirata dalla particolare collocazione del reato nel codice penale francese, nel capitolo dedicato agli “oltraggi contro la dignità della persona” ( a differenza del crimine di riduzione in schiavitù, classificato nel capitolo dei “delitti contro la libertà”). Il delitto di servitù “italiano”, invece, occupa il medesimo posto riservato al reato di schiavitù, essendo le due fattispecie previste nel medesimo articolo (6oo c.p., per l’appunto) e trovandosi ovviamente nella medesima sezione del codice, quella dedicata ai “delitti contro la libertà personale”. La diversa collocazione del reato nei codici francese ed italiano può trovar causa nella distante concezione che i due ordinamenti mostrano in merito al concetto di servitù. Difatti, compiendo un raffronto circa la condotta descritta nei due articoli, nel codice italiano emerge un concetto di servitù decisamente più esteso rispetto a quello francese. Innanzitutto, anche in questo caso, si fa riferimento non solo alla possibilità di riduzione in servitù, ma anche alla condotta di mantenimento, trovando motivo nelle stesse ragioni che indussero ad introdurre tale distinzione nel delitto di schiavitù. In secondo luogo, la maggiore estensione del concetto di servitù rispetto al diritto francese la si evince dalle numerose tipologie di sfruttamento alle quali può essere orientata la condotta incriminata. Ci riferiamo alla costrizione della vittima a fornire prestazioni lavorative, sessuali, all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento, clausola aperta e dal significato ancora incerto che ha dato vita ad ampi dibattiti dottrinali, dei quali ci siamo precedentemente occupati con riferimento al reato di tratta. Dalla formulazione esaminata deriva, dunque, la possibilità di perseguire le più svariate forme di sfruttamento derivanti dalla riduzione in servitù, possibilità resa per altro anche dalla formula di chiusura, decisamente evasiva. Il diritto penale francese dal canto suo, concepisce la riduzione (e non il mantenimento) in servitù esclusivamente in relazione ad uno sfruttamento della persona di tipo 113 lavorativo: difatti la condotta di reato viene descritta dalla costrizione della vittima a compiere in maniera abituale un lavoro forzato oppure un lavoro non pagato o pagato in maniera sproporzionata rispetto alla prestazione resa; delle altre finalità di sfruttamento elencate nella norma italiana non v’è traccia nella condotta esaminata. Ciò in quanto la Francia, nella stesura della norma, si è ispirata al concetto di servitù formulato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nelle due già citate sentenza Siliadin contre France e C.N. e V. contre France; in quest’ultima si legge a chiare lettere la definizione prescelta dalla Corte europea per il reato di servitù, considerato come una specifica forma di “lavoro forzato o obbligatorio”, altrimenti detto “lavoro forzato o obbligatorio aggravato”, caratterizzato dal sentimento della vittima di impotenza e totale soggezione e dalla convinzione dell’impossibilità di mutare o far evolvere la propria condizione 291. In ragione di ciò, l’Italia si trova decisamente fuori dagli standard e dalla definizione proposta in sede francese (ma prima ancora europea) del reato di servitù. Tuttavia, tale condizione non dovrà essere interpretata come un punto a nostro sfavore: in effetti la definizione di servitù proposta dal legislatore italiano offre una tutela decisamente più ampia rispetto a quella francese, in quanto inclusiva di quelle ipotesi nelle quali la persona vittima di servitù sia costretta a prestazioni non soltanto di tipo lavorativo, bensì anche sessuale, all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento. Inoltre, la profonda differenza esistente fra la definizione di servitù nel diritto italiano e in quello europeo, ex articolo 4 Cedu, trova una spiegazione ben precisa. Bisognerà ricordare che il legislatore italiano inserì la fattispecie di riduzione o mantenimento in servitù all’interno del codice penale in occasione della riforma del 2003. L’articolo 4 Cedu, che imponeva il divieto di servitù, avrebbe dovuto essere un punto di riferimento forte per il legislatore al quale appigliarsi per dare delle definizioni. Tuttavia la Convenzione non dava alcuna risposta precisa, limitandosi ad imporre un divieto di servitù senza alcuna ulteriore precisazione o definizione. D’altronde neanche la giurisprudenza riusciva a venire in soccorso al nostro legislatore: ci basti pensare che si dovranno attendere gli anni 2000 per ottenere le prime sentenze sul tema e con queste i primi chiarimenti. In particolare, come più volte ricordato, ci riferiamo alla sentenza Siliadin contre France, emessa nel 2005, e all’ultimissima del 2012 in merito al caso 291 COUR EUROPEENNE DES DROITS DE L’HOMME, Guide sur l’article 4, op.cit., pg.6. 114 C.N. et V. contre France, grazie alle quali si approda finalmente ad una definizione “europea” di servitù. Tuttavia, questo lungo periodo di silenzio venne rotto in anticipo rispetto alla giurisprudenza europea dal legislatore italiano che, nel 2003, trovandosi di fronte alla necessità di introdurre un delitto di servitù nel codice ed in assenza di riferimenti precisi in ambito europeo, decise di attribuirli una definizione che fosse il più garantista possibile. Essendo il bene giuridico il criterio d’individuazione della condotta, e trattandosi nel caso specifico della “libertà della persona umana”, il legislatore optò per una difesa totale della stessa, qualificando la riduzione in servitù con riferimento a prestazioni lavorative, sessuali, accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportassero lo sfruttamento. Per concludere, ne risulta un concetto di servitù decisamente più ampio rispetto a quello proposto dalla Francia, ispiratasi alle indicazioni giunte da ultimo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Tornando alle due fattispecie di reato, l’idea che invece accomuna i due articoli sarà l’esistenza di una “soggezione di tipo continuativo” (o abituale, come suggerisce il testo francese) facendo di questa costante soggezione all’altrui potere elemento caratterizzante del reato che permetterà inoltre di compiere l’effettiva reificazione della persona tramite i modi prescritti292. La “continuità della soggezione” alla quale viene sottomessa la vittima cosi come descritta dal diritto italiano, viene resa nel diritto francese dalla formula “far subire ad una persona in maniera abituale il lavoro forzato (….)”. Quest’assoggettamento lo si avrà con la realizzazione di una signoria di fatto che consentirà all’agente di costringere il servo a compiere le azioni stigmatizzate nella fattispecie, più numerose nel diritto italiano rispetto a quello francese, che come già osservato, vi ricomprende solo il lavoro forzato. Altro elemento comune fra le due fattispecie è da rintracciarsi nella particolare situazione di vulnerabilità, dipendenza della vittima e ancora nella sua condizione di svantaggio o di inferiorità fisica o psichica mostrata o conosciuta all’autore. Entrambi i reati sono ascrivibili alla tipologia della fattispecie a forma vincolata: il diritto italiano, nello specifico, impone una condotta (soggezione continuativa della vittima) caratterizzata dall’uso di violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità ed 292 F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit. , pg. 49 ss. 115 approfittamento, ovvero mediante la promessa o la dazione di somme di danaro o altri vantaggi, tutti finalizzati a costringere la vittima a prestazioni ritenute illecite 293. Il legislatore francese invece, si limita ad enunciare tra le modalità specifiche della condotta l’uso di violenza o minaccia, richiedendo inoltre la consapevolezza da parte dell’autore dei fatti, della vulnerabilità o dello stato di dipendenza in cui versa la vittima: quest’ultimo requisito in linea con gli indirizzi contenuti nella sentenza C.N. et V. contre France, che permetterà anche di distinguere il reato in questione dalla fattispecie di lavoro forzato, prevista al 224-14-1 del codice penale francese. In quanto alle sanzioni previste, non classificando la Francia il reato di riduzione in servitù nella categoria dei crimini294, bensì in quella dei delitti, prevede una pena base di 10 anni di reclusione e 300.000 euro di ammenda. L’Italia opta ancora una volta per una pena caratterizzata dalla vaghezza e fissandone la condanna in un periodo di detenzione variabile dagli otto ai venti anni. Infine, per quel che concerne le circostanze aggravanti, la Francia si appresta alla individuazione di un articolo specifico, il 225-15-1, il quale inasprisce le pene innalzandole a 15 anni di reclusione e 400.000 euro di ammenda nei casi in cui il reato sia commesso nei riguardi di più persone o ancora nel caso in cui la vittima sia un minore degli anni diciotto; per il caso specifico in cui il reato sia commesso nei riguardi di più persone, fra le quali compaiono dei minori, vi sarà l’ulteriore aggravio della pena alla reclusione di 20 anni di carcere e l’ammenda di 500.000 euro. Per il caso italiano, si rimanda all’analisi condotta con riferimento all’articolo 602-ter del codice penale, il quale si occupa anche della disciplina del reato di servitù. In questo caso il problema potrebbe essere individuato nella potenziale minore garanzia offerta dall’ordinamento italiano rispetto a quello francese, poiché, fissandone il minimo sanzionatorio in otto anni, nonostante l’intervento di eventuali circostanze aggravanti questo potrebbe non risultare all’altezza della penalità aggravata imposta dalla Francia e pari a 15 anni di carcere, che nei casi più gravi sale sino a 20 anni. Per altro, il legislatore francese ha anche disposto un’ammenda da sommare alla sanzione di tipo 293 S.APRILE, I delitto contro la personalità, op. cit., pg. 40. Nel diritto penale francese le infrazioni si distinguono in contravvenzioni, delitti e crimini sulla base della gravità dell’infrazione commessa. Il crimine si caratterizza per la sua sanzione, e più precisamente per la pena prevista, che è superiore a dieci anni di reclusione. 294 116 detentivo, pari a 400.000 euro ovvero 500.000 euro per i casi più gravi in cui il reato sia commesso nei riguardi di più persone fra le quali vi sono coinvolti diversi minori. Per concludere sul tema, una riflessione pare d’obbligo. Le fattispecie considerate negli articoli esaminati, ossia il reato di tratta, schiavitù e servitù, vengono concepite in vista di uno sfruttamento della vittima. Questo sfruttamento, punto cardine dei reati, nell’ambito del diritto francese assume dimensioni diverse ed ottiene diversi gradi di tutela a seconda delle circostanze in cui lo stesso si realizzi. La persona sfruttata in un contesto di tratta riceverà una copertura tout court, avendo il legislatore individuato un ampio spettro di tipologie di sfruttamento punibili quali: il prossenetismo, la violenza e gli abusi sessuali, la riduzione in schiavitù, la servitù, la sottomissione a lavori forzati, il prelievo degli organi ed infine lo sfruttamento dell’accattonaggio 295. In tal modo la fattispecie delittuosa della tratta potrà configurarsi in tutte le variegate ipotesi di sfruttamento enunciate nella norma. Un’idea più ridotta delle forme di sfruttamento che troveranno tutela nel diritto francese emerge nell’ipotesi di “sfruttamento della persona ridotta in schiavitù”(articolo 224-1B)296; in tal caso, vengono riconosciute dall’articolo le sole ipotesi in cui la persona, già resa schiava, subisca ulteriori abusi quali l’aggressione sessuale, il sequestro, la sottomissione a lavori forzati o servizi forzati e lasciando fuori le numerose altre ipotesi d’abuso che la vittima potrebbe subire (pensiamo al prelievo di organi, l’accattonaggio etc…). Infine, una definizione ancora più ristretta sarà riservata allo sfruttamento realizzato nel caso in cui la persona sia oggetto di riduzione in servitù: le uniche forme di sfruttamento contemplate dalla norma sono riferite alla costrizione a lavori forzati 297. Qui si coglie la grande distanza che separa l’ordinamento italiano rispetto a quello francese. Il legislatore del nostro paese difatti, partendo dall’idea per cui il bene giuridico oggetto di tutela nelle tre ipotesi di reato fosse la “libertà personale”, bene ineliminabile e di 295 Articolo 225-4-1: “Lo sfruttamento menzionato al I comma è il fatto di mettere la vittima a sua disposizione o a disposizione di un terzo, anche non identificato, al fine sia di permettere la commissione contro la vittima delle infrazioni di prossenetismo, violenza o abusi sessuali, di riduzione in schiavitù, di sottomissione a del lavoro o servizi forzati, di riduzione in servitù, del prelievo di uno dei suoi organi, di sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di lavoro o di alloggio contrari alla sua dignità sia di costringerli a compiere qualsiasi altro crimine o delitto”. 296 Articolo 224-1-B, code pénale:” Lo sfruttamento di una persona ridotta in schiavitù è il fatto di commettere nei riguardi di una persona il cui stato di riduzione in schiavitù risulti apparente o conosciuto all’autore un’aggressione sessuale, sequestrarla o di sottometterla a dei lavori forzati o servizi forzati.” 297 Articolo 225-14-2: “La riduzione in servitù è il fatto di far subire il lavoro forzato (…).” 117 primaria importanza, definisce lo sfruttamento- in vista del quale si realizza la condotta di reato- in maniera eguale sia nel caso in cui lo stesso si realizzi in un contesto di tratta, che di schiavitù piuttosto che di servitù, con una definizione che, seppur non precisa né determinata, garantisce la massima estensibilità di significato, ricomprendendo le più varie forme di sfruttamento. 118 SEZIONE III. Gli indirizzi dell’Unione europea: adempimento da parte dell’Italia e della Francia 4. La Francia e l’Italia si confrontano con l’Europa. Un’analisi esaustiva della legislazione predisposta dai due paesi oggetto di studio non potrà prescindere in ultimo, da un confronto con il diritto predisposto dall’Unione europea sulle questioni affrontate. In particolare, con riferimento al tema della “tratta degli esseri umani” –tema particolarmente caro all’Unione e decisamente rilevante nel suo territorio senza frontiere, data la natura tipicamente transnazionale dello stessol’adeguamento dei paesi coinvolti ai vincoli imposti dall’Unione diviene un aspetto quanto mai influente e determinante, specie per un’azione efficace al contrasto di tali crimini. Non a caso l’Unione, in particolare negli ultimi anni, si è mostrata fortemente vicina a questi fenomeni intervenendo sul tema in varie occasioni (per la quale trattazione specifica si rimanda al capitolo terzo). In questa sede ci limiteremo ad occuparci dell’ultimo importante strumento di diritto derivato predisposto dall’Unione in tema di tratta, vale a dire la Direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente la prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime 298. Rinviando al terzo capitolo per un’analisi approfondita della direttiva, qui ci occuperemo di riassumere i temi più importanti affrontati sui quali viene invocato un adeguamento da parte dei singoli Stati, indagando sull’effettivo adempimento da parte di Francia ed Italia. In breve, la direttiva potrà dividersi in tre parti fondamentali: la prima parte nella quale si occupa degli aspetti attinenti ai profili di diritto penale sostanziale (la direttiva stabilisce regole minime relative alle definizioni ed alle sanzioni: s’impone una riformulazione ed un adattamento dei concetti base e delle definizioni materiali dell’infrazione, non trascurando anche i profili sanzionatori sui quali il nuovo testo dà riferimenti ben precisi, fissando il massimo edittale in almeno cinque anni di reclusione, innalzati a dieci in presenza di alcune circostanze aggravanti); la seconda parte mira al rafforzamento della tutela, protezione ed assistenza in favore delle vittime (si prevede un’assistenza precoce ed incondizionata da realizzarsi con la concessione alle vittime di 298 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:101:0001:0011:IT:PDF 119 un alloggio adatto e sicuro, con la fornitura di un’assistenza di tipo materiale, cure mediche, servizi di traduzione etc…); si vogliono peraltro evitare episodi di “vittimizzazione secondaria” e viene previsto ed assicurato l’accesso immediato all’assistenza legale anche ai fini di una domanda di risarcimento; infine l’ ultima parte relativa alle strategie di prevenzione (si vuole rendere consapevole la popolazione dell’entità del fenomeno e scoraggiare la richiesta delle prestazioni svolte dalle vittime ed infine agire direttamente sulle persone offese dal reato, informandole sui comportamenti rischiosi da evitare e sollecitando le stesse a denunciare i fatti subiti) 299. Per quel che concerne il caso specifico in cui siano dei minori le vittime del reato di tratta, vengono disposte misure di protezione specifiche. 4.1. Recepimento della direttiva da parte della Francia ed inadempimento dell’Italia. Affinché le disposizioni innovative contenute nella direttiva non restino lettera morta è necessario un recepimento da parte dei legislatori nazionali. La data di scadenza per tale recepimento venne fissata per il 6 aprile 2013 : l’impegno nel rispetto di tale termine da parte del legislatore francese ebbe inizio con la presentazione del progetto di legge n°736, in data 20 febbraio 2013 in Consiglio dei Ministri, contenente diverse disposizioni per adattare il campo della giustizia alle priorità imposte dal diritto dell’Unione europea con la Direttiva 2011/36/UE; il progetto sfocerà nell’adozione della “Loi n.2013-711”300 in data 5 agosto 2013. Dal canto suo invece, il legislatore italiano, allo scadere del termine fissato per il recepimento non aveva ancora provveduto ad avviare un iter per l’adattamento del diritto interno, esponendosi così alla procedura d’infrazione301 che prontamente verrà 299 M. VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit.,pg. 57 ss. http://eurlex.europa.eu/Notice.do?val=669307:cs&lang=it&list=691165:cs,621039:cs,570623:cs,66930 7:cs,555810:cs,697130:cs,&pos=4&page=1&nbl=6&pgs=10&hwords=ue~&checktexte=checkbox&visu =#texte 301 La procedura d'infrazione costituisce uno strumento indispensabile per garantire il rispetto e l'effettività del diritto dell'Unione. La procedura si apre con una fase definita di “pre-contenzioso” (ex art. 258 del TFUE) Quando rileva la violazione di una norma europea, la Commissione europea procede all'invio di una "lettera di messa in mora", concedendo allo Stato un termine di due mesi entro il quale presentare le proprie osservazioni. Qualora lo Stato membro non risponda alla lettera di messa in mora nel termine indicato oppure fornisca alla Commissione risposte non soddisfacenti, quest'ultima può emettere un parere motivato con il quale cristallizza in fatto e in diritto l'inadempimento contestato e diffida lo Stato a porvi fine entro un dato termine. Nel caso in cui lo Stato membro non si adegui al parere motivato, la Commissione può presentare ricorso per inadempimento davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee contro lo Stato in questione (art. 258 Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, par. 2). 300 120 avviata dalla Commissione europea nei suoi confronti, in data 30 maggio 2013(n. 2013/0228) con una lettera di messa in mora (ex art. 258 TFUE) per il mancato recepimento della direttiva 2011/36/UE . In seguito a questa pesante ammonizione viene approvata una legge di delegazione europea n.96/2013 302 , all’interno della quale vengono stabiliti dei criteri di delega al Governo per il recepimento della Direttiva303:nell’attesa dunque che il Governo prenda i dovuti provvedimenti per adeguare il nostro diritto interno, indaghiamo sulle lacune e sulle carenze presenti nel nostro ordinamento rispetto ai dettami dell’Unione e della Direttiva in questione, individuando i punti fondamentali sui quali il Governo dovrà intervenire per allineare la nostra legislazione. 4.2. Le inadempienze dell’Italia. Le difformità più significative riscontrate nel nostro ordinamento rispetto al testo della Direttiva riguardano innanzitutto aspetti di diritto penale sostanziale. In particolare, la formulazione del nostro reato di tratta rispetta solo in minima parte i vincoli imposti dalla direttiva, la quale ha provveduto a riordinare la materia in maniera più organica proponendo, innanzitutto, una nuova e più ampia definizione del delitto di tratta. In quest’ultima nozione rientrano ora il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell’autorità sulle vittime. Il nostro articolo 601 del codice penale invece, limitandosi a menzionare “la costrizione della vittima a far ingresso o soggiornare o ad uscire dal territorio dello Stato” non soddisfa gli standard enunciati dalla Direttiva, richiedendo un intervento da parte del legislatore italiano304. Si conclude così la fase del cd. "precontenzioso" ed inizia il giudizio, il quale è diretto ad ottenere dalla Corte l'accertamento formale, mediante sentenza, dell'inosservanza da parte dello Stato di uno degli obblighi imposti dall'Unione. 302 Legge di delegazione europea e legge europea sono i nuovo strumenti di adeguamento dell’ordinamento italiano a quello europeo, in sostituzione della “legge comunitaria annuale”. La legge di delegazione europea contiene delle disposizioni di delega necessarie per il recepimento da parte del Governo con decreto legislativo, della direttiva o degli altri atti dell’Unione europea; la legge europea è al contrario una norma di diretta attuazione, utilizzata per garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello europeo con riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea. 303 Legge 6 agosto 2013, n. 96, Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2013. (13G00137) in GU n.194 del 20-82013. 304 http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/dossier/file_internets/000/000/0 83/Dossier_015.pdf 121 La Direttiva si preoccupa anche d’introdurre e definire specificatamente per la prima volta il concetto di “vulnerabilità” 305, con ciò riferendosi ad una situazione nella quale la vittima non abbia altra scelta effettiva ed accettabile se non quella di cedere all’abuso. Anche in tal senso si renderà necessario un provvedimento del legislatore italiano affinché introduca un concetto forte e chiaro di tale stato, già in effetti evocato dalla nostra fattispecie ma mai specificato espressamente. Il Governo italiano per altro, nell’attribuire un significato alla definizione di “persona vulnerabile”, viene invitato a tener conto di aspetti ulteriori quali l’età, il genere, le condizioni di salute, le disabilità, anche mentali, le condizioni di vittima di tortura, stupro o altre forme di violenza sessuale o di genere306. Anche la nozione di sfruttamento trova un’esatta definizione nello strumento europeo anti-tratta, il quale provvede ad individuarne l’ambito minimo, ossia lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento di tipo sessuale, lavorativo o i servizi forzati, compreso l’accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi. Questa si presenta come l’occasione giusta per il nostro legislatore per intervenire sulla questione non solo al fine di allinearsi alla definizione proposta in ambito europeo ma anche per risolvere l’annosa questione dell’esatta definizione del termine “sfruttamento”, locuzione dal contenuto vago ed indeterminato. Un articolo specifico viene previsto dalla Direttiva in merito al consenso, considerato irrilevante nel caso in cui lo stesso risulti viziato o estorto. L’Italia non ha introdotto una specifica previsione relativa all’irrilevanza del consenso della vittima, in ragione della natura indisponibile del bene tutelato (status libertatis). Difatti, la caratterizzazione delle condotte ex articolo 601 in termini coercitivi o decettivi, ne esprime sufficientemente l’incompatibilità con ogni forma di consenso, che, anche se formalmente presente sarebbe irrilevante perché invalido, in quanto viziato od estorto307. In merito all’eventuale assenso della vittima però una modifica nel nostro diritto interno è d’obbligo e riguarda la previsione dell’irrilevanza in termini assoluti del 305 Direttiva 2011/36/UE,articolo 2 ,comma 2. http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:101:0001:0011:IT:PDF 306 Legge di delegazione europea 6 agosto, 2013. (13G00137) in GU n.194 del 20-8-2013 307 F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op.cit., pg. 116. 122 consenso della vittima (anche qualora non risultasse viziato od estorto) nel caso in cui la stessa risulti minore degli anni 18308. Ci attendiamo dunque una risposta celere da parte del nostro legislatore che in sostanza, per quel che concerne i profili di diritto penale sostanziale, viene chiamato ad intervenire dando delle definizioni chiare, precise e determinate che tipizzino delle locuzioni troppo spesso vaghe o del tutto assenti. Non ci troveremo dunque di fronte ad un’opera di completo rinnovamento dell’articolo, piuttosto di leggeri interventi d’integrazione terminologica . Un ultimo importante aspetto merita delle precisazioni, quello relativo alla disciplina delle penalità imposte dalla Direttiva in esame ed il relativo adempimento da parte del legislatore italiano. Dal punto di vista del livello sanzionatorio stabilito, vediamo come l’Italia si allinei perfettamente alla previsione europea che impone una pena detentiva della durata massima di almeno 5 anni, per il caso delle sanzioni base, e dalla durata massima di almeno 10 anni nel caso in cui sussistano circostanze aggravanti: ricordiamo difatti come l’Italia prescrive una sanzione di base che va dagli otto ai vent’anni di detenzione, elevata da un terzo alla metà al verificarsi di circostanze aggravanti, con un picco che raggiunge dalla metà ai due terzi della stessa in ipotesi considerate particolarmente gravi. Ed è proprio in relazione alle circostanze aggravanti in ultimo citate che dovremmo evidenziare alcune difformità rispetto alla Direttiva anti-tratta. Questa in particolare, descrive quelle specifiche ipotesi in cui le pene subiranno un aumento. Il primo caso si riferisce al reato commesso ai danni di una vittima particolarmente vulnerabile: il nostro ordinamento, non avendo definito in maniera specifica il concetto di vulnerabilità, al fine di mettersi in linea con tale previsione dovrà innanzitutto provvedere all’introduzione e alla determinazione di tale locuzione. La disciplina italiana si mostra poi solo parzialmente in linea con altre due ipotesi contenute nella direttiva, vale a dire il caso in cui il fatto sia stato commesso ricorrendo a violenze gravi o abbia causato un pregiudizio particolarmente grave alla vittima e l’altra ipotesi in cui il reato sia stato commesso da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni. Tale conformità parziale trova giustificazione nel fatto che, in quanto al primo caso, la disciplina italiana fa riferimento “all’uso di violenza nei confronti della vittima” ricomprendendola fra le modalità specifiche della condotta e non in quanto 308 Direttiva 2011/36/UE, Articolo 2 comma 5. 