L`euro si salverà, ma senza la Grecia

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L`euro si salverà, ma senza la Grecia
L'INCONTRO Michael Spence, premio Nobel per l'economia , a Padova per "Segnavie "
«L'euro si salverà, ma senza la Grecia»
Sono tre le sfide cruciali
per il nostro continente:
riforme strutturali
efficaci etempestive ,
tassi d'interesse
sotto controllo,
e un nuovo impulso
alla costruzione
politica dell'Europa
«Questa mattina ero al supermercato e una persona mi ha
detto "siamo sempre più vicini
alla Grecia". Gli ho risposto di no,
proprio per nulla. Il Nordest rimane
una delle aree più ricche e dinamiche, un mix tra Svizzera e Germania. E l'Italia non è la Grecia, anche
se i suoi problemi sono parte importante dei problemi dell'Europa e
dell' euro» . C'è da fidarsi e tirare un
sospiro di sollievo, perché Michael
Spence non è soltanto il premio Nobel 2001 per l'economia ma in Italia
insegna e vive per una buona metà
dell'anno. Certo, però, la strada della ripresa è stretta e rischia di non
vedere tutti arrivare fino in fondo a
tagliare il traguardo. Già prima delle elezioni greche, incontrando i
giornalisti prima di inaugurare
l'edizione 2012 di "Segnavie" - il
ciclo di incontri promosso dalla
fondazione Cassa di risparmio di
Padova e Rovigo che vedrà cinque
relatori di fama internazionale proporre "Appunti per un nuovo inizio" - Spence aveva definito «molto probabile» l'uscita dall'euro non
solo di Atene ma anche di Lisbona.
Legando poi la sopravvivenza
della moneta unica a tre elementi:
«Il primo è la piena realizzazione
delle riforme in Italia e Spagna. Il
secondo fattore critico è rappresentato dagli interessi che gli stati pagano sui debiti sovrani: se rimangono
alti troppo a lungo rischiano di vani-
ficare ogni sforzo dei governi. Ma il
più importante fattore è rappresentato dalla necessità di andare oltre la
moneta unica e di far ripartire il processo politico dell'unità europea, la
sola vera garanzia di un futuro di
crescita per il vostro continente».
Il quadro è nitido, ma le risposte
alle questioni cruciali ancora si fanno attendere. Colpa della rigidità tedesca in economia, colpa di una
banca centrale che a differenza di
quella americana non può stampare
moneta e continua a considerare
prioritaria la lotta all'inflazione. Ma
colpa, prima ancora, di governi che
negli ultimi dieci anni non sono riusciti a convincere l'opinione pubblica dei loro stati della bontà dell'opzione europea. Risultato, una costituzione naufragata sotto i colpi dei
referendum, istituzioni deboli, riva-
lità nazionali ancora troppo evidenti
in politica estera e una crescita preoccupante delle forze politiche antieuropee, dalla Scandinavia al Mediterraneo.
Così, a forza di tenere lo sguardo fisso sulle beghe di casa, è l'intero continente - Germania compresa
- che rischia di perdere l'appuntamento con la sfida più ampia che la
globalizzazione sta proponendo ai
paesi avanzati. Spence lo scenario
lo conosce a fondo, anche perché
dal 2006 al 2010 è stato presidente
della Commissione indipendente
sulla crescita e lo sviluppo patrocinata dalla Banca mondiale, che si è
occupata in maniera analitica delle
economie emergenti. Come continuiamo a chiamarle, facendo finta
di non sapere che sono già emerse
da un pezzo e che soprattutto grazie
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al loro contributo gli analisti calcolano che nei prossimi 25 anni l'economia mondiale triplicherà di volume. Un fenomeno potenzialmente
dirompente, ma non è detto che sarà
per forza negativo. A patto di saperlo affrontare con le armi giuste.
«Molti pensano che se loro crescono, noi diminuiamo. Che se loro
vincono, qualcuno deve perdere.
Non è così. Se il Pil mondiale continua a crescere, è chiaro che tutti i
paesi avanzati perderanno quote di
mercato, ma non necessariamente
ne saranno danneggiati in termini
assoluti. Avremo semplicemente
una fetta più piccola della torta, ma
sarà una torta molto più grande di
quella di oggi. La sfida più grande e
problematica è legata però alle conseguenze che avrà sul mondo del lavoro la combinazione tra globalizzazione e innovazione tecnologica.
Già vediamo scomparire milioni di
posti di lavoro che erano quelli che
hanno prodotto la crescita della
classe media nei nostri paesi. E non
abbiamo soluzioni in grado di salvaguardare i loro livelli di reddito.
Il mio consiglio è semplice: dobbiamo investire il più possibile in istruzione, formazione professionale, riqualificazione dei lavoratori, sviluppo delle competenze e innovazione
tecnologica. Altrimenti non potremo che peggiorare nello scenario
globale che è di fronte a noi».
Mario Sanfelice