La montada de le chiepe de la Chiepara
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La montada de le chiepe de la Chiepara
La montada de le chiepe de la Chiepara Quando Dio creò i pesci, si pose all’opera di buona lena per mettere a dimora nell’acqua tutto quel bendiddio che sapeva molto utile all’uomo. Fece lo storione e risultò perfetto, il rinato e fu contento del risultato; così pure per il buriòlo, la ténca, i gàmbari, il cavedan, i bisati… Le anguille, poi, gli erano riuscite così bene che quasi, quasi se le sarebbe mangiate così de sopè, su due piedi! Insomma era stata un’opera d’arte! Stava per fare su le canne e godersi finalmente il meritato riposo, quando s’accorse che gli era avanzato un mucchietto di spine, risparmiate sull’anguilla. Alquanto seccato le prese, le palleggiò tra le mani non sapendo, si fa per dire, che pesci pigliare, diede a queste spine forma di pesce: “E ti, ciépa… ciapa!”, esclamò. E questo è il motivo per cui la ciépa e piena di spine. La chieppa o cheppia, che nei ricettari ed in cucina riusciva ostica per la sua carne troppo liscosa e poco saporita, e che quindi aveva bisogna dell’aggiunta di qualche aroma esotico per poter essere apprezzata, è un pesce che è stato consumato sin dall’antichità sia a livello alto che a livello basso perché la differenza dei generi commestibili, tra cucina ricca e cucina povera, è di molto inferiore di quanto si pensi e talora l’una si confonde con l’altra. La diversità stava soprattutto nella quantità e negli ingredienti di contorno che determinavano il salto di qualità di una vivanda perché il mangiare “tutto” degli animali, non sprecare cioè, apparteneva ad una cultura alimentare che tagliava trasversalmente sia la tavola ricca che quella povera, la tavola borghese e quella proletaria. E la tavola contadina. Del maiale niente si buttava, si dice con una sorta di orgoglio da parte di taluno per vantare una presunta superiorità della cultura veneto-contadina. Si mangiavano anche i testicoli dei maschi e l’utero delle femmine… E’ certamente vero! Ma anche del cinghiale, dello storione e del vitello, del cervo, del camoscio, animali da nobili per così dire, si mangiava tutto. Addirittura i feti… Già, perché in una economia che esaltava il valore della caccia come status symbol del ruolo sociale, se una femmina gravida era uccisa durante una battuta, il feto veniva preparato ed imbandito come una fine leccornia, come si legge con dovizia nei ricettari. Il gusto non è un qualche cosa di assoluto ed immutabile nei secoli ma è fenomeno che varia secondo i tempi, l’ambiente geografico, le disponibilità ed i momenti storici. Il pesce fluviale che sino ad un secolo fa era molto in alto nella graduatoria del gusto e faceva di Adria un fiorente mercato, dopo l’introduzione della ferrovia LegnagoChioggia e il conseguente rapido trasporto in celle frigorifere del pesce di mare, ha fatto sì che il pesce d’acqua dolce sia stato completamente soppiantato da quello di mare con la naturale crisi mercato ittico locale e delle attività complementari come la salatura. Che la ciépa ad Adria fosse risorsa indispensabile, ci è evidente dalla toponomastica. La Chieppara viene certamente dal nostro pesce che risaliva le valli adriesi nel mese di maggio per deporre le uova, come da documento del 1485 con cui q Bernardo di ser Penolazzo prende in affitto il canale di Piantamelon con la clausola specifica che “… nol possa impedire a la montada de le chiepe de la chiepara” .1 Nei secoli dei secoli, cibo di resistenza, quindi, come ha modo di dire Antonio Tenani in suo opuscoletto, “Dei diversi modi di cuocere il pesce di valle” 2 . Anche se la cheppia, è piena di spine, egli afferma, “ciò non toglie che sia prelibata specie oggidì in cui difettano le carni!”. E la indica cotta in quattro modi, lessa, arrosta, in umido, fritta, aggiungendo “variazioni da non disprezzarsi”, sicuramente bene accette dalla cucina autarchica e da quella di guerra: “Appena cotta e levata dalla padella, tanto se cotta 1 ARCHIVIO ANTICO DEL COMUNE DI ADRIA, F.A. BOCCHI, Annali Pollicinensi, Busta 400, f..433. A. TENANI, Dei diversi modi di cuocere il pesce di valle, dattiloscritto, Guarda Veneta, 1941. Le citazioni che seguono si trovano alle pp. 17 – 18. 2 nell’olio o nello strutto, aggiungete in padella aceto, cipolla in abbondanza e prezzemolo, indi fare andare. Quando la cipolla sarà scaltrita leggermente, versate il tutto sul fritto già pronto in recipiente adatto. Mettete al tepore sulla cucina economica o sopra pentola in bollore e dopo un’ora sentirete che sapore!”. Sempre dal Tenani un sugo per condire la pasta: “Non si sa talvolta con che cosa condire la pasta; pensai, ricordando tempi lontani alla cepa e provai rimanendo soddisfatto. Dopo arrostita la cepa, levai le polpe più belle scevre di spine, le unii a due sardine sfatte nell’olio, al fuoco completai la cottura, e condii la pasta. A tavola tutti guardavano poco simpaticamente questo miscuglio, ma quando dopo essere stata bene informaggiata mangiarono la pasta, tutti si ricredettero e fecero buon viso elogiando la cepa! Provai anche la cepa in umido. Buonissima lo stesso…” . Si potrebbe continuare con innumerevoli ricette a partire dal ‘500; ne propongo un paio che mi sembrano alquanto originali nella loro semplicità, desunte direttamente dalla nostra tradizione orale. Ciépa fritta Ingredienti: una ciépa, prezzemolo, sale, fior di farina, aglio. Si eviscera la ciépa e la si taglia a rotelline dello spessore di un centimetro. Si salano, si passano nel fiore e si friggono in olio bollente. Quando le rotelle sono quasi pronte si lasciano cadere alcune gocce d’aceto nella padella per aromatizzare. Intanto si è pestato finemente dell’aglio, l’ideale sarebbe che fosse novello, e del prezzemolo. A questo punto, si dispongono nel piatto uno strato di fettine di ciépa ed uno strato di aglio e prezzemolo… E così via sino a completare l’operazione. Alla fine spargere sopra un po’ d’olio. Così preparata la ciépa… non sembra neanche ciépa! 3 Polpette di ciépa Ingredienti: una ciépa, carota, sedano, cipolla, prezzemolo, aglio, un uovo, sale, pane grattugiato. Si fa dapprima lessare la ciépa con una cipolla, due coste di sedano, ed una carota. Quando è pronta, la si leva, la si spina per bene spolpandola con cura, e si pesta minutamente per essere sicuri che tutte le spine siano state eliminate o frantumate. Indi si aggiunge un uovo, il prezzemolo e l’aglio tritati, sale quanto basta. Si amalgama per bene e si fanno tante palline che si passano nel pane grattugiato. Infine si friggono in padella. Allo stesso modo si preparavano abitualmente polpette di buriòlo. 4 Paolo Rigoni (Grafica: Giorgia Stocco) 3 4 Fonte: Imelde Mosca – Panarella, ora Sologno (NO) Idem.