123 circostanza aggravante; in merito alla seconda ipotesi invece, il legislatore italiano ha provveduto ad introdurre la medesima circostanza. Nel caso specifico in cui il fatto sia stato commesso nel contesto di un’organizzazione criminale, la direttiva stabilisce la reclusione della durata massima di almeno dieci anni: non così per l’Italia che in primis non prevede fra le circostanze aggravanti ex articolo 602-ter l’ipotesi in cui il reato venga commesso nel contesto di un’organizzazione criminale, per la cui disciplina si rinvia al 6° comma dell’articolo 416 del codice penale. I livelli sanzionatori previsti però non risultano assolutamente in linea con gli indirizzi europei: difatti si applica la reclusione da un minimo di 5 ad un massimo di 15 anni (applicata in capo a coloro i quali promuovono, costituiscono od organizzano l’associazione) e la pena da quattro a nove anni ( per il solo fatto di partecipare all’associazione). Come si noterà dunque, in relazione alle ipotesi menzionate, il legislatore italiano viene chiamato ad intervenire ed elevare i livelli sanzionatori stabiliti. Al contrario, del tutto in linea con la disposizione europea l’ipotesi in cui il reato abbia messo in pericolo la vita della vittima intenzionalmente o per colpa grave. In conclusione, e per quel che riguarda specificatamente l’adempimento da parte dell’Italia degli obblighi sanzionatori, sarà necessario un intervento da parte del legislatore italiano per eliminare quelle ipotesi di adempimento parziale o addirittura di totale inadempimento; d’altro canto però, non si potrà fare a meno di notare che, al di là di queste imperfezioni, il nostro ordinamento mostra un’attenzione particolare per i casi in cui il reato venga commesso a danno di vittime minori, introducendo alcune circostanze aggravanti assolutamente non contemplate dal legislatore europeo e con la previsione in tali casi di un notevole inasprimento della pena rispetto alla fattispecie di base309. La direttiva in esame peraltro, come già anticipato, non affronta solo profili di diritto penale sostanziale, bensì dedica una parte importante ai profili di assistenza, sostegno e tutela alle vittime della tratta di esseri umani e alle misure di prevenzione. Temi questi particolarmente cari al legislatore italiano e storicamente considerati come punto di forza del nostro ordinamento, grazie alla cura mostrata dal legislatore nei riguardi delle vittime e della loro tutela, depositarie di diritti intangibili ed inalienabili. Questa forte sensibilità mostrata dall’Italia si è espressa nel nostro ordinamento 309 Vedi articolo 602-ter. 124 attraverso la predisposizione di istituti (pensiamo al permesso di soggiorno a fini di protezione sociale) e misure di tutela decisamente all’avanguardia, anticipando le indicazioni provenienti dal diritto dell’Unione. Ad esempio, previsioni come quella contenuta nell’articolo 11 comma 3 della Direttiva Anti-tratta -che impone misure d’assistenza e sostegno alla vittima “incondizionate” e del tutto slegate dalla volontà della stessa di collaborare al processo- se nello scenario europeo rappresentano una novità importante ai quali i singoli stati dovranno adattarsi, non così sarà per l’Italia, che non avrà bisogno di disporre nessun adeguamento sul tema essendo già da tempo ampliamente in linea con la Direttiva ed anzi addirittura avendone anticipato delle previsioni. Parliamo ad esempio dell’istituto del “permesso di soggiorno a fini di protezione sociale” che permetterà l’accesso a misure di assistenza e tutela delle vittime a prescindere da una forma di collaborazione delle stesse nel processo. Ulteriori articoli riconfermano una legislazione decisamente in linea con i vincoli imposti dalla legislazione europea: pensiamo all’articolo 11 comma 5 della Direttiva che sancisce il dovere di garantire la sussistenza delle vittime, fornendo loro un alloggio adeguato e sicuro ed un’assistenza di tipo materiale. Un suo omologo sarà rinvenibile nell’articolo 13 della disciplina italiana, che stabilisce la necessità di disporre uno speciale programma di assistenza in favore delle vittime volto a garantire, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria; il programma di assistenza verrà realizzato da enti locali o da soggetti privati accreditati310. Un punto sul quale lo strumento europeo insiste particolarmente è il bisogno di una maggiore attenzione nei confronti delle vittime minorenni, da realizzarsi tramite misure di assistenza e sostegno che assicurino una tutela più mirata311. Il nostro legislatore, se da un lato ha mostrato un particolare interesse per le vittime minorenni, con la predisposizione di riforme legislative attinenti profili di diritto penale sostanziale, dall’altra è chiamato ad intervenire in maniera mirata sui temi di assistenza e tutela delle vittime minori, non avendo previsto programmi ad hoc per la protezione degli stessi; in particolare viene richiesta l’introduzione di meccanismi affinché i minori non accompagnati possano essere prontamente identificati (se strettamente necessario anche attraverso una procedura multidisciplinare di determinazione dell’età, condotta da 310 311 E.LANZA, La condizione soggettiva dello straniero clandestino, op. cit., pg 14. Articoli dal 13 al 16 della Direttiva 2011-36-UE. 125 personale specializzato e secondo procedure appropriate); s’invoca per altro un’adeguata informazione alle vittime circa i loro diritti, incluso l’eventuale accesso alla procedura di determinazione della protezione internazionale, ed infine, in ogni decisione presa nei loro confronti, dovrà essere considerato come criterio preminente il superiore interesse del minore312. Per ultimo, in tema di prevenzione, di fronte alle indicazioni europee che spingono gli Stati membri verso un’intensificazione di campagne di sensibilizzazione per il pubblico e verso l’adozione di misure necessarie per scoraggiare e ridurre la domanda, il nostro ordinamento sembra trovare una risposta adeguata nell’articolo 14 della riforma del 2003, in cui viene previsto un impegno da parte del Ministro degli affari esteri nella definizione di politiche di cooperazione nei confronti dei paesi interessati dai fenomeni in esame. Egli dovrà provvedere all’organizzazione, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, d’incontri internazionali, campagne d’informazione e corsi di formazione del personale coinvolgendo anche i Ministri dell’interno, per le pari opportunità, giustizia, lavoro e delle politiche sociali. Infine, un punto sul quale si rimprovera l’Italia è l’inadempimento dell’obbligo di nomina di un relatore nazionale ( o meccanismi equivalenti). Nella previsione europea tale figura è destinata ad assumere estremo rilievo ai fini di un costante monitoraggio delle tendenze del reato di tratta e soprattutto ai fini di coordinamento e scambio d’informazioni con le autorità europee313. Dall’analisi condotta, si traccia il profilo di una paese che presenta sì delle lacune che interessano principalmente il campo del diritto penale sostanziale ma che a ben guardare risultano facilmente superabili: tuttavia, ciò non esenta l’Italia da una procedura d’infrazione avviata nei suoi riguardi alla quale dovrà al più presto trovar risposta, al fine di non annientare l’intenso sforzo storicamente condotto dal nostro paese in un tema di tale rilevanza, che ci ha permesso nel passato di distinguerci come uno Stato all’avanguardia e di riferimento in tutto il panorama europeo. 312 313 Legge di delegazione europea 6 agosto, 2013. (13G00137) in GU n.194 del 20-8-2013 Articolo 19 Direttiva 2011/36/UE. 126 4.3. Adempimento integrale della Francia alla Direttiva 2011/36/Ue? L’intervento legislativo francese del 6 agosto 2013 insegue (e raggiunge?) un duplice scopo: il primo, quello di allinearsi alle disposizioni del diritto europeo per evitare procedure d’infrazione come nel caso dell’Italia; il secondo, e fondamentale, quello di aggiornare la legislazione previgente in materia di tratta, oramai del tutto inadeguata ed insoddisfacente. I punti sui quali la novella legislativa francese insiste particolarmente sono quelli relativi ai profili di diritto penale sostanziale, in tal modo allineandosi completamente alle indicazioni provenienti dall’Europa. Pensiamo alla riformulazione del concetto di tratta, in una versione più estesa in linea con le istruzioni provenienti dalla Direttiva anti- tratta. Difatti, alle infrazioni preesistenti già nella vecchia versione, come il prossenetismo, violenza o abusi sessuali, lo sfruttamento dell’accattonaggio, il collocamento in condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla dignità e la costrizione a commettere qualsiasi altro crimine o delitto314, vengono aggiunte cinque nuove infrazioni di sfruttamento, consegnando una fattispecie legislativa di tratta decisamente più estesa. Parliamo dei casi in cui il reato di tratta miri ad uno sfruttamento da realizzarsi sotto forma di riduzione in schiavitù, sottomissione ad un lavoro o servizi forzati, riduzione in servitù, ed infine prelievo degli organi 315. Il legislatore francese si preoccupa d’introdurre una definizione di sfruttamento assolutamente conforme a quella europea, ricomprendendovi le condotte di prossenetismo, violenza o abusi sessuali, riduzione in schiavitù, sottomissione a lavoro o a servizi forzati, riduzione in servitù, prelievo degli organi, condizioni di lavoro o di alloggio contrari alla dignità e la costrizione a compiere qualsiasi altro crimine o delitto. Nessuna specifica disposizione compare con riferimento all’irrilevanza del consenso della vittima, come d’altronde anche nell’ambito del diritto italiano, in quanto ricavabile 314 Art. 225-4-1, versione in vigore sino al 2013:”……al fine sia di permettere la commissione ai danni di questa persona dei reati di prossenetismo, di violenza o abusi sessuali, di sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla sua dignità, sia di costringere questa persona a commettere qualsiasi crimine o delitto (…).” 315 Art. 225-4-1 Nuova versione 2013: “Lo sfruttamento menzionato nel primo comma è il fatto di mettere la vittima a sua disposizione o a disposizione di un terzo, anche non identificato, al fine sia di permettere la commissione contro la vittima delle infrazioni di prossenetismo, violenza o abusi sessuali, di riduzione in schiavitù, di sottomissione a del lavoro o servizi forzati, di riduzione in servitù, del prelievo di uno dei suoi organi, di sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di lavoro o di alloggio contrari alla sua dignità, sia di costringerla a compiere qualsiasi altro crimine o delitto (….)”. 127 dalle modalità specifiche della condotta, destinate per l’appunto a provare l’assenza di consenso da parte della vittima. La nozione di vulnerabilità, esplicitamente descritta nella Direttiva come “quella situazione in cui la vittima non ha altra scelta se non quella di cedere all’abuso di cui è vittima”, non trova un’esatta trasposizione all’interno della fattispecie francese: difatti qui la situazione di vulnerabilità viene determinata con riferimento all’età della vittima, ad un suo stato di malattia, infermità, disabilità fisica o mentale e da uno stato di gravidanza. Per concludere sugli aspetti di diritto penale sostanziale, notiamo come sia le pene-base che le circostanze aggravanti previste nel diritto francese si pongano perfettamente in linea con le indicazioni poste dalla Direttiva anti-tratta ad eccezione dell’ipotesi di circostanza aggravante per il caso in cui il reato venga commesso nei riguardi di una “vittima particolarmente vulnerabile”, ipotesi questa ricompresa dal diritto francese fra le modalità specifiche della condotta e non tra le circostanze aggravanti. Come già osservato, si registra invece piena conformità rispetto agli ulteriori casi previsti nella direttiva, compresa l’ipotesi in cui il reato sia commesso nel contesto di un’organizzazione criminale316. Pertanto, alla luce di queste osservazioni ed in relazione agli aspetti specifici trattati, il diritto francese non potrà che considerarsi assolutamente conforme al diritto dell’Unione e soddisfatto del suo intervento riformistico. Tuttavia, alcuni dubbi persistono in relazione ai restanti argomenti affrontati nella Direttiva, in particolar modo con riferimento agli aspetti di tutela e protezione delle vittime, che si realizzano tramite la possibilità di avere accesso alla giustizia ed il riconoscimento di diritti economici e sociali. Su tali questioni la nuova legge è intervenuta con l’aggiunta e l’integrazione di articoli contenuti nel codice di procedura penale. È stato introdotto ex novo l’articolo 2-22, con il quale viene prevista la possibilità per tutte le associazioni impegnate nella lotta contro la tratta e la schiavitù di costituirsi parte civile nel processo (previo accordo con la vittima del reato).In tal modo, le associazioni avranno il diritto di reclamare davanti alla giurisdizione competente anche un risarcimento in favore delle vittime. 316 Articolo 225-4-3 Code pénal: l’infrazione prevista all’articolo 225-4-1 è punita con venti anni di reclusione criminale e 3.000.000 di euro di ammenda nel caso in cui venga commessa in banda organizzata. 128 In secondo luogo, un’altra importante modifica è stata apportata al preesistente articolo 706-3 del codice di procedura penale, estendendone l’applicazione anche alle fattispecie di tratta, riduzione in schiavitù e servitù317. Nel caso in cui siano le vittime stesse a voler agire in giudizio, a queste viene finalmente riconosciuta la possibilità di ottenere un risarcimento integrale dei danni derivanti dalla commissione del reato di tratta, di riduzione in schiavitù e servitù, qualora i fatti di reato abbiano provocato la morte o un’incapacità permanente o totale di lavoro eguale o superiore ad un mese: resta da notare come in assenza di tali condizioni nessun risarcimento verrà concesso alle persone lese. La novità più importante, capace di innalzare la soglia di tutela assicurata alle vittime, è data dal riconoscimento di un indennizzo anche in capo a persone che non siano di nazionalità francese, a condizione naturalmente che i fatti siano stati commessi sul territorio francese. Pertanto, anche in assenza del possesso del permesso di soggiorno, le vittime potranno vedersi riconosciuto un indennizzo per i danni subiti. Tuttavia, a ben guardare, la tutela offerta dalla norma non pare ancora soddisfacente ed in linea con la disposizione prevista nella direttiva del 2011, la quale all’articolo 17, rubricato “Risarcimento delle vittime”, richiede agli Stati di fare in modo che le vittime di tratta degli esseri umani abbiano accesso ai sistemi vigenti di risarcimento delle vittime di reati dolosi violenti. Le rigide condizioni imposte dall’ordinamento francese che dovranno essere riempite al fine dell’ottenimento dell’indennizzo (ossia il fatto che le lesioni debbano aver provocato la morte, un’incapacità permanente o un’incapacità totale di lavoro eguale o superiore ad un mese) rischiano di restringere notevolmente la possibilità di vedere effettivamente riparato il danno subito, lasciando scoperte numerose ipotesi nelle quali le vittime siano comunque lese dai reati in questione, pur senza poter riscontrare le condizioni specifiche indicate. Per quel che concerne più specificatamente la tutela dei minori vittime di tratta, la legge di riforma è intervenuta su due articoli contenuti nel codice di procedura penale, i quali hanno subito una parziale modifica: in primis, l’articolo 706-47 la cui applicabilità 317 Articolo 706-3 du code de procédure pénale: “Tutte le persone che abbiano subito un pregiudizio risultante da fatti volontari e non, che presentino il carattere materiale di un’infrazione possono ottenere il risarcimento integrale dei danni che risultano nel caso in cui siano soddisfatte le condizioni seguenti: (…) 2.questi fatti abbiano causato la morte, un’incapacità permanente o un’incapacità totale di lavoro eguale o superiore ad un mese; 3. Le persone lese sono di nazionalità francese o il fatto si è consumato sul territorio nazionale(…)”. 129 viene estesa, in modo che tutte le previsioni contenute nel titolo XIX del codice di procedura penale (inerente le procedure applicabili alle infrazioni di natura sessuale e della protezione dei minori vittime) trovino applicazione anche per i casi di minori vittime di tratta. Fra queste, ne citiamo alcune fra le più significative che permetteranno ai minorenni di usufruire di alcune misure disposte a loro favore, come ad esempio l’articolo 706-48 che prevede la necessità di una perizia medico-psicologica destinata a verificare la natura ed il danno subito dal minore al fine di stabilire la necessità o meno di trattamenti o cure appropriate; l’articolo 706-49, il quale prevede una procedura d’assistenza educativa nei confronti del minore ed ancora la possibilità prevista dall’articolo 706-50 di nominare un amministratore ad hoc investito del compito di curare la protezione degli interessi del minore, qualora gli stessi non risultino completamente assicurati dal suo rappresentante legale. Infine, un comma specifico è stato inserito dalla nuova legge di riforma al preesistente articolo 706-53, con il quale viene prescritta la possibilità per il minorenne di vedersi accompagnato in tutti gli stadi della procedura da un rappresentante legale e all’occorrenza da una persona (maggiorenne) di sua scelta, con ciò ponendosi perfettamente in linea con l’articolo 15, 3°comma, lettera f della Direttiva anti-tratta318. Nel corso dell’inchiesta le audizioni o i confronti di un minore vittima saranno realizzate su decisione del procuratore della repubblica o del giudice d’istruzione, all’occorrenza su domanda del minore o del suo rappresentante legale, in presenza di uno psicologo o di un medico specialista dell’infanzia o di un membro della famiglia del minore o dell’amministratore ad hoc delegato o infine di una persona investita del mandato di giudice dell’infanzia319. Al di là comunque di queste modifiche inerenti la possibilità di un risarcimento in capo alle vittime (anche straniere) e le misure poste a favore dei minori, la nuova legge di riforma non prevede nessun particolare dispositivo in tema di sostegno e protezione delle vittime e dunque si considera vigente la disciplina già esistente. Disciplina che come già sottolineato (si veda paragrafo 1.2, capitolo 2) risulta decisamente insoddisfacente. 318 Articolo 15, 3° comma lett. f: “Fermi restando i diritti della difesa, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché, nelle indagini e nei procedimenti penali relativi ai reati di cui agli articoli 2 e 3: il minore sia accompagnato da un rappresentante o, se del caso, da un adulto di sua scelta, salvo motivata decisione contraria nei confronti di tale adulto.” 319 Articolo 706-53 del codice di procedura penale. 130 Se con la Direttiva in esame difatti, veniva invocata la necessità di garantire misure di assistenza e sostegno in favore delle vittime in maniera incondizionata320 e del tutto slegate dalla volontà di quest’ultima di collaborare nelle indagini penali, in Francia invece l’accesso a tali misure di protezione resta subordinato alla concessione di un permesso di soggiorno, la cui disciplina non è stata minimamente intaccata dall’intervento riformistico. In virtù di ciò, su tale fronte diviene necessario un adeguamento da parte del diritto interno francese, il quale resta ancorato ad un retrogrado modello in cui le vittime potranno avere accesso alle misure di assistenza e protezione nell’unico caso in cui decidano di collaborare con la giustizia, ottenendo un permesso di soggiorno temporaneo321. In rari casi il diritto francese si apre alla possibilità di concedere un permesso anche a persone che decidano di non collaborare con la giustizia, per paura di ritorsioni nei propri riguardi o della propria famiglia (sarà questo il caso del permesso di soggiorno per considerazioni umanitarie o motivi eccezionali) ma tuttavia, notiamo come anche in tali casi la protezione e l’assistenza non siano garantite nei riguardi di tutti, bensì dipenderanno dalla scelta discrezionale del prefetto, che avrà la libertà di negare la concessione del permesso. Difatti non viene imposto nessun obbligo di rilascio o di rinnovo del titolo di soggiorno alle vittime straniere -nonostante le stesse rientrino nelle condizioni richieste- spettando una tale decisione al prefetto, il quale, con la massima discrezionalità, potrà stabilire in quali casi sia opportuno rilasciarlo o meno. Ciò conduce a delle importanti differenze pratiche fra prefetti e dunque ad un trattamento ineguale delle vittime322. Sotto questo punto di vista dunque, il divario esistente fra le disposizioni europee e quelle francesi si mostra evidentissimo ed innegabile. Sorprenderà per altro il fatto che un intervento di riforma come quello avutosi in Francia nel 2013 si sia preoccupato con estrema precisione di adeguare il proprio ordinamento agli aspetti di diritto penale sostanziale indicati dalla Direttiva, curandosi solo in minima parte di interventi in tema di tutela e protezione delle vittime. 320 Articolo 11, comma 3 Direttiva 2011/36/ue: “Gli stati membri adottano le misure necessarie affinchè l’assistenza e il sostegno alla vittima non siano subordinati alla volontà di quest’ultima di collaborare nelle indagini penali, nel procedimento giudiziario o nel processo, fatte salve la direttiva 2004/81/CE o norme nazionali analoghe”. 321 Modifica introdotta dall’articolo 39 della “Loi relative à l’immigration et à l’intégration” du 24 Juillet 2006, n. 2006-911 322 C. LAZERGES, Propos conclusifs et recommandations, in La sem.jurid., op.cit., pg. 32 131 Emblematico l’articolo 11 comma 3 della Direttiva anti-tratta che impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché l’assistenza e il sostegno delle vittime non siano subordinati alla volontà di quest’ultime di collaborare nelle indagini penali, nel procedimento giudiziario o nel processo. In questa direzione la Francia ha iniziato a muovere i primi passi con la proposta di Legge n. 1437, depositata all’Assemblea nazionale il 10 ottobre scorso323: la novità più importante è sicuramente contenuta nel suo articolo 6, che prevede delle modifiche per l’accesso al titolo di soggiorno per le persone straniere vittime di tratta degli esseri umani e di prossenetismo. Si vuole intervenire con un’integrazione del preesistente articolo 316-1 del Ceseda, che regola il rilascio della carta di soggiorno agli stranieri vittime di tratta alla condizione che decidano di cooperare con la giustizia; in aggiunta a ciò, si prevede l’introduzione di un nuovo articolo, il 316-1-1324 in cui si dispone la possibilità di concedere un’autorizzazione provvisoria di soggiorno (di una durata minima di sei mesi) a condizione però che la vittima abbia cessato la sua attività di prostituzione ed indipendentemente dalla sua collaborazione con la giustizia; in tal caso la stessa verrà posta sotto la protezione di un’associazione a ciò abilitata. In questo modo si vedrebbe finalmente realizzato un sistema posto innanzitutto a garanzia e protezione delle vittime, in cui i diritti delle stesse siano la priorità fondamentale a prescindere da una loro collaborazione con le autorità giudiziarie. A ben guardare però la proposta di legge così come formulata, seppur sottolinei la previsione di una protezione anche per <<le vittime che non denuncino le reti di tratta e prossenetismo>> sembra di fatto escludere le vittime di tratta ai fini di lavoro forzato, schiavitù e pratiche analoghe alla schiavitù. Per queste ultime difatti la protezione sembra ancora subordinata al deposito di una denuncia ed alla collaborazione con le autorità di giustizia 325. Pertanto, anche nel caso 323 http://www.assemblee-nationale.fr/14/propositions/pion1437.asp Articolo 316-1-1 du Ceseda (previsto ed introdotto ex novo dalla proposta di legge n.1437): “« Art. L. 316-1-1. –Ad eccezione del caso in cui la sua presenza costituisca una minaccia per l’ordine pubblico, un’autorizzazione provvisoria di soggiorno di una durata di sei mesi può essere concessa allo straniero, vittime delle stesse infrazioni che, avendo smesso l’attività di prostituzione, sia preso in carica da un’associazione indicata da una sentenza del prefetto di dipartimento, e a Parigi dal prefetto di polizia, per l’accompagnamento di persone sottomesse alla prostituzione. La condizione prevista all’articolo 3117 non viene richiesta. Questa autorizzazione di soggiorno autorizza l’esercizio di un’attività professionale>>. 