L`Italia in pellicola
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L`Italia in pellicola
L’Italia in pellicola l’eco AR CA [email protected] ARCA Anche quest’anno i ragazzi di Arca CinemaGiovani consegneranno il premio al Miglior Film Italiano presente alla 67esima Mostra del Cinema di Venezia. Le pellicole italiane a Venezia sembrano affacciarsi al mondo attraverso tre grandi finestre: la memoria, il Sud e il lavoro. Sono queste le lenti attraverso le quali sono rappresentate cinematograficamente le storie in concorso. Per primo abbiamo scoperto Ascanio Celestini che, alla sua prima regia, ci ha trascinato con la sua “Pecora nera” all’interno di un manicomio di provincia, prima della legge Basaglia, nei favolosi anni Sessanta. La vita del piccolo Nicola è un incubo che ci impone di ricordare quello che è stato, l’immobilizzazione coatta a letto dei pazienti considerati pericolosi, le scariche di elettroshock per “riaccendere” una luce nel loro cervello, ma anche le trasformazioni avvenute, perché l’istituzione manicomiale è stata l’unica che siamo riusciti a cambiare radicalmente attraverso la legge Basaglia, restituendo così al disagiato psichico i suoi diritti. JJ Suggestioni in frames powered by http://www.loudvision.it copia gratuita VI|07set2010 La Villa degli autori al Lido di Venezia è stata culla della performance dal vivo dello statunitense Fredo Viola. Un costruttore d’immagini attraverso una sensibile polifonia audiovisiva. L’espressione di Viola (ospite dell’edizione 2009 di Cinema Corto in Bra) è un insieme difficilmente scindibile di musica, arti visive, cinema e performance. I suoi cortometraggi sono molto di più di un semplice videoclip delle canzoni, è un “cinema intimo”, scisso in pezzi di immagini, frammenti di vita di 15 secondi catturati attraverso una digitale: filmati realizzati a casa o per strada con semplicità e sciolti da mezzi e tecniche tradizionali. La musica si fonde con le immagini in un lavoro audiovisivo funzionale a suscitare suggestioni che uniscono magia antica a soluzioni moderne, romanticismo e silenzio in una tensione verso lo spirituale che rimanda ad atmosfere oniriche. Sono frames che diventano riflesso di una realtà frammentaria e frammentata da spicchi di fotografie che compongono un variegato mosaico emozionale. La sua voce sottile e delicata accarezza le immagini e le vezzeggia. L’impressione è quella di vedere attraverso un caleidoscopio immagini e colori che si fondono e si compenetrano creando altro da sè con un gusto estetico e cromatico sopraffine. Il Sud Italia è magistralmente rappresentato in “Malavoglia” di Pasquale Scimeca dove c’è una Sicilia che, allora come oggi, ribolle di precarietà, povertà e Provvidenza, sempre in bilico tra fallimento e riscatto. La Sicilia di Roberta Torre ne “I baci mai dati” è invece inchiodata ad un sentimento religioso fortemente condizionato dalla superstizione popolare, che presta il fianco ai moderni diktat della società foriera di nuovi bisogni. Il tema del lavoro entra di prepotenza nel primo lungometraggio di finzione del giovane e talentuoso Massimo Coppola: in “Hai paura del buio” c’è forte il disagio delle due giovani operaie licenziate dalla fabbrica che vivono questa tragedia in una prospettiva personale, incapaci di ricollocare questa esperienza all’interno di una coscienza di classe. Sempre di lavoro si parla in “La passione” di Carlo Mazzacurati. Ma qui il protagonista è un regista di mezza età e senza idee per una scenegcontinua a pagina 2 >>> 07 SET Approfondimenti 2010 l’ecoARCA - daily gratuito scritto, stampato e distribuito presso la 67 mostra internazionale d’arte cinematografica di venezia 2 continua da pagina 1 >>> giatura originale. Pressato dal suo manager e da un’attricetta giovane e insipida troverà rifugio e riscoprirà il piacere di relazioni umane autentiche e la bellezza del suo lavoro in un paesino della provincia toscana dove viene ingaggiato, attraverso un ricatto, per dirigere la Passione di Cristo durante la Via Crucis cittadina del Venerdì Santo. Anche molti registi stranieri ci parlano d’Italia in questa edizione del Festival. Un vero pugno allo stomaco sono i “dieci minuti milanesi” di “Somewhere” di Sofia Coppola, con una Giorgia Surina giornalista isterica e la doppietta Ventura-Marini personificazione del cattivo gusto e del ridicolo. Anche Ozon ci lancia una frecciatina quando la giunonica Deneuve decide, davanti ad una folla adorante, di passare dalla dirigenza della sua fabbrica a quella della nazione francese... Turturro invece ci insegna ad amare Napoli mostrandoci come, sotto la crosta maleodorante dei rifiuti e della corruzione, batta ancora un cuore musicale e meticcio. Che vuole dirci dunque il cinema italiano di oggi? Magari di rileggere con attenzione le pagine passate per capire meglio quelle che si stanno scrivendo oggi, e poi di studiarci bene le regole della grammatica per iniziare a scriverle noi queste pagine! Chissà perché mi viene in mente Brecht che grida: “Affamato afferra il libro, è un’arma!”. La Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia ci sta lanciando qualche buon film che faremmo molto bene ad afferrare al volo! Silvia De Marchi Divo o non divo? Più ci sfuggono, più noi li amiamo Uno è fratello d’arte, l’altro un ex modello. Belli entrambi, ma diversissimi. Tutti e due a Venezia. Uno filma la vita del cognato famoso, l’altro ha due film in concorso: protagonista di un thriller di Skolimowski e attore e regista per l’ultimo desiderio di una malata terminale. Casey Affleck e Vincent Gallo sono i belli e dannati di questa Sessantasettesima. Tutti li cercano, in pochi li trovano. Gallo non rilascia interviste. Affleck arriva solo alla conferenza stampa, lasciando chissà dove il protagonista del suo “I’m Still Here”. Due nomi che riempirebbero le copertine di tutto il mondo, due volti che rifiutano quelle copertine e si ricordano per i loro atteggiamenti ribelli. Lo scorso anno al Lido il bel Vincent mostrava le spalle ai fotografi, quest’anno pare sia ancora più prezioso. Intanto il regista di “Essential Killing” lo dipinge come un attore che si immerge completamente nel ruolo da interpretare, restando in solitudine anche durante le pause delle riprese. Poi arriva “Promises Written in Water” e compare come lo avevamo lasciato in “The Brown Bunny”: narcisista e vanitoso, con la camera che segue il suo volto e i suoi movimenti. I dialoghi hanno solo un interlocutore visivo, sempre lui, e completamente in bianco e nero. Il piccolo di casa Affleck, invece, si inventa una sorta di reality sulla vita di Joaquin Phoenix. Resta dietro la camera, e deve piacergli tanto dopo le esperienze passate. Prima di Venezia hanno parlato di lui le riviste di gossip, quelle che col sorriso maligno hanno sottolineato la notizia della denuncia per molestie sessuali ad una produttrice. Che caratteracci! Se un tempo le intrattabili erano le dive che si sfidavano a suon di bellezza, ora sono i nomi maschili a lottare contro la loro stessa fama. Divi indecisi sul volerlo essere o meno, perennemente in bilico sul personaggio costruito e la loro natura ribelle. E noi non sappiamo se crederci, non sappiamo chi prevalga tra il dottor Jekyll e il signor Hyde che c’è in loro. In compenso cerchiamo uomini misteriosi come loro, per poi lamentarci alla prima bugia. Meglio solo sul maxischermo? Micaela De Bernardo 07 SET A pprofondimenti 2010 l’ecoARCA - daily gratuito scritto, stampato e distribuito presso la 67 mostra internazionale d’arte cinematografica di venezia 3 La dura vita del cineasta Ancora riflessioni sullo stato critico del cinema italiano Le luci si riaccendono fioche, gli applausi coprono le ultime note sui titoli di coda del film, qualcuno si alza in piedi e altri s’infilano veloci all’uscita.Ti alzi in piedi per ricevere i complimenti della platea. Una veloce intervista in cui sfoggiare una risposta brillante per coprire con una risata l’imbarazzante domanda uscita da qualcuno che, forse, ha dormito durante il film o forse dorme ancora. Di nuovo qualche applauso e poi, poi è finito. Per chi entra in sala senza passare dal red carpet a vedere il proprio film faticosamente lavorato per mesi se non anni, questo è il momento più alto, poi si riparte. La boccata d’aria per chi fa cinema in questo periodo, senza l’appoggio delle grandi case di produzione, dura il tempo di