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LA DELOCALIZZAZIONE NELLA PROVINCIA DI FIRENZE Una
IRPET Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana LA DELOCALIZZAZIONE NELLA PROVINCIA DI FIRENZE Una analisi dei flussi di commercio estero LORENZO BACCI Relazione al convegno: “DELOCALIZZAZIONE PRODUTTIVA da problema a opportunità. Il caso dell’area fiorentina in una ricerca IRPET” Firenze, 27 gennaio 2006 RICONOSCIMENTI La presente nota è stata redatta da Lorenzo Bacci. Si ringrazia Stefano Casini Benvenuti per l’implementazione della procedura di selezione degli incroci settore-paese di maggiore interesse. 2 DELOCALIZZAZIONE E COMMERCIO ESTERO Globalizzazione e delocalizzazione L’avvento di nuove tecnologie di comunicazione, la disponibilità di infrastrutture e mezzi di trasporto più efficienti hanno progressivamente ridotto le distanze geografiche fra i paesi del mondo. Tale maggior vicinanza si è sostanziata nella disponibilità di maggiori informazioni reciproche per gli attori di paesi diversi, nella possibilità di trasmettere informazioni e coordinare attività svolte a grande distanza, nella riduzione dei costi e dei tempi di trasporto, sia di beni e servizi, sia soprattutto di informazioni e innovazioni. Per le imprese l’insieme di questi fenomeni, la cosidetta “globalizzazione”, ha rappresentato, da un lato, un ampliamento dei possibili mercati di riferimento, dall’altro una crescita della competizione su tali mercati divenuti raggiungibili da una più ampia platea di competitori. Allo stesso tempo l’ampliamento degli orizzonti geografici delle imprese non si limita alla sola commercializzazione dei prodotti, ma via via nel corso degli ultimi decenni, si è affermata e diffusa la possibilità di organizzare anche i processi produttivi a scala internazionale. A partire dagli anni ’60-70 le grandi imprese italiane riducono via via il loro grado di integrazione verticale organizzandosi in forme a rete e dando luogo a fenomeni di outsourcing all’interno di circuiti di subfornitura; su tale fronte le imprese italiane non solo hanno iniziato il processo di deverticalizzazione prima degli altri principali paesi europei, ma hanno anche raggiunto livelli di outsourcing più elevati. Se per le imprese più grandi l’organizzazione della produzione in luoghi fisici diversi si realizza inizialmente su orizzonti nazionali, l’esplorazione di localizzazioni estere non tarda ad affermarsi, anche se, come i confronti a livello internazionale sembrano indicare, il grado di multinazionalizzazione attiva delle imprese italiane resta ancora inferiore rispetto a quanto si riscontra nelle principali economie avanzate (cfr. Mariotti S. e Mutinelli M., 2005, Italia Multinaizonale). Nello stesso periodo, a fianco della riorganizzazione, ma in parte anche della crisi, del modello della fabbrica fordista verticalmente integrata, si afferma, specie nelle regioni del NordEst-Centro, il modello dell’industrializzazione leggera cui deve essere ricondotto per buona parte il cosidetto “miracolo italiano”. Anche il modello del distretto industriale e più in generale l’organizzazione in sistemi e cluster di PMI, non appare alieno ai processi di riorganizzazione dei processi produttivi su scala internazionale e, specie negli ultimi decenni, le imprese dei distretti iniziano ad ampliare la propria rete di relazioni produttive al di fuori dei confini del sistema locale. Il modello del distretto, basato sulla scomposizione del processo di produzione su una pluralità di imprese specializzate in singole fasi, sulla competizione delle imprese all’interno della stessa fase, ma sulla collaborazione ed il coordinamento fra fasi diverse, tende ad aprirsi progressivamente all’esterno e la filiera produttiva si allunga al di fuori dei confini del sistema locale verso altre località nazionali e verso orizzonti internazionali. Per alcune realtà distrettuali il fenomeno sembra già aver raggiunto stadi avanzati (si pensi ad alcuni distretti veneti) per altre, nonostante esempi anche numerosi di imprese che hanno realizzato e stanno realizzando strategie di delocalizzazione produttiva, il fenomeno sembra ancora agli albori e mostra una minor diffusione. Se per le realtà aziendali di maggiori dimensioni, i database esistenti (si pensi per l’Italia alla banca dati Reprint, e più in generale ai dati sugli investimenti diretti esteri - IDE), permettono di datare l’inizio del fenomeno, il suo sviluppo e l’attuale livello di diffusione, per quanto concerne le imprese più piccole e segnatamente quelle distrettuali, la possibilità di datare e quantificare il fenomeno risulta assai più complessa. 3 L’organizzazione a scala internazionale dei processi produttivi, cui ci riferiremo d’ora in avanti con il termine di delocalizzazione, può realizzarsi in forme e con strumenti affatto diversi che lasciano agli analisti reperti e quindi possibilità di misurazione diverse da caso a caso. Le ragioni della delocalizzazione Le motivazioni che spingono le imprese a delocalizzare sono riconducibili a tre principali tipologie: • la possibilità di ridurre i costi di produzione, ovvero, la ricerca di fattori produttivi a più basso costo (low cost seeking); • la possibilità di accedere ai mercati di sbocco (market seeking); • la possibilità di accedere a fattori strategici, per accrescere le proprie competenze (strategic assett seeking). Basso costo, accessibilità al mercato e a risorse strategiche sono quindi i fattori che guidano la scelta di delocalizzare. Nel primo caso il risparmio dal lato del costo del lavoro è una delle principali motivazioni, ma può essere rilevante anche il costo di alcune materie prime, una minore tassazione, minori vincoli ambientali, ecc.. Nel secondo caso può essere rilevante la possibilità di aggirare barriere tariffarie, di realizzare prodotti con standard specifici per il mercato in questione, di accedere a circuiti distributivi preclusi o difficilmente penetrabili da chi non produce nel paese di sbocco (si pensi al caso della farmaceutica), di accedere a mercati monopsonistici (si pensi a quello della difesa) da cui si è tagliati fuori se non si produce sul mercato di sbocco e magari in collaborazione con operatori locali. Nel terzo caso la finalità della delocalizzazione è di attingere a risorse umane qualificate ed a nuclei di produzione di conoscenza formale (ad esempio centri di eccellenza nella ricerca, reti di imprese ad alta tecnologia ecc.), a capacità lavorative qualificate (conoscenza contestuale e saper fare), di disporre di infrastrutture strategiche (dalle reti logistiche, agli hub aeroportuali, ad aree industriali dotate di speciali attrezzature ecc), di inserirsi in reti di imprese già esistenti, ecc. Se la prima motivazione spinge, certamente, verso paesi a più basso livello di sviluppo, la seconda e la terza hanno un riferimento più ampio, possono essere infatti selezionate localizzazioni sia in paesi ad alto livello di reddito per raggiungere più facilmente la domanda finale oppure per collocarsi vicino a fattori produttivi strategici (tecnologia, lavoro qualificato, ecc..), sia in paesi a basso livello di reddito nel tentativo di rapportarsi ad una domanda che sta sviluppandosi anche in tali aree. Le diverse forme di delocalizzazione Con il termine delocalizzazione intendiamo, in senso lato, il decentramento in altri paesi di produzioni, o fasi del processo produttivo, che prima venivano effettuate all’interno del sistema, oppure l’avvio da parte di imprese locali di nuove attività all’estero (piuttosto che nel paese di origine). Ciò può avvenire in vari modi: (a) importando semilavorati: la formula più leggera con la quale una impresa può delocalizzare parte della produzione è quella di acquistare sul mercato beni semilavorati prodotti da una impresa estera; tale fatto darà luogo ad un flusso di commercio internazionale di beni intermedi; (b) con accordi commerciali o produttivi con imprese estere: in questo caso l’impresa nazionale attiva un rapporto di fornitura con l’impresa estera ed acquista un bene intermedio (od anche finito dal punto di vista della lavorazione) prodotto secondo specifiche tecniche richieste. In tal modo l’impresa che delocalizza mantiene un controllo stringente sul processo produttivo senza dover investire in partecipazioni di tipo equity. 4 (c) attraverso investimenti diretti all’estero (IDE) da parte di imprese nazionali che possono acquisire partecipazioni (di controllo o di minoranza) in imprese estere oppure creare exnovo imprese affiliate all’estero (investimenti green field); (d) attraverso la cosiddetta “imprenditorialità all’estero”, ovvero, la fondazione all’estero di nuove imprese ad opera di imprenditori locali o persone ad essi collegate (ad esempio i familiari o i collaboratori dell’imprenditore)1. In sintesi per delocalizzare una produzione od alcune fasi di questa è possibile trasferire uno stabilimento in Romania o acquistarne uno già esistente o costruirne uno ex-novo per eseguire là lavorazioni prima effettuate in Italia (oppure per attivare nuove linee di produzione), oppure più semplicemente si possono acquistare da imprese rumene prodotti o semilavorati prima realizzati in Italia. La misurazione del fenomeno della delocalizzazione La sola delle quattro forme di delocalizzazione citate che è suscettibile di un buon grado di misurazione è quella sub (c), ovvero quella che assume la forma di investimenti di tipo equity. L’acquisto di partecipazioni nel capitale di imprese estere da parte di soggetti nazionali (o viceversa l’acquisto di partecipazioni in imprese nazionali da parte di soggetti esteri) miranti ad acquisire interessi duraturi 2 sono infatti registrate nei movimenti della bilancia dei pagamenti e confluiscono nelle statistiche sugli IDE curate in Italia dall’Ufficio Italiano