abstract del primo capitolo - Libera Università dell`Autobiografia
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abstract del primo capitolo - Libera Università dell`Autobiografia
1 CAPITOLO PRIMO Prolegomeni allo studio critico dell’autobiografia The mania for this garbage of Confessions, and Recollections, and Reminescences, and Aniliana, «is indeed a vile symptom». It seems as if the ear of that grand impersonation, «the Reading Public», had become as filthily prurient as that of an eavesdropping lackey. J. G. LOCKHART, The Quarterly Review, 1827 C’est ce paradoxe apparent et fondamental de l’autobiographie, protéiforme, insaisissable et pourtant toujours semblable à elle-même, qui, en fin de compte, nous paraît le mieux à même de nous faire sentir la nature de son secret. C’est sans doute aussi parce qu’elle se montre si rebelle à se laisser définir et immobiliser, qu’elle n’est pas sur le point […] de cesser de tenter les talents littéraires les plus variés ni de cesser d’enchanter ses lecteurs […]. G. MAY, L’autobiographie, 1979 Introduzione Dalle Confessioni di S. Agostino, vera e propria stele di Rosetta dell’autobiografia, passando attraverso l’opera di scrittori e artisti che in ogni epoca hanno segnato ulteriori landmarks nell’evoluzione del genere autobiografico, fino agli sperimentalismi memoriali di molti autori postmoderni, l’esigenza di raccontarsi e conoscersi mediante la scrittura appare radicata nello spirito umano. È in particolare in questi ultimi anni che l’autobiografia ha raggiunto un’indiscussa proliferazione: se dalle origini il racconto di sé è stato l’ausilio di cui si sono avvalsi soprattutto mistici e intellettuali per sondare autopticamente le zone umbratili della propria anima, oggi autorità politiche, scienziati e accademici, celebrità e persone del tutto anonime si lasciano sempre più affascinare da un desiderio di conoscibilità che si estrinseca nella scelta delle forme di autorivelazione esplicita della scrittura autobiografica. 2 Sul versante della critica accademica, a richiamare l’attenzione degli studiosi sul genere autobiografico e sulle sue eteroclite declinazioni è stata invece, in senso estensivo, la constatazione di come la scrittura si sia da sempre prestata all’indagine della psicologia del sé e di come, inversamente, lo scandaglio dei più intimi recessi dell’interiorità umana possa convertirsi in matrice essenziale dei materiali della letteratura1. Nonostante la sua lunga storia e la portata degli spunti tematici da essa offerti, i tentativi di stabilire una teoria dell’autobiografia sono tuttavia abbastanza recenti, e soltanto con la pubblicazione delle opere seminali di Roy Pascal e di Jean Starobinski le indagini sulla scrittura autobiografica hanno ricevuto stimoli produttivi, sviluppandosi nei decenni successivi grazie ai lavori di Philippe Lejeune, e poi a quelli di Paul De Man e Jacques Derrida, due tra i critici ad aver esplorato in forme più radicalmente ermeneutiche un continente del quale nel lontano 1968 si faceva ancora notare l’assenza nelle mappe tracciate dai «cartografi letterari»2. A più di quarant’anni di distanza dalle disquisizioni di chi come Shapiro si interrogava sulla sua natura e sulla sua collocazione all’interno del sistema letterario, l’autobiografia è finalmente divenuta un oggetto di ricerca autonomo, che proprio in virtù dell’indipendenza conquistata ha potuto svincolarsi dagli orientamenti teoretici che ne decretavano ora l’appartenenza ai generi letterari minori3, ora lo status di «parente povera della ricerca letteraria, ammessa al convito dei generi dominanti contigui (biografia e romanzo) in modi obliqui e dubitativi»4. Non solo, dunque, il genere autobiografico non è più connotabile nei termini con cui lo dipingeva Shapiro, ma da terra vergine e incontaminata si è trasformato in una sorta di potenza 1 Cfr. M. BOTTALICO – M.T. CHIALANT (a cura di), L’impulso autobiografico: Inghilterra, Stati Uniti, Canada… e altri ancora, Liguori, Napoli 2005, p. xii. 2 Cfr. S.A. SHAPIRO, «The Dark Continent of Literature. Autobiography», Comparative Literary Studies, 5, 1968, pp. 421-54. 