una proiezione, non di più. La fatica per la propria opera continua, perché la Mostra di Venezia, che dovrebbe essere solo una tappa del percorso del proprio film, troppo spesso è solo un punto di arrivo. Se non c’è interesse già prima del festival, i distributori non comprano e, a volte, anche quando vorrebbero. Tra i corridoi, i bar e le riviste del Lido si fa un gran parlare di film, tra stroncature e appelli al capolavoro, ma poi senti anche qualcuno che di cinema ci vive e, oltre alle immagini, commenta quello che c’è dietro: la vita da cineasta. Quando si parla di cinema italiano, poi, il discorso s’ina- sprisce, si alimenta e a volte, fortunatamente, sfocia in qualcosa di propositivo. La proiezione alla villa degli Autori del cortometraggio Esordire in Europa di Matteo Berdini ha dato il via a una discussione sulle modalità di fare cinema in Italia, a partire da un analisi del sistema di produzione vigente negli altri stati europei, con particolare attenzione alle opere prime. Perché la crisi economica c’è ed è vero, ma il problema della produzioni italiane è a monte e non si può sempre ridurre tutto ad una questione economica, forse sarebbe meglio parlare di gestione culturale. Guardiamo a Paesi vicini culturalmente, come Francia o Germania, dove il CNC (Centre National du Cinéma) reperisce automaticamente fondi che investe in nuove produzioni, di cui una settantina sono esordi, e nel sostegno delle distribuzioni indipendenti sui vari media, o il DFF (The German Film Fund), modello di successo vicino a quello francese, che si appoggia a finanziamenti diretti dal governo e una gestione capillare inquadrata in un’ottica federale. Sistemi di gestione che se non vincono, almeno riescono ad arginare lo strapotere hollywoodiano e a tenere in moto la cultura cinematografica nazionale. In Spagna il Ministero della Cultura, che presto si trasformerà in Agenzia, ha varato una legge generale nel 2007 per regolamentare il sostegno che ogni anno aiuta più di duecento film tra produzioni, distributori ed esercenti. In Italia l’unica “legge cinema” organica, se si eccettuano gli interventi urgenti effettuati nel 1994, risale al 1965 e ancora non è stato tentato di legiferare considerando tutti gli aspetti in maniera coordinata. La Romania ha invece aperto le porte ai giovani autori con l’istituzione del Centro Nazionale per il Cinema, realizzato su calco di quello francese, grazie all’applicazione di nuove leggi varate ad hoc qualche anno fa. Ovviamente le risorse a disposizione sono diverse, ma modalità di reperimento fonti e sostegno alla produzione fanno in modo che ogni anno vedano la luce una ventina di film capaci, anche, di raggiungere il mercato estero. Ma torniamo entro i confini. Le ultime azioni tese a favorire la cultura cinematografica nazionale hanno aiutato sostanzialmente la fiction, la pubblicità e i grandi distributori, gli unici settori che hanno visto una crescita negli anni. L’introduzione del cosidetto reference system, che avrebbe dovuto guidare le commissioni nella scelta delle opere da sostenere, ha prodotto una griglia che si limita ad escludere nuovi autori e produttori dal mercato, che non potendo presentare cast e produzioni di lungo curriculum di successi alle spalle, viene in pratica escluso dai criteri di reference. Il product placement, che ha legalizzato la possibilità di utilizzare marchi all’interno del film, ha creato veri e propri sponsor della pellicola, portando finanziamenti è vero, ma è anche andato a interferire pesantemente nelle scelte artistiche sia nella fase di scrittura che in quella realizzativa. E poi una domanda, quale brand investirebbe in pubblicità su un film che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe proiettato in una decina di sale? Paola Randi, regista in Mostra con Into Paradiso, ha lanciato un grido disperato contro la condizione italiana attuale: non si può avere una famiglia e fare cinema. E qui viene fuori la vera questione degli emergenti, che anche quando incontrano produttori illuminati che li sostengono, hanno bisogno di un “mecenate”, molto spesso in forma di secondi lavori, o della famiglia che li aiutino durante la fase di realizzazione