324 132 in cui la citata proposta di legge dovesse tramutarsi in legge, permarrà una protezione delle vittime diseguale, a seconda del tipo di sfruttamento subito. In conclusione, si osservi come l’ordinamento francese si è adattato ai vincoli imposti dalla Direttiva, ma pare averlo fatto in maniera parziale, concentrandosi sui profili di diritto penale sostanziale e trascurando aspetti di fondamentale importanza legati all’assistenza e tutela da garantire alle vittime. Staremo a vedere cosa accadrà nel futuro, e specie se la Commissione prenderà atto della persistenza di lacune ancora molto forti nel diritto francese su temi imprescindibili come quello della salvaguardia di diritti fondamentali dell’individuo, affinché gli stessi possano finalmente essere posti in cima alle priorità dell’ordinamento francese. 325 http://www.acse-alc.org/fr/features/veille-juridique-et-sociale 133 Capitolo terzo. SEZIONE I Lotta alle nuove schiavitù e tratta in una prospettiva europea. Dopo aver sviscerato i sistemi e le politiche previste dall’ordinamento italiano e francese, non resta altro che ricontestualizzare il tutto in un’ottica europea, sganciandosi da approcci puramente nazionalistici, spinti sempre più dalla necessità di “sprovincializzare” l’approccio al problema della tratta e schiavitù. L’esigenza di uscire dal “guscio” delle politiche e degli strumenti predisposti nel territorio nazionale in vista di una cooperazione ed armonizzazione fra Stati diventa l’unica via percorribile per un’azione efficace di contrasto al fenomeno. Questo si percepisce ancor di più immergendosi in una dimensione di tipo europea, e scontrandosi con forme di criminalità “senza frontiere”, che trovano nel territorio europeo il luogo adatto per il “delitto perfetto” . Il lungo cammino verso un avvicinamento degli ordinamenti nazionali ha avuto inizio con la stipula degli accordi di Schengen, i quali, se da un lato hanno determinato il vantaggioso abbattimento delle frontiere fisiche garantendo la libertà di circolazione delle merci e delle persone, dall’altro però non sono riusciti fin da subito ad abbattere le frontiere “giuridiche” esistenti: accanto ad uno spazio europeo di libertà emerge la necessità della creazione di uno spazio europeo di giustizia. Quest’ambizioso traguardo divenne una delle questioni più rilevanti affrontate nei trattati che si susseguirono da Schengen sino a Lisbona, alla costante ricerca del raggiungimento effettivo di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia e di una armonizzazione nel settore penale. Proprio in vista della realizzazione di questo obiettivo si delinea nel trattato di Lisbona la possibilità di configurare l’incriminazione di delitti transnazionali, quale concreta prospettiva di costituzione di un Diritto penale europeo. In particolare, il processo di armonizzazione riguarderà norme di diritto sostanziale, potendo stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente gravi che presentano una dimensione transnazionale, ove emerga la necessità di una base comune per il loro contrasto. Poiché i reati in questione – il delitto di schiavitù, ma in particolar modo la trattacoinvolgono nella maggior parte dei casi il territorio di diversi Stati, un’efficace attività 134 di contrasto non può prescindere dalla collaborazione fra i paesi interessati. Collaborazione che si gioca sul piano delle autorità, non solo giudiziarie, ma anche amministrative e di polizia, capaci di cooperare nelle fase investigativa, di prevenzione e repressione del crimine. In tal direzione l’Unione ha introdotto importanti strumenti di coordinamento, quali le squadre investigative comuni, Europol, l’ufficio di polizia europea istituito nel ’95 ed infine la creazione di Eurojust, strumento di cooperazione giudiziaria. Anche la paventata creazione di un organismo centrale europeo, investito di compiti d’investigazione attiva, la cosiddetta “procura europea”, potrebbe essere di grande spinta al raggiungimento di un’ efficace sinergia fra Stati. La transnazionalità dei fenomeni criminali in questione invoca peraltro una risposta coordinata da parte degli Stati coinvolti, non solo dal punto di vista della prevenzione e repressione, ma anche per quel che concerne la tutela della vittima. In tal senso sono stati emanati numerosi atti, pensiamo al Protocollo di Palermo, alla Convenzione di Varsavia , della decisione quadro 2002/629/GAI, la direttiva 2004/81/CE e dell’ultimissima direttiva dell’Unione 2011/36/UE, che sono divenuti veri e propri parametri di valutazione del rispetto dei diritti umani delle vittime del traffico da parte degli Stati coinvolti e che mostrano quanto l’Unione sia sensibile al tema della protezione e della tutela della vittima. Infine son stati predisposti dei meccanismi di controllo, al fine di valutare il rispetto da parte degli Stati degli indirizzi provenienti dall’Unione Nei paragrafi che seguono, focalizzeremo la nostra attenzione su queste ed altre questioni rilevanti in ambito europeo, al fine ultimo di comprendere se ed in che modo l’azione dell’Unione riesca effettivamente ad avvicinare i sistemi dei singoli Stati e quanto efficaci siano le misure fin ad ora predisposte in un’ottica di cooperazione di contrasto al crimine. 135 1.Il diritto internazionale ed europeo di fronte alla schiavitù. Desterà senz’altro stupore il fatto che l’attenzione internazionale al delitto di schiavitù, inteso come l’esercizio del diritto di proprietà di un uomo su un altro uomo, si sia manifestato relativamente tardi. L’impegno a realizzare la soppressione della schiavitù in tutte le sue forme venne affermato sul piano internazionale, per la prima volta, solo dopo la fine della Prima guerra mondiale, col Trattato di St. Geramain en Laye (1919). Tale impegno trovò una regolamentazione più precisa e sistematica nella Convenzione di Ginevra, firmata nel 1926 dalla società delle Nazioni, che vietava la schiavitù 326 in ogni sua forma ed ovunque praticata.327 In verità, la pratica schiavistica era stata già oggetto di alcuni importantissimi testi del passato, nei quali però la stessa compariva sempre in funzione del reato di tratta. Si associavano i due delitti riunendoli nell’unica fattispecie della tratta degli schiavi. L’opportunità di porre fine a questa pratica venne discussa per la prima volta nel 1815, nell’ambito del congresso di Vienna, dal quale scaturì la Dichiarazione sull’abolizione della tratta dei negri (contenuta nell’Allegato 15 dell’Atto finale del congresso di Vienna). Sempre con riferimento al divieto di tratta degli schiavi neri furono emanati il Trattato di Londra del 1841, l’Atto generale della Conferenza di Berlino del 1855 ed infine la Convenzione antischiavistica di Bruxelles, del 1890.328 Dunque è solo con l’emanazione della convenzione di Ginevra del 1926 che si ottiene per la prima volta una definizione giuridica della schiavitù, tappa fondamentale nello sviluppo consuetudinario della normativa internazionale in materia, alla quale faranno seguito moltissime convenzioni; fra queste citiamo le più importanti quali: la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, adottata dalla Assemblea generale delle Nazioni unite (1948)329, e la Convenzione supplementare alla convenzione di 326 Art. 1.1. <<Slavery is the status or condition of a person over whom any or all of the powers attaching to the right of ownership are exercised>>. In S.SCARPA, Trafficking in human beings, Slavery, Oxford, 2008, pg. 45. 327 G.PALMISANO, Dagli schiavi ai migranti clandestini: la lotta al traffico di esseri umani in una prospettiva internazionale, in Ragion Pratica, n.35/2010, pg.472. 328 I. CARACCIOLO, Dalla tratta di schiavi alla tratta di migranti clandestini. Eguaglianze e repressioni internazionali del traffico di esseri umani, in Riv. Della scuola sup. della finanza, pg.223. 329 Art. 4: “nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma” 136 Ginevra (1956)330, resa necessaria dal fatto che, nonostante i numerosi trattati sul tema, fino agli anni ’50 non si era ancora riusciti a debellare la schiavitù 331. Infine merita attenzione il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici, adottato a New York nel 1966332. Questi trattati dimostrano l’attenzione particolare che la comunità internazionale, dopo il secondo conflitto mondiale, riserva alla tutela dell’essere umano e dei suoi diritti fondamentali. In tale ottica, nei testi citati non si limiterà a ribadire solamente gli esistenti obblighi interstatali, ormai consuetudinari, di prevenire e reprimere la tratta degli schiavi, al contrario si occuperà sempre più della tutela dell’essere umano, per giungere ad una protezione effettiva dei diritti dello stesso 333. V’è da sottolineare, peraltro, che nell’ambito dei principi internazionali che sanciscono il divieto di schiavitù, questi, poiché tutelano valori fondamentali all’interno della Comunità internazionale, daranno vita non solo a norme in materia di tutela dei diritti umani, i cui destinatari principali sono gli Stati, e ai quali vengono imposti obblighi sia di carattere negativo che positivo, ma anche norme di diritto internazionale penale. Ci riferiamo in particolare all’articolo 7 dello Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale, che qualifica la riduzione in schiavitù sia come un crimine contro l’umanità che come un crimine di guerra: in tal caso, la violazione del divieto di schiavitù rappresenta un crimine internazionale che implica una responsabilità penale individuale in capo a chi partecipi, anche indirettamente, alla realizzazione di tali pratiche334. A livello regionale, la norma sul divieto di schiavitù appare decisamente consolidata. Pensiamo alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) redatta dal Consiglio d’Europa nel 1950, che all’articolo 4 incrimina il reato di schiavitù, servitù e lavoro forzato. Articolo questo di fondamentale importanza, specie se in relazione all’evoluzione dei diritti interni in 330 Questa convenzione, oltre ad elencare una serie di istituti e pratiche assimilate alla schiavitù (servitù per debiti, schiavitù, matrimonio forzato ed altre pratiche in base alle quali una donna viene ceduta da una persona ad un’altra in cambio di una somma di danaro), definisce per gli stati firmatari precisi obblighi in materia di repressione e cooperazione con L’ONU. 331 S.LA ROCCA, La schiavitù nel diritto internazionale e nazionale, op.cit., pg. 170. 332 In questo trattato si allarga il campo delle condotte vietate sino a comprendere oltre a schiavitù e tratta, anche il fatto di tenere qualcuno in stato di servitù, ossia la costrizione ad un lavoro forzato obbligatorio. 333 I. CARACCIOLO, Dalla tratta di schiavi, op. cit., pg. 224. 334 A. VIVIANI, Immigrazione, nuove forme di schiavitù e la tutela dei diritti fondamentali in Europa, in Rassegna di diritto pubblico europeo, n.2/2011, pg.106. 137 materia di schiavitù e tratta, e sul quale ci siamo già soffermati in relazione al caso Francese (vedi sentenza Siliadin contre France e C.N. et V. contre France). Altrettanto rilevanti le successive convenzioni del Consiglio d’Europa, quali quella del 1996 sui diritti del fanciullo e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, adottata dal Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000, che all’art. 5 vieta schiavitù servitù e lavoro forzato335. 2. Il diritto internazionale di fronte al reato di tratta. Nella quasi totalità dei testi citati è stata riservata attenzione anche al delitto di tratta, al quale, però, si attribuisce una considerazione normativa che risulta essere sempre strettamente connessa e dipendente dallo stato di schiavitù in cui versa la vittima 336. Difatti, il riferimento alla tratta, viene rivolto esclusivamente a quei casi in cui la persona oggetto del traffico versi in condizioni di schiavitù o in condizioni analoghe alla stessa, intesa come condizione di fatto di totale assoggettamento all’altrui volontà. Il fenomeno della tratta, tuttavia, non può restare vincolato ad una definizione così restrittiva, unicamente riferibile allo stato di schiavitù. Con il passare del tempo si diffonderà l’idea della necessità di tutela di un concetto estensivo di tratta, poiché la stessa ricorre ogni qualvolta vi sia un’attività d’induzione, reclutamento e trasferimento di persone da un luogo ad un altro o anche nell’ambito dello Stato al fine di sfruttarne la persona, per fini illeciti, anche a scopi lavorativi o sessuali. Il fatto che la stessa venga anche ridotta in uno stato di schiavitù o condizioni analoghe peserà come aggravante del fatto, ma non come condizione determinante337. Fu così che agli inizi del secolo scorso, il diritto internazionale convenzionale iniziò ad occuparsi anche di quelle condotte che si slegavano dal concetto di schiavitù strettamente inteso. In particolar modo, causa di ciò fu la sempre più rilevante tendenza che si diffuse in quegli anni, per cui alla progressiva diminuzione del traffico di schiavi, iniziata a partire dei primi del Novecento, faceva riscontro un aumento di 335 P.SCEVI, Premesse per uno studio sui delitti di schiavitù, op. cit., pg.937. Già dal 1815, nell’ambito del Congresso di Vienna, si parlava dell’obbligo di reprimere la “tratta degli schiavi” così come nella Convenzione di Ginevra del 1926, ove sul medesimo piano della proibizione della schiavitù si pone la tratta degli schiavi. Anche la Convenzione supplementare del 1956 ci parla ancora della abolizione della schiavitù, della tratta degli schiavi e delle pratiche analoghe alla schiavitù. 337 F.SPIEZIA ,La tratta di esseri umani: gli strumenti investigativi di cooperazione internazionale, op. cit., pg.10. 336 138 comportamenti analoghi, ai quali però non era applicabile la normativa internazionale preesistente338. In tal senso, un primo gruppo di convenzioni internazionali in materia venne adottato al fine di reprimere la tratta di donne e fanciulle a scopo di prostituzione nella prima metà del secolo scorso339. Il fenomeno andava assumendo un aspetto del tutto nuovo rispetto alla tratta di schiavi così come tradizionalmente descritta nei testi del passato, nei quali si faceva riferimento all’istituto giuridico della schiavitù come a quei casi in cui una persona poteva esser privata in tutta o in parte della propria capacità giuridica, divenendo oggetto della proprietà di un’altra persona. Le vittime tutelate alla luce dei nuovi trattati invece, conservano intatto il proprio status giuridico ed i poteri sulle stesse esercitati sono del tutto privi di una legittimazione giuridica340. La condanna della tratta, svincolata dal concetto di schiavitù inteso in senso stretto, si è poi ulteriormente intensificata con l’adozione di nuovi testi volti alla repressione dello sfruttamento dei fanciulli341; una fra tutte, la già citata Convenzione supplementare all’abolizione della schiavitù, della tratta di schiavi e delle istituzioni e pratiche simili alla schiavitù (1956) ove all’articolo 1 lett. d , fra le pratiche condannate viene inclusa: “ogni istituzione o pratica secondo la quale un bambino o un adolescente minore di diciotto anni sia consegnato, dai genitori o da uno di essi o dal tutore, a un terzo, con o senza pagamento, perché ne sfrutti la persona o il lavoro.”342 Insomma il traffico di persone viene progressivamente ad assumere una rilevanza internazionale ulteriore ed autonoma rispetto a quella della tratta di schiavi. 338 I. CARACCIOLO, Dalla tratta di schiavi, op. cit., pg.224. Ci riferiamo alla Convenzione internazionale di Parigi, 1904, per l’eliminazione della tratta delle bianche, e la Convenzione internazionale di Parigi, 1910, per l’eliminazione del traffico di donne bianche, Altrettanto rilevanti in materia, la Convenzione internazionale per la repressione della tratta delle donne e dei fanciulli, del 1921,e la Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione altrui, del 1949.Nella medesima prospettiva, la tratta viene stigmatizzata specificatamente nell’art. 6 della più recente convenzione del 1979 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna. 340 A. ANNONI, L’attuazione dell’obbligo internazionale di reprimere la tratta degli esseri umani, in Rivista di diritto internazionale, n.2/2006, pg.406. 341 G.PALMISANO, Dagli schiavi ai migranti clandestini, op. cit., pg472. 342 Sulla stessa linea ricordiamo l’art. 35 della Convenzione del 1989 sui diritti del fanciullo, in cui si impone l’obbligo in capo agli Stati membri di adottare le misure necessarie “to prevent the abduction of, the sale of or traffic in children for any purpose or in any form”. 339 139 Il superamento definitivo del vincolo che legava il concetto di tratta a quello di schiavitù, e l’affermazione di un concetto di traffico inteso in termini generali lo si raggiunse definitivamente nel 2000, con l’adozione del Protocollo sulla prevenzione, soppressione e repressione del traffico di persone, specialmente donne e bambini, adottato assieme alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, siglato dall’Assemblea generale a Palermo nel dicembre 2000343. 2.1 La convenzione di Palermo e i due protocolli: tratti generali. Con l’adozione di questo protocollo non si raggiunse solo una precisa delimitazione del concetto di tratta, ma anche l’elaborazione di una separazione di concetti e di un’esatta e completa definizione di due fenomeni che sino a quel momento venivano spesso confusi o sovrapposti: parliamo del delitto di tratta, che trova ora collocazione nel protocollo sul trafficking, da un alto, e di quello di traffico di migranti clandestini, dall’altro, contenuto e definito nel protocollo sullo smuggling. I due protocolli rappresentano il punto d’arrivo di un lento ed inarrestabile processo normativo che per anni tentò di separare i due fenomeni con l’adozione di definizioni globalmente condivise344. Obiettivi specifici dei Protocolli in questione sono quelli prevenire e combattere lo “smuggling” e “trafficking”345, promuovere la cooperazione tra gli Stati parte, ma soprattutto proteggere i diritti umani dei migranti 346. 343 La convenzione è entrata in vigore il 29 settembre del 2003, mentre il protocollo sulla tratta e sul traffico di migranti , divennero esecutivi, rispettivamente, nel dicembre 2003 e nel gennaio 2004. 344 G. PACCIONE, La tratta di persone nel diritto internazionale, in Diritto.net, DCeditore, 2004, pg.34 ss. 345 Le definizioni di trafficking e smuggling sono contenute rispettivamente all’articolo 3 dei due Protocolli menzionati. Per tratta di persone (trafficking) intendiamo “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’ospitare o l’accogliere persone tramite l’impiego della forza o di altre forme di coercizione di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende come minimo lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”. Per quel che concerne il traffico di migranti (smuggling), con questo intenderemo quelle attività che consistono “nel procurare, al fine di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, l’ingresso illegale di una persona in uno Stato in cui la persona non è cittadina o residente permanente e qualifica ingresso illegale il varcare i confini senza soddisfare i requisiti necessari per l’ingresso legale nello Stato di accoglienza”, così D.MANCINI, in Traffico di migranti, op. cit.,pg.61. 346 E. ROSI, Le misure internazionali per la lotta contro le forme di criminalità connesse al fenomeno migratorio, in Riv. Giur. Circ. e trasp.,2002,II, pg.180. 140 Sulla scia di quest’indirizzo di politica di tutela e protezione nei confronti delle vittime inaugurato dai due Protocolli s’inseriranno numerosi atti successivi dell’Unione europea, quali ad esempio: la direttiva 2004/81/CE, la Convenzione di Varsavia del 2005 ed infine la recentissima direttiva 2011/36/UE. Passaggi che avremo occasione di approfondire nei prossimi paragrafi. I due Protocolli inoltre si pongono in maniera accessoria e supplementare rispetto alla Main Convention, così come indicato dagli artt. 1 (del tutto simmetrici) inseriti nei rispettivi Protocolli, laddove è detto che gli stessi integrano la Convenzione delle Nazioni unite contro la Criminalità organizzata 347. In relazione alla Convenzione citata noteremo come l’importanza fondamentale della stessa deriva da alcuni aspetti che si spingono ben oltre le novità contenute nei protocolli. Innanzitutto occorre premettere che si è trattato del più importante sforzo di armonizzazione normativa e di promozione della cooperazione giudiziaria e di polizia mai promosso in precedenza dagli Stati. Essa contiene, da un lato, tutta una serie di norme che hanno per obiettivo quello di rafforzare la cooperazione giudiziaria internazionale, dall’altro, un insieme di norme che mirano all’armonizzazione normativa. La Convenzione potrà esser definita come il primo trattato multilaterale contro il crimine organizzato: in tal senso è stato affrontato per la prima volta il problema della definizione generale e sistematica della criminalità organizzata. In essa vi sono alcuni elementi definitori e metodologici meritevoli di grande attenzione, quali la specifica definizione di “gruppo criminale organizzato” con riferimento al tipo di infrazione che ne costituisce lo scopo348; inoltre sono stati introdotti specifici obblighi di incriminazione per gli Stati al fine di reprimere fenomeni di criminalità la cui rilevanza superi i confini territoriali del singolo Stato, così come previsto dagli articoli 5, 6,8,23: gli Stati dovranno prevedere nelle rispettive legislazioni nazionali norme incriminatrici 347 F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore, 2002, pg. 196. 348 L’espressione “gruppo criminale organizzato” designa un gruppo strutturato, che esiste da un certo tempo, composto da tre o più persone che agiscono di concerto con lo scopo di commettere una o più gravi infrazioni stabilite conformemente alla presente Convenzione, per trarne, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale. 141 adeguate a sanzionare i reati di partecipazione ad un gruppo criminale organizzato, riciclaggio, corruzione ed intralcio alla giustizia 349. Difatti, la natura tipicamente transnazionale dei delitti in questione ha condotto sempre più verso la ricerca di un’armonizzazione delle fattispecie penali in materia degli Stati coinvolti ed inoltre verso una cooperazione fra gli stessi. Una cooperazione fra autorità che si gioca non solo sul piano giudiziario, ma anche sul quello investigativo e di polizia, con l’introduzione di specifici obblighi di collaborazione quali essenziali strumenti ai fini dello sviluppo di un’azione repressiva, a livello internazionale, delle organizzazioni criminali in special modo dedite al traffico di persone. 2.2 La Convenzione di Palermo verso un’armonizzazione normativa a livello internazionale. Con la Convenzione di Palermo si raggiunse la consapevolezza che, al fine di un’efficace azione di contrasto alla tratta di esseri umani e al traffico di migranti, fosse necessaria un’armonizzazione normativa a livello transnazionale che permettesse di condividere definizioni e prassi operative 350. Lo scopo perseguito dalla Convenzione viene chiaramente enunciato all’articolo 1, ove si evince la volontà di <<promuovere la cooperazione per prevenire e combattere il crimine organizzato transnazionale in maniera più efficace>>. Queste parole mostrano esplicitamente come le scelte di politica criminale adottate dall’accordo multilaterale in questione sottendano la consapevolezza da parte degli Stati firmatari dell’insufficienza delle legislazioni nazionali ad operare un efficace contrasto al crimine organizzato transnazionale, date la carenze di meccanismi che permettano un’effettiva cooperazione fra gli stessi 351. In quest’ottica il testo si preoccupa di fornire preliminarmente definizioni comuni di riferimento in un terreno da sempre affetto da una carenza di determinatezza. 349 D. ZINGALES, La convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale e l’introduzione del reato transnazionale ad opera della legge n. 146/2006: rilevanza e aspetti problematici alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali, in Riv. Trim. dir. Pen. Econ, 1-2/2012, pg. 450. 350 D. MANCINI, Traffico di migranti e tratta di persone, tutela dei diritti umani e azioni di contrasto, FrancoAngeli, Milano 2008, pg.60 351 D.ZINGALES, La convenzione ONU, op. cit., pg. 455. 142 La Convenzione introduce così delle importanti innovazioni nel diritto penale, offrendo per la prima volta alla comunità internazionale delle definizioni universalmente riconosciute di figure fondamentali del diritto penale legate al fenomeno della criminalità organizzata, quali la definizione di gruppo criminale organizzato (articolo 2), di grave crimine, di proventi di reato, sequestri e confisca.352 Gli articoli 5-9 si preoccupano di introdurre specifici obblighi d’incriminazione in capo agli Stati, interventi resi necessari dal fatto che all’epoca della stipula del trattato, non tutte le legislazioni nazionali prescrivevano norme ad hoc atte a reprimere quei reati. Ruolo prioritario assumono così le definizioni comuni di reato, con i connessi obblighi di incriminazione posti a carico degli Stati, al fine di realizzare una piattaforma omogenea di tutela penale in settori chiave del contrasto alla criminalità organizzata. Vengono dunque previsti degli obblighi universali di incriminazione in relazione alle condotte di partecipazione ad un gruppo di criminalità organizzata, al compimento di atti o fatti di corruzione, al riciclaggio dei proventi dei reati, alle condotte di intralcio alla giustizia, prevedendo anche una responsabilità giuridica in capo alle persone 353. Per quel che concerne più specificatamente il traffico internazionale di persone, come già anticipato, è stata dettata una definizione universalmente valida dei reati di tratta e traffico di migranti clandestini, che rappresenta un significativo passo in avanti in merito all’esigenza di un’armonizzazione normativa, per lo meno da un punto di vista terminologico. In tal senso peraltro, s’impone la previsione di un obbligo in capo agli Stati contraenti di penalizzazione, nell’ambito del loro diritto interno, dei reati di tratta e traffico così come descritti nei due Protocolli e nella Convenzione. Qui emerge in maniera lampante la ricerca da parte della Convenzione di un’armonizzazione delle fattispecie penali in materia, al fine di superare le pluralità di definizioni che di tali fenomeni era dato riscontrare sul piano del diritto interno, nelle legislazioni dei diversi paesi 354. Tale armonizzazione normativa fra Stati appare assolutamente essenziale in una prospettiva di contrasto di un fenomeno dalla spiccata tendenza transnazionale, al fine 352 F.SPIEZIA ,La tratta di esseri umani: gli strumenti investigativi di cooperazione internazionale, op. cit., pg.14. 