Franco Cambi L`autobiografia come metodo formativo

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Franco Cambi L`autobiografia come metodo formativo
Franco Cambi
L’autobiografia come metodo formativo
Editori Laterza- Roma Bari 2002 pag. 145
Recensione n. 2 NOVEMBRE 2006
di ELENA CIRESOLA
Abstract
L’autore, in questo libro, si propone di attuare, en pédagogie, una rilettura del genere dell’autobiografia,
sottolineandone la valenza formativo- psicologica.
Recensione
Il primo capitolo, che viene a configurarsi come un’introduzione volta ad acclimatare il lettore fornendogli
gli appigli storici di base, si risolve in una breve storia del genere, a partire dal mondo classico per
arrivare ai giorni nostri.
Da Platone e la VII lettera, si passa a Cesare e i Commentarii fino alle Confessioni di Sant’Agostino, che
chiudono la classicità e rappresentano la grande svolta.
Il Medioevo, con Abelardo, Dante e Petrarca, per citarne alcuni, mette al centro un soggetto più inquieto
ma anche più umano.
Ma è con l’epoca moderna che il genere autobiografico si formalizza, si complica e si diversifica: c’è
l’autobiografia di Cellini, ci sono quelle più intellettuali sulla scorta di Cartesio, quelle di stampo
scientifico, come nel caso di Vico, quelle di stampo etico filosofico come per Montagne e Pascal.
Il settecento, secolo della borghesia, secolo della modernizzazione, del ribaltamento dell’ancient regime,
della raison e della critique, resta il nodo cruciale per la svolta dell’autobiografia verso gli esiti
contemporanei.
Con il modello proposto da Rousseau, come confessione di sé, o con quello di Casanova, come
autobiografia di eventi e avventure, o dell’Alfieri, come formazione intellettuale e impegno morale,il
soggetto viene proposto come qualcosa in continua formazione e ricerca.
In epoca Romantica, l’autobiografia, diretta o sotto forma di diario, epistolario, memoriale ecc.,cresce e
si fa sempre più espressione della problematizzazione della soggettività.
Infine, in età contemporanea, il soggetto si riconosce come “coscienza infelice”, nutrito di problematici
dubbi, insoddisfazione ed eterna inquietudine.
La laicizzazione della soggettività, poi, concorre ad accentuare le fragilità di un Io sempre più nevrotico.
Per capire quale sia il processo formativo immanente a questo genere, bisognerà analizzare i tre atti
fondamentali alla costruzione del processo autobiografico: la narrazione di sé, la scrittura e
l’interpretazione.
Quando narriamo, uniamo fra loro eventi, cercando di cogliere rapporti di causa ed effetto, mantenendo
cioè un procedimento il più possibile lineare, pur nella complicanza della Storia.
Nel momento in cui questa narrazione viene deposta sulla pagina, emerge l’Io che narra e dunque acquista
nuovi dettagli, maggiori sfumature e si lascia andare, in un processo sempre più circolare e meno lineare,
al ricordo e alle sbavature del tempo. L’interpretazione, a questo punto, diviene formazione, perché il
soggetto deve ripensarsi e ricostruirsi, rendendo conto ad un soggetto che, in primo luogo, ha
problematizzato e, dunque, messo in atto un processo formativo.
Il soggetto se da un lato guarda, riordina ed interpreta, dall’altro è il materiale complesso e confuso da
guardare. Per scrivere la propria vita, bisogna ripercorrersi per ripensarsi, per darsi un nuovo senso, una
nuova identità un tracciato nuovo rispetto a quelli del vissuto reale.
Al centro di questo faticoso lavoro, si colloca una coscienza che deve rievocare e delineare, filtrandoli,
scenari passati, che deve scegliere, riordinare e fissare i punti su cui tessere le trame della scrittura.