3 Nell’economia di un discorso che verterà, nel primo e nel secondo capitolo, sui punti nodali dell’attuale dibattito critico-teorico relativo all’autobiografia e sull’evoluzione tematico-strutturale che essa ha subìto nell’arco degli ultimi venti anni, saranno tralasciati gli approfondimenti usuali sull’origine e sulla storia del genere autobiografico. È comunque necessario puntualizzare che molti dei testi citati contengono riferimenti di varia estensione a tali questioni: per quanto concerne lo studio dell’autobiografia sia come pratica letteraria che come oggetto critico, cfr. in particolare: R. PASCAL, Design and Truth in Autobiography, Harvard UP, Cambridge (Massachusetts) 1960; J. OSBORN, The Beginnings of Autobiography in England, California UP, Los Angeles [1960?]; F. HART, «Notes for an Anatomy of Modern Autobiography», New Literary History, 1(3), 1970; pp. 485-511; J. H. BUCKLEY, The Turning Key. Autobiography and the Subjective Impulse since 1800, Harvard UP, Cambridge (Massachusetts)-London 1984. Per un profilo più aggiornato, si può almeno rinviare a: R. FOLKENFLIK (ed.), The Culture of Autobiography. Constructions of Self-Representation, Stanford UP, Stanford 1993; P. COLEMAN – J.E. LEWIS (eds.), Representations of the Self from the Renaissance to Romanticism, Cambridge UP, Cambridge 2000; S. SMITH – J. WATSON, Reading Autobiography. A Guide for Interpreting Life Narratives, Minnesota UP, Minneapolis-London 20102; L. ANDERSON, Autobiography, Routledge, London-New York 20112. 4 B. ANGLANI, «Introduzione al repertorio sull’autobiografia», Moderna, 9, 2007, pp. 123-30, qui p. 1. Su questo punto cfr. in particolare il pionieristico saggio Studies in Autobiography di James Olney (Oxford UP, New York-Oxford 1988), nella cui introduzione l’autore constata come, a partire dalla metà degli anni ’50, gli sviluppi del genere abbiano inaugurato una nuova fase di studi, dalla quale hanno avuto origine «newly designed, differently oriented university curricula» (J. OLNEY, op. cit., p. xiv). 3 imperialista che ha attratto e continua ad attrarre a sé, colonizzandoli, tanto i territori limitrofi che quelli più apparentemente lontani dalla sua sfera d’influenza5. L’autobiografia è insomma arrivata a coprire un campo di studi talmente variegato che non è sempre facile raggiungere un compromesso o un accordo su che cosa quest’ultima possa debitamente includere6: numerosi sono ad esempio i critici che, dinanzi «[al]la mancanza di parametri rigidi e di un modello uniforme che […] stabiliscano le costanti morfologiche e semantiche»7 del genere, ne hanno allargato le alquanto mobili frontiere in modo da inglobarvi forme affini di scrittura autobiografica, quali lettere, journals e memorie; altri, alla luce delle tendenze della (post)modernità a valicare la soglia tra fittizio e reale, e ad aprirsi a discipline e culture diverse, hanno sostenuto la necessità di prescindere dal rigore di parametri puristi nella valutazione del contenuto autobiografico dei testi presi in esame. L’inesauribile mole degli studi si stratifica intorno a settori spesso così indipendenti gli uni dagli altri (l’autobiografia di gruppi etnici e soggetti patologici, i memoirs femminili e postcoloniali, le scritture intimistiche di donne e uomini ordinari o altrimenti famosi) da rendere pertinente, nella rappresentazione dello stato attuale della critica, l’immagine di un dedalo di strade che non si incontrano mai, o di un oceano solcato da imbarcazioni di ogni tipo e dimensione destinate a seguire ognuna la propria rotta8. Se volessimo riprodurre a livello figurativo la molteplicità di forme assunte dal genere autobiografico, potremmo invece optare per lo schema proposto da Jacques Lecarme sul modello della ruota virgiliana, e non a caso ribattezzato rue de l’autobiographie (cfr. infra, fig. 1). La figura elaborata dal critico francese si compone di una serie di cerchi concentrici a loro volta suddivisi in sezioni circolari che, in base alla vicinanza alla zona più interna, indicano il grado di “parentela” con l’autobiografia (il centro ideale della ruota) e delimitano, all’interno di ciascun cerchio, le aree entro le quali si possono inscrivere modalità discorsive, generi e sottogeneri, anch’essi raggruppati in base ai rispettivi rapporti di consanguineità9. 5 Cfr. B. ANGLANI, op. cit., p. 1. 6 Nel 1980 William Spengemann faceva già notare: «the boundaries of the genre have expanded proportionately until there is now virtually no written form that has not either been included in some study of autobiography or else been subjected to autobiographical interpretation. What was once a rather clearly demarcated territory, populated almost exclusively by such self-identifying texts as John Stuart Mill’s Autobiography and Jonathan Edwards’s Personal Narrative, has become an unbounded sprawl, in which the poetry of T. S. Eliot and William Carlos Williams, the novels of Stendhal and Proust, the plays of Tennessee Williams, and even Henry James’s prefaces have found a place» (W.C. SPENGEMANN, The Forms of Autobiography. Episodes in the History of a Literary Genre, Yale UP, New Haven-London 1980, p. xii). 