353 E. ROSI, La tratta di esseri umani e il traffico di migranti. Strumenti internazionali, in Cass. Penale, 2001, n°3, pg.990 ss. 354 F. SPIEZIA, ,La tratta di esseri umani: gli strumenti investigativi di cooperazione internazionale, op. cit., pg.15. 143 di superare le differenze che ancora sul piano normativo dividevano le legislazioni dei diversi paesi. La previsione di obblighi d’incriminazione, peraltro, rappresenta un notevole passo in avanti lungo il percorso della costruzione di un diritto penale internazionale, slegandosi da quella che è l’impostazione rigorosa dei rapporti fra sistema penale e singoli confini nazionali in cui, tradizionalmente, la sovranità nazionale in materia penale ha da sempre vietato la scelta dei reati all’attività normativa internazionale 355. 2.3. Le disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria: la richiesta di assistenza giudiziaria nella Convenzione ONU. Al di là del tentativo promosso dalla Convenzione di un’uniformazione normativa a livello internazionale, ciò che pare auspicabile è l’introduzione di meccanismi di cooperazione fra Stati al fine di una più efficace azione di contrasto al crimine organizzato transnazionale. Per quel che concerne i profili di cooperazione giudiziaria, innanzitutto non si potrà prescindere da una collaborazione fra Stati nella fase investigativa, punto di partenza fondamentale al fine di combattere efficacemente una criminalità senza confini. Dunque l’articolo 18 della Convenzione356 fornisce un’eccellente attenzione alla mutua assistenza legale, con indicazione delle forme e dei presupposti per attivare la cooperazione357; prevede innanzitutto che l’assistenza giudiziaria sia consentita nel modo più ampio possibile nei casi specificatamente indicati; prevede, inoltre, che la possibilità di attivazione di meccanismi di cooperazione giudiziaria internazionale verrà concessa per un fatto delittuoso per il quale vi sia ragionevole motivo di sospettare il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato358, cioè in tutti quei casi in cui, in una fase prodromica alle indagini, la situazione fattuale non consenta ancora di 355 D.MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 61 ss. Convenzione di Palermo, articolo 18: Assistenza giudiziaria reciproca: 1.Gli stati parte si concedono la più ampia assistenza giudiziaria in materia di indagini, azione penale, e procedimenti giudiziari per i reati di cui alla presente Convenzione così come previsto all’articolo 3 ed estendendo reciprocamente analoga assistenza nel caso in cui lo Stato Parte richiedente abbia fondati motivi di sospettare che il reato di cui all’articolo 3, paragrafo 1 , sia di natura transnazionale (….). 2. L’assistenza giudiziaria reciproca è concessa nel modo più ampio possibile (….). 357 D. MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 63. 358 F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore, 2002, pg. 193. 356 144 affermare con certezza il carattere di crimine organizzato, così come definito dalla Convenzione, ma permetta solo di cogliere degli elementi di coinvolgimento con una realtà criminale, legata verosimilmente al traffico di esseri umani, in cui il frazionamento delle condotte può in apparenza impedire di cogliere l’operatività di una sottostante e complessa organizzazione 359. Difatti gli aspetti tipicamente transnazionali dei delitti in questione possono venire alla luce solo attraverso un’attività di indagine che partendo dal singolo episodio di sfruttamento, riesca a ricostruire i percorsi attraversati dalla vittima individuando gli autori delle condotte criminose impiegati dalla fase dell’arruolamento dei paesi di origine sino alla tappa finale di smistamento nei settori del lavoro nero, a fini di prostituzione etc…360 Per quel che concerne il principio della disponibilità delle informazioni e dello scambio delle stesse, questo viene previsto sempre nell’ambito dell’articolo 18 della Convenzione ONU, il quale stabilisce che “senza pregiudizio al proprio diritti interno, le competenti autorità dello Stato parte possono, senza una precedente richiesta, trasmettere informazioni in materia penale ad un’autorità competente di un altro Stato parte, qualora ritengano che dette informazioni possano essere utili all’autorità ad intraprendere o a concludere con successo inchieste o procedimenti penali o possano dar luogo ad una richiesta formulata dal secondo Stato parte”. Lo scambio d’informazioni, peraltro, è oggetto di una norma ad hoc nel Protocollo addizionale della Convenzione di Palermo sulla tratta, più precisamente all’articolo 10 361 . Sulla stessa linea s’inserisce un ulteriore articolo del Protocollo sui migranti, in cui viene previsto espressamente che gli Stati parte si scambino una serie di informazione su una serie di punti chiave, quali ad esempio i punti di imbarco e destinazione, itinerari, trasportatori e mezzi di trasporto utilizzati dai gruppi criminali etc. … Questo continuo scambio d’informazioni diverrà punto cardine della cooperazione a livello internazionale362. 359 E. ROSI, La tratta di esseri umani, op. cit., pg. 1987. F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento, op.cit., pg. 194. 361 Seppur nel rispetto del loro diritto interno, gli Stati si impegnano a scambiarsi informazioni su elementi che possano rappresentare indici rivelatori della commissione dei crimini in questione. In particolare con riferimento specifico alla tratta, è rilevante: la verifica di un eventuale ruolo degli stranieri che varchino i confini, la descrizione della tipologia dei documenti di viaggio, mezzi e metodologie utilizzate per la tratta. 362 E. ROSI, Le misure internazionali, op. cit., pg.194. 360 145 L’articolo 18 citato, per altro, introduce un’importante deroga al principio di applicazione della Convenzione, che all’articolo 4 stabilisce che la stessa trovi attuazione nei casi previsti dagli articoli 5,6,8,23 (partecipazione a gruppo criminale organizzato, riciclaggio, corruzione, intralcio alla giustizia) ed ai reati gravi (“serious crime”) così come descritti all’articolo 2, con riferimento a quelle condotte già previste come reato dalla legislazione nazionale puniti con una pena privativa della libertà personale di almeno quattro anni nel massimo o con una pena più elevata, quando il reato è transnazionale in natura e coinvolge un gruppo criminale organizzato. In riferimento, invece, alle richieste d’assistenza giudiziaria in relazione alla verifica di condotte criminose legate al reato di tratta, la Convenzione troverà attuazione anche per un fatto delittuoso per il quale lo Stato che richiede assistenza abbia il semplice ragionevole motivo di sospettare il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato e quando abbia motivo di sospettare che l’offesa sia transnazionale in natura, indipendentemente dal fatto che ne abbia dimostrato l’effettiva esistenza 363. La formulazione di questo articolo 18 ha una portata innovativa da non trascurare: difatti, se nel passato la forma classica di assistenza giudiziaria era sostanzialmente limitata a rapporti bilaterali fra Stati ed in relazione a singole e circoscritte vicende processuali, attualmente lo scenario pare del tutto cambiato. Il vecchio approccio, mostrando le sue lacune ed insufficienze di fronte ai caratteri della criminalità contemporanea, ha consentito di raggiungere il consenso politico a sostegno della negoziazione della Convenzione, nonostante le notevoli differenze dei sistemi giuridici degli Stati appartenenti alle Nazioni Unite364. 2.4. Altri strumenti di cooperazione giudiziaria nella fase investigativa e di prevenzione. Nella Convenzione sono stati ulteriormente previsti degli strumenti di cooperazione nella fase preventiva ed investigativa, di estrema importanza ai fini della lotta alla tratta di esseri umani. Fra i tanti, un breve cenno sarà riservato agli articoli della Convenzione e dei due protocolli che individuano la possibilità di cooperare nelle indagini, anche mediante l’utilizzo di squadre investigative comuni. 363 364 F. SPIEZIA, Gli strumenti internazionali, op.cit., pg. 48. D.MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 62. 146 Il coordinamento investigativo e le squadre investigative comuni sono specificatamente previste all’articolo 15 della Convenzione ONU che interviene sul tema regolando opportunamente i rapporti tra le diverse giurisdizioni interessate in ordine all’insieme di reati che ne costituiscono l’oggetto, stabilendo il principio secondo il quale qualora uno o più Stati stiano conducendo un’indagine, un’azione penale in relazione alla medesima condotta delittuosa “le competenti autorità degli Stati parte si consultano al fine di coordinare le loro azioni”, potendo inoltre stringere accordi o intese, bilaterali o multilaterali, finalizzate alla costituzione di “organi investigativi comuni”, o comunque, in caso di assenza di accordi o intese, la possibilità di intraprendere indagini comuni sulla base di accordi caso per caso, nel pieno rispetto della sovranità dello Stato nel cui territorio l’indagine avrà luogo.365 Completano il quadro in materia di cooperazione giudiziaria alcune disposizioni previste dai due Protocolli annessi alla Convenzione di Palermo: ci riferiamo alla sezione terza che in entrambi i testi viene dedicata agli aspetti di prevenzione e cooperazione. Le disposizione sulla prevenzione e cooperazione costituiscono il settore di maggior importanza e di rilevanza pratica dell’intero documento, in quanto stabiliscono degli obblighi per gli Stati parte di cooperazione e di armonizzazione delle misure sia legislative che di law enforcement. Dopo anni di tentativi sporadici e sconnessi da parte della comunità internazionale in vista della repressione del crimine, la stessa si rende finalmente consapevole del fatto che l’unica via da poter seguire per un efficace contrasto ai delitti in esame consiste nella ricerca di una più stretta collaborazione tra gli Stati coinvolti. Le norme delle quali si parla, si mostrano innanzitutto come delle norme complementari rispetto a quanto viene stabilito nella Convenzione madre, e riguardano specificatamente i controlli alle frontiere (art.11), i controlli documentali (articolo 12), e la garanzia di una reciproca capacità di accertamento in ordine alla veridicità e validità degli stessi: questi sono disposizioni importantissime per la fase preventiva del traffico.366 In relazione al controllo di frontiera, viene richiesto uno specifico rafforzamento dei controlli, pur facendo salvi gli obblighi internazionali relativi alla circolazione delle persone. Oltre a questo generale rafforzamento dei controlli, per quel che riguarda la sicurezza documentale, si richiede la creazione di norme minime comuni 365 366 F. SPIEZIA, op. cit., pg 60 ss. E. ROSI, La tratta di esseri umani, op. cit., pg.991. 147 per tutti gli Stati che consentano, con un’accurata governance dei titoli legittimanti l’ingresso ed il soggiorno in uno Stato, di ridurre se non evitare, falsificazioni ed abusi. In capo ad ogni Stato graverà ulteriormente l’obbligo di verificare la legittimità e la validità di qualunque documento di viaggio rilasciato in suo nome, che sia sospettato di illegittimità ed di uso illecito ai fini della commissione dei reati in questione. 367 Infine, le norme specifiche contenute nei due protocolli dovranno necessariamente essere lette ed applicate congiuntamente, in quanto sia la tratta che il traffico di migranti presentano delle sintomatologie operative e delle modalità di attuazione spesso simili. Le disposizioni concernenti la cooperazione giudiziaria nello scambio d’informazioni fra le autorità di polizia dei diversi Stati parte sono inserite nell’articolo 10 del protocollo (come già visto sopra) e all’articolo 13: quest’ultimo si occupa della verifica della legittimità e della validità dei documenti di viaggio e/o d’identità, da parte di uno Stato, su richiesta di un altro Stato parte. Si ritiene inoltre che per garantire l’efficacia dei controlli incrociati, gli Stati si dotino di strumenti tecnologicamente all’avanguardia e di squadre specializzate composte da persone esperte nell’identificazione dei documenti. 2.5.Un tentativo fallito? Limiti della Convenzione di Palermo. Alla resa dei conti però, gli ambiziosi tentativi portati avanti nella Convenzione di Palermo, quali il raggiungimento di un’armonizzazione normativa a livello internazionale sul tema della tratta di esseri umani e traffico di migranti, e la previsione di forme di collaborazione giudiziaria più intensa fra gli Stati coinvolti, paiono in parte aver deluso le aspettative. In particolar modo, questo parziale fallimento si registra proprio in relazione all’aspirazione di fondo della Convenzione relativa alla creazione di uno “spazio giuridico internazionale”, da realizzarsi tramite un riavvicinamento della legislazioni dei singoli Stati; all’interno di tale spazio ciascuno Stato dovrebbe ricoprire il medesimo ruolo nella lotta al contrasto del crimine ed inoltre dovrebbe impegnare tutti gli Stati coinvolti al rispetto degli obblighi convenzionali, nei limiti di compatibilità con i 367 E.ROSI, Le misure internazionali, op. cit. pg.196 ss. 148 principi proprio di ciascun ordinamento. Tuttavia tale pretesa, per il momento, rimane nello scenario internazionale, ancora una chimera. Molteplici le ragioni dell’insuccesso addebitato in tal senso alla Convenzione di Palermo. La dottrina evidenzia, ad esempio, come la Convenzione non abbia garantito l’auspicabile omologazione dal punto di vista sanzionatorio: difatti non si prevedono parametri sanzionatori uniformi (se non in relazione ai crimini più gravi, nei quali viene fissato il limite minimo di reclusione di quattro anni, lasciando però poi ampia discrezionalità ai legislatori nazionali circa i limiti edittali massimi). Inoltre si critica il fatto che la Convenzione preveda generici obblighi di incriminazione che gli Stati dovranno rispettare, lasciando però a questi ultimi piena discrezionalità sugli strumenti normativi sostanziali e processuali per adempiervi, in rispetto delle tradizioni giuridiche previste nei singoli ordinamenti368. Nonostante tale mancato raggiungimento dell’obiettivo di armonizzazione che si rimprovera alla Convenzione di Palermo, resta d’obbligo un’osservazione: la Convenzione è uno strumento di portata internazionale, ed in quanto tale indirizzato ad un numero considerevole di Stati differenti, con proprie e molto spesso lontane tradizioni giuridiche. Dunque, nel panorama internazionale, la pretesa di un’armonizzazione normativa tout court pare impresa quasi utopistica. Al contrario, quest’obiettivo di riavvicinamento fra le varie legislazioni nazionali pare decisamente più concreto ed auspicabile nell’ambito del più ristretto spazio giuridico europeo, in particolare per la maggiore vicinanza esistente fra le varie tradizioni giuridiche degli Stati membri. Nel microcosmo europeo, tale possibilità di realizzazione di uno spazio di libertà sicurezza e giustizia, così come auspicato sin dal trattato di Amsterdam, dovrebbe porsi come un obiettivo più facilmente raggiungibile. A livello comunitario e regionale difatti, già da tempo si rifletteva sulla possibilità della realizzazione di uno spazio giuridico comune, muovendosi nella prospettiva della creazione di un diritto penale europeo, condicio sine qua non per una lotta efficace alle forme di criminalità transnazionale. Ripercorreremo nel prossimo paragrafo le tappe 368 D.ZINGALES, La convenzione ONU, op. cit., pg. 458 ss. 149 salienti di questo percorso, che partendo dal trattato di Maastricht sono approdate sino alle ultimissime disposizioni contenute nel Trattato di Lisbona. 3. L’Europa verso la creazione di un Diritto penale europeo. Si è visto come le difficoltà maggiori che gli operatori a vario livello impegnati nella lotta a tali crimini transnazionali incontrano, sono legate in primis ad una carenza di omogeneizzazione legislativa e alla difficoltà di comunicazione fra Stati. I problemi, specie in ambito Europeo, si acuivano sempre più, specie in seguito all’abbattimento delle frontiere “fisiche” con l’entrata in vigore del Trattato di Schengen, al quale non corrispondeva uno speculare abbattimento delle frontiere giuridiche. La globalizzazione dei rapporti sociali, la liberalizzazione delle regole sugli spostamenti dei beni e delle persone sono fattori che hanno agevolato moltissimo la possibilità di delinquere in maniera “transnazionale”, eludendo controlli e strumenti di contrasto predisposti dai singoli Stati, permettendo agli autori di tali crimini la possibilità di scegliere fra i vari fori “quello più favorevole” (forum shopping), privilegiando i paesi dove più lacunose fossero le normative penali applicabili, più lente le risposte degli organi inquirenti e con scarse possibilità di impiego di strumenti di cooperazione giudiziaria interstatale. In questa nuova e complessa realtà criminologica transnazionale, ne è derivata una sempre maggiore difficoltà da parte delle autorità giudiziarie nazionali nel portare avanti iniziative di ricerca di elementi di prova al di fuori dei confini della propria nazione, oppure per la cattura di criminali riparati all’estero. Difficoltà accentuate dalle profonde diversità delle norme presenti negli ordinamenti giuridici nazionali. Al fine d’impedire il verificarsi di fenomeni di questo genere, si è tentato di dare una risposta concreta a livello europeo, tramite un’armonizzazione delle normative esistenti ed una intensificazione della cooperazione giudiziaria su più livelli369. È con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam che si è delineata l’idea della creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, obiettivo questo che 369 E.APRILE, Diritto processuale penale europeo ed internazionale, Padova, 2007, pg. 2 ss. 150 s’intreccia profondamente con l’auspicio di un’intensificazione dei mezzi di contrasto della criminalità transnazionale . Tale passaggio era di cruciale importanza al fine del superamento di una concezione esclusivamente “mercantilistica” dei rapporti che legavano Stati dell’Unione europea 370. La creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, (Titolo VI, artt. 29 e segg. TUE) viene immaginato come uno spazio in cui le persone siano libere di spostarsi senza vincoli, di godere del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, di beneficiare di uguali condizioni di legalità e sicurezza, facendo affidamento su regimi giuridici uniformi o armonizzati, e di accedere agli organi giudiziari di ogni Stato per ottenere tutela dei propri diritti e delle proprie libertà371. Tale obiettivo dovrà essere realizzato con un’intensificazione della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Inoltre, dirette conseguenze in relazione all’argomento di cui ci occupiamo derivano dall’inclusione di delitti quali la criminalità organizzata transnazionale e la tratta di esseri umani (assieme ad altre fattispecie di reato quali: terrorismo, traffico illecito di stupefacenti etc. …) in quell’alveo di delitti che legittimano interventi da parte dell’Unione europea di ravvicinamento delle nome sostanziali dei diritti penali nazionali, in vista di un’armonizzazione normativa in materia penale 372 (art. 31, comma 1, lett e, TUE vers. Amsterdam373, già richiamato dall’art. 61, comma 1, lett. a, TCE). 370 In realtà, sin dal Trattato di Maastricht (1992) si era posto fra gli obiettivi della costituita Unione europea l’ampliamento dei compiti dell’Unione in settori ulteriori rispetto a quelli di una cooperazione di tipo esclusivamente economico: il processo di integrazione europea viene ad identificarsi, a partire da Maastricht in poi, con questo nuovo edificio, l’Unione europea appunto, che si regge su tre pilastri: il primo pilastro o pilastro comunitario, composto dalle Comunità europee; il secondo pilastro, costituito dalla PESC; ed il terzo pilastro formato dalla GAI (cooperazione in materia di giustizia ed affari interni) così R. ADAM, A. TIZZANO, Lineamenti di diritto dell’Unione europea, Torino 2010, pg. 4. 371 E.APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg.5. 372 Ricordiamo come il Trattato di Amsterdam ridimensiona fortemente i contenuti del cosiddetto “terzo pilastro” del precedente Trattato di Maastricht, che stabiliva una cooperazione in ambito di giustizia e affari i nterni (GAI) che comprendeva diverse materie: cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, visti asilo, immigrazione e cooperazione giudiziaria in materia civile. A tal fine era previsto che il Consiglio potesse adottare:posizioni comuni, azioni comuni e convenzioni. Con il Trattato di Amsterdam la materia di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale viene collocata nel titolo VI TUE, mentre le materie concernenti visti, asilo, immigrazione e cooperazione giudiziaria in materia civile vengono collocate nel titlo IV TCE, determinando una parziale comunitarizzazione delle stesse, poiché sono state trasferite al pilastro comunitario; cosi R. ADAM, La cooperazione in materia di giustizia e affari interni, in AA.VV., Il trattato di Amsterdam, Milano, 1999, pg. 230 373 Trattato di Amsterdam, art. 31,lett e: “L’azione comune nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale comprende la progressiva adozione di misure per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e delle sanzioni, per quanto riguarda la criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico illecito di stupefacenti”. 151 In verità, già prima dell’entrata in vigore del Trattato di cui si parla, l’attività di contrasto alle organizzazioni criminali si muoveva verso la creazione di “obblighi di incriminazione” come direttrice di armonizzazione. Si pensi all’azione comune del 1998, relativa alla punibilità della partecipazione ad un’organizzazione criminale negli Stati membri dell’Unione europea. Intervento questo da inserirsi nel Piano di azione contro la criminalità organizzata del 1997, portavoce di una politica criminale europea, sviluppatasi per realizzare l’obiettivo dell’Unione di assicurare uno spazio comune di libertà sicurezza e giustizia, così come auspicato nell’ambito del Trattato di Amsterdam374. Gli strumenti normativi a disposizione dell’Unione al fine di un’armonizzazione a livello legislativo erano principalmente rappresentati dalle decisioni e decisioni quadro. Difatti, l’articolo 34 del TUE stabiliva che, nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, il Consiglio, deliberando all’unanimità e su iniziativa di uno Stato membro della Commissione, poteva adottare i diversi tipi di atti menzionati nella norma stessa: posizioni comuni, decisioni quadro, decisioni, convenzioni. In particolare, le decisioni quadro, erano finalizzate al ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Peraltro queste fissavano un obbligo di risultato, imponendo il raggiungimento di un obiettivo e lasciando alla competenza statale la scelta delle forme e dei mezzi; queste risultavano però prive di efficacia diretta, e dunque, affinché producessero effetti negli ordinamenti nazionali, era necessario un loro recepimento da parte dei rispettivi ordinamenti375. In sostanza, in ambito penale, l’efficacia delle norme di armonizzazione risultava, almeno in linea teorica, subordinato alla volontà da parte dello Stato membro che poteva raggiungere tal fine, per mezzo dell’emanazione di una norma ad hoc. Numerose poi furono le iniziative successive dell’Unione che si muovevano in vista della realizzazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. Fra queste, citiamo: il Consiglio di Tampere, dell’ottobre del 1999, che ha deliberato una serie di priorità di orientamenti programmativi per realizzare tale spazio più rapidamente. Segue il Consiglio europeo di Laeken (2001) che ribadisce quelli che erano le linee già indicate 374 V. MILITELLO, Criminalità organizzata transnazionale ed intervento europeo, fra contrasto e garanzie, in Riv. Trim. dir.pen.econ., 4/2011, pg.814. 375 S. CAMPAILLA, La circolazione giudiziaria europea dopo Lisbona, in Proc. Pen. e giust., anno I, n.2/2011, pg.93 ss. 152 dalle conclusioni di Tampere, sottolineando il bisogno di armonizzazione delle legislazioni sulla tratta degli esseri umani; il Consiglio di Salonicco, (2003), in cui si rimarca la necessità di un dialogo e di azione dell’Unione europea nei confronti dei Paesi terzi nel settore della migrazione e della lotta alla tratta di esseri umani. 3.1. Verso un rafforzamento della competenza penale dell’Unione: il Trattato di Lisbona. Punto di approdo, per il momento, di questo lungo processo, si registra con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (TFUE) del dicembre 2009, che ha determinato importanti modifiche nel modo di operare e sul concreto funzionamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in particolare in relazione agli strumenti predisposti in vista di un’armonizzazione normativa e alle materie relative alla cooperazione di polizia e giudiziaria in ambito penale376. Con il Trattato di Lisbona si compie un passo decisivo verso l’effettiva realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, realizzandosi un importante rafforzamento della competenza penale in capo all’Unione 377. In relazione al profilo di armonizzazione normativa penale, notiamo in primis come lo strumento della decisione-quadro, precedentemente previsto dal Trattato di Amsterdam, viene ad esser sostituito dalla direttiva, per mezzo della quale gli Stati dovranno provvedere all’armonizzazione delle varie normative penali. L’articolo 83 del Trattato di Lisbona prevede al suo primo paragrafo la capacità, in capo al Parlamento europeo e al Consiglio, di stabilire mediante direttive, norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente 376 M. CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale dopo il trattato di Lisbona, in D.S., anno II, n. 2, 2012, pg. 1. 