dell’opera. Gli autori sono sempre più vicini a diventare produttori di se stessi. Il regista va dal produttore per finanziare il progetto, il produttore chiede a sua volta al regista che, davanti alla scelta di realizzare o no il proprio film, non può che accettare di investire tutto quello che ha. Il regista dunque, diventato autore con la nouvelle vague, diventa filmmaker e non è solo un problema di linguistica e traduzione. Sempre più spesso il regista deve proporsi come una figura capace di gestire, non solo creativamente, tutte le fasi della realizzazione dell’opera. Ma consoliamoci, a volte è un bene. Andrea Socrate Falconi 07 SET Approfondimenti 2010 l’ecoARCA - daily gratuito scritto, stampato e distribuito presso la 67 mostra internazionale d’arte cinematografica di venezia 4 Il Cinepanettone? Un affresco Christian De Sica e Jerry Calà arrivati al Lido per la proiezione di Vacanze di Natale. “La situazione comica (19371988)” è la retrospettiva della 67 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, dedicata al cinema comico italiano troppo spesso rimasto nell’ombra. Curata da Marco Giusti, Domenico Monetti e Luca Pallanch, prevede la proiezione di una trentina di opere dagli anni ‘30 ai pieni anni ‘80. Di tutti i generi italiani, il comico è sempre stato il grande polmone economico e popolare del nostro cinema, dai tempi di Totò giù fino ai cinepanettoni. Alcuni dei più popolari comici italiani: Diego Abatantuono, Lino Banfi, Lando Buzzanca, Christian De Sica, Enrico Montesano, Renato Pozzetto, Gigi Proietti, Carlo Verdone, Paolo Villaggio sono stati invitati alla Mostra per ricordare film e i colleghi del passato, ai quali possono essere accostati sia per quanto riguarda le discendenze che per le affinità. Ieri dopo la proiezione del film Vacanze di Natale, di Carlo e Enrico Vanzina, abbiamo avuto l’occasione di fare qualche domanda a Christian De Sica e Jerry Calà presenti in sala. Christian cosa si prova a venire qui alla Mostra del Cinema con il primo film della saga di Vacanze di Natale? Era ora, a Venezia finalmente sdogana il cinepanettone. Ci voleva. Anche perché spesso riesce a spiegare, molto meglio di tanti film, il nostro Paese. Perché con l’ironia, con la comicità, anche scurrile, puoi far arrivare dei messaggi forti più che salendo sulla cattedra a dare delle lezioni. Io l’ultima volta sono venuto qui alla Mostra nel 1959 con mio padre per Il generale Della Rovere. Oggi torno con Vacanze di Natale di 27 anni fa. Voleva dire che dovevo tornare prima di andare sul set del 27° cinepanettone. Sei stato accolto da super star al Lido insieme ad Aurelio De Laurentiis calcando il red carpet del pomeriggio domenicale, tra gli applausi e le grida dei fan. Stesso entusiasmo che si è riversato in sala per la proiezione. Come mai piace così tanto il cinepanettone? Piace perché è un bellissimo affresco della borghesia italiana degli anni ‘80 e credo che non molti sono riusciti a raccontare l’Italia come l’abbiamo fatto noi. Con questi film si è rac- contata l’evoluzione dell’Italia, dall’edonismo craxiano anni ‘80 alla tangentopoli degli anni ‘90, a chissà che cosa nel terzo millennio. Noi lo stiamo ancora cercando fotografando i vizi e i vezzi degli italiani. Jerry, secondo il tuo punto di vista, quanto è cambiata la comicità nel cinema? Nel cinema italiano si verificano degli strani pentimenti, per cui i comici sembra si vergognino di fare ridere e cercano di fare il film impegnato per piacere alla critica, invece poi si accorgono che il pubblico li va a vedere perché si vuole divertire. In Italia la commedia è sempre stata un po’ classificata come un genere demenziale, specialmente dai festival e dalla critica. Il fatto che questa retrospettiva rivaluti delle commedie che non sono state trattate bene dalla critica ma che poi ssono diventate con il tempo dei cult è una cosa molto importante che apre le porte allo sdoganamento di questo genere. Sembra che un film per essere di qualità debba essere noioso. Quindi quali sono i cambiamenti che si dovrebbero apportare per non cadere nella demenzialità? Si dovrebbe investire di più sulla commedia, non limitando il campo soltando a quei comici che