L`Europa che vorrei - Un`Europa flessibile
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L`Europa che vorrei - Un`Europa flessibile
Un’Europa flessibile Ogni desiderio nasce da una necessità e rappresenta un obiettivo. Delineare l’Europa che vorrei richiede quindi, a monte, un ragionamento sulle sfide che il vecchio continente si troverà ad affrontare e su quali obiettivi raggiungere. “To make war materially impossible". Con questa frase, semplice, nacque, più di sessant’anni, fa la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, progetto embrionale dell’Unione Europea. L’obiettivo era chiaro e immediato: evitare ulteriori conflitti, dopo due drammatiche guerre svoltesi nell’arco di vent’anni appena. L’estrazione dei minerali, fonti di energia e materie prime per la costruzione di armi, fu quindi posta sotto una supervisione comune. L’obiettivo fu raggiunto: il nostro continente sta vivendo un periodo di pace senza precedenti. La cooperazione fra i Governi non si fermò con quel primo passo ma, anzi, proseguì con ancora più vigore. Nel 1987 fu approvato l’Atto Unico Europeo che introduceva ufficialmente il Mercato Comune. Un concetto ancora una volta economico per esprimere una necessità (anche) politica: permettere la libera circolazione di merci, capitali, persone e servizi per evitare che, attraverso le frontiere, potessero transitare gli eserciti. Il processo di integrazione è lungo e, ancora oggi, ci sono Stati che non hanno raggiunto appieno quelle quattro fondamentali libertà di circolazione. Periodi di transizione sono senza dubbio necessari e non rappresentano un problema. Ciò che conta è il fine da raggiungere. L’introduzione dell’euro vide ancora una volta la politica servirsi di strumenti economici per raggiungere i suoi obiettivi, questa volta con risultati meno ottimali. La Francia, spaventata del fatto che, dopo l’unificazione, la Germania potesse tornare ad affermarsi quale potenza dominante e servirsi di una sua moneta, spinse per la creazione di una valuta comune. La Germania acconsentì a patto di forgiare una moneta a sua immagine e somiglianza: l’euro. L’economista Robert Mundell definì un’area valutaria ottimale – ossia un’area all’interno della quale è possibile, anzi auspicabile, avere una moneta comune – come un gruppo di Paesi con una forte mobilità interna dei fattori produttivi e trasferimenti di bilancio reciproci. Oggi, tutto questo manca (la mobilità del lavoro è allo 0.8%!) e i Paesi dell’Unione vivono cicli economici opposti. Una situazione di questo genere non è sostenibile e, quando una situazione non è sostenibile, prima o poi cessa di esistere. Negli ultimi anni, gli obiettivi politici sembrano essere passati in secondo piano, offuscati dall’economia. Quale drammatico errore geopolitico paventare una possibile uscita della Grecia dall’Unione! L’Europa che vorrei è un’Europa che affermi il primato – non l’esclusività – della politica. Un modo per dare nuovo slancio all’Unione è quello di affermare con ancora più forza il principio della flessibilità, intesa non in senso economico, ma politico. Flessibilità significa permettere a quegli Stati che lo desiderano e sono in grado di farlo, di procedere più speditamente verso il processo di integrazione – non dimentichiamoci che l’Unione è nata dall’iniziativa di soli sei Stati. Flessibilità significa riconoscere che se l’Europa corre a due velocità, avere una moneta comune non porta più unione ma più malcontento. Flessibilità significa avere solidi principi comuni – solidarietà in primis – che rappresentino le radici a partire dalle quali ogni Stato sia libero di svilupparsi e crescere secondo le modalità che gli sono più consone. Flessibilità significa voler bene all’Europa. Ivan Lagrosa