Ma se l’autobiografia è ri-lettura dell’Io, dà vita ad un nuovo Io che si costruisce nella scrittura in modo
più consapevole e strutturato. Proprio per questi motivi, nella nostra cultura, l’autobiografia è divenuta
uno degli strumenti chiave d’interpretazione, di indagine e di conoscenza. Molte discipline quali la storia,
la filosofia, la storiografia, la psicologia, la politica se ne servono per studiare l’uomo, la sua identità, le
strutture della società, della cultura, della mentalità ma anche le marginalità storiche, le pratiche sociali
che, altrimenti, potrebbero confondersi nel polverone della storia.
Nel secondo capitolo si pone in luce la portata eccezionale della svolta, nella storia dell’autobiografia,
compiuta da Rousseau. Al ginevrino va riconosciuto il merito di aver inglobato e rinnovato sia il modello
classico (ancora vivo fino all’Alfieri e vertente sul richiamo ad un destino su cui si dovrebbe costruire la
vita), sia il modello cristiano e agostiniano, che mostra il soggetto in pieno travaglio interiore e lo porta
davanti a Dio per rimettersi al suo giudizio.
Rousseau propone un modello laico, che si lega alla quotidianità del vissuto, che ruota attorno a tormenti
psicologici, che fa esperienza di una coscienza di sé. Inoltre egli inaugura il “patto autobiografico”, cioè la
necessità di dire tutta la verità senza pregiudizi e limiti, e il “gioco delle maschere dell’io”. L’io, infatti,
è un’insieme di maschere, modelli identitari che si sovrappongono fra loro, si contrastano, si eliminano e
si confondono. E’ compito dell’io, e quindi del processo autobiografico, restituirci l’identità più genuina,
la fonte primogenia che alimenta tutte le altre.
A partire dall’opera di Rousseau, la Francia ha detenuto il primato per quanto concerne la produzione di
autobiografie e per ciò che riguarda la critica del genere. E questo sia per l’individualismo e lo
“psicologismo”propri di questa cultura, sia perché la Francia è stata sede eletta per lo sviluppo
dell’individuo moderno, tra Illuminismo, Rivoluzione, Romanticismo,Naturalismo e Decadentismo
(ricordando gli esiti ultimi quali Proust, Sartre, De Beauvoir, Yorcenaur ecc.).
Diverso è il caso dell’Italia, che nel ‘700, come già ricordato, ci consegna quattro biografie illustri:
la Vita di Alfieri, le Memorie di Goldoni, le Memorie di Casanova e l’Autobiografia di Vico. Dopo Alfieri, il
genere “perde vitalità e significato”(guglielminetti 1986, p.877), poiché l’800 vede il trionfo del ritratto
eroico e dell’impegno civile o politico. Dobbiamo aspettare fino a D’Annunzio che, sul modello
nietzschiano dell’Ecce Homo, si aprirà ad una scrittura inquieta, sbriciolata, nutrita di un io problematico,
sofferente e profondamente in crisi.
Da questo momento in poi si possono ricordare gli esempi di Papini, Buonaiuti, Svevo, le voci femminili
quali Ginzburg, Romano, Aleramo, Maraini.
Seppur in Francia con risultati esplosivi ed in Italia più timidamente, resta, tuttavia, il fatto che
l’autobiografia nei secoli XIX – XX ha focalizzato la sua forma ideativa e narrativa all’interno della
letteratura, ha assunto la funzione di “specchio” del soggetto, ritraendolo e permettendogli di
riconoscersi.
Nel capitolo terzo, l‘attenzione si concentra sul caso emblematico di Proust e della Recherche , da un lato
romanzo sociale sulla Parigi di fine secolo, dall’altro riflessione filosofica sull’Esistenza, il Tempo, il Senso
del vissuto.
Ma oltre a questo, ci avverte Cambi, è un anomalo romanzo di formazione in chiave autobiografica,
condotto sul filo della memoria, intesa come strumento di ricostruzione di secondo livello, poiché non è
puramente rievocativo, bensì interpretativo ed autobiografico, in quanto il gioco dialettico si fa tra attore
del vissuto(Proust), protagonista (Marcel) e narratore (io narrante, cioè Marcel e Proust).