Cambi. Le partecipazioni dirette estere sono inoltre ben documentate per l’Italia dalla banca dati Reprint (curata da R&P e Politecnico di Milano) che utilizzando un’ampia varietà di fonti offre un quadro dettagliato e particolareggiato delle imprese multinazionali3. Per l’analisi delle imprese multinazionali, lette in termini di partecipazioni equity, si rinvia al paper di Mutinelli all’interno della presente ricerca. Per quanto concerne le altre forme di delocalizzazione non esistono invece informazioni specifiche e puntuali che permettano di quantificare con esattezza i fenomeni o che siano capaci di un analogo grado di copertura. Le operazioni di delocalizzazione basate sull’acquisto di semilavorati (tipo a) sono certamente misurate dalle statistiche sul commercio internazionale (fonte ICE-Istat); tali dati tuttavia non distinguono i flussi import a seconda che essi siano destinati ad usi finali (per esempio consumi) oppure entrino come input intermedi nel processo produttivo. Le operazioni basate su rapporti di subfornitura lasciano anch’esse traccia nei flussi di commercio internazionale ma, analogamente, sono difficilmente separabili dai flussi originati da altre motivazioni, ovvero non è possibile stabilire con certezza se un flusso di merci in uscita dal paese sia destinato a subire lavorazioni all’estero per essere reimportato, oppure, se si tratti di un flusso di esportazioni definitive. Anche i dati sul traffico di perfezionamento passivo, che rilevano all’interno dei flussi del commercio internazionale le esportazioni temporanee e le conseguenti reimportazioni, non sono affatto esaustivi: in primo luogo in quanto l’adesione a tale regime doganale non è obbligatoria, in secondo luogo perché, specie negli ultimi anni, i vantaggi connessi a tale regime valutario si sono ridotti in seguito alla maggiore Si parla di “imprenditorialità all’estero” riferendosi alla nascita di imprese ad opera di imprenditori di origine diversa da quella del paese di insediamento. Tale modalità rileva in particolare nell’ambito di gruppi informali di imprese e/o di imprese a controllo familiare, dove l’investimento si realizza con la fondazione di una impresa all’estero (i casi documentati più ricorrenti riguardano i paesi del mediterraneo e dell’Est europa) da parte di soggetti che hanno cessato la loro attività in Italia, da parte di familiari o collaboratori. In tal caso, il controllo sulla impresa estera si basa su legami di tipo familiare od informale e, conseguentemente, l’investimento non è rilevato in termini di IDE. 2 Sono considerate tali le partecipazioni che portano al controllo di più del 10% dell’impresa acquisita. Le partecipazioni inferiori sono invece considerate investimenti di portafoglio. 3 Per l’analisi delle imprese multinazionali, lette in termini di partecipazioni equity, si rinvia al paper di Mutinelli all’interno della presente ricerca. 1 5 liberalizzazione dei flussi commerciali europei; in terzo luogo in quanto tale misura non rileva il traffico di perfezionamento intra-EU. Infine per la delocalizzazione basata su forme di imprenditoria all’estero anche se, eventualmente, può essere misurata in termini di numero di imprese attingendo ai registri camerali dei paesi ospiti, non è possibile dare una misurazione delle quantità di prodotti realizzati all’estero da tali imprese. Anche in questo caso se i legami con il gruppo informale e/o con l’azienda di famiglia dell’imprenditore danno luogo a flussi di import-export con il paese estero, tali flussi vengono contabilizzati nei dati sul commercio estero ma non sono comunque distinguibili dal resto. In conclusione, salvo poche eccezioni, tutte le forme di delocalizzazione descritte, attivando importazioni, esportazioni o flussi in entrambe le direzioni, si riflettono sui dati del commercio internazionale. Le modalità di internazionalizzazione che non lasciano traccia nei flussi di import export sono schematicamente riconducibili ai seguenti casi, anche se altri sono naturalmente possibili: • investimenti market seeking in cui il processo produttivo viene riprodotto integralmente nel paese estero; in tal caso non si da origine a un interscambio di beni fra i paesi; lo scambio in tale caso sarà limitato alle informazioni ed alle innovazioni che l’affiliata estera condivide con la casamadre; • investimenti strategic resource seeking in cui le attività all’estero sono concentrate soprattutto sulla ricerca e sviluppo piuttosto che sulle fasi produttive; anche in questo caso lo scambio avrà ad oggetto elementi perlopiù immateriali; • delocalizzazione produttive (low cost seeking) che, a partire magari da fasi intermedie, si sono spinte anche alle fasi di lavorazione finale e di vendita; se l’impresa nazionale svolge anche la funzione distributiva direttamente attraverso la consociata o il subfornitore estero allora le transazioni di vendita del prodotto finito si realizzeranno estero su estero non lasciando traccia nei flussi diretti da/verso l’Italia. Se le sole funzioni rimaste in ambito nazionale sono quelle della progettazione, dell’industrializzazione del prodotto e del marketing, ovvero le fasi a monte del processo manifatturiero, allora è probabile che non si registrino neanche flussi commerciali in uscita. Una analisi esplorativa della delocalizzazione attraverso i flussi di commercio internazionale Dal momento che le forme di delocalizzazione che non lasciano traccia nei flussi del commercio internazionale sono guidate da motivazioni “alte”, o comunque configurano strategie di internazionalizzazione avanzata, è probabile che esse vengano realizzate perlopiù da imprese di media e grande dimensione attraverso investimenti di tipo equity. Essendo la delocalizzazione realizzata con investimenti diretti ben colta dalla banca dati Reprint, la lettura dei flussi di import export della provincia di Firenze dovrebbe consentire di cogliere l’altra parte del fenomeno della delocalizzazione che investe il territorio fiorentino. Sulla base delle considerazioni svolte è evidente tuttavia che vi possono essere margini di sovrapposizione fra i due tentativi di misura; le operazioni di delocalizzazione di tipo equity che danno luogo ad un interscambio di beni fra casamadre e consociata estera sono destinate ad essere colte con entrambe le misurazioni (Fig. 1). Figura 1 DELOCALIZZAZIONE: LETTURA BASATA SU INVESTIMENTI EQUITY E ANALISI FLUSSI COMMERCIO INTERNAZIONALE Banca dati Reprint IDE che originano import export 6 Analisi import export L’analisi che proponiamo mira quindi a coprire l’altra parte del fenomeno della delocalizzazione che è lasciata in ombra dalle letture basate sugli IDE o su rapporti di tipo equity. Dal momento che gli investimenti diretti in entrata nel nostro paese provengono in larga maggioranza da paesi avanzati, che sono spesso i principali mercati di sbocco delle nostre produzioni, l’evidenza empirica che può essere tratta dall’interscambio commerciale con tali paesi non permette di distinguere i flussi di beni intermedi e l’importazione ed esportazione di prodotti finiti verso tali mercati. Viceversa nel caso di economie emergenti è plausibile pensare che, per la maggior parte, i prodotti esportati da imprese italiane verso tali paesi siano beni intermedi e che le importazioni provenienti da tali paesi siano materie prime, semilavorati, o prodotti semi-finiti4. Per tali ragioni concentreremo la nostra analisi esclusivamente: • sulla delocalizzazione in uscita, lasciando per ora inesplorata quella in entrata (proveniente da paesi evoluti); • sulla delocalizzazione low cost seeking: pur con qualche eccezione, i processi di internazionalizzazione market seeking e strategic assett seeking, coinvolgono per lo più paesi avanzati rispetto ai quali i flussi di import export soffrono dei limiti di lettura predetti. Alcune necessarie cautele Sottolineiamo che l’analisi proposta vuol essere solo una lettura dei flussi di import export alla ricerca di maggiori informazioni e spunti di riflessione riguardo la diffusione e le caratteristiche dei processi di delocalizzazione in atto. Data l’impossibilità di distinguere all’interno dei flussi analizzati la natura dei beni commercializzati (siano essi beni finali od intermedi) la lettura che proponiamo non pretende né di essere esatta, né esaustiva, né le conclusioni cui giungeremo potranno essere rigorosamente comprovate. Nonostante ciò, i risultati cui si giunge sono a nostro avviso interessanti e potrebbero costituire le premesse per ulteriori studi, magari con strumenti e fonti più fini delle attuali. Un primo quadro sull’interscambio con l’estero dell’economia fiorentina In effetti l’interscambio con l’estero dell’Italia ha subito una brusca impennata soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni novanta, sia per l’aumento delle esportazioni che per quello delle importazioni (il quale, peraltro, è stato superiore a quello delle prime). Figura 2 PESO % DELL’INTERSCAMBIO COMMERCIALE SUL PIL IN ITALIA 4 In taluni casi sarà possibile ipotizzare anche l’importazione da paesi emergenti di beni a basso costo che vanno a soddisfare i segmenti della domanda nazionale più attenti al livello dei prezzi. 