377 Con il Trattato di Lisbona viene totalmente modificata l’architettura dell’Unione: viene abolita la suddivisione in tre pilastri, la Comunità viene assorbita dall’Unione cessando di esistere. Si determina così la “comunitarizzazione” del terzo pilastro, ossia del settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Questo determinerà un miglioramento dell’integrazione di tali settori, nei quali il processo di cooperazione incontrava molteplici ostacoli a causa del metodo intergovernativo a loro riservato: vi erano atti adottati dal Consiglio che deliberava all’unanimità e peraltro privi di efficacia diretta all’interno degli stessi. Successivamente, con l’unificazione dei tre pilastri e l’adozione del metodo comunitario, (metodo senz’altro più democratico) si rende più facile il processo d’integrazione. Metodo questo, che vede come co-legislatori Parlamento europeo e Consiglio su proposta della Commissione; così R.ADAM, A.TIZZANO, Lineamenti di diritto dell’Unione europea, op. cit.m pg.18 ss. 153 grave378, che presentino un carattere transnazionale379. Segue un elenco dettagliato che puntualizza le sfere di criminalità interessata, fra le quali compare anche l’oggetto specifico del nostro studio, ossia la condotta di tratta di esseri umani 380. Inoltre, l’elenco stilato non ha natura tassativa, potendo invece il Consiglio adottare una decisione che individui nuove sfere di criminalità rispondenti ai criteri richiesti 381. Nell’ottica del nuovo Trattato si riconferma così una capacità d’intervento penale da parte dell’Unione europea di tipo indiretta: a detta della dottrina più autorevole, il nuovo meccanismo delle direttive non sembra difatti aver aggiunto molto al tradizionale meccanismo di innesto del diritto europeo nel settore della penalità interna. Lo strumento della direttiva, affinché possa trasformarsi in diritto vivente, dovrà ancora una volta servirsi della collaborazione del legislatore nazionale, che provvederà ad emanare leggi dello Stato382. 3.2. Altre forme di cooperazione giudiziaria: gli organi e gli strumenti della cooperazione operativa L’effettiva realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia non troverà attuazione solo grazie all’armonizzazione della normativa penale sostanziale, ma potrà servirsi anche del potenziamento di forme di collaborazione e coordinamento fra i vari organi, istituzioni ed agenzie che agiscono nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, il cui funzionamento potrà rendere più agevoli ed efficaci i rapporti tra le autorità giudiziarie penali degli Stati membri dell’Unione.383 Fra i numerosi strumenti normativi introdotti allo scopo di ottenere reciproca assistenza in campo investigativo e giudiziario citeremo solo i più importanti quali: la 378 “In questo modo si realizzerà un ravvicinamento delle norme di diritto penale sostanziale del tutto indipendenti rispetto ad esigenze di cooperazione processuale, così come veniva invece stabilito negli artt. 29/31 del Trattato di Amsterdam, che prevedevano una competenza in capo all’Unione per il ravvicinamento delle norme di diritto penale solo per ragioni di cooperazione giudiziaria.” così C.SOTIS, Il trattato di Lisbona e le competenze penali dell’Unione europea, in Cass.pen., n. 3/ 2010, pg.1150 ss. 379 C.PAONESSA, L’avanzamento del diritto penale europeo dopo il trattato di Lisbona, in La giust.pen. 2010, pg.307 ss. 380 V’è da notare come l’articolo 83 in questione debba essere letto in maniera contestuale al precedente articolo 82, in cui si stabilisce quali principio fondante, il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie, e in posizione subordinata il ravvicinamento delle legislazioni nazionali. 381 V. MILITELLO, Criminalità organizzata transnazionale, op. cit., pg. 816. 382 C.PAONESSA, L’avanzamento del diritto penale europeo, op.cit., pg. 308. 383 E. APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg. 26 ss. 154 Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, siglata nel 1959; la Convenzione di applicazione dell’accordo Schengen, 1990, ed infine la Convenzione del 29 maggio 2000 in tema di assistenza giudiziaria 384. Per quel che riguarda più specificatamente gli attori della cooperazione di polizia, interviene sul tema una convenzione specifica siglata a Bruxelles nel ‘95 che ha istituito un ufficio europeo di Polizia (Europol); un cenno sarà riservato per altro alle squadre investigative comuni previste dalla convenzione del 29 Maggio 2000 in tema di assistenza giudiziaria385. Di notevole rilievo sono anche i numerosi cambiamenti introdotti dal Trattato di Lisbona, che è intervenuto sul tema prevedendo il potenziamento di organi già esistenti, ed in misura minore con l’introduzione di organi ex novo. Dal punto di vista della collaborazione delle autorità nazionali in materia giudiziaria, un approfondimento sarà riservato all’organismo Eurojust (previsto dalla Convenzione del Consiglio europeo di Tampere del 1999, alla conclusione n.46) ed ai nuovi poteri ad esso attribuiti dal Trattato di Lisbona. Infine, uno spazio verrà riservato alla possibile introduzione di una procura operante a livello europeo. 384 Per quel che concerne la Convenzione europea di assistenza giudiziaria del ‘59, in essa le parti contraenti si obbligano ad accordarsi reciprocamente l’assistenza giudiziaria nella maniera più ampia possibile in qualsiasi procedura concernente reati la cui repressione, al momento in cui l’assistenza giudiziaria viene domandata, è di competenza dell’autorità giudiziaria della parte richiedente. La Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen stabilisce una disciplina delle diverse misure compensative degli effetti dell’abolizione dei controlli alle frontiere. Inoltre, lo strumento contiene anche una serie di misure incidenti sul piano della cooperazione tra le Forze di polizia e tra le autorità giudiziarie. In merito a ciò, l’articolo 48 stabilisce che le disposizioni inerenti la materia dell’assistenza giudiziaria in ambito penale integrano quelle della Convenzione europea del 1959, non modificando quelle più favorevoli contenute in accordi bilaterali. Di particolare rilevanza i dettami in materia di cooperazione di Polizia ( si veda articoli 39 e 40 della Convenzione). In tema di cooperazione giudiziaria una delle innovazioni più importanti è rappresentata dalla “corrispondenza diretta tra le autorità Giudiziarie”, a norma dell’articolo 53, in contrasto con ciò che veniva stabilito nella Convenzione del 59, in cui la trasmissione diretta tra le autorità giudiziarie era limitato ai soli casi di urgenza. Infine, con riferimento alla Convenzione del 2000, il Consiglio d’Europa vota a Bruxelles una convenzione volta a completare le disposizioni per facilitare l’applicazione dei vari strumenti; in particolare s’interessa dell’integrazione e del completamento della Convenzione del ’59, introducendo degli indirizzi volti ad incoraggiare e facilitare ulteriormente l’assistenza tra le autorità giudiziarie, di polizia e delle dogane, in materia penale. Cosi F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento, op. cit. pg.166 ss. 385 M.CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria, op cit., pg.33. 155 3.2.1. Cooperazione di polizia: Europol e le squadre investigative comuni. Nell’ambito della cooperazione in materia di polizia e giustizia, assume particolare rilevanza nel settore della lotta alle organizzazione dedite al traffico di esseri umani, la Convenzione firmata nel luglio del 1995, a Bruxelles, che istituiva un ufficio europeo di Polizia, Europol, con l’obiettivo specifico di realizzare, nell’ambito della cooperazione nel settore della giustizia ed affari interni, una più stretta collaborazione fra gli Stati membri, al fine di contrastare le principali forme di criminalità organizzata transnazionale386. Scopi principali di questo nuovo organismo sono quelli di “ migliorare l’efficacia dei servizi competenti degli Stati membri e la loro cooperazione, al fine di prevenire e combattere il terrorismo, il traffico illecito di stupefacenti ed altre gravi forme di criminalità transnazionale, purché esistano indizi concreti di una struttura o di un’organizzazione criminale e purché due o più Stati membri siano lesi” 387. La scelta di una “europeizzazione” del contrasto alle organizzazioni criminali doveva attuarsi mediante specifici compiti riservati in capo all’Europol, quali l’agevolazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, la raccolta la riunione e l’analisi delle informazioni e segnalazioni, la comunicazione ai servizi competenti degli Stati membri delle informazioni che li riguardano e quelle relative ai collegamenti rilevati tra fatti delittuosi, e ancora, la facilitazione delle indagini fra Stati membri trasmettendo alle unità nazionali tutte le informazioni al riguardo, nonché la gestione e la raccolta informatizzata delle stesse388. Su tale disegno, ciascun Stato membro individua un’unità nazionale incaricata di svolgere le funzioni menzionate, unità nazionale che, peraltro, è l’unico organo di collegamento fra l’Europol ed i servizi nazionali competenti, e che invia all’ufficio di polizia europeo almeno un ufficiale di collegamento incaricato di occuparsi degli interessi della sua unità nazionale389. 386 F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore, 2002, pg. 172. 387 Convenzione Europol, GU C 316/1995, pg.1. 388 F.M.DE MARTINO, Europol, in AA.VV , Nuove strategie per la lotta al crimine organizzato transnazionale, Giappichelli editore,2003, PG.140 ss. 389 F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, op. cit., pg. 173. 156 Tuttavia, i poteri concretamente esercitabili sulla scorta della Convenzione, paiono decisamente insufficienti. Questi ultimi sembrano limitati a taluni ambiti specifici, quali lo scambio di dati ed informazioni, l’attività di intelligence e l’analisi dei fenomeni criminali. In tal modo vengono esclusi tutti quei rilevanti poteri operativi o investigativi diretti, quali il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, il potere di effettuare arresti e il diritto al porto ed all’uso legittimo delle armi. Ciò lo si ricollega ad un atteggiamento di forte diffidenza da parte degli Stati che vedono messa in pericolo la propria sovranità. Nel corso del tempo la Convenzione originaria ha subito parziali modifiche tramite sia emendamenti, sia l’adozione di protocolli ad hoc. 3.2.2. Europol dal Trattato di Amsterdam al Trattato di Lisbona. Anche alcuni trattati si sono interessati all’organismo Europol e ne hanno ampliato i compiti e le funzioni così come originariamente designati dalla Convenzione. Riferendoci ai più recenti, pensiamo al Trattato di Amsterdam, il quale è intervenuto sul tema specificando meglio i contorni e precisando i contenuti operativi e le prospettive di sviluppo dell’organismo. In particolare, il trattato in questione ha individuato, accanto alla funzione di mero coordinamento fra organi di polizia (ossia, l’espletamento dell’attività di prevenzione generale e di individuazione dei fatti di reato ed assicurazione delle fonti di prova), l’assegnazione all’organismo comunitario di compiti di natura informativa e formativa. In relazione al primo profilo, si è dato particolare rilievo alla raccolta dei dati, per mezzo dell’archiviazione, del trattamento, dell’analisi e dello scambio di tutte le informazioni necessarie. Con specifico riferimento al ruolo, ai compiti di iniziativa e coordinamento, il Trattato di Amsterdam ha proposto due diverse forme di intervento: una funzione di coordinamento orizzontale, mediante la cooperazione di Europol con organi inquirenti sia di magistratura che di polizia; un coordinamento verticale, con l’adozione di misure che permettano ad Europol di fare richiesta alle autorità competenti di svolgere e coordinare le indagini su casi specifici, nonché la possibilità di promuovere il 157 coordinamento e di effettuare specifiche operazioni investigative da parte delle autorità competenti degli Stati membri390. La successiva entrata in vigore del Trattato di Lisbona è stata l’occasione adatta per procedere ad una riforma di carattere generale ed organica del funzionamento di tale ufficio. Le modifiche introdotte dovranno essere lette congiuntamente a ciò che viene stabilito dalla decisione 2009/371/GAI, del 6 aprile 2009, che sostituisce integralmente la convenzione istitutiva del ‘95 ed abroga tutte le sue misure d’attuazione. Nel titolo V del trattato di Lisbona, vengono proposte una serie di misure dirette ad una cooperazione e ad uno scambio di informazioni tra le polizie degli Stati membri e viene disposto che- attraverso specifici regolamenti, deliberati dal Parlamento Europeo e dal Consiglio- dovrà essere determinata “la struttura, il funzionamento, la sfera d’azione e i compiti di Europol”391; compiti questi che comprendono la raccolta, l’archiviazione, il trattamento, l’analisi e lo scambio delle informazioni trasmesse, in particolare delle autorità degli Stati membri o di paesi o organismi terzi ma anche il coordinamento, l’organizzazione e lo svolgimento di indagini di azioni operative, condotte di concerto con le autorità competenti degli Stati membri o nel quadro di squadre investigative comuni, eventualmente anche con il coinvolgimento di Eurojust392. Tali regolamenti, peraltro, “fissano le modalità di controllo della attività Europol da parte del Parlamento europeo, controllo cui sono associati i Parlamenti nazionali.” 393 Tale funzione di monitoraggio sull’attività dell’Ufficio diviene così più trasparente e democratica rispetto al passato, grazie alla partecipazione dei parlamenti nazionali; inoltre, si determina un significativo rafforzamento dei poteri del Parlamento in linea con quella che è la tendenza generale riscontrabile nell’ambito del Trattato di Lisbona, Una riflessione particolare merita la disposizione per la quale “la conduzione di qualsiasi azione operativa da parte di Europol viene subordinata alla condizione che la stessa avvenga d’intesa con le autorità dello Stato membro coinvolto nell’operazione”; disposizione questa che pare un tentativo di limitazione dell’acquisizione di una dimensione operativa a carico di Europol. Difatti, dalla prima comparsa dell’Istituto con 390 M.A.SCUDERI, Gli strumenti di contrasto, in AA.VV., Il Traffico internazionale di persone, a cura di G.TINEBRA, A.CENTONZE, Milano, 2004, pg. 262. 391 Art. 88,co.2, TFUE. 392 M. CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria, op.cit., pg 34. 393 Art.88 co.2 (b) TFUE. 158 la Convenzione del ‘95, gli Stati membri (come sopra accennato) si sono sempre mostrati molto restii ad attribuire in capo all’organo di polizia funzioni operative, privilegiando piuttosto la conservazione in capo allo stesso delle tradizionali funzioni di facilitazione e scambio delle informazioni, in coerenza con quanto previsto dalla decisione GAI del 2009; questo lo si deve al timore degli Stati, che vedono il potenziamento dei poteri di natura operativa come una minaccia alla propria sovranità. Nonostante ciò, v’è da dire che passi importanti sono stati percorsi in vista del riconoscimento in capo all’organo di poteri diversi dal semplice scambio di informazioni, di analisi dei fenomeni criminali e di supporto tecnico operativo alle polizie nazionali, così come originariamente previsto dalla Convenzione istitutiva del ’95. Ancora adesso il processo di perfezionamento di un modello di polizia sovranazionale, dotato di personalità giuridica non è stato ancora pienamente raggiunto, ma sono stati estesi notevolmente i suoi compiti sino a ricomprendervi anche funzioni operative (seppur nel limite di uno stretto controllo da parte degli Stati coinvolti dall’operazione). Sarebbe auspicabile in questo caso attribuire pieni poteri anche dal punto di vista operativo all’organo di polizia europeo, affinché possa esprimere le sue potenzialità al massimo delle sue possibilità. 3.2.3.Le squadre investigative comuni. Le squadre investigative comuni sono un ulteriore strumento della cooperazione giudiziaria e di polizia, introdotto al fine di reprimere gravi fenomeni criminali quali terrorismo, traffico illegale di stupefacenti e tratta di esseri umani, che coinvolgano due o più Stati membri dell’Unione europea.394 In ambito europeo, le prime esperienze di squadre investigative comuni risalgono al Consiglio di Tampere, tenutosi nel 1999, nell’ambito del quale se ne auspicava la creazione al fine di ottenere migliori risultati nella lotta contro i cosiddetti cross-border crime. Indirizzo, questo, pienamente recepito nella successiva Convenzione di Bruxelles, siglata nel 2000 e relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale, ove 394 E.APRILE, Diritto processuale penale, op.cit., pg 52. 159 all’articolo 13 vi è una completa definizione e descrizione del funzionamento delle squadre investigative comuni. Successivamente, il Consiglio ha approvato sul tema la Decisione Quadro n. 2002/465/GAI del 13 giugno del 2002, la cui trama normativa riprende le linee guida ed il contenuto delle disposizioni previste nell’articolo 13 della Convenzione di Bruxelles. La ratio dell’istituto è ricavabile dalle indicazioni contenute nella Relazione esplicativa della stessa, che peraltro si preoccupa di fornire per la prima volta una definizione esaustiva di “squadre investigative comuni” 395. Nella fattispecie, queste si occupano, senza la necessità dell’instaurazione di un apposito procedimento rogatoriale396, dello svolgimento di indagini su crimini molto gravi che coinvolgano due o più Stati dell’Unione europea. Le attività svolte da suddette squadre peraltro, non si limitano alla fase investigativa, bensì comprenderanno tutte quell’alveo di attività classiche di acquisizione probatoria, come ad esempio perquisizioni, sequestri, esami testimoniali, intercettazioni telefoniche etc… 397. Le disposizioni della decisione quadro n.2002/465/GAI fissano i criteri relativi alla costituzione e composizione della squadra. Innanzitutto, la squadra potrà essere costituita quando: le indagini condotte in uno Stato membro siano difficili e di notevole portata e presentino un collegamento con altri Stati membri e nel caso in cui più Stati membri svolgano indagini su reati che necessitano di un’azione coordinata 398. L’istanza per la sottoscrizione dell’accordo che costituirà la squadra investigativa può essere formulata dalle autorità competenti degli Stati membri (ed in questo caso la formazione 395 Nella relazione si afferma che: “ L’esperienza dimostra che qualora uno Stato stia indagando su reati aventi una dimensione transfrontaliera, in particolare in relazione alla criminalità organizzata, l’indagine può trarre vantaggio dalla partecipazione del personale incaricato dall’applicazione della legge o di altro personale competente in un altro Stato in cui vi siano collegamenti con i reati in questione. L’importanza della cooperazione operativa tra autorità incaricate all’applicazione della legge è specificatamente riconosciuta all’articolo 30 TUE”. 396 “Le squadre investigative comuni si differenziano dallo strumento della rogatoria internazionale per due ordini di motivi: in primis, la squadra investigativa comune dà luogo ad una forma mista di cooperazione tra autorità giudiziaria e di polizia, anche non statuali. In secondo luogo, essa si costituisce attraverso un accordo stipulato direttamente tra le autorità giudiziarie di ciascuno Stato, su iniziativa di una di esse o su richiesta di Eurojust, laddove invece la rogatoria, si caratterizza per il necessario coinvolgimento delle c.d. autorità centrali e presuppone quindi una determinazione di tipo politicoamministrativo, o comunque meteagiudiziario” così G.IUZZOLINO, Le squadre investigative comuni, in AA.VV., Diritto penale europeo ed ordinamento italiano, le decisioni quadro dell’Unione europea:dal mandato d’arresto alla lotta al terrorismo, Giuffrè,2006, pg. 49. 397 E. APRILE, Diritto processuale penale, op.cit., pg 52. 398 G.IUZZOLINO, Le squadre investigative comuni, op. cit., pg. 54. 160 delle squadre investigative comuni sarà facoltativa) o autonomamente, dal collegio di Eurojust, ed in questo caso risulterà obbligatoria 399. La costituzione delle squadre avverrà dunque per mezzo di un accordo tra le autorità competenti degli Stati interessati. Nell’accordo, necessariamente formale, bisognerà indicare: lo scopo dell’attività investigativa, la durata, gli Stati sul cui territorio essa intende intervenire, le persone che la compongono in qualità di direttori o di membri400. Secondo quanto stabilito dalla decisione quadro, dal punto di vista della composizione del team, saranno coinvolti rappresentanti delle autorità giudiziarie e di polizia competenti in base agli ordinamenti giuridici degli Stati che partecipano alla squadra (funzionari di polizia, pubblici ministeri etc..). Vi è peraltro la possibilità di includere anche rappresentanti di Stati terzi, ed autorità diverse da quelle statali, come ad esempio Europol, l’OLAF, etc. … Infine, grazie alla raccomandazione dell’8 Maggio 2003, viene permessa la partecipazione alle squadre comuni anche a funzionari di Eurojust, nei casi in cui ciò risulti permesso dalla decisione istitutiva 401. Quanto ai poteri riservati in capo alla squadra investigativa comune, la decisione quadro stabilisce il rispetto della lex loci, dunque la stessa opera in conformità del diritto dello Stato nel quale interviene. Non a caso, la squadra viene sempre diretta da un rappresentante dell’autorità competente dello Stato d’intervento, mentre gli altri membri saranno definiti come “membri distaccati” 402. Infine, si discute circa la possibilità di utilizzazione delle informazioni ottenute dalla squadra, stabilendo che le stesse potranno essere utilizzate ai fini previsti nell’atto della costituzione della squadra per fini diversi, ma solo nelle ipotesi in cui si debba scongiurare una minaccia immediata e grave alla sicurezza pubblica; infine, anche per il perseguimento di reati diversi da quelli oggetto dell’accordo istitutivo, ma a condizione che vi sia il consenso dello Stato membro in cui le informazioni sono rese disponibili403. 399 E. APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg. 53 ss F.SPIEZIA, Gli strumenti internazionali, op. cit., pg. 61 ss. 401 G. IUZZOLINO, Le squadre investigative comuni, op. cit., pg. 55. 402 E. APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg. 53 403 F.SPIEZIA, Gli strumenti internazionali, op. cit., pg. 66. 400 161 3.3. Gli attori della cooperazione europea a livello giudiziario: Eurojust e il Procuratore europeo. Affinché questa “rete di connessione” possa dirsi effettivamente soddisfacente, occorrerà coordinare l’attività dei vari Stati, non solo nella fase investigativa e di polizia -così come sperimentato con la creazione delle squadre investigative comuni e con Europol - ma coinvolgendo anche tutti gli altri attori impegnati nella fase giudiziaria della lotta al crimine organizzato. Ci riferiamo in particolare all’operato dei magistrati dei singoli Stati, che da un’azione sinergica potrebbero trovare slanci importanti per un contrasto effettivo ed efficace al crimine transnazionale. Dalla consapevolezza della necessità di un coordinamento a 360° nasce allora l’idea della creazione di Eurojust, che può giustamente essere definita come “la controparte giudiziaria dell’ufficio Europol”. Il nuovo organismo, preconizzato dalle conclusioni di Tampere del 1999 e dalla realizzazione di una sua prima forma embrionale- con una decisione risalente al 14 dicembre 2000 - istitutiva di una unità provvisoria di cooperazione giudiziaria definita “Pro-eurojust”- viene formalmente istituito dal Consiglio dell’Unione con la decisione del 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002404. Finché non si raggiuse quest’importante traguardo, si assisté per molto tempo ad “un fiorire ed un accavallarsi anche disordinato di strumenti, segno della fame di cooperazione; (…) strumenti questi, che non centravano il nocciolo del contrasto al crimine organizzato transnazionale, ovvero un’azione coordinata delle relative indagini che si sviluppano a livello nazionale.” 405 Gli strumenti disordinati e deludenti ai quali fa cenno l’Autore sono rintracciabili in due istituti: la Rete giudiziaria europea e i Magistrati di collegamento. La prima si occupa di agevolare gli scambi di atti e informazioni fra le varie autorità giudiziarie dell’Unione servendosi dell’attività d’intermediazione dei punti di contatto. Si tratta di una cooperazione di tipo “orizzontale”, policentrica e diffusa sul tutto il territorio; l’altro strumento prevede invece l’istituzione di singoli magistrati di collegamento, ma anche qui, si tratta essenzialmente di un’attività di scambio d’informazioni e di dati, di fatto insoddisfacente ai fini di un’azione di coordinamento. 404 405 E. APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg 43. F. DE LEO, Le funzioni di coordinamento di Eurojust, in Cass.pen., 2004, pg. 1113. 