piacciono al pubblico. Bisognerebbe investire sulla scrittura di eventi esilaranti, divertenti, in questo modo gli attori comici diventano la ciliegina sulla torta. I film vanno fatti avendo prima una sceneggiatura e poi gli attori, non il contrario. Durante la proiezione di Vacanze di Natale la gente in sala era compiaciuta e divertita durante la proiezione. Dopo tanti anni quali sono state invece le tue impressioni rivedendolo sul grande schermo? Io ho fatto solo il primo della serie dei cinepanettoni, questo è un film perfetto. Satira di costume straordinaria, feeling perfetto tra personaggio e storia. Interpretavo un playboiuncolo, suonatore provinciale, insomma niente era forzato perché noi ci divertivamo sul set. Ti è mai venuta la voglia di metterti in gioco e presentare un tuo film ad un Festival come quello di Venezia? Sono già stato ad un festival tanti anni fa con il film di Marco Ferreri “Diario di un vizio”, vincendo il premio della critica italiana a Berlino. Parteciperei volentieri ad una manifestazione del genere, ma il problema è arrivarci per uno che ha fatto della comicità le basi della sua carriera. Una volta ho detto ad un produttore che stavo lavorando su un progetto con una tematica molto importante e dura e la sua risposta è stata “perché non lo firmi con un altro nome?”, questo dovrebbe farti capire come funziona il nostro cinema. Mary Calvi 07 SET A pprofondimenti 2010 l’ecoARCA - daily gratuito scritto, stampato e distribuito presso la 67 mostra internazionale d’arte cinematografica di venezia 5 Regista per caso Inatteso esordio dietro la macchina da presa di Michela Cescon In apertura del film “20 Sigarette” viene proiettato “Come un soffio”, cortometraggio di Michela Cescon (attrice, tra gli altri, di Primo Amore), prodotto da Giovanni Veronesi con Valeria Golino e Alessio Boni. “Come un soffio” parla di abbandono, di fantasmi, del vuoto lasciato dalla perdita di una persona cara e della sua accettazione. Incontriamo la regista Michela Cescon per capire come nasca questo progetto e come abbia vissuto il passaggio dietro la macchina da presa. Michela, sei stata diretta dai maggiori registi italiani: Ozpeteck,Garrone,Giordana, Bellocchio, per citarne solo alcuni. Come mai questa svolta? La regia è un sogno o una scommessa? Michela Cescon: È una scommessa, non è venuta da me. Tre anni fa ero a Verona, ad un festival chiamato “Schermi d’amore” come giurata e il presidente della giuria era Giovanni Veronesi che non conoscevo. Dopo tre giorni insieme, parlando di cinema e confrontandoci su quello che vedevamo, lui mi ha detto: “Cescon scrivi che ti produco un corto”. Io lì per lì l’ho presa così, come una cosa detta tanto per dire, lui ha insistito e allora ho capito che era una cosa seria. C’ho messo tanto, tre anni, perché nel frattempo ho fatto altre cose. Regista per caso quindi… M.C.: Esatto, ed è una cosa molto bella e molto rara, soprattutto da dire ai giovani. Sembra sempre che nessuno ti dia una possibilità e invece nella vita ogni tanto le occasioni possono arrivare. Non nascendo da te deve essere stato strano il passaggio, come hai vissuto questo cambiamento? M.C.: Si, all’inizio è stato davvero strano, ma col senno di poi mi dico che Giovanni ha visto cose di me prima di me stessa. Come nasce questo progetto? M.C.: Appena tornata a Roma ho capito che volevo chiamare a lavorare con me le persone che in questi anni mi avevano impressionato con il loro lavoro, proponendogli di partecipare ad un corto, che significa costo zero, quindi lavoro per passione. Per prima ho chiamato Linda Ferri, scrittrice e sceneggiatrice tra gli altri de “La Stanza del Figlio” e “Anche libero va bene”. Lei era occupatissima, ma aveva questo testo teatrale che ha voluto regalarmi: l’idea mi è piaciuta da subito, chiaramente ho dovuto riadattare un’opera della durata di un’ora e mezza in sette minuti. Poi ho chiamato Valeria Golino, che non conoscevo. Ma avevo deciso da subito di voler lavorare con lei. E intendevo non esserci io, scelta anomala dato che spesso gli attori dirigono per crearsi un ruolo che non gli viene dato da altri, invece questo non mi interessava. Dopo Valeria è venuto Alessio Boni, che