7 Questo incremento degli scambi5, avvenuto spesso all’interno delle stesse branche produttive, ha motivazioni diverse, tra le quali certamente anche la presenza di fenomeni di delocalizzazione low cost seeking. Andamenti non dissimili hanno avuto le diverse aree del paese e della regione: l’intercambio con l’estero è, in genere, aumentato più della crescita della domanda. In particolare: • le importazioni sono ovunque aumentate più delle esportazioni; • in Toscana l’area Firenze-Prato-Pistoia è quella in cui il fenomeno è più evidente; • nell’area fiorentina (Fig. 3) il fenomeno non sembrerebbe particolarmente diffuso (almeno nel confronto altre parti del paese) anche se, in ambito toscano, l’area maggiormente coinvolta in tali processi è proprio quella metropolitana FI-PO-PT. Figura 3 CRESCITA DI ESPORTAZIONI ED IMPORTAZIONI NEL PERIODO 1996-2004 Tassi di crescita media annua I settori più coinvolti nella provincia di Firenze I principali settori manifatturieri della provincia sia in termini di addetti che di proiezione internazionale sono rappresentati come noto, dai settori moda, dalla meccanica (sia apparecchi meccanici che elettromeccanica ed ottica) e dalla chimica farmaceutica (Tab. 1). Tabella 1 ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI PROVINCIA DI FIRENZE. 2004 Valori in milioni e composizione % DA Prodotti Alimentari DB Tessile-abbigliamento DC Cuoio, pelli e calzature DD Legno e prodotti In Legno DE Carta, stampa, editoria DF Prodotti Petroliferi DG Chimica e farmaceutica DH Gomma e plastica DI Minerali non metalliferi DJ Metalli e prodotti in metallo DK Macchine e apparecchi meccanici DL Elettromeccanica e ottica DM Mezzi di trasporto TOTALE COMPLESSIVO 5 Export Import Comp % export 380,6 1.210,0 1.441,3 62,9 74,8 0,8 474,6 119,0 145,7 191,6 1.437,7 474,8 156,6 6.170,3 439,1 444,8 321,9 36,4 80,2 7,8 778,1 69,2 43,9 412,8 333,2 444,0 178,9 3.590,3 6,2 19,6 23,4 1,0 1,2 0,0 7,7 1,9 2,4 3,1 23,3 7,7 2,5 100,0 La lettura dei dati sul commercio estero a valori nominali risente ovviamente delle variazioni del tasso di cambio reale. Per tale ragione occorrono cautele particolari nel leggere l’aumento o il decremento dei valori di import ed export dal momento che tali variazioni possono essere in larga misura nominali e non reali. 8 Fra questi, ma l’analisi è stata condotta per tutte le sottosezioni di attività, appaiono particolarmente interessanti le dinamiche settoriali riportate nel grafico 4. In generale in tutti i settori la dinamica delle importazioni appare più pronunciata, ma mentre nella chimica (DG) e nella produzione di macchine e macchinari (DK), gli scambi crescono con velocità analoghe, nella moda, soprattutto nelle pelli e cuoio (DC), ed in minor misura nella elettromeccanica ed ottica (DL) si apre una forbice notevole fra i due andamenti. Il fatto che le esportazioni crescano in misura più contenuta è un indizio indiretto del fatto che, a parità di capacità esportative, una quota crescente di produzione potrebbe esser stata decentrata all’estero attivando così importazioni. Nel caso dei mezzi di trasporto (DM), dove il fenomeno appare ancor più intenso, l’intensificazione degli scambi sembrerebbe attribuibile, invece, più all’interscambio di prodotti finali per la presenza di una domanda finale variegata, che a forme di delocalizzazione. In sintesi i settori ove concentrare maggiormente l’attenzione per ricercare una evidenza empirica di processi di delocalizzazione sembrano essere quelli del tessile abbigliamento, quello delle pelli, cuoio e calzature e quello degli apparecchi elettromeccanici e meccano ottici. Figura 4 ESPORTAZIONI ED IMPORTAZIONI NEI PRINCIPALI SETTORI DELLA PROVINCIA DI FIRENZE Numeri indice 1996=1, Valori a prezzi correnti 9 In questi tre settori tuttavia le logiche di delocalizzazione sembrano essere piuttosto diverse. Oltre alla forbice che si viene a creare nella crescita dei flussi di import e di export occorre considerare anche se la maggior crescita delle importazioni avviene in un contesto che è comunque di espansione delle esportazioni oppure in una situazione di stagnazione o di declino: • nella meccanica il maggior ricorso a componenti e parti meccaniche prodotte all’estero (le importazioni quasi raddoppiano nel periodo considerato) si realizza in un contesto di sostanziale crescita della produzione esportata (che cresce di oltre il 60%); • nelle pelli e cuoio, il maggior ricorso a lavorazioni e/o materie prime e semilavorati importati dall’estero (anche in questo caso l’aumento è di oltre il 90%) si realizza in una situazione di sostanziale tenuta delle esportazioni; • nel tessile abbigliamento viceversa l’incremento delle importazioni, pur meno accentuato che nei casi precedenti (circa +20%), si inserisce in un quadro di sostanziale calo delle esportazioni che, in termini nominali, si riducono nel periodo di oltre il 10%. Le differenze in tali andamenti tratteggiano un quadro dove il sistema del tessile abbigliamento sembra perseguire una strategia di difesa dalla concorrenza esterna e alla ricerca di minori costi di produzione, si approvvigiona di semilavorati o esternalizza lavorazioni in luoghi a minor costo del lavoro. Nel sistema delle pelli e cuoio la strategia appare simile anche se con risultati migliori in termini di tenuta (tale fatto può essere anche la conseguenza di comportamenti asimmetrici fra gli attori del settore che vede al suo interno la compresenza di grandi griffes poco minacciate dalla concorrenza di costo e piccoli produttori molto più esposti alla concorrenza dei nuovi competitori). All’opposto il sistema dell’elettromeccanica ed ottica appare ancora in una fase di espansione e l’incremento delle importazioni, probabilmente componentistica elettronica, da un lato è funzionale alla crescita dei volumi prodotti, dall’altro segnala un probabile spostamento da fornitori nazionali a fornitori esteri. Il passaggio da produzione locale a produzione importata nei dati di contabilità economica Per una corretta lettura dei fenomeni occorrerebbe tuttavia considerare, a fianco delle esportazioni, anche la domanda interna (consumi) e quella interregionale (esportazioni verso il resto d’Italia) ed a fianco delle importazioni dall’estero, anche la produzione interna e le importazioni provenienti da altre regioni italiane. Mettendo in tal modo a confronto il totale della domanda che si rivolge alle imprese toscane, e il totale delle risorse con le quali tale domanda viene soddisfatta, si può avere un quadro più completo degli eventuali processi di delocalizzazione, ovvero della sostituzione di produzione interna con produzione importata (Tab. 2). Nella tabella 2, da un lato mostriamo come la domanda che si rivolge alle imprese dei settori della meccanica e della moda abbia modificato nel tempo la propria composizione fra consumi interni, esportazioni verso altre regioni italiane (rdi) ed esportazioni all’estero (rdm); dall’altro indichiamo come tale domanda venga soddisfatta, ovvero, se con produzione interna, con importazioni dalle altre regioni italiane o con importazioni dall’estero. Prima di tutto presentiamo un confronto fra la Toscana ed una regione, il Veneto, per la quale sia l’aneddotica aziendale sia numerosi studi hanno verificato un livello di delocalizzazione produttiva già avanzato; successivamente verifichiamo quale sia la situazione della provincia di Firenze. Nel dibattito sulla competitività l’attenzione si concentra sovente sulle sole esportazioni ed importazioni dall’estero; tali variabili, che ben misurano la capacità delle imprese nazionali di competere sui mercati esteri, rischiano però di fornire una rappresentazione parziale dei 10 fenomeni. Accanto al mercato estero ha infatti una importanza fondamentale anche quello interno e quindi la competitività delle imprese deve essere vista anche come capacità di mantenere o conquistare quote del mercato fronte nazionale. Al 2004, con l’unica eccezione delle pelli e cuoio in Veneto, il mercato nazionale (consumi interni alla regione + esportazioni verso il resto d’Italia) rappresenta la quota preponderante della domanda nei settori considerati. Nel confronto con il Veneto la realtà toscana appare in generale meno aperta agli scambi internazionali. Nell’ambito della moda il grado di apertura delle due regioni è grosso modo analogo nel settore del tessile abbigliamento (le esportazioni all’estero rappresentano in entrambe le regioni circa il 36% della domanda), mentre si osservano differenze di rilievo nel comparto pelli e cuoio che, più aperto agli scambi internazionali, vede un propensione all’export del Veneto molto più netta che in Toscana (le esportazioni all’estero rappresentano circa il 43% nella nostra regione contro il 57% in Veneto). Tabella 2 PRODUZIONE, IMPORTAZIONI REGIONALI E INTERNAZIONALI; CONSUMI, EXPORT REGIONALI ED INTERNAZIONALI DITOSCANA E VENETO Composizioni % anni 1995-2002 Elettromeccan. e ottica Produzione Import rdi Import rdm TOTALE RISORSE Cons PM Exp rdi PM Exp rdm PM TOTALE UTILIZZI Tessile abbigliamento Produzione Import rdi Import rdm TOTALE RISORSE Cons PM Exp rdi PM Exp rdm PM TOTALE UTILIZZI Pelli e cuoio Produzione Import rdi Import rdm TOTALE RISORSE Cons PM Exp rdi PM Exp rdm PM TOTALE UTILIZZI Fonte: IRPET 1995 TOSCANA 1997 2000 2002 1995 VENETO 1997 2000 2002 43,0 31,3 25,7 100,0 26,2 53,1 20,7 100,0 43,2 31,1 25,6 100,0 27,5 52,6 19,9 100,0 44,5 27,2 28,2 100,0 30,3 46,8 22,9 100,0 45,4 27,1 27,5 100,0 30,4 43,9 25,7 100,0 54,8 20,1 25,1 100,0 16,0 45,6 38,3 100,0 56,4 20,7 22,8 100,0 17,3 45,6 37,1 100,0 51,8 15,2 33,0 100,0 21,2 36,0 42,9 100,0 51,4 13,6 35,0 100,0 21,6 30,1 48,3 100,0 72,1 20,0 7,9 100,0 23,7 39,8 36,5 100,0 72,0 19,7 8,2 100,0 24,8 36,5 38,7 100,0 72,3 18,6 9,1 100,0 25,6 36,9 37,5 100,0 72,1 18,1 9,9 100,0 27,8 36,6 35,6 100,0 69,1 23,3 7,6 100,0 31,2 38,7 30,2 100,0 70,1 22,1 7,8 100,0 31,8 38,2 30,0 100,0 68,0 21,6 10,4 100,0 33,9 34,6 31,5 100,0 67,6 19,9 12,6 100,0 34,5 29,8 35,7 100,0 85,7 6,3 8,0 100,0 14,8 43,2 42,0 100,0 84,5 6,6 8,9 100,0 15,9 40,4 43,7 100,0 84,8 4,7 10,5 100,0 16,5 38,5 45,0 100,0 84,9 3,6 11,5 100,0 18,3 38,9 42,8 100,0 81,5 10,9 7,6 100,0 22,1 27,3 50,6 100,0 80,8 10,7 8,4 100,0 22,3 27,8 49,8 100,0 80,4 7,5 12,0 100,0 23,2 20,9 55,9 100,0 79,7 5,5 14,7 100,0 25,1 17,9 57,1 100,0 Tale differenza non sembra dipendere in misura rilevante dal diverso mix settoriale nelle due regioni; il settore conciario che, in generale è più orientato al mercato nazionale (e soprattutto regionale nel caso della Toscana) ha un peso inferiore nella nostra regione rispetto al Veneto. Analogamente nell’elettromeccanica e meccano-ottica l’apertura internazionale della nostra regione appare nettamente inferiore a quella del Veneto; tale fatto è in larga misura addebitabile al tipo di produzioni della Toscana che, fortemente orientate al settore della difesa, vedono nella committenza nazionale una quota assai rilevante della propria clientela. 