Nel cammino analitico ed ermetico dell’opera, è l’io che funge da attore-agente evocativo. E’ l’io del
narratore Marcel che lavora sul “perduto”, l’io di Marcel che vive gli eventi (su cui poi lavora l’io del
narratore), e, infine, l’io di Proust, insito negli altri due, che viene a configurarsi come il vero attore
dell’opera, poiché il materiale di vita e l’ottica interpretativa sono le sue.
Non dimentichiamoci, a questo proposito, che tutta la vita di Proust entra nell’opera: la famiglia, gli
amori, i luoghi, la cultura, le passioni.
L’io, quindi, nel cammino autobiografico si fa, si struttura e acquista senso attraverso un processo
circolare di andate e ritorni, di intermittenze involontarie ed epifanie incontrollate, di proiezioni perdute
e figure ritrovate.
Nel quarto capitolo viene affrontato il soggetto come problema, a partire da Platone fino agli esiti della
filosofia novecentesca.
Se con il filosofo greco l’immagine metafisica del soggetto è già in atto ed è in conflitto, gerarchizzata tra
istinti, passioni e pensiero puro, con il Cristianesimo si rafforzerà il dualismo anima-coscienza. Nel mondo
medioevale e poi moderno,il soggetto è sempre più individuo ma questo dualismo resterà anche
nell’Empirismo(se pur reso più empirico), nell’Illuminismo, nel Criticismo di Kant, in cui l’uomo è mente
che conosce secondo Categorie regolate dall’io trascendentale e che agisce secondo il Dovere e
l’autodeterminazione della Volontà.
Dopo Kant le contraddizioni sono sempre più numerose, l’immagine del soggetto perde linearità
diventando sempre più spezzettata e problematica. Il novecento si è dedicato, infatti, ad un grande
ripensamento del soggetto e del suo statuto che ha messo in luce la decostruzione di questo soggetto per
poi ricostruirlo.
La decostruzione è avvenuta attraverso lo spostamento del centro del soggetto come qualcosa che lo
sovrasta(potere, istituzioni sociali, tradizione, inconscio). Di contro, la coscienza si opacizza, diventa
ansiosa, inquieta e si frammenta in numerosi io, perdendo quel carattere di unicità .
Bisogna dunque ricostruire un’identità dell’io, “il tempo perduto”, il senso di una vita in cui l’io non è
stato l’unico, singolo attore. Da qui nasce il bisogno dell’autobiografia: il soggetto si vive e sa di essere un
problema e, dunque ha la necessità di conoscersi, comprendersi, trovare un senso in questa vertigine
esperienziale. L’autobiografia diventa una possibile occasione di salvezza, un appiglio nel mare delle
molteplici soggettività, un momento altissimo e vero di restituzione.
L’ultimo capitolo registra l’esistenza, particolare e significativa, a Pieve Santo Stefano, di un Archivio
diaristico, nato nel 1984 per opera di Saverio Tutino. Esso costituisce un unicum nel panorama italiano ed
europeo delle scritture di sé poiché si rivolge a gente comune, sollecitata a narrare la propri storia da una
prospettiva “abbassata” rispetto alla coscienza ufficiale, ad esempio della storia. Queste persone hanno
lasciato un segno della propria vita, del proprio io, della propria verità nelle forme più diverse: diari,
epistolari,resoconti di viaggi, ecc. Chi intraprende la narrazione di sé in primis si ri-legge, in secondo
luogo entra in archivio, cioè accetta di entrare a far parte di una documentazione collettiva, di una rete
di destini e infine si lascia un messaggio, che non vuole essre una riflessione sulla vita, un richiamo a
valori. Il messaggio è semplicemente sé, il proprio vissuto, il proprio tempo.