invece è mio amico, ma non potevano che stare insieme, data la loro somiglianza. Quello dell’impossibilità di accettare la morte per chi rimane e, più in generale, quello dell’abbandono è un tema molto antico e molto trattato. Hai detto che il testo non nasce da te, ma lo ritieni un tema a te affine? M.C.: Si, il progetto poi è diventato molto personale, all’inizio c’è una dedica a due mie amiche che non ci sono più. Credo che, trattato con leggerezza e con un tocco di commedia, questo sia l’unico tema veramente interessante. JJ Uno sguardo al backstage Dopo qualche ultimo ritocco, la nostra sceneggiatura è finalmente pronta! Alcune scene sono state modificate e perfezionate, il superfluo è stato tolto e i dettagli limati fino a far quadrare perfettamente gli eventi. La nostra attrice protagonista e i tecnici ci hanno finalmente raggiunto, direttamente da Roma; i ragazzi si sono divisi le mansioni e questa mattina la troupe ha effettuato un sopralluogo su quello che sarà il nostro set, per poi avventurarsi alla ricerca di tutto l’occorrente necessario ad allestire le scenografie. Ma non è finita qui: gli attori sono tuttora impegnati nella prova dei costumi di scena e tutti sono coinvolti nella ricerca di quei tocchi di stile che non siamo ancora riusciti a recuperare, come un papillon che nessuno, ahimé, sembra aver portato con sé in valigia... saremo un po’ carenti in eleganza? Può darsi... ma potete star sicuri che, in compenso, nella realizzazione del nostro piccolo grande film ce la metteremo tutta! Serena Bozzi Questa malinconia e nostalgia per qualcuno che non c’è più, o forse c’è e comunque ti piacerebbe ritrovare penso che sia un tema universale. Tu personalmente come ti comporti con i fantasmi? Ci convivi o li lasci andare per poter ricostruire e ricominciare? M.C.: Un po’ ci convivo, ma quando comincio a sentire la loro presenza gli dico:“So che ci sei, ma lasciami stare”, cerco di non vederli troppo. Ovviamente i fantasmi ci sono sempre e mi piace che mi accompagnino, ma non voglio vederli troppo. La prossima volta ti vedremo dietro o davanti la macchina da presa? M.C.: Continuo a stare davanti, ma questa esperienza da regista mi è piaciuta molto. Ora partecipo ad un film di Cristina Comencini che stiamo girando sul monte Rosa, tratto da un suo libro che si chiama “L’ultima notte”. Quanto alla regia a settembre ho un nuovo appuntamento con Linda Ferri, ci rincontriamo e vediamo cosa succede… Flavio Nuccitelli 07 SET Approfondimenti 2010 l’ecoARCA - daily gratuito scritto, stampato e distribuito presso la 67 mostra internazionale d’arte cinematografica di venezia 6 Vallanzasca si prende il Lido Il film più contestato raccontato in conferenza stampa dal regista e dagli interpreti Rifiutato da Rai e Medusa, il “Vallanzasca” di Michele Placido è stato prodotto dalla Fox. Renato Vallanzasca Costantini, autore negli anni settanta e seguenti di numerose rapine, sequestri, omicidi ed evasioni, attualmente sta scontando una condanna complessiva a quattro ergastoli e 260 anni di reclusione. L’intento di Placido non è quello di entrare nel merito della questione ma soltanto un nuovo e rischioso modo di mettersi in gioco con un personaggio spinoso. L’approccio è asettico, in bilico tra la normalità e la devianza, pregno di dolorosi spunti emozionali. E’ la discesa agli Inferi. In conferenza stampa erano presenti il regista Michele Placido e gli interpreti Kim Rossi Stuart e Moritz Bleibtreu. Oggi è stata pubblicata una lettera sul “Corriere della sera” da parte dei parenti delle vittime di Vallanzasca in cui si sottolineava che, in fondo, questo film è stato un voler glorificare un personaggio già esaltato. In fase di scrittura si è posto il problema delle probabili accuse di spettacolarizzazione di un criminale? Michele Placido: Non ho letto l’articolo sul Corriere ma, ad ogni modo, in questi ultimi mesi se ne sono dette tante. Credo che dal dopoguerra ad oggi ce ne siano stati di criminali, stragi mafiose, terrorismo nero e rosso. Vallanzasca è stato un criminale, ma uno dei pochi che ha ammesso tutto di sua sponte. Credo che ci siano delle persone in Parlamento che abbiano fatto peggio. È libertà di pensiero