Non siamo - Confindustria Modena

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Non siamo - Confindustria Modena
Economia | L’Italia nello scenario europeo
Nonostante tutto l’economia reale italiana continua
a dare segnali di competitività che non bisogna spegnere
Non siamo
un Paese
in ginocchio
Anche se le criticità sono molte,
dall’inefficienza dello Stato ai limiti
di un capitalismo popolato da un universo
di microimprese, la reazione alla crisi
c’è stata. Ma ora servono con urgenza
provvedimenti mirati e interventi strutturali
per fare affluire risorse al sistema produttivo
di Ugo Bertone
ietato sbagliare. Questo va scritto in capo
a ogni possibile agenda di lavori per il
2010. Perché i margini sono davvero esigui e l'Italia nella competizione internazionale
corre con un handicap che ha pochi eguali al
mondo e nessuno in Europa. La spesa per interessi del debito pubblico, infatti, assorbe il 5 per
cento del nostro Prodotto interno lordo, sottraendo risorse preziose che andrebbero indirizzate
agli investimenti.
È questa zavorra che spiega in buona parte
perché anche nel 2010 l'Italia regalerà ai concorrenti un punto di Pil: secondo le previsioni, infatti, dopo l'emorragia del 2009, non si andrà oltre
una crescita al lumicino, +0,7 per cento contro
l'1,2-1,7 per cento di Francia e Germania. È un
trend che viene da lontano: nei dieci anni che
V
Lo Stato italiano
è un pessimo
pagatore
sia quando
incassa
sia quando
spende:
la pubblica
amministrazione
è morosa
per circa
60 miliardi
di euro.
Ma con le giuste
riforme
nel campo
della burocrazia,
delle infrastrutture
e delle
liberalizzazioni
si potrebbe dare
una spinta
al Pil del 30
per cento
Le microimprese in Italia
sono oltre
pari all’insieme di Germania (197.000)
Francia (24.000) e Olanda (47.000)
500.000
16 OUTLOOK
OUTLOOK 17
Economia | L’Italia nello scenario europeo
Bilancia commerciale luglio 2008-giugno 2009
Regno Unito -102 miliardi di €
Francia -65 miliardi di €
Spagna -64 miliardi di €
Italia -8 miliardi di €
(compresa la bolletta energetica)
Fulvio Coltorti,
responsabile
dell’Area studi
di Mediobanca;
Mario Deaglio,
editorialista
economico
e docente
di Economia
internazionale
all’Università
di Torino;
Marco Fortis,
vicepresidente
della Fondazione
Edison
18 OUTLOOK
hanno preceduto lo scoppio della crisi il Pil italiano è cre- imprese di generare margini, cosa che richiede capitali,
sciuto a una media dell'1,2 per cento, rispetto a un più con- innovazione e infrastrutture più efficienti.
siderevole 2,1 per cento dell'Unione Europea a 15 (prima
C'è da chiedersi se l'Italia, pur con i mezzi limitati che si
dell'allargamento). Il che significa che è stato accumulato ritrova, abbia al di là delle parole la volontà politica di
un divario di oltre undici punti percentuali o, se preferite, avviarsi in quella direzione che richiede, innanzitutto, un
che l'Italia ha prodotto quasi mille miliardi di euro di ric- forte impegno sul fronte della riduzione della pressione
chezza in meno, che tutti assieme sono l'equivalente di fiscale ma anche su quello del taglio della bolletta energesette mesi di Pil. Insomma, è come se dal 1998 ad oggi tica (cinque volte superiore alla media europea) e dei pagaavessimo gettato dalla finestra sette mesi di consumi, pro- menti della pubblica amministrazione. Pesa più di tutto
duzione e risparmio.