162 Con l’istituzione di Eurojust, invece, si crea finalmente un organo centrale dell’Unione, un soggetto istituzionale sopranazionale, autonomo centro d’imputazione unitario, in grado di assolvere i compiti precedentemente svolti dalla Rete e dai magistrati di collegamento, ossia quelli di migliorare la cooperazione giudiziaria penale in senso classico nell’ambito dell’assistenza giudiziaria e dell’estradizione, ma anche di assolvere il nuovo compito di stimolo e miglioramento del coordinamento delle indagini e delle azioni penali fra gli Stati membri, nella loro azione contro le gravi forme di criminalità organizzata e transfrontaliera. Difatti, tale compito propulsivo, di estrema importanza ai fini della lotta al crimine organizzato transnazionale, poteva essere svolto solo da un soggetto sopranazionale, in grado di rappresentare il centro d’imputazione di un’azione di coordinamento, di ergersi ad organo capace di assicurare un certo livello di armonizzazione dell’azione dei soggetti giudiziari operanti nei diversi stati membri. Proprio in questo si coglie il grande salto di qualità del nuovo istituto di Eurojust rispetto alle precedenti esperienze nominate406. Anche dal punto di vista strutturale, poi, è possibile cogliere delle differenze rispetto ai preesistenti organismi: siamo di fronte ad un organismo centrale, con una sede accentrata (l’Aja) presso cui sono distaccati i rappresentati dei ventisette Stati membri dell’unione, perdendo quella che era la classica struttura ramificata presso le singole autorità nazionali, come ad esempio nel caso della rete407. Molta strada è stata fatta dalla decisione quadro 2002/187/GAI 408, che introdusse il nuovo istituto nell’ordinamento Europeo. In particolare, si registra il 2009 come un anno di grandi cambiamenti: in primis, il Consiglio dei Ministri dell’Unione europea adottava la nuova decisione su Eurojust, la decisione 2009/426/GAI del 16 dicembre 2008 che, è bene precisarlo, non sostituisce bensì solo modifica la decisione istitutiva di Eurojust del 2002, ai fini di 406 G. NICASTRO, Eurojust, in AA.VV., Diritto penale europeo e ordinamento italiano, op. cit., pg.65 ss. 407 F. SPIEZIA, Il coordinamento giudiziario sovranazionale, op. cit., pg. 1995. La decisione quadro del 2002 prevedeva le seguenti principali attribuzioni in capo ad Eurojust: promuovere e migliorare la cooperazione ed il coordinamento fra le autorità nazionali competenti in ciascuno Stato membro nell’ambito delle indagini sulla criminalità organizzata transfrontaliera, in particolare agevolando la prestazione dell’assistenza giudiziaria internazionale e l’esecuzione dei mandati d’arresto europei, l’assistenza alle autorità nazionali nella cooperazione fra Stati membri e la Commissione per reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, la cooperazione con le autorità nazionali nella lotta alla criminalità organizzata transfrontaliera e al terrorismo internazionale e più in generale il compito di assistere le autorità competenti al fine di aumentare l’efficacia delle indagini e dei procedimenti penali. Cosi M.CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria, op. cit. pg. 38 ss. 408 163 un’intensificazione e un rafforzamento dei suoi poteri; si registra inoltre l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha visto ulteriormente rafforzati i poteri riservati in capo ad Eurojust; infine sono stati adottati il Programma di Stoccolma e il relativo Action Plan. 409 Partendo dalla decisione quadro del 2009, essa rafforza i poteri di Eurojust allo scopo di conseguire specifiche finalità: il rafforzamento delle capacità strutturali-operative dell’organismo; l’incremento delle prerogative dei membri nazionali e del collegio; il miglioramento della capacità di scambiare informazioni con le autorità nazionali; il miglioramento con altri organismi di cooperazione e con gli Stati terzi, sia europei che internazionali410. Per quel che concerne il Trattato di Lisbona, esso interviene direttamente sul tema tramite l’articolo 85 TFUE, che disciplina l’unità ampliando i presupposti che legittimano l’intervento di tale organismo. Viene riconosciuto in capo all’Agenzia europea il compito di sostenere e potenziare il coordinamento e la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e dell’azione penale contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che richiede un’azione penale su basi comuni, sulla scorta delle operazioni effettuate e delle informazioni fornite dalle autorità degli Stati membri e da Europol. I suddetti compiti possono comprendere la possibilità di avviare autonomamente delle indagini penali (articolo 85 TFUE), nonché quella di avviare azioni penali esercitate dalle autorità nazionali competenti ed il loro coordinamento, nonché il potenziamento della cooperazione giudiziaria, anche attraverso la composizione dei conflitti di competenza e tramite una stretta cooperazione con la Rete giudiziaria europea. Tutti questi aspetti saranno dettagliatamente disciplinati con regolamenti, adottati dal Parlamento europeo e dal Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria, che avranno cura di determinare la struttura, il funzionamento, la sfera d’azione e i compiti di Eurojust411. 409 R. BELFIORE, Il futuro della cooperazione giudiziaria e di polizia nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, in Cass.pen., n.12/2010. 410 Per approfondimenti sul tema si legga: F.SPIEZIA, Il coordinamento giudiziario sovranazionale: problemi e prospettive alla luce della nuova decisione 2009/426/GAI che rafforza i poteri di Eurojust, in Cass.pen., n.5/2010, pg. 2001 ss. e ancora G. DE AMICIS,L.SURANO, Il rafforzamento dei poteri di Eurojust a seguito della nuova decsione 2009/426/GAI, in Cass. Pen., n.11/2009, pg.4456 ss. 411 M. CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria, op. cit., pg 37 ss. 164 3.3.1. La procura europea. Nella direzione del rafforzamento della cooperazione giudiziaria in materia penale si muove anche la previsione dell’istituzione da parte del Consiglio di un nuovo organo: la Procura europea, a partire da Eurojust412. L’istituzione del Pm europeo viene recuperata dalla precedente proposta contenuta nel Libro verde della Commissione, e riformulata nell’articolo 86 del Trattato di Lisbona. La disposizione non pone l’obbligo di istituire tale organismo, ma apre una possibilità, la cui concreta decisione ed attuazione viene rimessa in capo al Consiglio, che ha la facoltà di istituire una Procura europea, con delibera adottata all’unanimità e previa approvazione del Parlamento europeo. Ad essa è principalmente attribuita la competenza di individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, nonché ha la possibilità di esercitare la relativa azione penale dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri. La novità di assoluto rilievo però è rappresentata dalla possibilità di estendere le competenze di tale organo allo lotta contro la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale: in tal caso occorrerà una decisione del Consiglio europeo adottata all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo e previa consultazione della Commissione. Punto particolarmente discusso è la mancata previsione letterale di una preventiva richiesta di rinvio a giudizio che, come sappiamo, permette un controllo giurisdizionale sulla decisione del Pm europeo, in mancanza della quale verrebbero meno delle garanzie imprescindibile nei confronti dell’imputato, che si vedrebbe negare la fase di contraddittorio di fronte al giudice terzo. La possibilità di superare questa “carenza” ci viene offerta dai “regolamenti”, tramite i quali sarà possibile definire, oltre che le condizioni di esercizio delle funzioni della Procura, anche le regole procedurali applicabili alle sue attività e all’ammissibilità delle 412 L’idea di un p.m. europeo venne rilanciata in maniera molto forte nel Libro verde della Commissione europea presentato nel dicembre del 2000, che suggellava il lavoro quinquennale di un gruppo di esperti che aveva elaborato un corpo normativo, denominato Corpus juris, in cui era prevista l’istituzione della figura di un Pm europeo, organo competente su tutto il territorio dell’Unione, verso il quale i Pm nazionali erano tenuti ad un obbligo di assistenza. Nel Libro Verde citato venivano meglio definiti i contorni degli illeciti penali di cui l’ufficio avrebbe dovuto occuparsi, così E.APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg.57 ss. 165 prove e le regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti procedurali che adotta nell’esercizio delle sue funzioni413. Per concludere, una riflessione è d’obbligo circa l’effettiva portata esecutiva di questi “attori della cooperazione europea a livello giudiziario”: innegabile è il ruolo assolutamente centrale ricoperto da Eurojust, quale attore principale nella risposta europea alle nuove sfide poste dalla criminalità organizzata transnazionale. Per altro i suoi poteri risultano in continua espansione, registrando una notevole accelerazione dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che in in vista della futura istituzione di un Pm europeo, ha incrementato notevolmente le sue funzioni per realizzare quell’imprescindibile cooperazione richiesta in materia di criminalità transnazionale414. Tuttavia, nonostante le innegabili e rilevanti potenzialità dell’Eurojust, l’istituzione viene tutt’ora vista con sospetto da parte delle autorità giudiziarie degli Stati membri, che paiono estremamente riluttanti a condividere informazioni e a cooperare pienamente fra loro, impedendo così all’organo di dispiegare al meglio il suo potenziale funzionale, determinandone una sorta di “incompiutezza”. Lo stesso atteggiamento di sospetto che abbiamo potuto notare in relazione ad Europol e alla possibilità di attribuire all’Ufficio di Polizia delle funzioni operative tout court, slegati da qualsiasi tipo di condizionamento. Per il futuro, si auspica fortemente il superamento di questo atteggiamento di diffidenza e di sospetto che gli Stati hanno nei confronti dell’istituto, affinché lo stesso possa esprimersi al massimo delle sue potenzialità e dare un contributo forte alla lotta al cross border crime. Nonostante le difficoltà e le lacune che Eurojust continua ad incontrare nel suo processo di attuazione, senza dubbio possiamo affermare come esso si confermi “la più originale esperienza nel settore della cooperazione giudiziaria a livello europeo, ed il ricorso ad esso appare imprescindibile nella prospettiva del coordinamento sovranazionale” 415. 413 M. CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria, op. cit., pg. 39 ss. G. DE AMICIS, Il rafforzamento dei poteri, op. cit., pg. 4455. 415 F. SPIEZIA, Il coordinamento giudiziario sovranazionale, op. cit., pg.2000. 414 166 4. Punizione, prevenzione e protezione degli esseri umani nelle politiche europee: approccio olistico ed integrato. Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia realizzabile grazie alla cooperazione giudiziaria e di polizia, trova nella protezione delle vittime dei reati di tratta una sorta di “precondizione di esistenza, una piattaforma comune sulla quale sono destinati a poggiare tutti gli altri strumenti adottati in materia”. 416 La politica criminale europea si muove nello sforzo di porre in essere forme di cooperazione non solo a livello giudiziario di polizia o di tipo investigativo, bensì anche a livello di prevenzione, tutela e protezione delle vittime, generando in tal modo un’integrazione fra misure repressive e preventive. Il nesso che tiene uniti gli aspetti tecnico-giudiziari e quelli della tutela dei diritti della vittima, risulta senza dubbio uno dei pilastri portanti dell’intero sistema di cooperazione penale.417 Difatti, diventa sempre più forte la consapevolezza da parte degli Stati delle gravissime violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate nei confronti delle vittime di tratta, realtà che induce ad un approccio olistico ed integrato, che sappia coniugare l’esigenza di punizione dei responsabili a quelle di prevenzione, protezione e tutela delle vittime. Per garantire questi risultati, è stato (ed è ancora) necessario predisporre delle misure ad hoc da parte degli Stati coinvolti. In tal senso, fra le varie organizzazioni regionali, l’Unione è quella che si è spinta più avanti nella lotta alla tratta degli esseri umani, mostrando una particolare attenzione agli aspetti di tutela e protezione delle vittime, affinando e perfezionando sempre più gli strumenti a ciò predisposti418. Quest’attenzione particolare che viene prestata dall’Unione alla tutela dei diritti delle vittime di tratta risale addirittura alla fine degli anni ’80, più precisamente alla Risoluzione del 14 aprile del 1989 adottata dal Parlamento europeo sullo sfruttamento della prostituzione ed il commercio di esseri umani. 416 G. ARMONE, La protezione delle vittime dei reati nella prospettiva dell’Unione europea, in Diritto penale europeo e ordinamento italiano, op. cit., pg 99. 417 V. MUSACCHIO, La cooperazione penale internazionale nella prevenzione e nella lotta contro il traffico di esseri umani: un occhio di riguardo alle vittime, in Dir. pen. e proc., pg. 1039. 418 S.SCARPA, L’Unione europea e la lotta alla nuova tratta di esseri umani, in Affari sociali int., n.1/2005, pg.61 ss. 167 Il parlamento, organo da sempre attento alla tutela dei diritti dell’uomo, poneva la questione di una nuova tratta degli esseri umani, chiedendo agli Stati membri dell’allora Comunità economica europea, di assicurare una speciale tutela alle vittime di tratta, al fine di incoraggiarle alla denuncia dei loro aguzzini, senza il terrore di dover subire pesanti conseguenze, come l’espulsione. La sopra citata Azione comune del ’97 faceva anch’essa esplicito riferimento alla necessità di adeguate misure di protezione da adottare nei confronti delle vittime che testimoniassero contro i loro sfruttatori, prevedendo un rilascio di permesso di soggiorno provvisorio e la possibilità di ritornare nel proprio paese d’origine. La suddetta Azione comune venne comunque abrogata e sostituita, per la parte concernente la tratta degli esseri umani, dalla successiva Decisione quadro 2002/629/GAI, della quale avremo modo di parlare in seguito419. Alla successiva entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, seguirono le importanti conclusioni raggiunte nell’ambito del Consiglio europeo di Tampere dell’ottobre del 1999, che vale la pena ricordare soprattutto per l’attenzione particolare riservata alla fase della prevenzione dei crimini di tratta. Emerge la consapevolezza di poter affrontare efficacemente il fenomeno solo tramite un approccio generale che consideri tutte le questioni connesse alla politica, ai diritti umani ed allo sviluppo dei paesi e delle regioni d’origine e di transito. Imprescindibile in tal senso sarà l’adozione di un’ambiziosa politica dell’Unione capace di combattere la povertà, migliorare le condizioni di vita e l’opportunità di lavoro, prevenire i conflitti e stabilizzare gli Stati democratici, garantendo il rispetto dei diritti umani, in particolare delle minoranze di donne e bambini.420 Inoltre, viene richiesta anche l’adozione di misure di protezione nei confronti delle vittime di tratta nonché di armonizzazione delle legislazioni penali, adottando definizioni, fattispecie e sanzioni comuni421. I medesimi impegni politici vengono riconfermati nelle conclusioni del Consiglio europeo di Laeken (2001), in cui viene ribadito l’intento di consolidare ulteriormente la 419 S.SCARPA, ibidem, pg. 53 ss. F. SPIEZIA, La tratta di esseri umani, op. cit., pg.30. 421 Con la conclusione n. 23 il Consiglio ha sottolineato l’impegno <<ad affrontare alla radice l’immigrazione illegale, soprattutto contrastando coloro che si dedicano alla tratta di esseri umani ed allo sfruttamento economico dei migranti. S’invitano pertanto gli Stati membri ad adoperarsi a smantellare le organizzazioni criminali coinvolte, garantendo un’adeguata protezione dei diritti delle vittime e tenendo in considerazione i problemi delle donne e dei minori>>. 420 168 lotta contro le reti criminali che operano la tratta di esseri umani, sempre nel rispetto dei diritti delle vittime. Nel febbraio 2002 si registra un nuovo importante passo in avanti sul tema grazie all’adozione da parte del Consiglio dell’Unione europea di una “Proposta di piano globale di lotta all’immigrazione illegale e alla tratta di esseri umani nell’Unione europea” in cui vengono indicate delle azioni prioritarie da porre in essere, in special modo in relazione alla fase di prevenzione delle menzionate attività illecite. 422 I principi contenuti negli atti di indirizzo sopraindicati sono stati poi tradotti in specifici strumenti normativi ed operativi, che hanno recepito le indicazioni imposte dagli interventi in materia da parte dell’Unione. 4.1. La difficile attuazione di una tutela della vittima nei primi strumenti normativi europei di lotta alla tratta: la Decisione quadro del consiglio europeo 2002/629/GAI. Per molto tempo i pilastri normativi nel campo della legislazione contro la tratta degli esseri umani e tutela delle vittime a livello comunitario furono rappresentati dalla Decisione quadro del Consiglio europeo del 19 luglio sulla lotta alla tratta degli esseri umani (2002/629/Gai) e dalla Direttiva del Consiglio del 29 aprile del 2004 (2004/81/CE). La Decisione quadro del 2002 però perse il suo primato una volta sostituita dalla Direttiva 2011/36/UE.423 Quello che potremmo definire come il principale strumento di hard law prodotto in materia di tratta dall’Unione europea, la Decisione quadro del 2002, trae le sue origini dall’esperienza fallimentare dell’Azione comune per la lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini del ’97, strumento di soft law con il quale gli Stati si impegnarono a sanzionare penalmente le condotte illecite di tratta di esseri umani e rafforzare la cooperazione e l’assistenza giudiziaria internazionale. Tuttavia, il mancato raggiungimento di questi obiettivi fece maturare la convinzione della necessità 422 F. SPIEZIA, M.SIMONATO, La prima direttiva UE di diritto penale sulla tratta di esseri umani, in Cass. Pen., n.09/2011, pg.3201. 423 D. MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 67. 169 dell’adozione di strumenti normativi nuovi e più vincolanti, atti a garantire elevati livelli di armonizzazione424. L’occasione perfetta si presentava con il nuovo strumento normativo proprio del terzo pilastro: la decisione quadro425. Questo strumento si qualifica per l’obiettivo della fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati di tratta di esseri umani, sempre in risposta all’esigenza di armonizzazione426. In particolare, viene fornita una definizione di tratta degli esseri umani in sintonia con ciò che era stabilito nel Protocollo di Palermo, discostandosene solamente per il mancato riferimento al traffico di organi non incluso fra gli scopi della decisione quadro; in relazione al quadro sanzionatorio prescrive che i trafficanti debbano essere puniti con una pena detentiva massima non inferiore agli otto anni, nei casi in cui: abbiano messo in pericolo la vita della vittima, questa risulti particolarmente vulnerabile, o sia sottoposta violenza, o il reato venga commesso nell’ambito di un’organizzazione criminale427. La decisione si concentra essenzialmente sugli aspetti repressivi del reato, mostrandosi carente sul piano della protezione e dell’assistenza fornita alle vittime. Le poche disposizioni che si occupano del profilo di protezione della vittima, sono quelle relative all’obbligo degli Stati membri di prevedere che le indagini o l’azione penale (in merito ai reati di cui si occupa la decisione) non debbano necessariamente dipendere da una denuncia della vittima; inoltre è previsto l’obbligo di assicurare alle vittime minori di tali reati un trattamento che risponda in maniera ottimale alla loro situazione428. Queste lacune non sono passate inosservate agli occhi degli organi impegnati a vari livelli nella lotta al crimine di tratta; in particolare l’Alto commissario per la Nazioni Unite per i diritti umani (Unhchr) e l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i 424 B.G.CIMINI, La lotta alla tratta degli esseri umani, in AA.VV., Diritto penale europeo e ordinamento italiano, op. cit., pg. 220 ss. 425 La decisione quadro è uno degli strumenti normativi di cui disponeva l’Unione Europea a sostegno della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, introdotto dal Trattato di Amsterdam. La decisione quadro vincolava gli Stati membri quanto al risultato da raggiungere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi per raggiungerla. Il ricorso alla decisione quadro facilita e rafforza il raggiungimento di una impostazione comune per gli Stati membri. 426 I. CARACCIOLO, Dalla tratta di schiavi alla tratta di migranti clandestini, op. cit., pg. 223. 427 S.SCARPA, L’Unione europea e la lotta alla nuova tratta di esseri umani, op. cit., pg. 56. 428 B.G.CIMINI, La lotta alla tratta degli esseri umani, op.cit., pg 227 ss. 170 rifugiati (Unhcr) criticarono duramente lo strumento per la sua vocazione principalmente repressiva e per l’assenza della previsione di misure poste a protezione dei diritti umani e delle vittime429. 4.2. Il permesso di soggiorno temporaneo in una deludente logica premiale: la direttiva 2004/81/CE. Neanche la successiva Direttiva del Consiglio 2004/81/CE è riuscita a centrare l’obiettivo e colmare queste lacune in quanto non fornisce adeguate garanzie per il rispetto e la tutela dei diritti umani delle vittime di tratta. Questa difatti si occupa esclusivamente delle vittime che intendano collaborare con l’autorità, nulla disponendo per tutte le altre che decidano di non collaborare o che non abbiano informazioni decisive riguardo ai propri trafficanti o sfruttatori430. La direttiva in questione si occupa dunque del titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, nell’unico caso in cui le stesse decidano di cooperare con le autorità competenti. La logica alla base dello strumento in questione è stata fortemente discussa e criticata, trattandosi di un sistema di tipo “premiale” che persegue principalmente lo scopo di ottenere una collaborazione da parte delle vittime con l’autorità, al fine di rafforzare la lotta contro i reati di cui si parla e trascurando gli aspetti di protezione e tutela. Il sistema premiale tanto discusso opera in questo modo: in primis, le autorità che entrano in contatto con una persona presumibilmente vittima di reati di tratta (ma è possibile estendere l’applicazione della direttiva anche ai cittadini di Paesi terzi oggetto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina), dovranno informare la vittima dei suoi diritti e delle possibilità offerte dalla direttiva. Segue un periodo di riflessione, (inizialmente fissato in 30 giorni, poi non meglio precisato per lasciare agli Stati membri la possibilità d’individuare periodi più lunghi) affinché la vittima possa rescindere i legami dall’organizzazione criminale e decidere se collaborare o meno con le Autorità di giustizia. In questo periodo di riflessione, la vittima gode di un’ampia 429 S.SCARPA, ivi , pg. 56. S. SCARPA, La tutela dei diritti delle vittime di tratta degli esseri umani ed il sistema premiale previsto dalla direttiva comunitaria 2004/81/CE, in Diritto immigrazione cittadinanza, n.1/2005, pg. 51. 430 171 serie di garanzie, che vanno dall’assistenza sanitaria urgente all’accesso a programmi che garantiscano le minime condizioni di vita, cure psicologiche ed assistenza legale e linguistica; infine dovrà essere salvaguardata la loro sicurezza e incolumità da eventuali ritorsioni da parte dei loro sfruttatori. In verità tali garanzie nella versione definitiva sono state fortemente ridimensionate. Allo scadere di tale periodo, coloro che decideranno di cooperare otterranno il famigerato permesso di soggiorno temporaneo valido per almeno sei mesi ed eventualmente rinnovabile che permette loro di rimanere nel Paese comunitario ed usufruire degli stessi servizi d’assistenza previsti per il periodo di riflessione. In più avranno diritto all’accesso al mondo del lavoro ed a programmi stabili d’integrazione sociale431. La direttiva sembrerebbe essere così un grande esempio di tutela e protezione dei diritti umani delle vittime, se non fosse per il fatto che tutte queste misure di assistenza e protezione vengano meno nel caso in cui la vittima non abbia intenzione di collaborare con le autorità di giustizia. Inoltre, il permesso verrà revocato nel caso in cui, allo scadere dello stesso, la vittima non sia più intenzionata a collaborare con le autorità di giustizia, oltre che nel caso in cui non sia più considerato necessario il prolungamento della sua presenza sul territorio nazionale in relazione alle esigenze investigative o del processo penale ed ancora, qualora la stessa non abbia reciso i legami con l’organizzazione criminale. A ciò si aggiunga il fatto che dovrà in ogni caso essere garantito l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale432. Al verificarsi di tali condizioni, la vittima vedrà revocato o non rinnovato il permesso di soggiorno e verrà rimandata nel proprio paese d’origine, ove facilmente potrà ricadere nelle mani dei suoi aguzzini, o correre il rischio di subire ritorsioni e rappresaglie da parte dei gruppi criminali contro i quali abbia precedentemente reso testimonianza. Il sistema dunque appare fallimentare due volte: la prima, in relazione alla mancata effettiva tutela posta nei riguardi dei diritti umani delle vittime di reati così atroci; la seconda, in relazione al suo obiettivo principale-che con alta probabilità vedrà non 431 G. BATTAGLIA, Tratta degli esseri umani e immigrazione clandestina: protezione e collaborazione delle vittime. La direttiva 81/2004 e l’articolo 18 D.Lgs. 286/98: modelli a confronto, in Stranieri, n.5/2004, pg. 427 ss. 432 G. BATTAGLIA, ibidem, pg.428. 