11 Accanto al peso delle due tipologie di mercato occorre analizzare anche quali siano state le dinamiche delle singole componenti della domanda. Nel periodo considerato difatti si osserva che: • nella meccanica tanto la domanda interna quanto soprattutto quella estera crescono in modo rilevante, ma mentre in Veneto la crescita in termini nominali è sensibilmente superiore al tasso di inflazione (circa +16,7% nel periodo 1995-2002) solo nella componente estera (circa +74%) in Toscana la crescita sembra trainata non solo dal versante estero (+88%) ma anche dal versante nazionale (Toscana +42%, Veneto +16%). • nei settori moda, viceversa, la crescita della domanda è trainata soprattutto dalla componente estera. Le esportazioni all’estero del Veneto crescono in modo sostanziale sia nel tessile abbigliamento che nelle pelli e cuoio (circa 45% in entrambe i casi) mentre in Toscana mostrano dinamiche inferiori al tasso di inflazione nel Tessile (+14.5%) e di poco superiori nelle pelli e cuoio (+19%). Al contrario sul versante del mercato interno la moda toscana spunta risultati migliori di quelli del Veneto anche se di poco superiori o in linea con l’aumento dei prezzi (Toscana PC 15,4% TA 19,1%; Veneto PC +12,7% TA +11,6%) In conclusione mentre nella meccanica il contributo alla crescita della domanda interna si somma a quello del mercato estero e porta la Toscana ad una crescita della domanda complessiva superiore al Veneto (Toscana +51,5% Veneto +38,5%, nel caso della moda, nonostante un contributo del mercato interno leggermente positivo o di tenuta, la minor dinamicità della componente estera disegna un quadro di crescita della domanda nel complesso molto inferiore a quanto registrato in Veneto (Toscana PC 16,9% TA 17,4%; Veneto PC +28,4% TA +22,3%) Chiarito quale sia il quadro di espansione o declino della domanda che si rivolge al sistema produttivo, ciò che maggiormente interessa, ai fini dell’analisi della delocalizzazione, è verificare se e come si è modificato, pur nei limiti del ridotto spaccato temporale preso in considerazione, il modo di soddisfare la domanda, ovvero, se a tal fine si faccia ricorso a produzione ancora prevalentemente interna alla regione, oppure si siano incrementate le importazioni da altre regioni o da altri paesi. Da quanto riportato in tabella 2 emerge chiaramente che la domanda complessiva è soddisfatta tanto con produzione interna quanto con prodotti e semilavorati acquistati da altre realtà regionali e dall’estero. In particolare il ricorso ad importazioni dall’estero sembra molto più elevato nel caso della meccanica rispetto ai settori moda; nell’elettro-meccanico-ottica tale fatto deve essere letto non tanto in termini di fasi di lavorazione esternalizzate all’estero quanto soprattutto come acquisto di macchinari e strumenti che non sono prodotti in Italia; nella moda, viceversa, data l’elevata specializzazione delle due regioni in tali settori, è più probabile che incidano sulle importazioni le lavorazioni ed i semilavorati acquistati all’estero. All’interno dei singoli settori si nota che: • nella meccanica la Toscana sembra far ricorso ad importazioni dall’esterno più del Veneto (la quota di domanda soddisfatta con produzione interna è del 45% in Toscana contro il 51% del Veneto); ciò nonostante il ricorso ad importazioni dall’estero appare più accentuato in questa seconda regione (import estero 35% Veneto; 27.5 Toscana); • nella moda, viceversa, la Toscana sembra soddisfare la propria domanda con produzione interna più di quanto non accada in Veneto; se a questo si aggiunge poi che il Veneto fa un ricorso all’esterno più elevato proprio nella componente estera, appare evidente che il livello di delocalizzazione raggiunto da questa regione è sicuramente più elevato di quanto non accada in Toscana. 12 Più che una lettura comparata fra settori, per altro di difficile interpretazione, o fra regioni, ciò che maggiormente interessa è però il modo in cui, all’intero di ciascun settore, si sia modificato nel tempo il modo di soddisfare la domanda, ossia, tramite produzione interna o importazioni. In tutti e tre i settori considerati si osserva la tendenza ad importare quote di produzione decrescenti dalle altre regioni italiane e crescenti dall’estero; tale fatto, anche se deve necessariamente essere inquadrato all’interno dei più generali processi di internazionalizzazione dell’economia, rappresenta una traccia netta di una sempre maggior estensione delle filiere produttive al di fuori dell’ambito nazionale. Più nel dettaglio si rileva che: • nella meccanica il comportamento delle due regioni appare alquanto diverso; la Toscana realizza una crescita della quota di domanda soddisfatta con produzione interna (da 43 al 45,4%) mentre il Veneto sperimenta una tendenza opposta (dal 54,8 al 51,4%); la sostituzione fra importazioni dal resto delle regioni italiane e importazioni dall’estero è inoltre assai più netta in Veneto. • nella moda il comportamento appare più simile, ma mentre in Toscana la quota di produzione interna diminuisce molto poco o resta sostanzialmente invariata (nelle pelli e cuoio passa da 85,7 a 84,9% mentre nel tessile abbigliamento resta costante) in Veneto questa cala in modo più netto (nelle pelli e cuoio passa dall’81,5% al 79,7% e nel tessile abbigliamento dal 54,8 al 51,4%); inoltre il processo di sostituzione fra import dalle altre regioni ad import estero procede su ritmi molto più elevati per il Veneto. In conclusione l’immagine che si ricava è che la Toscana sia sul versante della delocalizzazione ancora piuttosto indietro rispetto al Veneto. Il maggior ricorso ad importazione di lavorazioni, semilavorati (ma anche prodotti finiti) dall’estero (con la conseguenza di probabili minori prezzi di produzione) sembra aver consentito al Veneto una crescita sui mercati esteri nettamente superiore alla media toscana; sul mercato interno viceversa la posizione della nostra regione sembra aver tenuto maggiormente, anche se tale fatto non è stato premiante in termini di domanda complessiva. I benefici derivanti dalla strategia di più intensa delocalizzazione seguita dal Veneto non sembrano tuttavia particolarmente rilevanti in termini di produzione interna. Dal momento che la maggiore domanda è stata soddisfatta facendo un più ampio ricorso ad importazioni, la crescita della produzione interna del Veneto non appare sensibilmente superiore a quella Toscana. Se tale fatto appare evidente per il tessile abbigliamento dove la produzione interna cresce in modo analogo (Toscana 9,3%, Veneto 9,2%) questo è meno vero nel caso delle pelli e cuoio dove invece la crescita veneta è risultata ben superiore a quella toscana (Toscana 8,0%, Veneto 13,7%). Tali crescite risultano in ogni caso modeste, per entrambe le regioni ed i settori, se si tiene conto che nello stesso periodo il costo della vita è aumentato di circa il 16,7%. Per la meccanica, che si colloca in uno scenario di domanda in crescita sostanziale, le conclusioni sono analoghe: la regione che sembra aver delocalizzato di più non sembra aver tratto benefici in termini di maggior crescita della produzione interna (Toscana +40,2, Veneto +18,4). Per quanto concerne la provincia di Firenze non disponendo di dati sulle componenti della domanda a prezzi di mercato ma solo a prezzi départ usine presentiamo evidenza limitatamente alle modalità di soddisfare la domanda (produzione od importazioni) non essendo i dati che riguardano la domanda interna ed estera confrontabili con quelli sopra presentati (Tab. 3). Nel caso della meccanica Fiorentina, analogamente a quanto riscontrato in quella toscana, la crescita della domanda, sia nella componente interna (circa +30%) che internazionale (oltre +55%), risulta leggermente più contenuta della media regionale. Anche in questo caso la 13 risposta ai maggiori volumi richiesti non sembra esser stata quella di un maggior ricorso ad importazioni dall’esterno. La quota di domanda soddisfatta con produzione interna difatti aumenta, leggermente, nel periodo considerato (passa dal 57,8% al 58,1%). Visto il minor ricorso all’esterno la meccanica fiorentina, nonostante una domanda leggermente meno dinamica della media regionale, cresce tutto sommato in linea con quanto accade in Toscana (Firenze +38%, Toscana +40%). Tabella 3 PRODUZIONE, IMPORTAZIONI REGIONALI E INTERNAZIONALI DELLA PROVINCIA DI FIRENZE Composizioni % anni 1995-2002 Elettromeccan. e ottica Produzione Import rdi Import rdm TOTALE RISORSE Tessile abbigliamento Produzione Import rdi Import rdm TOTALE RISORSE Pelli e cuoio Produzione Import rdi Import rdm TOTALE RISORSE Fonte: IRPET 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 57,8 25,7 16,6 100,0 59,3 25,0 15,7 100,0 57,8 25,0 17,3 100,0 59,1 24,3 16,6 100,0 60,1 24,6 15,3 100,0 57,0 22,0 21,0 100,0 57,0 21,5 21,5 100,0 58,1 21,1 20,8 100,0 67,7 23,8 8,5 100,0 69,5 23,1 7,4 100,0 70,0 22,2 7,8 100,0 71,6 21,3 7,1 100,0 71,4 22,0 6,6 100,0 70,7 20,9 8,5 100,0 70,8 20,2 9,0 100,0 71,1 18,9 10,1 100,0 83,5 6,5 10,0 100,0 83,4 6,4 10,2 100,0 82,0 6,7 11,3 100,0 83,2 6,2 10,7 100,0 83,9 6,2 9,8 100,0 82,5 4,7 12,9 100,0 82,2 3,3 14,6 100,0 82,6 3,1 14,4 100,0 Analogamente a quanto riscontrato a livello regionale anche nella meccanica provinciale si osserva una tendenza