Professionalità docente tra ordinamenti e innovazione

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Professionalità docente tra ordinamenti e innovazione
EDITORIALE
Professionalità docente
tra ordinamenti e innovazione
di GIORGIO REMBADO
N
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uovi ordinamenti fa rima con cambiamenti? A tutta prima la risposta può
sembrare scontata e la proposizione tautologica. Questo solo se si resta in
superficie, o per meglio dire se non si scende al di sotto della soglia delle
definizioni. Infatti è senz’altro vero che l’adozione di nuovi ordinamenti non può che
comportare novità, quali una modificazione dei piani di studio, l’introduzione di
discipline d’insegnamento che prima non c’erano e l’esclusione - parziale o totale di altre, un aggiornamento dei contenuti programmatici. Ma è anche vero che il riordino da solo non basta, che, anche a voler essere salomonici, è solo un pezzo del
cambiamento esterno e deve essere accompagnato da misure coerenti in tutti gli
ambiti dell’istituzione scolastica, ma soprattutto nella cultura professionale degli
addetti ai lavori, se si vuole che abbia ricadute positive sul miglioramento dell’offerta formativa. Del resto è naturale che il cambiamento, quando è reale, richieda
una rimessa a punto dei comportamenti e delle consuetudini professionali di ciascuno e quindi uno sforzo che non trova nell’attuale organizzazione dell’“azienda”
scuola incentivi di sorta. Anzi.
E allora c’è da chiedersi cosa possa favorire la riuscita sulla strada della continua e necessaria trasformazione del sistema al fine del suo progressivo adattamento
ai fabbisogni reali delle famiglie e del mondo economico e sociale. In astratto potrebbe sembrare indispensabile una riforma complessiva, che intervenisse su tutte le leve
del sistema, dalla governance all’organizzazione del lavoro, dai piani di studio alle
regole per il reclutamento del personale, all’interno di un progetto unitario e coerente. Ma, al di là del fatto che una tale impresa, proprio perché titanica, sarebbe troppo ambiziosa per qualsiasi decisore politico (tanto è vero che gli ultimi ministri
hanno saggiamente percorso un’altra strada, quella degli interventi mirati su singoli “pezzi” del sistema), una “riforma” di tale portata avrebbe anche un altro limite,
quello di essere inevitabilmente rigida e perciò resistente a qualsiasi ritocco o impermeabile a qualsiasi adattamento alle esigenze concrete che, per le differenze delle
culture soggettive e territoriali, richiedono margini ampi di flessibilità per dare risposte adeguate alla diversità e frammentazione della domanda formativa.
E’ proprio il caso di ribadire che i regolamenti non bastano, che le riforme - anche
le migliori - non sono capaci di per sé di cambiare il mondo. L’esperienza insegna
semmai che la norma è necessaria, ma non sufficiente. E che non si può sfuggire al
bisogno di fare i conti con l’adattamento della propria cultura professionale alle esigenze del contesto in cui si opera.
on ci sono scorciatoie. Di fronte ai casi sempre più difficili che mettono a dura
prova l’individuazione di metodi e di soluzioni utili, non ci possono essere
ricette precostituite e proprio per questo vanno sviluppati comportamenti disponibili alla continua ricerca di nuove e qualificate esperienze. Ma per rendere possibile un atteggiamento siffatto bisogna abbassare il livello delle resistenze psicologiche di fronte all’innovazione possibile, eliminare tutte le pregiudiziali che pongono
barriere spesso invalicabili a difesa del proprio vissuto, non interpretare come provocazioni concetti quali la selezione o la valutazione nelle sue varie accezioni: in una
parola occorre abituarsi ad evitare di assumere posizioni difensive che possono essere giustificate sul piano personale ma che sicuramente creano ostacoli nella relazione professionale e nell’acquisizione di risultati positivi.