e di espressione. Ho avuto delle remore prima di iniziare a girare. Da piccolo ho frequentato un collegio di preti, sono stato poliziotto; poi mi sono detto che ero in grado di raccontare artisticamente una parte oscura. Abbiamo lavorato con l’onestà che ci distingue e con la dovuta distanza dal personaggio. Quel che è singolare è che Vallanzasca è stato troppo bello, negli anni ‘70 è stato un mito, in parte anche per la stampa; possedeva simpatia e leggerezza che spiazzava ed affascinava. E’ stato una mente criminale diversa dagli altri. La sua interpretazione è assolutamente credibile, anche il suo milanese. Come si è preparato? Kim Rossi Stuart: Ieri Michele mi ha citato una frase di Brecht che non conoscevo: “Mi sono seduto nel posto di chi ha torto perché gli altri posti erano occupati”. L’ho trovata molto calzante e filosofica. Vallanzasca non è un furbo, vizio molto italiano, che crea problemi. Capisco i parenti delle vittime, di chi ha sofferto, però il cinema e la letteratura devono occuparsi anche di queste storie. Per quel che riguarda il milanese, ho vissuto molto tempo a Milano anche se non è stato così semplice. Massimo Sabet, molto in gamba, nonché esperto di teatro milanese, mi ha aiutato tanto in questo senso. Come sei arrivato a questo personaggio e a questo film? Hai dato prova di grande abilità nella padronanza della lingua italiana... Moritz Bleibtreu: In realtà la mia voce è stata doppiata. Ad ogni modo vivo qui in Italia da quando avevo 19 anni e questo film per me ha significato tantissimo. Uno dei momenti più importanti della vita di un attore. Michele Placido: E’ stato davvero bravo nella reci- tazione. Durante la fase di montaggio ho lasciato due sue frasi in originale, perché la sua voce e quella del doppiatore sono praticamente uguali. Ci sono grandi italiani, statisti, sportivi, che hanno fatto importanti cose buone. Nel 2010 era proprio necessario fare un film su Vallanzasca? Michele Placido: In realtà ho fatto anche un film su Padre Pio. Hai mai visto “Un eroe borghese”? Ho fatto anche un film su un monarca ucciso dalla mafia. Vallanzasca era necessario per raccontare il male ed il bene che c’è in voi ed in me. Hai collaborato alla sceneggiatura del film. Hai davvero incontrato Vallanzasca? Kim Rossi Stuart: L’ho incontrato più volte ed è stato essenziale. E l’atmosfera era incredibile, quasi surreale. Lei parla di etica criminale. Può ampliare il concetto? Michele Placido: Vallanzasca è un criminale, lo dice e lo confessa. L’etica è non tradire certi aspetti poco comprensibili per la morale di noi persone perbene. Alcuni crimini della banda, Vallanzasca dichiara di averli compiuti personalmente, anche se poi effettivamente non è stato così. Non ha mai sparato a persone inermi. Le persone uccise sono state 24/28; crimini compiuti in una stagione di 6 mesi di follia in cui è precipitato in un baratro. Credo che dovremmo fare appello alla legge della pietas, a volte l’Italia è un paese daltonico da molti punti di vista. Vallanzasca non va perdonato ma vorrei che la società facesse venir fuori il suo lato “cristiano”. L’ultimo delitto compiuto me lo ha confessato pochi giorni prima delle riprese, aspetto che nel film compaia. Uccidere un pentito era un dovere. E’ sbagliato ma anche questo significa avere un’etica criminale. Non lo ha nascosto, lo ha dichiarato. E’ la sua etica, è il suo viaggio. Non vogliamo assolutamente assolverlo ma raccontare la “via crucis” del male. Parlando di Vallanzasca dal punto di vista filologico, è stato a Roma ed ha avuto contatti con la banda della Magliana, perché non lo ha menzionato? Michele Placido: Lui non ha voluto contatti con la destra politica né contatti con la mafia. Non voleva avere a che fare con un’organizzazione come la mafia che tende all’arricchimento, che compie delitti di ogni genere, che usa bombe. Non ho inserito quest’aspetto perché si entrava nell’ambito politico e ci sarebbero stati problemi di programmazione. Lei stesso ha dichiarato di essere stato un poliziotto. Qual è stata l’immagine che ha voluto dare dei poliziotti? Perché sembrano un po’ naif, degli sprovveduti... Michele Placido: Lo erano. Non erano poliziotti come