alla sostituzione di importazioni da altre regioni (e quindi di fornitori italiani) con importazioni estere (fornitori esteri). Il fenomeno in questo caso è però molto più netto: mentre in Toscana la quota di domanda soddisfatta ricorrendo ad importazioni estere cresce di 1,8 punti in provincia l’incremento è di oltre 4 punti. In sintesi, anche se la meccanica fiorentina appare ancora in ritardo in termini di internazionalizzazione produttiva raggiunto rispetto alla media regionale, essa sta recuperando terreno e nel periodo 1995-2002 sembra aver accresciuto il proprio ricorso alla delocalizzazione molto più della media toscana. Per quanto concerne i settori moda, anche se la crescita della domanda nazionale non si discosta da quanto registrato a livello regionale (PC +18,5% e TA +14%) sul versante estero i risultati del periodo sono assai meno brillanti: nel Tessile Abbigliamento si registra una perdita consistente (-26%), nelle Pelli e Cuoio una crescita assai inferiore alla media regionale (Firenze +12,8, Toscana +19,1%). In un contesto di domanda nel complesso in calo il tessile abbigliamento non sembra aver sviluppato un maggior ricorso ad importazioni e la quota di domanda soddisfatta con produzione interna è addirittura cresciuta nel tempo (dal 67,7% al 71,1%); a livello regionale, si ricorda che tale quota registra invece una sostanziale stabilità. Anche in questo caso si osserva comunque una certa sostituzione da importazioni dal resto del paese a importazioni dall’estero; rispetto alla media regionale del settore la tendenza è qui meno accentuata. Il settore delle pelli e cuoio, che ha sperimentato a Firenze una crescita della domanda di poco inferiore alla media regionale (Firenze +14%, contro +16,9% in Toscana). In linea con quanto osservato in Toscana, non sembra aver ridotto sensibilmente la quota di domanda che soddisfa con produzione interna (che passa dall’83,5% all’82,6%). Viceversa la sostituzione di 14 importazioni da altre regioni italiane con import dall’estero mostra una dinamica più netta della media regionale (la quota di produzione soddisfatta con import estere cresce a Firenze di circa 4,5 punti contro 3,5 punti a livello regionale). In conclusione nel settore tessile non si registra ancora a Firenze una tendenza netta alla delocalizzazione di fasi di produzione interne alla provincia, semmai la tendenza e quella di cambiare fornitori localizzati in altre parti d’Italia con fornitori esteri. Nelle pelli e cuoio valgono analoghe considerazioni, anche se qui, a fianco dello spostamento di fornitori dall’ambito nazionale all’estero si osserva anche la delocalizzazione di una piccola quota di produzione precedentemente svolta all’interno della provincia. La quota di domanda soddisfatta con produzione estera viene così a collocarsi su valori paragonabili a quelli osservati in Veneto. L’analisi della delocalizzazione dai dati del commercio internazionale: l’idea di fondo Se inquadriamo i processi di delocalizzazione all’interno della secolare tendenza ad una sempre più spinta divisione del lavoro è del tutto evidente come una delle sue principali conseguenze sia l’intensificazione degli scambi: non è un caso che, dal 1991 ad oggi, mentre il PIL mondiale è aumentato del 3,9% l’anno, l’intercambio tra paesi sia cresciuto del 7,2%. Le motivazioni di questa evoluzione sono naturalmente anche altre e, inoltre, non tutte le forme di delocalizzazione influenzano nello stesso modo l’evoluzione degli scambi6, tuttavia, perlomeno la delocalizzazione low cost seeking dovrebbe lasciare tracce evidenti anche nel commercio internazionale. In effetti, qualunque sia la formula adottata, la delocalizzazione verso paesi a più basso costo del lavoro riprodurrà un percorso del tipo di quello stilizzato nella tabella 4a. Tabella 4a UN CASO DI DELOCALIZZAZIONE DI FASI INTERMEDIE DEL PROCESSO PRODUTTIVO Fasi Fattore strategico LQ LNQ Progettazione Lavorazione I Lavorazione II Lavorazione III Vendita Legenda: LQ: lavoro qualificato LNQ: lavoro non qualificato SML: semilavorato MP: materia prima PF: prodotto finito X X Luogo di lavorazione IN IN OUT IN IN X X X Scambi commerciali import export MP SML (I) SML(II) PF Un paese manifatturiero non dotato di materie prime, importerà queste ultime e manterrà inizialmente al suo interno le fasi iniziali e finali del processo produttivo (ipotizzando che esse si fondino sulla presenza di una conoscenza contestuale ben radicata), decentrando all’estero quelle meno qualificate: importazione di materie prime; esportazione e successiva reimportazione del semilavorato da paesi a più basso costo del lavoro, esportazione del prodotto finito verso paesi sviluppati, sono i riflessi attesi sul commercio internazionale. È possibile che, nel tempo, vi sia una ulteriore delocalizzazione all’estero delle fasi a monte ed a valle del processo indicato: nel primo caso, tutte le fasi iniziali del processo produttivo 6 Ad esempio la delocalizzazione market seeking potrebbe anche condurre ad una riduzione degli scambi visto che l’impresa va a localizzarsi proprio nei pressi della domanda finale 15 verranno delegate all’estero e, quindi, verranno importati direttamente i semilavorati dal paese manifatturiero, il quale provvederà direttamente ad importare le materie prime (a meno che non ne sia già dotato). L’esito finale sarà dunque: importazioni da paesi a più basso costo del lavoro ed esportazioni verso paesi sviluppati (Tab. 4b). Nel caso di approfondimento del processo anche a valle l’esito finale potrebbe essere quello di abbandonare via via tutte le fasi produttive con conseguente incremento di importazioni da paesi a basso costo del lavoro, sino a perdere interamente il prodotto quando anche le fasi finali verranno abbandonate (potrebbe permanere la vendita di servizi se, ad esempio, si mantenesse la progettazione, la quale tuttavia non darebbe vita ad interscambio di beni). Tabella 4b UN CASO DI DELOCALIZZAZIONE DI FASI INIZIALI DEL PROCESSO PRODUTTIVO Fasi Progettazione Lavorazione I Lavorazione II Lavorazione III Vendita Fattore strategico LQ LNQ Luogo di lavorazione X IN OUT OUT IN IN X X X X Scambi commerciali import export SML(I+II) PF Quando, invece, la delocalizzazione è finalizzata ad avere un accesso più agevole al mercato finale gli effetti saranno meno chiaramente individuabili, dal momento che a meno di effetti di attivazione di lungo periodo, l’interscambio tra paesi diminuirà, poiché l’impresa che precedentemente esportava ora opera direttamente nel mercato di sbocco; tutto questo a meno dei casi -peraltro molto frequenti- in cui si delocalizza all’estero solo la fase commerciale relativa alla vendita del prodotto finito: in questo caso ciò dovrebbe essere finalizzato ad una maggiore vendita (e quindi esportazioni) su quei mercati. L’idea di fondo è quindi di leggere i dati del commercio internazionale alla ricerca di incroci settore paese in cui si osservi una forte crescita contemporanea di esportazioni ed importazioni. Laddove tale crescita sia sopra la media ed i flussi in entrata ed in uscita siano fra loro sufficientemente bilanciati (confrontabili in valore assoluto) è probabile che siano presenti fenomeni di delocalizzazione del tipo illustrato in tabella 4a; quando invece, pur in presenza di una forte crescita di entrambe le direzioni dei flussi, le importazioni dovessero essere molto superiori rispetto alle esportazioni è probabile che si sia in presenza di meccanismi più del tipo illustrato in tabella 4b. L’individuazione delle aree geografiche nei cui confronti si realizzano fenomeni di questo tipo ed una quantificazione di questi a livello di settore può costituire a nostro avviso un primo insieme di spunti per leggere quella parte della delocalizzazione meno colta dai dati sulle imprese multinazionali. L’analisi della delocalizzazione dai dati del commercio internazionale: il metodo proposto A seconda del livello di dettaglio scelto, i settori da analizzare possono essere molto numerosi (nella sola manifattura la classificazione a tre cifre ateco supera i 90 settori); analogamente il novero dei possibili paesi con cui si intrattengono rapporti commerciali è assai ampio (oltre 200). Dal momento che il metodo proposto regge solo analizzando per ogni settore i rapporti con singoli paesi, occorreva un metodo per individuare gli incroci settore-paese (18mila possibilità teoriche per la sola provincia di Firenze) su cui concentrare l’attenzione. 