N
AUTONOMIA&DIRIGENZA
EDITORIALE
A
proposito di buone occasioni mancate in materia di riforme e di conseguente
miglioramento del servizio di istruzione non si può fare a meno di rammentare
il caso dell’autonomia ed in particolare dei suoi assi portanti, ovvero della flessibilità curricolare e degli spazi di costruzione, in prospettiva, di offerte diversificate, compatibilmente con la migliore utilizzazione delle risorse a disposizione. I tre
recenti regolamenti di riordino della scuola secondaria superiore prevedono ampi
spazi di flessibilità nel senso della normativa istitutiva dell’autonomia (20% per la
personalizzazione del curricolo, per l’inserimento di nuove discipline) nonché in
senso evolutivo (fino al 40% negli istituti professionali), per l’articolazione dell’offerta in raccordo con i territori di pertinenza. La percorribilità di tale strumento è
lasciata alla valutazione delle scuole.
in qui tutto (o quasi) risulta chiaro. Altro diventa il discorso però se si sposta
l’attenzione sulle condizioni che rendano effettivamente praticabili gli spazi
di flessibilità riconosciuti dall’ordinamento. E qui siamo alle incoerenze di
sistema. Intanto si pone la questione delle risorse professionali e finanziarie per
l’introduzione delle modificazioni curricolari. Oggi i vincoli costantemente ribaditi
sono essenzialmente due e cioè quello dell’utilizzo del personale dell’organico d’istituto e quello dell’impiego di risorse proprie della scuola. Nel primo caso però i
margini per una curvatura ai fabbisogni formativi differenziati delle competenze
professionali potenzialmente occorrenti sono fortemente compressi entro i confini
delle discipline insegnate dai docenti della scuola. Nel secondo c’è da chiedersi con
quali risorse finanziarie si possa provvedere all’assunzione di personale al di fuori
dell’organico, tenuto conto delle ristrettezze ormai endemiche nel finanziamento
delle scuole, perfino per quello che riguarda le spese di funzionamento ordinario. La
piena attuazione dei nuovi ordinamenti pertanto dovrà essere accompagnata da
interventi innovativi non solo nell’organizzazione della didattica, ma, come si è già
avuto modo di sostenere altrove, anche nel campo della determinazione degli organici e dell’incremento di risorse finanziarie.
E allora che occorre fare per evitare il blocco dell’innovazione e, soprattutto, per
migliorare il servizio d’istruzione?
Appare indispensabile mobilitare tutte le risorse umane e professionali, occorre in
primo luogo un investimento massiccio nella formazione in servizio, gestita dalle scuole in coerenza con i bisogni scaturenti dalla progettazione autonoma di ciascuna.
necessario costituire gruppi di progetto, attivare comitati e dipartimenti,
con l’avvertenza che non si tratterà di ampliare la già troppo vasta sfera
della collegialità formale (che anzi va fortemente ridimensionata), ma di
recuperare le opportunità del lavoro in team al di fuori di qualsiasi logica burocratica come effettiva capacità di lavoro di squadra.
In conclusione, cosa manca nella nostra tradizione organizzativa e cosa varrebbe
la pena di realizzare:
- una solida formazione iniziale dei docenti, caratterizzata da competenze disciplinari non specialistiche ma orientate ai bisogni di apprendimento degli alunni. Non
è sufficiente il possesso delle discipline in sé, se manca la consapevolezza della
loro formatività. Il mondo si può leggere procedendo in scomposizioni, ma se lo si
vuole capire, è necessario dare ai giovani gli strumenti per la sua ricomposizione.
La scuola delle torri eburnee vagheggiata dai disciplinaristi ci riporta ad un passato glorioso legato alla scuola di élite: oggi è necessario aprire varchi e gettare
ponti tra le discipline perché la complessità della realtà possa essere percepita;
- il passaggio della competenza alle scuole della selezione e del reclutamento dei
docenti, secondo modalità definite, ma nel rispetto della loro programmazione dell’offerta formativa;
- la rimotivazione dei docenti, da fondarsi principalmente sul riconoscimento di uno
sviluppo di carriera;
- l’istituzione di una valutazione del servizio dei singoli operatori, oltre che della
comunità scolastica.
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E’
AUTONOMIA&DIRIGENZA
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