l'inefficienza dello Stato, pessimo pagatore (la pubblica
Bastano questi pochi numeri per capire che è necessa- amministrazione è morosa per circa 60 miliardi di euro),
ria una svolta. Ma per invertire la rotta o, quantomeno, sia quando incassa sia quando spende; o quando intervieper frenare l'emorragia dei redditi sarebbe necessario tor- ne nell'economia, distorcendo l'uso delle risorse o vietando
nare a una tasso di crescita del 2 per cento, cosa che non la concorrenza nelle utility locali. Uno Stato che invece
riesce al calabrone Italia da quasi due decenpotrebbe, secondo la Banca d'Italia, dare una
ni. E che non avverrà, nonostante la probabispinta al Pil del 30 per cento con riforme
le ripresa della domanda internazionale,
strutturali nell'ambito della burocrazia, delle
In Top’s
infrastrutture, del capitale umano e delle
nemmeno nel 2010. È un anno su cui grava
Fortune 500
liberalizzazioni. La speranza è che nel 2010 si
l'incognita di un possibile rialzo dei tassi di
figurano solo
possa almeno inaugurare il cantiere di una
interesse, con effetti devastanti sul debito
dieci gruppi
parte di queste riforme vitali per tornare a
pubblico, ma che rappresenta una spada di
italiani,
crescere. La cosa più importante, a questo
Damocle anche per il tessuto produttivo. Nel
di cui
punto, è far affluire le risorse al sistema procorso del 2008-09 le imprese italiane hanno
gli unici attivi
duttivo, senza disperderle lungo una filiera
retto alla tempesta riducendo il circolante,
nel settore
spesso più accidentata dei tubi degli acquetagliando le scorte e ogni altra voce sul fronte
manifatturiero
dotti comunali di mezza Italia, che sperperadei costi che fosse possibile comprimere o sposono Fiat
no la maggior parte dell'oro blu prima che
stare nel tempo. Il motore del sistema produte Finmeccanica;
arrivi al rubinetto. Servono provvedimenti
tivo ha girato al minimo, consumando meno
le società
urgenti e interventi strutturali. Tra i primi
benzina e senza metter sotto pressione il telacon un fatturato
spicca l'allargamento della moratoria dei
io. Ma ora bisogna rifare il pieno, contando
di almeno
debiti con il sistema bancario, che va però
sulla disponibilità del sistema bancario o su
tre miliardi
accompagnata dal rafforzamento patrimomeccanismi che garantiscano, complici gli
di euro
niale delle imprese. Non sarà un processo
effetti dello scudo fiscale e gli interventi dei
non sono
rapido ma è necessario ed urgente, per conConfidi e della Cassa depositi e prestiti, un
più di trenta
trastare il calo di competitività che dura
rafforzamento patrimoniale delle imprese.
ormai da troppo tempo.
Anzi, come suggerisce l'economista Mario
Un'agenda, insomma, da far tremare i
Deaglio, sarebbe l'ora di fare una revisione
polsi. Ma per nostra fortuna, la macchina proaccurata del motore, cioè della capacità delle
Economia | L’Italia nello scenario europeo
Nicolas Sarkozy,
presidente
della Repubblica
francese;
Angela Merkel,
cancelliere
della Repubblica
tedesca;
Silvio Berlusconi,
presidente
del Consiglio
italiano
20 OUTLOOK
duttiva italiana ha dimostrato anche sotto la tempesta di se la pressione si è fatta sentire un po' ovunque, creando
essere ancora valida, tutt'altro che da rottamare. Da aiu- seri problemi a una ventina di aree industriali censite dal
tare, semmai, con la rottamazione. Perché non estendere ministero dello Sviluppo economico, un tempo considerail provvedimento sperimentato con un certo successo per il te roccaforti quasi inespugnabili data la vocazione manimercato dell'auto ad altri settori sensibili per la nostra fatturiera: il distretto tessile di Prato, per fare un esemeconomia e l'occupazione in particolare? Un piano per il pio, piuttosto che quello dei mobili imbottiti delle Murge o
rinnovo della nostra offerta turistica potrebbe incentivare la ceramica di Civita Castellana, dove hanno fatto ricorso
gli alberghi a cambiare gli arredi, con grandi vantaggi per alla cassa integrazione 230 aziende su 232. Altrove, dai
il sistema del mobile-arredo, così importante per diversi rubinetti della Val d'Ossola al distretto delle piastrelle di
distretti. O per favorire il settore del tessile. E così via. Cer- Sassuolo, la caduta della domanda mondiale ha generato,
to, alcuni interventi potrebbero esser bocciati da Bru- come risposta, il vaccino degli investimenti e dell'innovaxelles. Ma qui la questione si fa politica. L'Italia deve rilan- zione tecnologica, che ha consentito, assieme alla coesione
ciare con forza il progetto di un piano per gli investimenti sociale, di limitare i danni dell'emergenza nella seconda
a livello continentale, che non si limiti a finanziare le infra- parte dell'anno.