172 raggiunto -che è quello di aumentare il numero di denunce e di procedimenti penali nei confronti di trafficanti e sfruttatori. Ciò a causa del clima particolarmente ostile e di diffidenza che inevitabilmente si diffonderà fra le vittime di tratta che si mostreranno decisamente restie a collaborare con un sistema che antepone l’interesse alla punizione dei responsabili ed alla repressione di reati, seppur gravissimi, alla tutela dei diritti umani delle vittime di tali crimini. In esso dunque la protezione sociale delle persone trafficate si fa mero strumento dell’azione penale433. Fiumi di critiche si abbatterono su questo nuovo sistema premiale, suscitando perplessità tra le organizzazioni internazionali e non governative impegnate nella lotta alla tratta degli esseri umani. Fra i tanti, i punti maggiormente discussi sono stati: la logica insita nel sistema, la durata del periodo di riflessione e quella del successivo permesso di soggiorno. Quanto al primo punto, pare inaccettabile l’idea di poter “barattare” e rendere così dipendente la tutela dei diritti umani di vittime di reati così atroci dalla volontà delle stesse di collaborare o meno con le autorità, seppur per giusti fini. La collaborazione della vittima difatti non può, in virtù del carattere umanitario della norma, essere usata come merce di scambio, offerta per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno, così come la mancata cooperazione non può giustificarne la revoca. Si rende necessario un sistema che favorisca la collaborazione, ma che non scaturisca dalla stessa 434. La condizionalità della concessione del permesso di soggiorno è stata difatti duramente condannata alla luce dei “Principi e linee guida sui diritti umani e sulla tratta di esseri umani”, strumento adottato dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani nel 2002. In questo documento si sottolinea l’esigenza di riportare al centro di ogni azione la tutela dei diritti umani delle vittime e la loro protezione, al contrario di ciò che viene stabilito nella direttiva che individua elemento centrale la cooperazione delle vittime con le autorità435. In merito all’altro punctum dolens, relativo alla durata del periodo di riflessione, l’originaria proposta di direttiva prevedeva un periodo fissato in trenta giorni. Tuttavia, data la varietà delle legislazioni dei vari paesi Europei e l’impossibilità di giungere ad 433 S.SCARPA, La tutela dei diritti delle vittime, op.cit., pg.46. A. CONFALONIERI, La ratifica della Convenzione di Varsavia sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, in Diritti dell’Uomo,n.3/2010, pg. 20. 435 S. SCARPA, L’unione europea, op.cit., pg 56. 434 173 una soluzione comune, si è deciso di omettere qualsiasi tipo di termine, lasciando libera la scelta in capo ad ogni Stato. Per concludere sul tema, anche la durata del permesso di soggiorno, fissato in un tempo minimo di sei mesi, eventualmente rinnovabile, non è stata esente da critiche: alla scadenza del periodo, di fatto, la vittima non avrebbe altra alternativa che vedersi rispedita a casa, presumibilmente in condizioni ancora peggiori rispetto a quelle del suo arrivo, con il timore fondatissimo di ritorsioni da parte dei suoi aguzzini. Anche nei casi in cui la vittima riesca ad ottenere una protezione grazie all’applicazione della direttiva in questione, si tratterà pur sempre di una protezione caduca ed instabile che la esporrà a pericoli non trascurabili436. Proponendo un confronto fra il permesso di soggiorno temporaneo designato nella direttiva europea e lo speculare istituto del soggiorno per motivi di protezione previsto dall’articolo 18 del nostro T.U. sull’immigrazione, 437 si noterà come il nostro legislatore abbia introdotto uno strumento all’avanguardia realizzando, in anticipo rispetto all’input internazionale, un dispositivo per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi connessi allo sfruttamento. In esso, difatti, scompare qualsiasi tipo di logica premiale, si registra un approccio integrato, di prevenzione e repressione orientato essenzialmente alla tutela della persona umana, piuttosto che al contrasto delle organizzazioni criminali attraverso la cooperazione della vittima. Un’impostazione di questo genere riesce peraltro ad incoraggiare la persona offesa a collaborare spontaneamente con le autorità di giustizia, rivelandosi più proficua anche sul piano strettamente repressivo del crimine, poiché conquistare la fiducia delle vittime tramite un’adeguata protezione è il primo passo verso una loro fattiva collaborazione 438. In conclusione, v’è da notare come la direttiva in questione presenti dei limiti fortissimi, non solo per l’effettiva carenza nella tutela dei diritti umani, ma anche per il mancato raggiungimento del suo obiettivo fondamentale, quello di favorire la collaborazione delle vittime al fine di smantellare le organizzazioni criminali che controllano la tratta di esseri umani439. Non a caso, sul piano dei fatti, si è registrato uno scarsissimo utilizzo da parte degli Stati membri di quello che poteva rappresentare uno strumento fondamentale 436 S. SCARPA, La tutela dei diritti delle vittime, op. cit., pg.65. Vedi capitolo 1°, par.5. 438 G. BATTAGLIA, ibidem, pg.430 ss. 439 S. SCARPA, La tutela dei diritti delle vittime, op. cit., pg. 67. 437 174 di contrasto alla tratta e di salvaguardia dei diritti delle vittime. Dai dati emersi da una relazione della Commissione sul tema, è evidente come il ricorso allo strumento della concessione del titolo di soggiorno sia stato modesto o nullo in moltissimi Stati. La commissione ha auspicato un accesso più efficace delle vittime alle informazioni in ordine ai loro diritti; maggiore collaborazione fra le autorità competenti degli Stati membri, Ong, ed associazioni. Inoltre essa ha indicato la necessità di modifica della misura nel senso del rilascio del titolo di soggiorno temporaneo sulla base della sola situazione di vulnerabilità della vittima e non necessariamente in cambio della collaborazione delle autorità. Ulteriori modifiche si auspicano in relazione alla durata del periodo di riflessione (attualmente lasciato alla libera determinazione degli Stati) e il potenziamento del quadro giuridico relativo al loro trattamento, specie se minori 440. 4.3 Il rapporto del gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani. È ormai opinione condivisa da più parti che un efficace contrasto ai reati di tratta di esseri umani non possa prescindere da una tutela dei diritti delle vittime, ponendo al centro degli interessi del legislatore europeo la salvaguardia dei diritti dell’Uomo. In tal senso, vennero sintetizzate una serie di linee guida di intervento nel “Rapporto del gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani”, nominato dalla Commissione europea a seguito degli orientamenti espressi nella Dichiarazione di Bruxelles del settembre 2002441. Il rapporto del gruppo di esperti esegue un’analisi approfondita dell’impianto normativo europeo ed internazionale sul tema e, nel solco tracciato dalla Dichiarazione di Bruxelles, si concentra specificatamente sugli aspetti riguardanti la prevenzione, l’assistenza e la protezione delle vittime e sulle strategie di contrasto alla tratta. Inoltre, sono presenti anche delle questioni di “natura trasversale” quali: la necessità di adottare un approccio basato sul rispetto dei diritti umani, i bisogni specifici dei minori e 440 C.GABRIELLI, La direttiva sulla tratta di esseri umani tra cooperazione giudiziaria penale, contrasto dell’immigrazione illegale e tutela dei diritti, in Studi sull’integrazione europea, n.3/2011, pg.11. 441 La Dichiarazione di Bruxelles costituisce una pietra miliare nello sviluppo della politica dell’Unione europea nel settore. Si è posta lo scopo di sviluppare ulteriormente la cooperazione, le azioni, gli standard, le buone pratiche e i programmi contro la tratta a livello europeo ed internazionale, cosi AA.VV., Tratta degli esseri umani: rapporto del gruppo di esperti nominato dalla Commissione europea, Roma , 2005, pg. 18. 175 l’importanza di un approccio olistico, integrato e multidisciplinare 442. Il gruppo di esperti pone gli Stati e l’Unione dinanzi alla necessità di un approccio che risulti essenzialmente incentrato sul rispetto dei diritti umani, in conformità peraltro agli obblighi derivanti dalla normativa internazionale ed europea sui diritti umani, così come previsto dai principali strumenti giuridici di riferimento. Il rapporto contiene per altro un gran numero di raccomandazioni, fra le quali le più rilevanti sono quelle riferite alla necessità di assistenza e protezione delle vittime che tendano principalmente verso un’emancipazione e una loro inclusione sociale, l’adozione di una politica investigativa di non criminalizzazione della persona trafficata ed infine la necessità di adottare una logica d’intervento globale, modulata e diversificata in relazione al tipo di vittime, ai settori di sfruttamento e alle tecniche d’indagine443. Sulla base del rapporto, la Commissione ha successivamente adottato la comunicazione dal titolo: “ La lotta contro la tratta degli esseri umani- un approccio integrato e proposte per un piano d’azione” (ottobre 2005). Nel documento vi sono una serie di raccomandazioni in merito all’approccio pluridisciplinare al problema, che non si limiti alle strategie di applicazione della legge, ma che comprenda un’ampia gamma di prevenzione e sostegno in favore delle vittime. Si recepisce in questo modo l’indirizzo definito nel Rapporto del gruppo di esperti centrato su di un approccio globale basato essenzialmente sulla difesa dei diritti dell’uomo. Sulla scia di questa comunicazione si pone il successivo Piano globale per un’azione contro la tratta atto emanato dal Consiglio, che ha licenziato nel dicembre 2005 un Piano globale per un’azione contro la tratta degli esseri umani, che prevede le migliori pratiche, norme e procedure per contrastare e prevenire la tratta degli esseri umani, che ancora oggi si registra come il più importante documento strategico del Consiglio in materia.444 442 M. WIJERS, Introduzione in AA.VV, Tratta degli esseri umani, op. cit., pg. 10 ss. D.MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 96. 444 F. SPIEZIA, La tratta degli esseri umani, op. cit., pg.34 ss. 443 176 4.4. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani. Un ulteriore passo in avanti in vista dell’adozione di misure di protezione e tutela della vittima in ambito europeo è stato fatto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, emanata nel 2005 nel corso della Conferenza di Varsavia. La Convenzione si distingue rispetto agli strumenti internazionali adottati in passato in materia di tratta principalmente per il nuovo approccio al fenomeno: pur essendo presenti delle disposizioni di natura penalistica, l’attenzione ora viene incentrata sugli aspetti riguardanti la protezione delle vittime e dei loro diritti fondamentali, a differenza delle legislazioni nazionali, concentrate principalmente sul momento repressivo445. Questa chiave di lettura della Convenzione è fornita dall’affermazione contenuta nella Raccomandazione n.R (2000) 11 del Comitato dei Ministri sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, secondo cui “la tratta costituisce una violazione dei diritti della persona e rappresenta un’aggressione alla dignità e all’integrità dell’essere umano”: da qui si evince l’imprescindibile necessità di rafforzare il livello di protezione delle vittime446. L’aspetto di maggior novità va dunque individuato nell’adozione di una prospettiva basata sui diritti dell’uomo, sull’attenzione rivolta alla protezione delle vittime, sull’esigenza di una concreta realizzazione del principio d’uguaglianza 447. L’affermazione e la tutela di tali diritti passa attraverso il riconoscimento di un principio cardine in cui si afferma la necessità della protezione e promozione dei diritti delle vittime senza alcuna discriminazione di sesso, razza, colore, nascita, origine nazionale etc…448 In questa sede ci soffermeremo principalmente sugli elementi più innovativi della Convenzione, ovvero quelli attinenti le misure poste a tutela delle vittime: una tutela 445 R. RAFFAELLI, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno, in Legislazione penale, n. 4/2010, pg.480 ss. 446 A. CONFALONIERI, La ratifica della Convenzione, op. cit., pg.16. 447 F. FRANCESCHELLI, La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, in Diritti dell’uomo, n.7/2010, pg.38. 448 A. CONFALONIERI, La ratifica della Convenzione, op. cit., pg.17. 177 che si realizza, da un lato, tramite la prevenzione del reato e, dall’altro, cercando di proteggere le vittime. Per quel che concerne specificatamente il profilo di protezione dei diritti delle vittime e delle misure predisposte a salvaguardia delle stesse, la Convenzione prescrive degli obblighi in capo ad ogni Stato membro in vista dell’adozione di misure legislative o di altro tipo per fornire assistenza alle vittime dal punto di vista fisico, psicologico, e sociale, provvedendo peraltro alla garanzia di un alloggio dignitoso, l’accesso alle cure mediche d’urgenza, la consulenza giuridica e processuale. Dovranno inoltre essere fornite loro delle informazioni utili circa i servizi disponibili e i diritti riconosciutili dalla legge; infine, deve essere garantita l’incolumità fisica delle vittime di tratta. Naturalmente, questo genere d’assistenza è del tutto slegata dalla volontà di testimoniare449. Altresì non ancorata alla collaborazione con le forze di giustizia risulta essere la concessione del permesso di soggiorno per “situazione personale della vittima”. Questo è senza dubbio un profilo di estrema novità rispetto alla disciplina relativa alla concessione del permesso di soggiorno breve previsto dalla Direttiva 2004/81/CE precedentemente esaminata. Premettendo le numerosissime critiche rivolte alla Convenzione sul punto, accusata principalmente di aver adottato un approccio troppo prudente, v’è da riconoscere come l’istituto si attesti comunque in una posizione di indubbio progresso rispetto alla previgente disciplina sul permesso di soggiorno breve. La differenza fondamentale risiede nel fatto che la Convenzione distingue due possibili eventualità per il rilascio del permesso: nella prima, si fa riferimento al parametro della “situazione personale della vittima”, per cui il permesso potrà essere concesso per “motivi umanitari” che ricorrono nel caso in cui la vittima versi in una situazione tale da non potersi eseguire il rimpatrio nel paese d’origine. L’altra eventualità, invece, pone come condizione per il rilascio del titolo di soggiorno la volontà della vittima di cooperare con la giustizia ai fini delle indagini o del processo, in linea con quella che era l’impostazione tradizionale450. La Convenzione, allora, pur consentendo agli Stati di riconoscere un diritto di soggiorno solo alle persone offese che collaborino con le 449 I.AMBROSI, La ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, fatta a Varsavia il 16.5.2005 nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno, in L’osservatorio legislativo, n.3/2006, pg.701. 450 A. CONFALONIERI, La ratifica della Convenzione di Varsavia, op. cit., pg.19. 178 autorità, propone comunque delle politiche meno restrittive rispetto al passato, tramite la possibilità della concessione del permesso a quelle vittime la cui situazione personale lo renda necessario451. Sempre in tema di protezione delle vittime, la Convenzione prevede “un periodo di riflessione”, ossia un lasso di tempo, fissato in almeno 30 giorni, durante il quale la vittima dovrà ristabilirsi e sottrarsi dall’influenza dei suoi aguzzini, decidendo se cooperare o meno con la giustizia. Durante tale periodo non potrà essere adottata alcuna misura tendente al suo allontanamento, anzi ne viene garantito il soggiorno sul territorio nazionale, grazie a documenti ufficiali452. Alle persone trafficate verrà peraltro garantito il diritto all’indennizzo per il pregiudizio subito; dovranno essere informate a tal fine della procedura giudiziaria o amministrativa esistente e se necessario, fruire di un’assistenza legale eventualmente gratuita. Il diritto all’indennizzo dovrà essere garantito anche nel caso in cui il responsabile non adempia: in tal caso sarà lo Stato a dover rimediare, ad esempio con l’istituzione di un apposito fondo. Infine, per quel che concerne l’eventuale rimpatrio, lo stesso dovrà essere volontario e sulla base di programmi che, per impedire la “rivittimizzazione”, favoriscano il reinserimento educativo, professionale e sociale della vittima. Il rimpatrio sarà escluso nel caso riguardi minori e tale misura non appaia conforme ai loro interessi453. Dal punto di vista della prevenzione invece, la Convenzione introduce delle disposizioni atte a prevenire il fenomeno intervenendo sul tema di frontiere, sicurezza, controllo, legittimità e validità dei documenti; vengono infine disposte delle novità in relazione alle regole del processo d’identificazione delle vittime, il quale rappresenta uno dei primi accertamenti imprescindibili per il riconoscimento dello status di “vittima di tratta” che garantisce l’operatività di una serie di misure adeguate. Durante questo processo d’identificazione si potrà optare per la concessione in capo alle vittime di un permesso di soggiorno sul territorio nazionale, in modo che le stesse possano essere considerate in quanto tali e non alla stregua di delinquenti o immigrate clandestine. 451 R. RAFFAELLI, Ratifica ed esecuzione, op. cit., pg. 482. F. FRANCESCHELLI, La convenzione del Consiglio d’Europa, op.cit., pg.39. 453 F. FRANCESCHELLI, ibidem, pg. 39. 452 179 Inoltre, viene tassativamente stabilito il divieto di espulsione della vittima finché non sia stato portato a termine il processo d’identificazione454. La Convenzione si distingue inoltre per la sua operatività, che coinvolge tutte le ipotesi di traffico di esseri umani, a prescindere dalla transnazionalità della fattispecie e dall’esistenza di una organizzazione criminale, requisiti questi imprescindibili per l’operatività della Convenzione ONU e del Protocollo sulla tratta di persone 455. Affinché le misure innovative introdotte dalla Convenzione trovino effettivamente applicazione, per la prima volta sono stati previsti dei meccanismi di monitoraggio i quali basano la loro operatività essenzialmente sull’azione di due organi: il Gruppo di esperti contro il traffico di esseri umani (Greta, composto essenzialmente da tecnici) e il Comitato delle Parti (di natura più marcatamente politica). I due organismi dovranno assicurare, tramite sistemi di controllo, l’effettiva implementazione della Convenzione ad opera degli Stati parte e vigilare sull’applicazione delle norme nei Paesi firmatari. 5. Esigenza di una riforma: la Direttiva 2011/36/UE. Nonostante i continui sforzi dell’Unione europea in vista di una maggiore prevenzione e assistenza in favore delle vittime, gli strumenti giuridici predisposti sino a quel momento si rivelarono deludenti ed inefficienti. Questa realtà emerge con estrema chiarezza da un’indagine svolta dall’Unione europea,456 condotta al fine di verificare il grado di effettività delle azioni anti- tratta e dell’eventuale necessità di adottare ulteriori interventi di armonizzazione457. Quest’indagine ha mostrato un quadro assolutamente critico e insoddisfacente in particolare con riferimento all’insufficienza delle misure a carattere preventivo e dall’inadeguatezza dell’attività di assistenza alle vittime458; dati, 454 A. CONFALONIERI, La ratifica della Convenzione di Varsavia, op. cit., pg.18 ss. F. SPIEZIA, La tratta di esseri umani, op. cit., pg.37. 456 Documento di lavoro della Commissione, Valutazione e monitoraggio dell’attuazione del piano UE sulle migliori pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta degli esseri umani, Bruxelles, 17 ottobre 2008, COM (2008) 657 definitivo, realizzato tramite l’invio di un questionario agli Stati membri (dei quali solo 23 hanno risposto positivamente). Il documento fornisce una panoramica delle misure contro la tratta degli esseri umani disposte in Europa e Norvegia. 457 F. SPIEZIA, M. SIMONATO, La prima direttiva UE di diritto penale, op. cit, pg.3203. 458 “Si noti come dalla relazione sia emerso: un livello non ancora adeguato di assistenza e protezione delle vittime, di concerto con la permanente difficoltà di accedere a forme di risarcimento; l’insufficienza di misure per la prevenzione del fenomeno e ancora, l’esistenza di fenomeni di “vittimizzazione secondaria” delle vittime stesse, per effetto di un’inadeguata legislazione processuale che può portare ad 455 180 questi, che hanno indotto la Commissione europea ad avviare un iter legislativo di riforma che li condurrà sino all’emanazione della Direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione del delitto di tratta di esseri umani, e la protezione delle vittime, in sostituzione della precedente decisione quadro 2002/629/GAI. L’azione per la produzione di questo testo ha avuto inizio sotto la vigenza del Trattato di Amsterdam con la formulazione della proposta, in data 25 marzo 2009, di una nuova decisione quadro allo scopo di migliorare gli aspetti di prevenzione e contrasto al traffico di esseri umani; il suo iter prosegue con la successiva entrata in vigore del Trattato di Lisbona, seguendo la rinnovata procedura di normazione “comunitarizzata” introdotta dal nuovo trattato, in relazione a quelle materie già rientranti nel terzo pilastro. La direttiva rappresenta il primo esempio di produzione normativa in materia di diritto penale459: difatti, in ossequio alla disposizione ex articolo 83 del TFUE, il Parlamento ed il Consiglio possono adottare direttive di armonizzazione penale, anche indipendentemente da esigenze di cooperazione giudiziaria, con riferimento a particolari categorie delittuose, fra le quali rientra anche l’ipotesi di tratta. La direttiva in questione si presenta dunque, come il primo caso in cui le disposizioni previste nel Trattato di Lisbona hanno trovato una compiuta attuazione.460 ulteriori situazioni di disagio per le vittime, che non vengono adeguatamente assistite durante il procedimento nel quale sono parti offese e chiamate a rendere ripetutamente testimonianza; infine, si conferma anche una perdurante difficoltà di emersione dei fatti di tratta a livello investigativo, specie se le cifre sui procedimenti vengono rapportate alle cifre globali sull’alto numero delle vittime così come registrato nei documenti di molteplici organizzazioni internazionali” così, F. SPIEZIA, M. SIMONATO, op.cit., pg. 3203 ss. 459 Ricordiamo come il Trattato di Lisbona stabilisce che il Parlamento europeo ed il Consiglio, deliberando mediante direttive e secondo la procedura legislativa ordinaria, possano stabilire norme comuni minime relative alla definizioni dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente gravi che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni. 460 M. VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, in AA.VV, La lotta alla tratta di esseri umani, op. cit., pg.49 ss. 181 5.1. I contenuti della nuova Direttiva: aspetti generali. La direttiva accoglie un concetto più ampio della nozione di tratta di esseri umani, rispetto alla definizione contenuta nella previgente decisione quadro 2002/629/GAI, aggiungendo alla finalità di sfruttamento sessuale o di lavoro anche ulteriori pratiche quali l’accattonaggio e lo sfruttamento per altre attività illecite.461 In tal modo l’Unione europea opta per una definizione onnicomprensiva di tratta inclusiva di tutte le forme di traffico- sulla base, inoltre, della definizione contenuta nell’articolo 2 del “Protocollo ONU per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone”- allo scopo di adeguare la risposta preventivo-repressiva all’evoluzione del fenomeno della tratta e, di conseguenza, colmare quei vuoti di tutela esistenti sotto la precedente disciplina. Riassumendo, gli elementi costitutivi della fattispecie sono tre: la presenza della condotta coercitiva verso la vittima (violenza, minaccia, inganno, abuso di potere, ecc.); la verificazione di uno degli eventi perfezionativi previsti (reclutamento, trasporto, trasferimento, ecc.); infine, sul piano soggettivo, lo scopo di sfruttamento che deve caratterizzare la condotta462. Novità importanti rispetto alla Decisione quadro sostituita si registrano relativamente al profilo sanzionatorio: mentre quest’ultima prevedeva in via generale un obbligo per gli Stati di sanzionare i fatti di tratta con delle pene << efficaci, proporzionate e dissuasive>>, il nuovo testo dà riferimenti ben precisi, prevedendo un inasprimento dei massimi sanzionatori, fissando il massimo edittale in almeno cinque anni di reclusione, innalzati a dieci in presenza di alcune circostanze aggravanti, specificatamente previste all’articolo 4463. Viene peraltro introdotta una novità in materia di sequestro e confisca, con la previsione dell’obbligo in capo a tutti gli Stati membri di assicurare che le competenti autorità 461 In tal modo s’intende punire il traffico di esseri umani anche qualora finalizzato ad utilizzare la vittima per compiere atti di borseggio, taccheggio, traffico di stupefacenti ed altre attività analoghe oggetto di sanzioni ed implicano un profitto economico. Così: F.SPIEZIA, M.SIMONATO, La prima direttiva UE, op. cit., pg.3207 ss. 462 M. VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, op.cit., pg. 55. 463 Condizione di particolare vulnerabilità della vittima, fatto commesso nel contesto di un’organizzazione criminale, fatto che abbia messo intenzionalmente o per colpa in pericolo la vita della vittima, fatto commesso ricorrendo a violenze gravi o che abbia causato alla vittima un pregiudizio particolarmente grave, fatto commesso da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni. 182 nazionali, siano dotate degli strumenti giuridici idonei a sequestrare e confiscare i proventi di tale reato464. 