7 M. BOTTALICO – M. T. CHIALANT, op. cit., p. xiii. 8 Cfr. B. ANGLANI, op. cit., p. 126. 9 Cfr. J. LECARME, L’autobiographie, Colin, Paris 19992. 4 Fig. 1. Nel Medioevo la rota Virgilii veniva usata per esemplificare la corrispondenza tra lo stile umile, medio e sublime. Il nome deriva dalle maggiori opere virgiliane – le Bucoliche, le Georgiche e l’Eneide –, che vengono assunte come modello dei generi in cui si realizzano i tre stili. Nella rielaborazione di Lecarme la ruota contempla anche quelle autorappresentazioni multimediali che Sidonie Smith e Julia Watson fanno rientrare nella più ampia categoria delle life narratives (cfr. infra). 5 Nonostante nella ruota lecarmiana il ricorso a una serie di linee nette di demarcazione tra le varie sezioni non sia in grado di suggerire visivamente un dato di incontestabile validità nell’odierno panorama letterario, ovvero quell’intreccio di forme e contenuti che dimostra quanto siano in effetti porosi e mutevoli i confini che separano le pratiche autobiografiche10, i raggruppamenti e le relazioni stabilite da Lecarme hanno il merito di mettere in luce la sintomatica interdisciplinarietà e intergenericità dell’autobiografia contemporanea. Valga, ad esemplificazione di quanto appena accennato, il testo del seminario tenuto da Andrea Battistini sui generi marginali del ’900, dove il critico sottolinea il bisogno, reso ancor più impellente dalla poetica stessa del Postmodernismo, di una costante riconfigurazione dei generi canonici e di quelli, come l’autobiografia, considerati a lungo marginali. Secondo Battistini, per poter comprendere i rapporti dialettici tra i generi letterari, bisogna più esattamente concepire le loro delimitazioni come linee mobili e dinamiche, che variano sia dal punto di vista diacronico che sincronico. È quanto risulta specialmente perspicuo se si prende in considerazione l’odierna “scrittura del sé” , che “scardina” molti di quei canoni considerati imprescindibili e a esclusivo appannaggio del genere autobiografico per intrecciare una fitta rete di scambi con generi e branche del sapere diversi. Della frequenza con cui avvengono tali scambi interconnettivi ci si può facilmente rendere conto procedendo allo spoglio di una serie di prestigiose riviste internazionali (per menzionarne soltanto alcune a/b: Auto/Biography Studies, Auto/Biography Yearbook, Auto/Biography, Autopacte, Biography, Lifewriting Annual, Life Writing) che – ad onta degli sbarramenti metodologici e delle chiusure dogmatiche su cui per anni hanno insistito certi indirizzi teorici – rendono conto di come quello delle forme autobiografiche sia divenuto un settore di studi generosamente aperto alle più disparate incursioni disciplinari12. 11 10 Cfr. A. BATTISTINI, «I ‹generi marginali› nel Novecento letterario», Seminario di studi a cura di Daniela Baroncini e Federico Pellizzi, Bologna, 22 maggio 1997 (Dipartimento di Italianistica). Testo reperibile in formato elettronico al seguente indirizzo web: http://www3.unibo.it/ boll900/con vegni/gmbattistini.html. Le considerazioni di Battistini permettono di notare, se messe in rapporto con lo schema di Lecarme, che le linee di separazione tra gli insiemi, e i loro stessi elementi, sono tutt’altro che immutabili, ma aderiscono anzi a una serie di paradigmi epocali e culturali: si ricordi infatti che – come afferma lo stesso Hans Jauss – i generi letterari sono fenomeni storici e sociali, di conseguenza vincolati non solo a tutte quelle congiunture che cambiano inevitabilmente l’assetto di un Paese o di una nazione, ma anche alle aspettative del pubblico dei lettori. 11 Le perifrasi «scritture del sé/dell’io», «letterature del sé» e la gusdorfiana «letteratura dell’io» saranno da qui in poi usate in senso generale e senza virgolette, per far riferimento a tutti i generi e sottogeneri in forma scritta che si concentrano – seppur con accentuazioni diverse – sulla rappresentazione del sé. «Scrittura del sé/dell’io» e «letteratura del sé» sono invece le perifrasi più correntemente impiegate, per pura varietà lessicale, in alternativa alla parola «autobiografia»: questo sebbene esse siano latrici di un significato adattabile a testi che possono essere assimilati alla letteratura autobiografica, ma non necessariamente alle forme e ai contenuti dell’autobiografia propriamente detta. Il testo fornirà opportune spiegazioni qualora vengano adottate ulteriori varianti terminologiche, o nel caso in cui si apportino rettifiche a quelle di cui sopra. 