È difficile, però, una diagnosi uniforme perché, al solistrutture, ma serva a sostenere la struttura produttiva del
Vecchio Continente messa a dura prova dalla politica del to, emerge un quadro a macchia di leopardo, frutto di un
minidollaro e dalla sottovalutazione dello yuan cinese.
capitalismo particolare, popolato da un universo di
La situazione è seria. Ma non è tutto da buttar via, microimprese: più di mezzo milione, tante quante la
soprattutto se si guarda alle 4.900 imprese del «quarto Germania (197.000), la Francia (241.000) e l'Olanda
capitalismo» come le definisce R&S Mediobanca, quello (47.000) messe assieme. Un esercito che si muove a sciache genera il 34 per cento del nostro export e, se si tiene me d'api, tra grandi difficoltà. Una fra tutte: il ritardo nei
conto anche dell'indotto, il 40 per cento del valore aggiun- pagamenti. Una ricerca della Cribis D&B ha certificato
to della produzione. E, per quanto riguarda le Pmi, occor- un'impressione diffusa: esiste una correlazione precisa
re distinguere tra problemi veri e problemi falsi. Tra i tra fatturato e puntualità nei pagamenti. Nel 2009 queprimi Fulvio Coltorti, responsabile di R&S, annovera «la st’ultima è scesa di circa il 10 per cento tra i «big spenspesso scarsa trasparenza nei conti delle aziende, il che si der», a cominciare dalla grande distribuzione e dai grantraduce in bilanci poco chiari; i rapporti con le banche di gruppi, con effetti devastanti per il sistema dei fornitosono spesso limitati al credito a breve; esiste una bassa ri. Il risultato è che chi opera con le grandi imprese e non
capacità di autovalutazione». In sintesi, le Pmi devono dispone di sufficienti capitali propri ha rischiato l'asfisentrare in una logica di formazione costante degli sia. Ma guai a sparare sulle poche, troppo poche grandi
imprese. Tra le prime 500 aziende mondiali
imprenditori e dei loro diretti collaboratori. E
censite da Fortune figurano solo dieci gruppi
i problemi falsi? «È sbagliato pensare»,
italiani, di cui solo due (Fiat e Finmeccanica)
aggiunge Coltorti, «che le Pmi abbiano diffiSecondo R&S
attivi nel settore manifatturiero, mentre i
coltà a entrare nei mercati stranieri. Non
Mediobanca
conta la dimensione quanto la capacità di
gruppi con un fatturato di almeno tre miliarsono 4.900
essere competitivi». Se si guarda al bicchiere
di di euro non sono più di trenta. Ma restano
le imprese
mezzo pieno, come invita a fare il professor
il traino necessario per l'export: non a caso i
italiane
Marco Fortis della Fondazione Edison, si
«big» registrano solo il 5 per cento del valore
del «quarto
aggiunto
del sistema, ma pesano per il 25
deve prender atto che l'economia reale italiacapitalismo»
per
cento
sul fronte delle esportazioni, lo
na ha tenuto più di quella di altri Paesi conche generano
correnti. La bilancia commerciale tra il luglio
sfogo
necessario
della nostra economia, così
il 34 per cento
del 2008 e il giugno 2009 ha fatto registrare
affamata
di
materie
prime. Certo, la crisi
del nostro export
un passivo di 8 miliardi di euro (comprensivo
della
domanda
mondiale
si è scaricata con
e, tenendo conto
violenza
su
un
sistema
fortemente
orientato
della bolletta energetica), contro un deficit di
anche
102 miliardi del Regno Unito, di 65 miliardi
all'export,
con
la
conseguenza
di
una
caduta
dell’indotto,
per la Francia e di 64 miliardi di euro per la
più
marcata
del
Pil.
In
altri
Paesi,
in
particoil 40 per cento
Spagna. Nello stesso periodo si è generato un
lare Usa o Gran Bretagna, la recessione si è
del valore
surplus manifatturiero, tra beni di consumo
fatta
sentire di più sui consumi delle famiaggiunto
e di investimento, di 45 miliardi di euro, «a
glie
fortemente
indebitate, mentre nel Bel
della produzione
Paese il cuscino del risparmio ha limitato i
dimostrazione che questo non è un Paese in
danni. Almeno per ora.
ginocchio» sintetizza lo stesso Fortis, anche