16 Fase 1: individuazione degli incroci settore paese rilevanti A tal fine abbiamo operato nel modo seguente: • dapprima abbiamo individuato, in base alle considerazioni precedentemente svolte sulle dinamiche di import-export, i settori dove le tracce di una possibile delocalizzazione fossero più rilevanti; abbiamo in tal modo individuato quali target dell’analisi i settori della moda; • successivamente, per ciascun settore abbiamo selezionato i paesi: a) che in termini di importazioni rappresentano almeno l’1% del settore; b) con i quali l’interscambio (import + export) risulta crescente nel periodo temporale considerato; c) rispetto ai quali il saldo (export meno import) è negativo (laddove prevalgano scambi originati da processi di delocalizzazione del tipo illustrato in tab4a e tab4b va da sé che le esportazioni saranno minori delle importazioni). Fase 2: individuazione delle diverse forme di delocalizzazione Individuati in tal modo gli incroci settore-paese sui quali concentrare l’attenzione abbiamo cercato di capire di quali forme di delocalizzazione si trattasse, ovvero, se i paesi emersi come possibili candidati di un allungamento delle filiere produttive locali si configurassero come: a) luoghi dove sono state delocalizzate prevalentemente fasi intermedie e quindi casi in cui si osserva un interscambio di beni sia in uscita (esportazioni verso il paese estero di semilavorati) che in entrata (reimportazione di beni che hanno subito ulteriori fasi di lavorazione) come nell’esempio di tab4a; b) luoghi di origine di prodotti finiti, come nell’esempio di tabella 4b, oppure di prodotti semilavorati nel caso in cui le fasi di lavorazione svolte nel paese straniero siano quelle iniziali (fase I e fase II) ma non l’ultima; c) luoghi dove coesistono entrambe le logiche di delocalizzazione. Per semplicità di esposizione ci riferiremo nel prosieguo alla delocalizzazione verso paesi con i quali l’interscambio è riconducibile alle tre modalità descritte nel modo seguente: Tipo a => DELOCALIZZAZIONE Tipo b => IMPORTAZIONE Tipo c => MIX 17 Operativamente abbiamo individuato i tre casi nel modo seguente: DELOCALIZZAZIONE: quando tanto i flussi di import quanto quelli export presentano livelli di crescita superiori alla media nazionale di tutti i settori (+40% per le esportazioni e +70% per le importazioni) ed al tempo stesso importazioni ed esportazioni mostrano al 2004 una dimensione confrontabile (rapporto import /export compreso fra 1 e 2)7; IMPORTAZIONE: se le esportazioni mostrano una variazione negativa e le importazioni una crescita positiva, che vista la selezione fatta precedentemente dei paesi, sarà necessariamente molto elevata8. MIX: se esportazioni ed importazioni crescono entrambe più della media ma il rapporto importazioni su esportazioni è moderatamente sbilanciato verso le importazioni (compreso fra 2 e 4). Se il rapporto è troppo sbilanciato (supera il 400%) il caso torna ad essere classificato come “importazione”. Le tre combinazioni proposte, pur non esaurendo tutti i casi possibili, coprono, come vedremo, la maggior parte degli incroci settore-paese selezionati: i casi restanti, individuati con le altre combinazioni logiche possibili, possono essere ricondotti, nella maggior parte dei casi alle tre categorie esposte, su di essi laddove appaiano rilevanti ci soffermeremo di volta in volta. Le direttrici geografiche dei processi di delocalizzazione Prima di mostrare i risultati ottenuti per la provincia di Firenze pare opportuno presentare a titolo introduttivo il quadro che emerge per la Toscana, confrontando i risultati con quelli del Veneto, una regione per la quale le indagini svolte e l’aneddotica aziendale hanno mostrato un forte sviluppo, già in anni passati, di formule delocalizzative del tipo qui indagato. Nelle tabelle seguenti, per ciascun settore moda, riportiamo i valori al 2004, il peso sul totale e le variazioni sperimentate dalle importazioni ed esportazioni provenienti da, e dirette verso, i paesi selezionati nella fase 1. Tali dati per semplicità di lettura sono stati aggregati per direttrice geografica e per ciascuna di esse sono indicati nell’ultima colonna i paesi che la procedura seguita ha selezionato come probabili luoghi di delocalizzazione. Nella moda nel complesso (Tab. 5), ovvero, aggregando i risultati ottenuti a livello dei singoli settori considerati (abbigliamento, tessile, pelli e cuoio) emergono due direttrici di delocalizzazione principali quella verso l’Est Europa (perlopiù Romania) e quella verso il continente cinese. Ad esse si affiancano, su valori più contenuti l’area dell’Asia meridionale (principalmente India), l’area del Mediterraneo (Tunisia e Turchia), il sud America (soprattutto Brasile) e l’Asia sud-orientale (perlopiù Vietnam e Indonesia). Le differenze fra Toscana e Veneto sono notevoli sia per la dimensione dei fenomeni, sia per la loro evoluzione, sia per le direttrici geografiche, sia come vedremo per il tipo di delocalizzazione che probabilmente sta alle spalle di questi flussi. Innanzitutto la dimensione del fenomeno: le direttrici di delocalizzazione selezionate rappresentano oltre il 60% delle importazioni moda 2004 in Veneto e circa il 49% in Toscana. Apparentemente, nonostante un certo vantaggio del Veneto la distanza fra le due regioni non risulta così marcata; come vedremo successivamente, dietro a questa apparente somiglianza si 7 Il rapporto non potrà essere inferiore ad 1 dal momento che nella selezione dei paesi abbiamo imposto che il saldo dell’interscambio commerciale sia negativo. 8 Dal momento che la selezione dei paesi è stata fatta imponendo una crescita dell’interscambio superiore alla media settoriale, ciò implica che a fronte di un calo delle esportazioni da tale paese le importazioni debbano avere una crescita così elevata da compensare il calo delle esportazioni e da portare l’interscambio complessivo al di sopra della media di settore. 18 nascondono modalità di internazionalizzazione affatto diverse, in Veneto prevale il tipo “delocalizzazione”, in Toscana assume maggior rilevanza il tipo “mix”. Naturalmente non tutte le importazioni originate da tali paesi possono essere ricondotte alle diverse forme di delocalizzazione richiamate; almeno in parte si importeranno infatti anche beni che vengono direttamente destinati a consumi finali. Anche se in Toscana i flussi di importazioni da queste direttrici sono puntualmente più bassi in termini assoluti i tassi di crescita sperimentati dalla nostra regione sono in generale molto più elevati; tale fatto sembrerebbe indicare che i fenomeni di delocalizzazione siano iniziati in Toscana con un certo ritardo rispetto al Veneto e che la nostra regione stia quindi percorrendo oggi le tappe iniziali ed in forte crescita di questo fenomeno. L’Europa dell’Est ha un peso in termini di importazioni molto più elevato per il Veneto che in Toscana, viceversa la Cina ha un peso quasi doppio nella nostra regione; Asia meridionale e sud orientale hanno una incidenza analoga mentre il Sud America ha rilevanza quasi esclusivamente per il Veneto. A parità di aree geografiche, ma questo vale soprattutto per l’Est Europa ed il Sud America, si osserva inoltre una numerosità di paesi coinvolti assai maggiore in Veneto, segno che tale regione è in una posizione più avanzata anche nell’esplorazione di paesi “nuovi” negli stessi ambiti geografici. Tabella 5 PRINCIPALI DIRETTRICI GEOGRAFICHE DEI PROCESSI DI DELOCALIZZAZIONE DI TOSCANA E VENETO. COMPARTO MODA Valori in milioni di euro correnti e variazioni 1996-2004 MODA VENETO TOSCANA Europa Est 2004 Import Export 321 184 Peso 2004 Import Export 14,4 2,6 Mediterraneo Asia sudorientale Asia meridionale Cina Sudamerica Africa Altro UE TOTALE (*) Europa Est 127 40 146 394 14 6 39 1 2.228 1.640 67 18 24 95 7 0 19 0 7.028 935 5,7 1,8 6,6 17,7 0,6 0,3 1,8 0,0 100,0 31,0 1,0 0,3 0,3 1,4 0,1 0,0 0,3 0,0 100,0 10,6 Mediterraneo Asia sudorientale Asia meridionale Cina Sudamerica 263 100 337 569 283 48 16 24 96 10 5,0 1,9 6,4 10,7 5,3 0,5 0,2 0,3 1,1 0,1 Africa 4 0 0,1 0,0 Altro 7 0 0,1 0,0 TOTALE (*) 5.299 8.852 100,0 100,0 (*) Totale importazioni ed esportazioni da tutti i paesi del mondo Var % Import Export Paesi 5.950 1.293 Bielorussia Bulgaria Estonia Iugoslavia Albania Macedonia Moldavia Romania Slovacchia Ucraina 1.377 832 Egitto Giordania Tunisia Turchia 1.572 624 Indonesia Laos Birmania Vietnam Malaysia Laos 1.113 497 Bangladesh India Pakistan 1.867 573 Cina Macao 577 244 Brasile Colombia 561 Maurizio 8.128 358.936 Bahrein Giamaica Russia Uzbekistan - Lussemburgo 92 120 150 211 Bielorussia Bosnia - Erzegovina Bulgaria Rep.Ceca Croazia Albania Macedonia Moldavia Romania Slovacchia Slovenia Ucraina Ungheria Lituania 10 135 Egitto TunisiaTurchia 287 187 Indonesia Laos Birmania Thailandia Vietnam 453 226 Bangladesh India Pakistan Sri Lanka 394 311 Cina Macao 53 124 Bolivia Brasile Colombia Rep.Dominicana Argentina Panama Paraguay Venezuela -82 1.287 Kenya Madagascar - Tagikistan 31 112 Informazioni più circostanziate si ottengono scendendo maggiormente nel dettaglio dei singoli settori che, come illustrato nelle tabelle seguenti, sembrano organizzare le strategie di delocalizzazione lungo direttrici geografiche diverse. 19 Il settore tessile (Tab. 6), sia in Toscana che in Veneto, sembrerebbe quello meno investito dai processi di delocalizzazione. I flussi di importazione dai paesi selezionati incidono infatti sul totale delle importazioni (28,9 in Toscana e 27,5 in Veneto) assai meno che nel comparto moda nel complesso. Le direttrici di sviluppo sono invece piuttosto diverse, mentre il Veneto si orienta soprattutto verso l’Europa dell’Est (13,6% delle esportazioni) e solo limitatamente verso l’Asia meridionale (6,9%) e la Cina (5,2%), in Toscana la direttrice dell’Est Europa risulta sostanzialmente assente mentre acquista un peso preponderante la Cina (15,1%) e in minor misura l’Asia meridionale (9,3%)9. Anche in questo settore il processo di crescita è più accentuato in Toscana che in Veneto, anche se i volumi assoluti delle importazioni da tali paesi non differiscano poi di molto. Tanto i tassi di crescita delle importazioni quanto i loro volumi assoluti al 2004 risultano nel tessile toscano decisamente superiori a quelli delle esportazioni: emerge così una logica di internazionalizzazione più orientata al modello “importazione”. Viceversa in Veneto ed in particolare nei rapporti con l’Europa dell’Est e, in minor misura con l’Asia Meridionale, i flussi di export e di import risultano piuttosto bilanciati, tanto in termini di tassi di crescita quanto di valori assoluti; sembra quindi emergere in questa regione una logica più spiccata di tipo “delocalizzazione”. Tabella 6 PRINCIPALI DIRETTRICI GEOGRAFICHE DEI PROCESSI DI DELOCALIZZAZIONE DI TOSCANA E VENETO. SETTORE TESSILE Valori in milioni di euro correnti e variazioni 1996-2004 2004 Peso 2004 Import Export Import Exp,rt Europa Est 4 3 0,5 0,1 Mediterraneo 7 1 0,8 0,0 Asia sudorientale 19 8 2,2 0,3 Asia meridionale 80 24 9,3 0,9 Cina 131 37 15,1 1,3 ue 1 0 0,1 0,0 Africa 0 0 0,0 0,0 Altro 8 0 0,9 0,0 TOTALE(*) 865 2.727 100,0 100,0 Europa Est 178 113 13,6 5,0 Mediterraneo 0 0 0,0 0,0 Asia sudorientale 14 8 1,1 0,4 Asia meridionale 90 7 6,9 0,3 Cina 69 11 5,2 0,5 Sudamerica 5 1 0,4 0,0 Africa 4 0 0,3 0,0 Altro 0 0 0,0 0,0 TOTALE(*) 1.312 2.261 100,0 100,0 (*) Totale importazioni ed esportazioni da tutti i paesi del mondo VENETO TOSCANA TESSILE Var. % Import Export Paesi - Estonia 112 567 Egitto 2.527 314 Indonesia Birmania 1.153 436 Bangladesh India Pakistan 1.129 969 Cina - Lussemburgo -7 69.200 Bahrein Giamaica Uzbekistan 52 66 256 228 Rep.Ceca Lituania Slovenia 158 124 Indonesia Thailandia Vietnam 517 270 Bangladesh India Pakistan -24 381 Cina -77 502 Argentina -82 1.287 Kenya Madagascar 43 97 Nel settore abbigliamento (Tab. 7) i processi di delocalizzazione sembrano essere i più sviluppati: i flussi di importazioni dai paesi possibili mete di delocalizzazione raggiungono quote del 67% in Toscana e di oltre l’80% in Veneto, quindi valori nettamente superiori alla media del comparto moda. Interessante nel caso della Toscana l’emersione del Lussemburgo fra i possibili paesi di delocalizzazione. La forte crescita dei flussi di import export rispetto a tale paese (rispettivamente 20 e 870%) evidenzia la possibilità che, per vantaggi probabilmente di natura fiscale, taluni flussi di merci effettuino, magari solo formalmente, triangolazioni fra la Toscana ed il paese di delocalizzazione passando per un paese la cui legislazione offre numerosi vantaggi alle imprese. 