Questa iniziativa di far rivivere la memoria rendendola pubblica e fruibile, di dare spazio e voce alla
“storie di vita”, è quello che Lejeune definisce” un atto di identità attraverso il quale si dà forma e
significato alla propria vita”(Lejeune 1991, p.9).
L’ottica che guida questi testi, dunque, è ancora una volta di formazione di sé per capirsi, conoscersi, per
fissare il senso e l’identità acquisiti nel tempo, quel tempo di cui l’individuo, adesso, rievocandolo, si fa
interprete. La memoria, infatti, permette l’autoformazione, poiché il vissuto non ritorna ri-prodotto ma
interpretato.
Il centro non è solo deposito di testi ma soprattutto fucina e laboratorio di produzione: è stato istituito un
premio annuale, con promozione dei testi supportata da un’autorevole azione editoriale, e dal1999 è stata
fondata ad Anghiari una Libera Università dell’Autobiografia.
Indice
1. L’autobiografia tra ieri e oggi. Un genere in fermento
1.L’autobiografia: un po’ di storia, p. 3 - 2. Per una teoria dell’autobiografia, p 11- 3. Narrarsi,
scriversi, interpretarsi, p. 17 – 4. Leggersi e formarsi, p. 22
- 5. Postmoderno e attualità
dell’autobiografia, p.26
2. L’autobiografia letteraria contemporanea: modelli e percorsi
1. A cominciare da Rousseau, p. 33 - 2. Avventure dell’autobiografia in Francia dall’Ottocento al
Novecento, p. 37 – 3. Percorsi italiani, p. 42 – 4. Nell’ottica della formazione, p. 46
3. Alla ricerca dell’autobiografia: studio su Proust
1.La “ recherche” come autobiografia, p. 51 – 2. Nella “forma mentis” autobiografica, p. 54 – 3. Il
travaglio dell’interpretazione, p. 58 – 4. Intermezzo filosofico, p. 62 – 5. Il tempo “salvato”e l’autoredenzione, p. 65 – 6. L’autobiografia in paradigma?, p. 68
4. Il soggetto come problema e il suo “ statuto narrativo”
1. Il soggetto greco-cristiano-borghese: costruzione, “acmé ” e tramonto, p. 73- 2. Decostruzione,
spostamento, riproblematizzazione, p. 76 – 3. Ricostruzione: come e perché?, p. 78 – 4. Identità aperta e
statuto narrativo, p. 81 – 5. Soggetto e narrazione, p. 83
Appendice. La questione del soggetto nel pensiero contemporaneo: appunti
1.
Perché il soggetto si fa “questione”?, p. 87 – 2. Oltre il “cogito”: modelli di lettura, p. 89 – 3. Tra
decostruzione e postmoderno, p. 91 – Bibliografia essenziale, p. 94
5. Il bisogno di autobiografia. Navigando nell’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano
1. Autobiografie di “ gente comune”, p. 95 – 2. Il gesto, il messaggio, il testo, p. 100 – 3. Testimoniare e
interpretare se stessi, p. 104 – 4. Il gioco della formazione, p. 107
6. Postilla pedagogica
1. La conoscenza di se come via formativa in età adulta, p. 111 – 2. L’autobiografia come processo
“terminabile e interminabile” e la “cura di sé”, p. 115 – 3. Una pedagogia che “parla ai soggetti”, p. 120
Autore
Franco Cambi insegna Filosofia dell’educazione e Storia della Pedagogia all’Università di Firenze.
Si occupa, tra l’altro, di ricerca teorica in pedagogia, di indagini storico – pedagogiche e di filosofia.
Tra gli ultimi lavori si ricordano: La Toscana e l’educazione; Dal Settecento ad oggi (Firenze 1998);
Pedagogia generale (Con altri autori, Firenze 2001); Intercultura: fondamenti pedagogici (Roma 2001);
Manuale di filosofia dell’educazione (2001) e Storia della pedagogia (2002).