12 Per un bilancio sommario in materia, si vedano in particolare le rassegne bibliografiche della rivista Biography, dove ogni anno vengono riversati importanti e aggiornati contributi sulle letterature del sé 6 Che l’autobiografia sia una materia di indagine di ampiezza vertiginosa è infine testimoniato dall’esistenza, in vari Paesi europei, di luoghi deputati alla conservazione e alla promozione di un patrimonio memoriale che negli ultimi anni è cresciuto in maniera pressoché esponenziale. Si pensi in proposito all’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano (l’altrimenti nota «città dei diari», in provincia di Arezzo)13, all’Association pour l’Autobiographie (APA) di Ambérieu-enBugey (una cittadina nei pressi di Lione), ai registri di Emmendingen (Germania), o ancora a quelli spagnoli di La Roca del Vallès (Catalogna)14. Un dato di indiscutibile importanza può già emergere da questo breve excursus introduttivo: la scrittura dell’io, resasi un’icona pregnante dell’interazione con il mondo di un soggetto di cui vengono riflesse le intime complessità, valica con sempre maggiore frequenza l’ambito letterario per convertirsi in fatto antropologico. Non è peraltro un caso fortuito che Philippe Lejeune, il quale a più riprese ha evidenziato l’inestinguibile portata cognitiva di questo «onnivoro agglomerato di forme e contenuti»15, abbia segnalato che, nelle società moderne, studiare l’autobiografia significa intraprendere un percorso di continua scoperta: L’autobiografia non conduce a un ripiegamento su se stessi, ma ad un’apertura verso gli altri: altre persone, altre discipline, ma anche altre culture. […] costruire un corpus di autobiografie scritte nella propria lingua è un modo per consolidare l’identità e la cultura del proprio paese, ma è al tempo stesso un’occasione per prendere coscienza degli studi svolti parallelamente in altri paesi, partecipi della medesima civiltà16. (autobiografia, biografia e generi contigui). Tutti i contributi dell’elenco – opere primarie, critiche, tesi e articoli – sono inoltre accompagnati da un commento che ne rileva puntualmente i tratti salienti e che, nel caso dei volumi miscellanei, viene opportunamente preceduto dalla trascrizione completa dell’indice dell’opera in esame. 13 Il direttore dell’archivio, Saverio Tutino, è oltretutto il fondatore della LUA, la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo), sulle cui attività sono reperibili ulteriori informazioni al seguente sito web: http://www.lua.it/. Istituendo un confronto con il fertile terreno teorico anglosassone e francese, possiamo rilevare come la cultura italiana si sia dimostrata in generale poco sensibile alle questioni sollevate dal genere autobiografico, e anche quando ha prodotto testi che con risultati di rilievo hanno riflettuto sulla poliedricità di metodi, strategie interpretative e linguaggi a esso relativi, lo spazio concesso loro dalla critica internazionale ha continuato a essere molto esiguo. Nella presente dissertazione si è cercato di colmare tale lacuna sia sotto il profilo delle citazioni che delle indicazioni bibliografiche, nelle quali sono reperibili alcuni dei contributi più significativi e attuali in area italiana. Per alcuni riferimenti preliminari, cfr. E. PORCIANI – B. ANGLANI et al., «Repertorio bibliografico ragionato sull’autobiografia (1993-2004)», Moderna, 9, 2007, pp. 131-92, e soprattutto le pp. 131-44 che, pur non contemplando un elenco degli articoli italiani comparsi in rivista, comprendono il repertorio bibliografico di gran parte degli studi e dei volumi miscellanei pubblicati in Italia a partire dal 1993. 14 Per completare il quadro anche a livello internazionale, è d’obbligo aggiungere all’elenco anche il Centre for Biographical Research dell’Università delle Hawaii, la cui fondazione, risalente al 1976, è stata un chiaro esempio del nuovo senso di rispettabilità raggiunto dal genere autobiografico. Per quanto concerne invece gli archivi europei sopra menzionati cfr. il sito dell’Associazione Europea per l’Autobiografia (AEA), <http://www.archiviodiari.it/eaea.htm>. 15 E. AGAZZI – A. CANAVESI, Il segno dell’io: romanzo e autobiografia nella tradizione moderna, Campanotto, Udine 1992, p. 92. 16 La citazione è tratta dalla postfazione redatta da Lejeune per la traduzione italiana del suo ben noto Pacte autobiographique, su cui ci soffermeremo più oltre. L’edizione di riferimento è la seguente: P. LEJEUNE, Il patto autobiografico, tr. it. a cura di F. Santini, Il Mulino, Bologna 1986 [1975], p. 409.