1 L`analisi dei documenti Con l`intervista qualitativa, l`osservazione, l

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1 L`analisi dei documenti Con l`intervista qualitativa, l`osservazione, l
Marcello Maneri, L’analisi dei documenti
L’analisi dei documenti
Con l’intervista qualitativa, l’osservazione, l’indagine campionaria, il ricercatore costruisce,
osservando, interrogando, registrando, una base empirica che sarà poi oggetto delle sue analisi. Da
sempre la ricerca sociale si è avvalsa però anche dell’uso di documenti, cioè di materiali informativi
che esistono indipendentemente dall’azione del ricercatore. Diari, lettere, fascicoli giudiziari,
articoli di giornale, sono relativamente accessibili, poco costosi da raccogliere e durano nel tempo.
Inoltre possono fornire informazioni diverse da quelle ottenute, ad esempio, attraverso un’intervista.
Ciò che le persone fanno è spesso differente da quello che dicono e un’occasione per indagarlo può
essere offerta dalle tracce che lasciano, sia che fossero intese a comunicare qualcosa (documenti
linguistici in senso lato), sia che la funzione simbolica non fosse la loro caratteristica originaria (li
chiameremo artefatti o “cultura materiale”1).
L’analisi dei documenti presenta delle problematiche che sono diverse a seconda dei casi. Possiamo
distinguere, per comodità di esposizione, tra:
¾ Artefatti (localizzazioni, ambienti, utensili, prodotti della cultura materiale)
¾ Statistiche ufficiali (sulla disoccupazione, la mobilità, la criminalità ecc.)
¾ Documenti personali (autobiografie, diari, lettere, testimonianze)
¾ Documenti istituzionali (messaggi mediatici, materiali di propaganda, testi di carattere
didattico, memorandum, decaloghi e regolamenti di organizzazioni, output di procedure
burocratiche come fascicoli giudiziari e protocolli medici ecc.)
Studiare gli artefatti, i prodotti o i residui dell’attività umana, significa accedere all’organizzazione
sociale, alle percezioni e alle rappresentazioni condivise, più in generale ai fenomeni sociali,
attraverso le tracce volute o non volute che questi lasciano. Il significato degli artefatti deve essere
sempre interpretato in relazione al contesto situato della loro produzione e del loro uso, sapendo che
gli usi di un oggetto o di uno spazio possono cambiare nel tempo anche in direzioni non previste
dalla concezione originale che li ha ispirati.
Più spesso, nella ricerca sociale, si fa uso di statistiche ufficiali, prodotte da varie istituzioni e
intese a registrare e comunicare i fenomeni e le attività di loro competenza. In questi casi bisogna
sempre distinguere tra la realtà di cui la fonte statistica parla e il dato stesso, che va sempre
considerato come un costrutto che è il frutto di attività situate, in cui routine spesso inconsapevoli
1 Il cibo e gli oggetti, acquistati, consumati e scartati sotto forma di rifiuti, possono ad esempio svolgere un ruolo centrale in una
ricerca sui comportamenti di consumo.
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dei loro effetti, errori, scelte definitorie e distorsioni di vario genere portano a un resoconto della
realtà che, malgrado la precisione dell’unità di misura, non si può considerare un puro riflesso di
quella, dal momento che incorpora le pratiche che nelle varie fasi della sua produzione costruiscono
il resoconto stesso. Molte volte, variazioni nello spazio e nel tempo di tassi di disoccupazione, di
criminalità, di inflazione, di adesione agli scioperi riflettono semplicemente, in una misura che può
variare da situazione a situazione, dei cambiamenti nel modo in cui questi fenomeni sono rilevati,
definiti, trattati. Quando si usano statistiche ufficiali per avere elementi di conoscenza sulla realtà
bisogna quindi essere sempre consapevoli del modo in cui esse sono costruite.
Questa problematica riguarda anche gli altri tipi di documenti. In alcuni casi infatti i documenti
possono essere utilizzati per la loro capacità di gettare luce su una realtà esterna che cercano di
descrivere. Un diario, un’autobiografia, come altri documenti personali, possono dare
informazioni sugli episodi rilevanti, le traiettorie, le situazioni vissute dalla persona che li ha redatti,
così come articoli di giornale e altri documenti istituzionali possono essere – e sono stati utilizzati per raccogliere informazioni sulla conflittualità sociale, sulle azioni collettive ecc.
Questo uso dei documenti come specchio della realtà è legittimo, purché si sia consapevoli del
grado in cui i documenti costruiscono il mondo che starebbero descrivendo e si prendano le
opportune precauzioni. Gli individui, nel raccontarsi, ri-costruiscono, razionalizzano, omettono,
collegano certi episodi ad altri e a scapito di altri, propongono una certa “faccia” ecc. Se si è
interessati alla rappresentazione che l’estensore dell’autobiografia vuole dare di sé, o alla
prospettiva scelta per descrivere certi eventi, se si considera dunque il testo come una costruzione, è
un conto. In caso contrario, se cioè l’autobiografia è considerata come una fonte di conoscenza della
vita che racconta, sorge il problema dell’attendibilità della testimonianza (che si risolverà
incrociando varie testimonianze, confrontando il racconto con le conoscenze del ricercatore,
facendo assunzioni sul grado di affidabilità del testimone ecc.).
Allo stesso modo i mezzi di informazione, per comporre il proprio notiziario, operano una selezione
dall’insieme delle notizie potenziali, e poi raccontano facendo ricorso a certe fonti e non altre,
incorniciando, tematizzando, interpretando, omettendo ecc. Se si vuole studiare una categoria di
episodi e alcune loro caratteristiche che non soffrono in modo sensibile delle procedure di
costruzione di una notizia (per esempio eventi pubblicamente rilevanti e studiati nelle loro
caratteristiche meno soggette a conflitti di definizione), avendo l’accortezza di impiegare testate
differenti, l’uso di questo genere di documenti è sostanzialmente privo di contro-indicazioni. In tutti
gli altri casi i resoconti giornalistici saranno molto più interessanti e informativi per ciò che possono
dire sul modo in cui ri-costruiscono la realtà, se utilizzati in quanto tracce delle attività organizzate
e socialmente determinate che li producono. Al pari degli output delle più svariate procedure
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burocratiche, delle raccomandazioni formali e informali che circolano all’interno di una
organizzazione, di tutti i tipi di prodotto culturale, l’analisi di questi documenti permette di
comprendere di più il funzionamento di una istituzione, le sue norme, i suoi rituali, i suoi valori,
quelli che considera oggetti di sua pertinenza, le poste in gioco, la rappresentazione di sé e del
mondo, le strategie persuasive e le costruzioni ideologiche che adotta, piuttosto che la realtà che
questa tratta.
Molti dei documenti analizzati nella ricerca sociale si presentano sotto forma di testo, spesso
puramente linguistico, altre volte accompagnato o costituito da immagini. Quando sono considerati
come dispositivi di significazione, e dunque come luoghi in cui la realtà e i processi sociali vengono
costruiti, trasformati e oggettivati, i testi non vanno semplicemente letti ma devono essere analizzati
e interpretati usando specifiche tecniche. Inizieremo col presentare l’analisi del contenuto, come è
stata tradizionalmente chiamata l’analisi quantitativa dei prodotti comunicativi, per poi passare a
una famiglia di tecniche qualitative che derivano principalmente da un campo di studi chiamato
“analisi del discorso”.
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