5.2.Profili di assistenza e tutela della vittima. Di certo le novità più importanti introdotte dalla Direttiva riguardano i profili di assistenza, tutela e protezione della vittima. La direttiva in esame rappresenta, difatti, il primo caso in cui l’Unione europea abbia adottato e raggiunto un approccio olistico ed integrato per il contrasto del fenomeno criminale della tratta, con la previsione di specifiche azioni non solo nell’ambito della repressione penale, ma anche con riferimento alla prevenzione e tutela delle vittime465. Proprio quei settori caratterizzati da maggiore carenza da parte delle legislazioni nazionali sono stati coraggiosamente “presi di mira” dalla direttiva, al fine di garantire standard più elevati di tutela ed effettività. Viene confermata una speciale attenzione nei riguardi della vittima, con un occhio di riguardo anche alla fase di prevenzione del fenomeno. Da questo punto, la Direttiva ricalca sotto molti aspetti le disposizioni presenti nella Convenzione del Consiglio d’Europa del 2005, la quale aveva già affrontato questi temi, pur senza registrare un soddisfacente riscontro sul piano pratico. Difatti, l’adozione della nuova direttiva, trova giustificazione in due ordini di motivi: in primis, per il fatto che non tutti gli Stati membri hanno ratificato la Convenzione di Varsavia; inoltre, per il rilevante apporto innovativo di alcune previsioni della Direttiva, rispetto alla citata Convenzione 466. La scelta strategica seguita è stata da un lato, quella di dare risalto alla protezione sociale delle vittime con un’intensificazione delle misure di assistenza e tutela, e dall’altra, con la previsione di forme di prevenzione. Proprio partendo da un’analisi delle disposizioni previste nel campo dell’assistenza e tutela, la Direttiva ci pone dinanzi delle importantissime novità. Viene ribadita in vari modi la centralità della vittima come espressione del “vittimocentrismo” caratterizzante le fonti del diritto dell’Unione sin dalla Decisione 464 C. GABRIELLI, La direttiva sulla tratta di esseri umani, op. cit., pg.7. M.G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, in Dir. Immigr e citt.,XIV,1-2012, PG.15. 466 F. SPIEZIA, M. SIMONATO, La prima direttiva Ue, op. cit., pg. 3206. 465 183 quadro 2001/220/GAI, sulla posizione della vittima all’interno del procedimento penale, che mirava alla definizione di una serie minima di diritti da assicurare alla vittima all’interno di ogni Stato membro. Tuttavia, questa disposizione nei fatti, non è riuscita a trovare completa attuazione, e da tale fallimento è sorta la necessità di trovare nuovi strumenti per la tutela della persona offesa, necessità alla quale ha tentato di dare risposta la Direttiva in esame, che cerca di dare nuova vita a quella “carta dei diritti della vittima europea” designata con la decisione quadro del 2001, ma con una nuova consapevolezza. Sin dall’articolo 8 emerge la particolare attenzione riservata alle vittime: viene prevista una speciale clausola di punibilità da applicarsi in quei casi in cui la vittima trafficata sia costretta a compiere dei reati quali ad esempio l’uso di documenti falsi o la commissione di reati previsti dalla legislazione sulla prostituzione o immigrazione. In questi casi si dispone la non punibilità della stessa, non potendo gli Stati perseguire né imporre sanzioni penali alle vittime; questo con il particolare obiettivo di evitare che le stesse, con il timore di essere perseguite per i reati commessi, non denuncino i loro sfruttatori. Un articolo simile era previsto anche nell’ambito della Convenzione di Varsavia, ex articolo 26, con la differenza che lì veniva imposto il solo obbligo di “non infliggere sanzioni”, mentre nella direttiva in esame si impone la necessità di “non esercitare l’azione penale”, con riferimento ai reati che non potevano non essere commessi. Questa disposizione mira inoltre alla salvaguardia dei diritti umani delle persone offese dal reato, prevenendo un’ulteriore vittimizzazione delle stesse 467. Sempre nella prospettiva di prevenire i fenomeni di vittimizzazione secondaria ed allo scopo di preservare la loro sicurezza ed incolumità, compare un’altra disposizione nella direttiva, l’articolo 12, che pone una serie di misure volte ad evitare ulteriori traumi alla vittima dal contatto con l’apparato di polizia e giudiziario, specie durante le deposizioni; viene altresì perseguito lo scopo di evitare che le stesse possano essere esposte a minacce o ritorsioni da parte dei loro aguzzini 468. 467 M.G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., pg.21. Viene prescritto di evitare ripetizioni non necessarie delle audizioni delle vittime, il contatto visivo tra vittime ed imputati, le deposizioni in udienze pubbliche e le domande non necessarie sulla vita privata. Misure specifiche sono altresì previste per le vittime minorenni (art 13-15): la nomina di un rappresentante processuale del minore per il caso in cui i titolari della responsabilità genitoriale non siano autorizzati a rappresentare il minore a causa di un conflitto di interessi con la vittima e particolari accorgimenti per le audizioni del minore. Così M.VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., pg. 62 ss. 468 184 Queste misure, peraltro, dovranno essere lette in relazione al principio-base della “protezione delle vittime non generalizzata”, per cui risulta necessario eseguire una valutazione individuale sulla situazione personale del soggetto offeso e tenere in considerazione tutti gli elementi relativi alle condizioni personali dello stesso469 nonché delle conseguenze fisiche o psicologiche dell’attività criminale. In tal senso ,difatti, viene prevista per la prima volta una protezione specifica parametrata sulla base di quelli che sono i bisogni e le necessità individuali470. Ulteriore passo in avanti è rappresentato dal fatto che, per la prima volta, si prende atto della necessità di porre misure a protezione della vittima anche nella fase precedente e successiva al processo. Sulla base di ciò, alla persona offesa “dovrà essere fornita un’adeguata assistenza all’interno del processo ed anche fuori dal palcoscenico della giustizia penale: questa è stata la duplice direttiva lungo la quale si sono mosse le fonti internazionali per tutelare le esigenze del soggetto vulnerato e vulnerabile, ed a questa impostazione si rifà la nuova direttiva anti-tratta” 471. Difatti, in relazione alle misure poste a tutela della vittima al di fuori del procedimento penale si predispone un tipo di assistenza precoce e incondizionata. La precocità deriva dal fatto che le misure di sostegno dovranno essere assicurate immediatamente, cioè non appena le autorità competenti abbiano un motivo ragionevole di ritenere che nei confronti della persona interessata sia stato commesso il reato di traffico. In tal modo la soglia d’assistenza viene anticipata, anche rispetto alla Convenzione del Consiglio d’Europa, e la concreta attuazione delle misure di sussidio coinciderà con la sussistenza di un mero indizio di reato di tratta, senza procrastinarla al momento in cui le autorità competenti abbiano assunto una decisione ragionata sulla base di tutti gli elementi del fatto, bensì immediatamente, non appena vi sia un mero indizio del reato di tratta. Assistenza e sostegno dovranno inoltre essere incondizionati, in maniera tale che le misure a ciò predisposte dovranno essere concesse indipendentemente dalla volontà della vittima di collaborare nel processo esaltando una loro natura solidaristica. Tale principio, del tutto innovativo in ambito europeo, rispecchia alcune buone pratiche 469 Articolo 11, par. 7: “gli Stati membri devono tener conto delle esigenze specifiche delle vittime derivanti in particolare dall’eventuale stato di gravidanza, dallo stato di salute, da eventuali disabilità, disturbi mentali o psicologici, o dalla sottoposizione a gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale”. 470 M. VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., pg 62 ss. 471 F. SPIEZIA, M. SIMONATO, La prima direttiva Ue, op. cit., pg. 3213. 185 nazionali (fra le quali anche quella italiana, più volte ricordata) e si pone in linea con un analogo principio contenuto nella Convenzione del Consiglio d’Europa. V’è da precisare il fatto che la Direttiva 2011/36/UE non riguarda le condizioni di soggiorno delle vittime della tratta, già oggetto della precedente direttiva 2004/81/CE, tuttavia, la stessa apre la strada ad una revisione radicale dell’impostazione contenuta nella direttiva 2004/81/CE che, come già specificato, subordina la concessione del permesso alla necessaria cooperazione della vittima alle indagine. Le due disposizioni entrano in espressa contraddizione fra loro, poiché i cittadini dei Paesi terzi, cui si applica la direttiva 2004/81/CE, dovrebbero ottenere assistenza incondizionata stando ai dettami della nuova Direttiva, pur tuttavia non potendo ottenere il titolo di soggiorno (condicio sine qua non per ottenere l’assistenza), ai sensi della direttiva 2004, nel caso in cui decidano di non collaborare con la giustizia. Ne risulta confermato il carattere innovativo della nuova direttiva che potrebbe/dovrebbe inaugurare un indirizzo di modifica della legislazione europea correlata e confliggente in tema di rilascio di permesso di soggiorno.472 Con specifico riferimento alla tutela processuale, oltre alle misure per evitare una “vittimizzazione secondaria” , vengono previste delle disposizioni in merito allo svolgimento delle indagini ed all’esercizio dell’azione penale: queste dovranno essere slegate del tutto da una denuncia o da un’accusa formale della vittime e, nel caso in cui si verifichi una ritrattazione da parte delle stesse, non sarà condizione sufficiente per determinare l’interruzione del procedimento penale. Questo in linea con l’obiettivo di non vedere ostacolata la repressione della tratta nei casi in cui vi sia una scarsa collaborazione delle vittime con le autorità di giustizia, per il timore di subire ritorsioni da parte dei loro oppressori473. Viene peraltro previsto ed assicurato l’accesso immediato all’assistenza legale anche ai fini di una domanda di risarcimento. Questa disposizione assume notevole importanza su due fronti: in primis, offre la garanzia di una consapevole partecipazione al procedimento in capo alle persone offese dal reato; garantisce l’effettività del diritto al risarcimento del danno. Questo incide su uno dei deficit più gravi in merito 472 473 M.G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., pg.24 ss. M. VENTURIOLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., pg. 60. 186 all’effettività dei diritti delle vittime le quali non riescono quasi mai ad ottenere un risarcimento del danno subito474. Sempre in materia di risarcimento, l’articolo 17 prevede la possibilità in capo alla vittima di ricorrere ai “sistemi nazionali di risarcimento pubblico delle vittime dei reati intenzionali violenti”, ossia quei fondi pubblici istituiti al fine di assicurare un ristoro alla vittima, anche quando i proventi dei reati non siano stati sequestrati e l’autore risulti privo di mezzi patrimoniali. 5.3. La prevenzione del reato di tratta nella Direttiva. Un’efficace lotta al crimine di tratta dovrà essere supportata non soltanto da azioni di tipo repressivo, ma dovrà avvalersi anche di misure di prevenzione. In tal senso, gli Stati membri sono chiamati a sviluppare strumenti adatti ad un’azione preventiva del reato. Fra questi si tende a prediligere l’utilizzo di misure volte a ridurre la domanda, fattore determinante del reato di tratta, in particolare attraverso l’intensificazione di istruzione e formazione. Si cerca di aumentare la consapevolezza e la sensibilizzazione della popolazione sulla dimensione del fenomeno e sui potenziali rischi attraverso campagne educative, di sensibilizzazione e di informazione, in collaborazione peraltro con le pertinenti organizzazioni della società civile, allo scopo di frenare la tratta e ridurre il rischio di divenire vittime di tali fenomeni. Si vuole raggiungere un duplice obiettivo operando su due fronti diversi: da una parte, rendere consapevole la popolazione dell’entità del fenomeno e scoraggiare la richiesta delle prestazioni svolte dalle vittime: in tal modo, una minore domanda delle prestazioni dovrebbe determinare una riduzione degli episodi di sfruttamento. Dall’altra, si vuole agire direttamente sulle persone offese dal reato, informandole sui comportamenti rischiosi da evitare e sollecitando le stesse a denunciare i fatti subiti475. Viene prevista la necessità di una formazione continua e specifica da riservare ai funzionari che entrano in contatto con le vittime effettive e potenziali di tratta, al fine di una loro identificazione corretta476. 474 M.G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE, pg. 26. M. VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit.,pg. 57 ss. 476 F. SPIEZIA, M. SIMONATO, La prima direttiva UE, op. cit. pg. 3210 ss. 475 187 Infine, per monitorare l’andamento della tratta e valutare l’efficacia delle politiche preventive messe a punto, l’articolo 19 prevede l’instaurazione da parte di ogni Stato membro di un relatore nazionale o di un’istituzione analoga; a livello europeo, invece, si prevede la figura di un coordinatore anti-trafficking con il compito di favorire un maggiore coordinamento nelle politiche di contrasto alla tratta, contribuendo alla stesura della relazione presentata ogni due anni dalla Commissione in merito ai progressi eventualmente compiuti nel contrasto della tratta degli esseri umani. Questo, peraltro, sempre nell’ottica di un’intensificazione della cooperazione fra le istituzioni sovranazionali e nazionali, nell’azione di prevenzione a forme di criminalità transnazionale477. I principi cardine seguiti nella Direttiva in esame vengono poi ulteriormente ribaditi nella recentissima Comunicazione COM (2012) 286 della Commissione, diffusa il 19 giugno 2012 , dal titolo “La strategia dell’UE per l’eradicazione della tratta degli esseri umani (2012 – 2016)”.La comunicazione definisce le cinque priorità che l’Unione europea dove tener a mente per affrontare la questione della tratta di esseri umani, proponendo un certo numero di misure specifiche da attuare nei prossimi cinque anni, di concerto con altri soggetti, tra cui gli Stati membri, il Servizio europeo per l’azione esterna, le istituzioni e le agenzie dell’UE, le organizzazioni internazionali, i Paesi terzi, la società civile e il settore privato. Le priorità individuate nella strategia sono le stesse seguite nella Direttiva, e più precisamente: individuare, proteggere e assistere le vittime della tratta; intensificare la prevenzione della tratta di esseri umani; potenziare l’azione penale nei confronti di trafficanti; migliorare il coordinamento e la cooperazione tra i principali soggetti interessati e la coerenza delle politiche; aumentare la conoscenza delle problematiche emergenti relative a tutte le forme di tratta di esseri umani e dare una risposta efficace.478 477 478 M. VENTURIOLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., og. 58 ss. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2012:0286:FIN:IT:PDF 188 5.4.Il recepimento della Direttiva 2011/36/UE in Europa. I principi su esposti contenuti nella Direttiva 2011/36 e ribaditi nella Comunicazione della Commissione sono di sicuro fortemente innovativi e potenzialmente capaci di dare un contributo importante in questa battaglia contro le schiavitù moderne. Tuttavia, bisognerà confrontarsi con la realtà dei fatti, e valutare se e a che livello queste disposizioni siano riuscite a trovare concreta attuazione nei singoli Stati membri. Gli ultimi dati statistici divulgati dalla Commissione europea (Rapporto 15 aprile 2013) relativi al traffico degli esseri umani, forniscono un quadro decisamente allarmante non solo sulla crescente diffusione di questo crimine, ma anche sulla connessa attenuazione dei diritti umani tra i Paesi membri dell’Unione. Dal rapporto risulta che le vittime della tratta tra il 2008 e il 2010 sono arrivate a quota 23.632, con un incremento del 28% e una preoccupante diminuzione delle condanne negli Stati membri dell’Unione (-13%). Le vittime sono soprattutto donne (68%). Ben il 62% delle vittime della tratta sono oggetto di sfruttamento sessuale (68%) e di lavoro forzato (25%). Il dato sorprendente è che il 61% delle stesse proviene da altri Stati dell’Unione. L’Italia, poi, conquista il primato negativo con oltre un quinto (6426 persone) dei nuovi schiavi presenti nel territorio italiano479; il nostro paese dunque è quello in cui il problema risulta essere più acuto, ma questo pare non aver incrementato di molto le pressioni sulle autorità italiane in vista di un recepimento della direttiva 2011/36/Ue, che di certo sarebbe utile strumento per un efficace contrasto contro questa pratica disumana. Difatti, ad oggi, l’Italia resta uno degli Stati europei che non ha ancora provveduto a recepire la Direttiva in esame. Anche nel resto d’Europa il cammino verso l’attuazione della direttiva appare decisamente lento e macchinoso. Difatti, a più di sei mesi dalla scadenza per il recepimento -fissato in data 6 aprile 2013- solo 18 paesi su 27 hanno notificato il recepimento integrale della direttiva UE nel diritto nazionale (Repubblica ceca, Svezia, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Romania, Finlandia, Bulgaria, Croazia, Irlanda, Grecia, Francia, Austria, Portogallo, Slovacchia e Regno Unito) e 2 paesi hanno notificato soltanto un recepimento parziale (Belgio e Slovenia). 479 http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-isnew/news/news/2013/docs/20130415_thb_stats_report_en.pdf 189 In particolare la Francia, ha ufficialmente recepito la direttiva nel proprio ordinamento con la “Loi n. 2013/711” pubblicata in data 6 agosto 2013 nel “Journal officiel de la République Française”480. Nei confronti del nostro paese, in seguito alla grave inadempienza registrata, il 30 maggio 2013 la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione (n. 2013/0228) inviando una lettera di messa in mora (ex art. 258 TFUE) per il mancato recepimento della direttiva 2011/36/UE, che presentava come termine ultimo la data 6 aprile 2013. In seguito a questa ammonizione, il Parlamento italiano, nel luglio 2013, ha approvato una legge di delegazione europea n.96/2013481, all’interno della quale vengono stabiliti dei criteri di delega al Governo per il recepimento della Direttiva. Si auspica vivamente che il Governo Italiano adempia al più presto ai suoi doveri, accogliendo le disposizioni presentate dal Parlamento ed adeguando il nostro diritto interno alle politiche individuate nell’ambito dell’Unione482. Al fine di venire efficacemente in aiuto alle vittime della schiavitù moderna ed invertire questa tendenza criminale, è necessario inoltre che tutti gli Stati si affrettino ad allinearsi con le politiche europee. La direttiva anti-tratta se pienamente e globalmente recepita, può avere un impatto reale e concreto sulla vita delle vittime e può evitare che un reato tanto aberrante ne faccia altre; in virtù di questo, pare sempre più urgente che tutti gli Stati membri onorino i propri impegni e prendano misure concrete. Tuttavia, ad oggi, l’Europa, nonostante i continui sforzi fatti in questa direzione, non può ancora dichiararsi soddisfatta, non avendo ancora pienamente raggiunto l’obiettivo desiderato. Illuminanti in tal senso dovranno essere considerate le dichiarazioni rilasciate dalla commissaria per gli affari interni Cecilia Malmstrom, nel corso della “Giornata europea 480 http://eurlex.europa.eu/Notice.do?val=669307:cs&lang=it&list=691165:cs,621039:cs,570623:cs,66930 7:cs,555810:cs,697130:cs,&pos=4&page=1&nbl=6&pgs=10&hwords=ue~&checktexte=checkbox&visu =#texte 481 Legge di delegazione europea e legge europea sono i nuovo strumenti di adeguamento dell’ordinamento italiano a quello europeo, in sostituzione della “legge comunitaria annuale”. La legge di delegazione europea contiene delle disposizioni di delega necessarie per il recepimento da parte del Governo con decreto legislativo, della direttiva o degli altri atti dell’Unione europea; la legge europea è al contrario una norma di diretta attuazione, utilizzata per garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello europeo con riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea. 482 http://documenti.camera.it/leg17/dossier/Testi/ID0003.htm#dossierList 190 contro la Tratta degli esseri umani”, tenutasi il 17 ottobre scorso a Bruxelles. La commissaria, prendendo atto delle inadempienze e dei notevoli ritardi da parte degli Stati membri dell’Unione, e a fronte di quei dati sempre più allarmanti in tema di vittime, è intervenuta con un duro monito: “A fronte del sempre maggior numero di vittime identificate nell’UE, dobbiamo esprimere in modo forte e chiaro la nostra ferma intenzione di fare in modo che non debbano più soffrire; dobbiamo ribadire che a livello europeo si sta intensificando la collaborazione per lottare contro la tratta degli esseri umani. L’Europa ha istituito politiche e misure ambiziose per venire in aiuto alle vittime della schiavitù moderna e porre fine a questa forma odiosa di criminalità. Purtroppo non abbiamo ancora raggiunto il nostro obiettivo.(…) Negli ultimi anni l’impegno a combattere la tratta degli esseri umani si è rafforzato in tutta l’UE. Sono in gioco vite umane: questa deve rimanere una priorità politica, in Europa e al di là dei suoi confini. Non possiamo permetterci di tacere. Non possiamo permetterci di fallire”483. 483 Commissione europea, Memo 13/908, http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-13908_en.htm?locale=en 191 CONCLUSIONI Molti sono i fili che si sono intrecciati nel mio discorso. C’è il filo della legislazione italiana, una trama di pregi e contraddizioni. Difatti, nonostante il sistema esemplare adottato a tutela e protezione delle vittime, l’Italia non riesce ad evitare una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea, causata principalmente dalle inesattezze e vaghezze terminologiche della nostra disciplina. Da una parte dunque, un legislatore che nel campo del diritto penale sostanziale si dimostra poco attento e che si lascia andare a definizioni sfumate ed approssimate; dall’altra invece, un legislatore che sul tema della tutela e protezione delle vittime si muove in maniera meticolosa e determinata, con interventi nettamente orientati alla salvaguardia dei diritti dell’uomo. C’è il filo della Francia e della sua recentissima riforma, che ha delineato un sistema “a parti inverse” rispetto al nostro. Un intervento riformistico che ha provveduto ad allineare perfettamente gli aspetti del diritto penale sostanziale agli obblighi europei, purtuttavia trascurando temi di peculiare importanza legati alla tutela e protezione delle vittime. Persiste difatti il retrogrado sistema del “permesso di soggiorno premiale”, una sorta di ricatto legalizzato la cui posta in gioco è l’incolumità stessa della vittima. C’è poi il filo del diritto penale e del ruolo che lo stesso dovrà assumere, continuamente in bilico fra esigenza di repressione e bisogno di protezione. Uno strumento senz’altro imprescindibile, ma tuttavia incapace di lavorare da solo: la lotta contro questi crimini non potrà prescindere da un approccio olistico ed integrato, servendosi di strumenti che esulino dalla capacità di disporre leggi adeguate ed efficaci. C’è infine il filo dell’Unione europea, trait d’union fra i diversi Stati coinvolti, con l’ambizioso obiettivo di riavvicinare le legislazioni dei vari paesi al fine di un’azione più efficace contro quei particolari crimini che per essere fronteggiati necessitano di un’azione coordinata e sinergica fra Stati. Quale filo allora bisognerà tirare per arrivare ad una conclusione? A questo punto la matassa, data la complessità dei temi e dei molteplici attori coinvolti, apparirà particolarmente aggrovigliata, quasi impossibile da sciogliere. Ma forse un modo per districarsi da questo intreccio c’è: il filo al quale ritengo necessario aggrapparsi con tutte le forze è quello che regge l’uomo con i suoi diritti inalienabili. Penso che questa sia la chiave capace di sciogliere tutti i nodi che s’intrecciano attorno 192 alla complessità del problema. Senza la consapevolezza di trovarsi di fronte degli uomini e della necessità di salvaguardare prima di tutto quelli che sono i loro diritti fondamentali, nessun’azione di diritto penale, nessuna politica di prevenzione o protezione intrapresa, sia a livello nazionale che europeo, sarà in grado di incidere effettivamente sul problema. Il punto di partenza in questo caso coincide con il punto d’arrivo: la tutela dei diritti delle vittime come consapevolezza iniziale ed ancora quale obiettivo finale. Questo a mio avviso il fulcro delle azioni da intraprendere: attorno a ciò dovranno ruotare le disposizioni previste a livello nazionale ed Europeo ed in diversi ambiti, dal diritto penale sino alle politiche di prevenzione e di protezione. È di sicuro un processo lungo, probabilmente utopico, e la storia ci insegna una realtà diversa, da sempre fatta di schiavi e padroni. Tuttavia è un obiettivo fondamentale al quale non siamo disposti a rinunciare, o per lo meno ad immaginare. 193 BIBLIOGRAFIA. A.A.V.V., Articolo 18: tutela delle vittime del traffico di esseri umani e lotta alla criminalità (l’Italia e gli scenari europei) Rapporto di ricerca, edizioni On the road, Martinsicuro (Te), 2002. AAVV, Diritto penale europeo ed ordinamento italiano, le decisioni quadro dell’Unione europea:dal mandato d’arresto alla lotta al terrorismo, Milano, Giuffrè,2006. ADAM R., La cooperazione in materia di giustizia e affari interni, in AA.VV., Il trattato di Amsterdam, Milano, 1999. ADAM R., TIZZANO A., Lineamenti di diritto dell’Unione europea, Torino 2010. AMAR J., à l’article 225-4-1, la traite des êtres humains, , de l’encyclopédie Jurisclasseur penal, 2004. AMATO G., Un nuovo sistema sanzionatorio e investigativo per una lotta efficace contro la schiavitù, in Guida al diritto, n.35, 2012. 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