9 20 TOSCANA Tabella 7 PRINCIPALI DIRETTRICI GEOGRAFICHE DEI PROCESSI DI DELOCALIZZAZIONE DI TOSCANA E VENETO. SETTORE ABBIGLIAMENTO Valori in milioni di euro correnti e variazioni 1996-2004 ABBIGLIAMENTO Area Europa Est Mediterraneo Asia sudorientale Asia meridionale Cina Sudamerica Africa Altro TOTALE(*) Europa Est 2004 Import Export 121 42 70 25 6 0 66 0 142 4 2 2 6 0 0 0 601 1.280 700 228 Peso 2004 Import Export 20,1 3,3 11,6 2,0 1,0 0,0 11,0 0,0 23,6 0,4 0,4 0,1 0,9 0,0 0,0 0,0 100,0 100,0 38,8 9,2 VENETO Mediterraneo 255 47 14,1 1,9 Asia sudorientale 23 0 1,3 0,0 Asia meridionale 199 2 11,0 0,1 Cina 263 10 14,6 0,4 Sudamerica 0 0 0,0 0,0 Africa 0 0 0,0 0,0 Altro 7 0 0,4 0,0 TOTALE(*) 1.806 2.477 100,0 100,0 (*) Totale importazioni ed esportazioni da tutti i paesi del mondo Var. % Import Export Paesi 1.462 426 Bulgaria Moldovia Romania Slovacchia 1.617 629 GiordaniaTunisiaTurchia 4.219 Laos Vietnam 329 593 India Bangladesh 8.882 748 Cina 1.757 893 Brasile 561 Maurizio 148 155 106 268 Bulgaria Croazia Moldavia Romania Slovacchia Ungheria Bosnia - Erzegovina Bielorussia Albania Macedonia 14 130 TunisiaTurchia 265 289 Laos Birmania Vietnam 185 228 India Pakistan Sri Lanka Bangladesh 321 240 Cina Macao - Tagikistan 22 149 Anche in questo caso le direttrici geografiche seguite dalle regioni Veneto e Toscana sono piuttosto diverse: la prima si orienta soprattutto verso l’Europa dell’Est (che da sola rappresenta quasi il 40% delle importazioni venete) ed in minor misura verso la Cina e l’Asia meridionale (rispettivamente 14% ed 11% dell’import del settore), la seconda soprattutto verso la Cina (quasi il 24% dell’import) e in misura più ridotta verso l’Est Europa e l’Asia meridionale (rispettivamente 20 e 11%). Di una certa importanza nel settore dell’abbigliamento anche la direttrice del Mediterraneo da cui provengono, per entrambe le regioni, circa l’11% delle importazioni del settore. Anche in questo caso la delocalizzazione sembra essere iniziata in Toscana più tardi rispetto al Veneto; tuttavia, visti gli elevati tassi di crescita delle importazioni dai paesi selezionati sperimentati dalla nostra regione, essa sembra avviata su un sentiero di evoluzione analogo a quello del Veneto. Anche il settore delle pelli cuoio e calzature (Tab. 8) presenta un livello di “possibile delocalizzazione” più elevato della media del comparto moda: le importazioni dai paesi selezionati rappresentano il 56% e il 64% delle importazioni del settore rispettivamente in Toscana e Veneto. Anche in questo caso le direttrici geografiche più importanti sono in primo luogo l’Est Europa e secondariamente la Cina. Il Veneto appare più legato ai paesi dell’Est della Toscana (Toscana 26%, Veneto 35%), viceversa per quanto riguarda la Cina (Toscana 16%, Veneto 11%). Altre aree di interesse sono rappresentate dal Mediterraneo per la Toscana (6,6%) e dal Sud America per il Veneto (12,7%), probabilmente per l’acquisto di pellame conciato e non. Nuovamente il grado di delocalizzazione sembra più elevato in Veneto, anche se la Toscana mostra comunque una forte tendenza alla crescita nei rapporti con molte economie emergenti. 21 Tabella 8 PRINCIPALI DIRETTRICI GEOGRAFICHE DEI PROCESSI DI DELOCALIZZAZIONE DI TOSCANA E VENETO. SETTORE PELLI E CUOIO Valori in milioni di euro correnti e variazioni 1996-2004 PELLI E CUOIO VENETO TOSCANA Europa Est 2004 Import Export 196 139 Peso 2004 Import Export 25,7 4,6 Mediterraneo Asia sudorientale Asia meridionale Cina Sudamerica Africa Altro TOTALE(*) Europa Est 50 15 0 121 11 0 32 762 762 41 10 0 54 5 0 19 3.022 594 6,6 1,9 0,0 15,9 1,5 0,0 4,2 100,0 34,9 1,3 0,3 0,0 1,8 0,2 0,0 0,6 100,0 14,4 Mediterraneo Asia sudorientale Asia meridionale Cina Sudamerica 8 63 48 237 278 2 7 15 75 9 0,4 2,9 2,2 10,8 12,7 0,0 0,2 0,4 1,8 0,2 Africa 0 0 0,0 0,0 Altro 0 0 0,0 0,0 TOTALE(*) 2.181 4.114 100,0 100,0 (*) totale importazioni ed esportazioni da tutti i paesi del mondo Var. % Import Export Paesi 36.409 288.109 Bulgaria Iugoslavia Moldavia Romania Ucraina Bielorussia Albania Macedonia 1.559 1.578 Egitto Tunisia 1.189 2.060 Malaysia Vietnam 2.890 311 Cina Macao 465 203 Brasile Colombia - Russia 124 196 157 170 Bulgaria Romania Slovacchia Ucraina Bosnia Erzegovina Bielorussia Albania -46 647 Egitto 932 178 Vietnam 492 158 India Bangladesh 2.396 407 Cina Macao 131 121 Brasile Colombia Rep.Dominicana Panama Paraguay Venezuela Bolivia 31 96 Anche in questo caso le dinamiche ed i livelli dell’import-export suggeriscono che sul versante dei paesi dell’est i rapporti commerciali siano orientati secondo l’ottica di “delocalizzazione” (e limitatamente alla Toscana questo sembra valere anche nell’area del mediterraneo) mentre nel caso della Cina (ma anche del Sud America per il Veneto) tende a prevalere un atteggiamento del tipo “importazione”. Per quanto concerne nello specifico la Provincia di Firenze (Tab. 9), il settore moda nel complesso non sembra aver sviluppato relazioni di delocalizzazione più intense della media regionale. Le importazioni dai paesi selezionati rappresentano una quota delle importazioni totali del comparto di poco minore della media regionale (Firenze 46% Toscana 49%). Diverse le risultanze settore per settore: mentre nel tessile la provincia di Firenze mostra una tendenza alla delocalizzazione più pronunciata (le importazioni dai paesi selezionati rappresentano il 34% contro il 29% in Toscana), per le pelli e cuoio (53% contro 56%) e soprattutto per l’abbigliamento (46% contro 69%) vale il contrario Per quanto riguarda le direttrici geografiche, le principali aree di riferimento per il comparto moda nel complesso sono rappresentate soprattutto dalla Cina (23%) ed in misura molto minore dall’Est Europa (9,8%) e dall’Asia Meridionale (7,6%, soprattutto India e Bangladesh). Questo tratto di fondo resta valido anche a livello di singoli settori, unica eccezione il tessile dove scompare l’Europa dell’Est, la Cina mostra un ruolo ridotto (15%) ed afferma la propria importanza l’Asia Meridionale (16%). Lungo tutte le direttrici sembrano prevalere modalità di rapporto del tipo “importazione” o al più “mix”. Unica eccezione i paesi dell’est nel settore delle pelli e cuoio, dove tanto la crescita quanto i livelli delle importazioni ed esportazioni suggeriscono la possibilità di scambi del tipo “delocalizzazione”. 22 Tabella 9 PRINCIPALI DIRETTRICI GEOGRAFICHE DEI PROCESSI DI DELOCALIZZAZIONE DELLA PROVINCIA DI FIRENZE Valori in milioni di Euro correnti e variazioni 1996-2004 2004 Import Export COMPARTO MODA Europa Est Mediterraneo Asia Sudorientale Asia Meridionale Cina Africa Altro TOTALE 75 13 7 58 178 6 20 767 33 3 4 12 19 0 7 2.651 9,8 1,7 0,9 7,6 23,2 0,7 2,6 100,0 1,3 0,1 0,1 0,4 0,7 0,0 0,3 100,0 279,6 1.059,7 324,6 86,8 268,3 3.597,4 1.681,0 45,4 399,4 -28,3 226,5 165,7 57,9 1.600,0 77,6 1,7 Romania Slovacchia Ucraina Turchia Indonesia Vietnam Bangladesh India Pakistan Sri Lanka Cina Maurizio Giamaica Russia SETTORE ABBIGLIAMENTO Europa Est Mediterraneo Asia Sudorientale Asia Meridionale Cina Africa Altro TOTALE 23 13 0 14 74 6 0 283 6 3 0 0 3 0 0 748 8.0 4.7 0.0 5.0 26.3 2.0 0.0 100.0 0.8 0.3 0.0 0.0 0.4 0.0 0.0 100.0 218.9 1059.7 149.4 167.6 3597.4 69.5 303.6 -28.3 -20.0 1707.7 1600.0 31.0 Romania, Slovacchia Turchia SETTORE PELLI E CUOIO Europa Est Mediterraneo Asia Meridionale Asia Sudorientale Cina Africa Altro TOTALE 52 0 18 4 79 0 17 322 27 0 8 3 11 0 7 1441 16.3 0.0 5.6 1.4 24.6 0.0 5.3 100.0 1.9 0.0 0.5 0.2 0.7 0.0 0.5 100.0 313.8 2.8 574.9 470.5 2145.5 96.6 427.7 756.1 442.2 77.5 15.8 SETTORE TESSILE Europa Est Mediterraneo Asia Meridionale Asia Sudorientale Cina Africa Altro TOTALE 0 0 26 2 24 0 3 162 0 0 4 1 6 0 0 462 0.0 0.0 15.9 1.3 14.8 0.0 1.6 100.0 0.0 0.0 0.9 0.1 1.2 0.0 0.0 100.0 231.8 138.5 267.2 641.6 -17.8 Area Peso Import Export Var. % 96-04 Import Export Paesi Bangladesh, Pakistan Cina Maurizio Ucraina, Romania Bangladesh, India Vietnam Cina Russia 14.5 India, Pakistan -53.8 Indonesia -44.5 - Giamaica -41.7 Le diverse tipologie di delocalizzazione lungo le direttrici individuate I flussi di import-export riconducibili a fenomeni di delocalizzazione sono stati individuati, come accennato, a livello di singoli incroci settore-paese. Ciascun incrocio è poi stato classificato nelle tre forme di delocalizzazione menzionate “delocalizzazione”, “importazione”, “mix”. Per la moda nel complesso e distintamente per ogni settore è possibile quindi verificare quali siano le tipologie di delocalizzazione prevalenti lungo le diverse direttrici geografiche. Come sarà chiaro dalle tabelle che seguono non tutte le celle della matrice che incrocia tipologia di delocalizzazione e direttrici geografiche sono piene; per ciascuna direttrice infatti le modalità di internazionalizzazione tendono a concentrarsi su specifiche tipologie, tipologie che inoltre variano a seconda del settore considerato. Per quanto riguarda il comparto moda nel complesso (Tab. 10) la delocalizzazione di fasi intermedie (del tipo (a) definito in precedenza) sembra concentrarsi in maniera pressoché 23 esclusiva nell’Europa dell’Est. Il fenomeno appare più netto nel caso del Veneto, dove raggiunge volumi assai più rilevanti che in Toscana, anche se in termini relativi il peso della “delocalizzazione” è molto elevato anche per la nostra regione. Rilevante lungo tale direttrice anche il peso di flussi riconducibili al tipo “mix”: dietro a tale modalità si può nascondere per la Toscana una situazione ancora di esplorazione, dove le imprese iniziano a passare dall’acquisto di semilavorati al commissionare fasi intermedie della filiera produttiva, per il Veneto, più consolidato nelle proprie relazioni di fornitura con tali paesi, la tendenza potrebbe essere opposta, ovvero, quella di un’ulteriore completamento dalle fasi centrali verso quelle finali con la conseguenza di importare sempre meno prodotti semilavorati e sempre più prodotti finiti. Tabella 10 IMPORTAZIONI DAI PRINCIPALI PAESI DI DELOCALIZZAZIONE PER DIRETTRICE GEOGRAFICA E TIPO DI DELOCALIZZAZIONE. TOSCANA E VENETO. COMPARTO MODA. 2004 Valori assoluti in milioni di Euro correnti MODA Est Europa Mediterraneo Asia meridionale Asia sudorientale Cina Sudamerica Africa Altro TOTALE AREE Deloc TOSCANA Mix Import Deloc VENETO Mix Import 161 46 11 2 32 252 104 73 47 22 245 11 503 56 8 99 7 149 6 8 332 992 14 1,006 481 52 46 185 10 774 168 211 291 86 384 273 4 7 1,424 La “delocalizzazione” di fase sembra poi avere una rilevanza notevole per la Toscana anche lungo la direttrice mediterranea; in Veneto, invece, l’area mediterranea è coinvolta in termini di “importazione”. Le direttrici della Cina e dell’Asia meridionale (India, Bangladesch ecc.) sono invece nettamente dominate da logiche di importazione. Per la Toscana, specie nel caso della Cina, emergono però flussi rilevanti riconducibili anche al tipo “mix”: le imprese moda toscane, avviatesi con ritardo nei processi di delocalizzazione, e non avendo colto le opportunità offerte da paesi più prossimi all’Italia, probabilmente stanno guardando più delle imprese venete verso quegli orizzonti che sono oggi la frontiera geografica della delocalizzazione. Naturalmente il dato del comparto moda media al proprio interno situazioni molto diverse nei settori che lo compongono nascondendo così differenze e peculiarità di comportamento. Passando ai singoli settori si osserva difatti che nelle tabelle le celle piene diminuiscono di numero suggerendo una forte corrispondenza non solo fra direttrici e forme di delocalizzazione ma anche fra settori e tipi di delocalizzazione. Nel caso dell’abbigliamento (Tab. 11) ad esempio la “delocalizzazione” sembra un fenomeno molto concentrato geograficamente che investe in modo pressochè esclusivo il Veneto e l’area del mediterraneo. Viceversa la tipologia di delocalizzazione dominante, su quasi tutti gli orizzonti geografici è quella della “importazione”. Questa evidenza potrebbe tuttavia essere in parte distorta dal fatto che in questo settore, per le peculiarità del processo produttivo, meno scomponibile per fasi, le imprese hanno convenienza ad esternalizzare tutte le fasi della produzione dal taglio, alla cucitura, alla rifinitura. In tal caso l’esportazione di semilavorati verso i paesi di delocalizzazione, quando sussista, non si realizza all’interno del settore abbigliamento quanto piuttosto del tessile; per cogliere correttamente la delocalizzazione sarebbe quindi necessario ricostruire le relazioni di scambio all’interno di una filiera più lunga che dal tessile si snoda verso l’abbigliamento. Indiretta conferma di questa lettura si ottiene dal fatto che gli unici 24 casi in cui a flussi di export corrispondono flussi di import molto rilevanti (delocalizzazione tipo “mix”), si riscontrano prevalentemente nell’area del mediterraneo, probabilmente legati alle lavorazioni a ricamo tipiche dei paesi come la Tunisia o la Turchia. Tabella 11 IMPORTAZIONI DAI PRINCIPALI PAESI DI DELOCALIZZAZIONE PER DIRETTRICE GEOGRAFICA E TIPO DI DELOCALIZZAZIONE. TOSCANA E VENETO. SETTORE ABBIGLIAMENTO. 2004 Valori assoluti in milioni di Euro correnti ABBIGLIAMENTO Est Europa Mediterraneo Asia meridionale Asia sudorientale Cina Sudamerica Africa TOTALE AREE Deloc. TOSCANA Import Mix Deloc. VENETO Import Mix 3 2 6 20 1 66 6 142 6 240 97 69 166 127 127 263 153 7 199 23 203 848 421 52 473 Nel caso dell’abbigliamento poi, e questo è probabilmente vero per le produzioni provenienti dalla Cina e dall’Asia meridionale (India, Bangladesh) ai flussi di beni, prodotti su commissione e sulla base delle specifiche di imprese nazionali, si sommano invece beni, magari di minor livello qualitativo, che vanno a coprire certi segmenti del mercato nazionale. Nel caso del tessile (Tab. 12), poi, le modalità di internazionalizzazione della produzione sono piuttosto diverse fra Veneto e Toscana: nella prima regione prevale la “delocalizzazione” di fasi specie nei confronti dei paesi dell’Est Europa, in Toscana risulta più rilevante il tipo “mix” nei confronti della Cina. Nuovamente l’esplorazione di luoghi geografici distanti, non solo geograficamente ma anche culturalmente, da parte delle imprese Toscane, da un lato deve essere ricondotto al ritardo con cui esse si affacciano ai processi di delocalizzazione, dall’altro, la prevalenza del tipo “mix” lascia intravedere un progressivo passaggio da importazione a delocalizzazione non ancora del tutto compiuto. Tabella 12 IMPORTAZIONI DAI PRINCIPALI PAESI DI DELOCALIZZAZIONE PER DIRETTRICE GEOGRAFICA E TIPO DI DELOCALIZZAZIONE. TOSCANA E VENETO. SETTORE TESSILE. 2004 Valori assoluti in milioni di Euro correnti TESSILE Est Europa Mediterraneo Asia meridionale Asia sudorientale Cina Africa Altro TOTALE AREE Deloc. TOSCANA Import Mix Deloc. VENETO Import Mix 4,0 4,0 7,3 32,8 1,1 7,6 48,8 47,4 18,2 130,8 196,4 163,0 13,8 176,8 5,5 84,8 68,7 3,9 163,0 15,3 5,6 20,9 Infine, nel settore delle pelli e cuoio (Tab. 13) le modalità di delocalizzazione fra le diverse aree geografiche tornano a seguire logiche simili in Toscana e in Veneto. Rispetto all’Est Europa prevale la “delocalizzazione” di fasi intermedie, mentre rispetto alla Cina è più rilevante la tipologia “mix”. Con la sola eccezione del Sudamerica per il Veneto (ma in questo caso si tratta perlopiù di pellame e pelli conciate) la formula “import” risulta la meno diffusa. Tale fatto è anch’esso strettamente legato alle caratteristiche del processo produttivo: nel settore delle 25 calzature e della pelletteria è infatti più agevole separare la fase del taglio della pelle (una fase critica che richiede conoscenze tacite qualificate), o la produzione di parti (tacchi, solette, guardoli, ecc.) da quella del montaggio (che viceversa richiede meno competenze e può essere più facilmente decentrata). In questo caso la formula “mix” che prevale per la Cina può essere più facilmente letto come il frutto di una sovrapposizione fra “delocalizzazione” ed “importazione” di prodotti a basso costo. Tabella 13 IMPORTAZIONI DAI PRINCIPALI PAESI DI DELOCALIZZAZIONE PER DIRETTRICE GEOGRAFICA E TIPO DI DELOCALIZZAZIONE. TOSCANA E VENETO. SETTORE PELLI E CUOIO. 2004 Valori assoluti in milioni di Euro correnti PELLI E CUOIO Est Europa Mediterraneo Asia sudorientale Cina Sudamerica Altro TOTALE AREE Deloc. TOSCANA Import Mix Deloc. VENETO Import Mix 154 46 11 32 242 36 7 43 7 4 4 114 11 140 702 702 15 8 63 52 268 7 413 45 185 10 40 280 Infine per quanto concerne la Provincia di Firenze (Tab. 14) si osserva quanto segue: • nell’abbigliamento, per le ragioni attinenti sia il tipo di prodotto che il processo produttivo, si osserva una forte concentrazione sul tipo “importazione”, specie nei confronti della Cina, mentre appare sostanzialmente assente la modalità “delocalizzazione” di fasi intermedie. L’unica direttrice dove le due logiche si sovrappongono in parte (“mix”) è quella dell’Est Europa, dove alla esternalizzazione di prodotti finiti (“importazione”) si sovrappone anche una qualche forma di “delocalizzazione” di fase; • anche nel tessile la modalità di internazionalizzazione produttiva più rilevante è quella di “importazione”; unica eccezione l’Asia Meridionale dove ha una qualche importanza anche il tipo “mix”; • solo nelle pelli e cuoio, che nella provincia di Firenze vedono un forte peso della pelletteria ed una scarsa incidenza della concia, si affermano forme di “delocalizzazione” di fasi a fianco di prevalenti forme di “importazione”. La delocalizzazione, che tende a concentrarsi nell’Europa dell’Est e nell’Asia meridionale, ha prevalentemente ad oggetto la produzione di calzature, viceversa la tipologia importazione che riguarda soprattutto la Cina, investe soprattutto il settore delle calzature. Tabella 14 IMPORTAZIONI DAI PRINCIPALI PAESI DI DELOCALIZZAZIONE PER DIRETTRICE GEOGRAFICA E TIPO DI DELOCALIZZAZIONE. SETTORI ABBIGLIAMENTO, PROVINCIA DI FIRENZE. TESSILE, PELLI E CUOIO. 2004 Valori assoluti in milioni di Euro correnti ABBIGLIAMENTO Deloc. Import Europa Est Mediterraneo Asia Meridionale Asia Sudorientale Cina Africa Altro TOTALE AREE - 3 13 14 74 6 111 Mix PELLI E CUOIO Deloc. Import 20 20 36 14 4 54 26 17 4 79 100 Mix Deloc. TESSILE Import Mix 17 17 - 16 2 24 3 44 10 10