li intendiamo noi, poi fortunatamente c’è stata il cambiamento. Basti pensare alla fuga di Vallanzasca. La sua fuga fu rocambolesca: svitò l’oblò e saltò giù sul ponte, come se gli stessi poliziotti lo avessero invitato alla fuga. Tant’è vero che furono messi sotto accusa e sospettati di corruzione. Erano gli anni della lotta al terrorismo rosso o nero che fosse, la polizia era completamente spiazzata, pur essendo repressiva non era preparata per tenere a bada e catturare un criminale del calibro di Vallanzasca. Paola Tarasco 07 SET A pprofondimenti 2010 l’ecoARCA - daily gratuito scritto, stampato e distribuito presso la 67 mostra internazionale d’arte cinematografica di venezia 7 La memoria dei “gulag” cinesi Wang Bing ci parla de “Il Fossato”, film a sorpresa in concorso alla Mostra Esordio nella fiction del documentarista cinese Wang Bing, “The Ditch – Il Fossato” è il film a sorpresa in concorso alla Mostra. Coprodotto da Francia e Belgio e girato in clandestinità, è ambientato alla fine degli anni ‘50 in un gulag cinese dove i dissidenti contro il regime comunista venivano deportati e costretti ai lavori forzati in condizioni disumane. Un film coraggioso e radicale, la cui lavorazione ha richiesto molti anni, dal 2004 al marzo 2010. Quali sono state le difficoltà che ha dovuto affrontare per realizzare questo film? Wang Bing: Mi son dovuto documentare sul periodo storico. Dovevo comprendere gli anni ‘50 e ‘60 per poter essere veritiero e restituire un’immagine della realtà storica il più possibile fedele. E’ stato molto difficile anche trovare i finanziamenti, ma la vera sfida è stata girare nel deserto dei Gobi, una zona tutt’altro che ospitale. Come ha lavorato con gli attori? W. B.: Ho utilizzato attori di provenienze diverse, sia professionisti che non, ed ho guidato tutto il cast verso un tipo di recitazione naturale e non costruita. Il mio obiettivo era quello di fondere documentario e finzione al fine di ottenere un effetto di verità: credo che ormai non ci sia tanta differenza tra questi due generi. E’ difficile oggi fare un film di protesta in Cina senza l’aiuto di capitali europei? W. B.: Non credo sia un film di denuncia, piuttosto è un film critico e costruttivo. L’abbiamo fatto per non dimenticare la memoria del nostro passato. Non siamo contro niente e nessuno, vogliamo solo che il film restituisca dignità, ugua- glianza e rispetto alle persone. Non sarà un film di protesta ma è sicuramente un’opera politica su un tema ancora considerato tabù. W. B.: La politica è sempre qualcosa di cui si deve parlare, ma come un modo per scam- biare opinioni e non come atteggiamento di scontro. Ho rappresentato le sofferenze del popolo cinese per riflettere sul senso della storia, sul modo con cui l’esperienza del passato può e deve influire sul futuro e sul destino della società. Il film è politico nel senso che vuole aprire una discussione libera. Ma è anche pieno di amore e speranza, la speranza di porre le basi per rapporti amichevoli e rispettosi fra gli uomini, sia in Cina che altrove. Ferdinando Schiavone L’universo delle Film commission Il problema dei finanziamenti affrontanto in un incontro Nel primo pomeriggio dell’altro ieri si è tenuto, alla “Villa degli autori”, il secondo incontro organizzato dall’associazione dei “100 autori” per discutere sul rapporto tra cinema ed economia. Se il primo di questi, partendo dall’inchiesta Esordire in Europa, rifletteva sulla difficoltà degli autori per realizzare la loro opera prima, il secondo affronta l’argomento, di stretta attualità, delle film commission. La questione è complicata perché coinvolge svariati enti politici e forze economiche, ma il problema del reperimento dei finanziamenti necessari per la realizzazione di un prodotto audiovisivo è fondamentale, perché nel cinema ogni progetto, ogni idea, senza un’adeguata base economica, resta tale. Il cinema è un bambino (direbbe Celestini), ha bisogno di tante attenzioni: ha bisogno di attrezzature costose, ha bisogno di poter fare spostamenti, ha bisogno di costumi e scenografie. Con queste premesse diventa importantissimo per gli autori poter avere un punto di riferimento certo e affidabile a cui rivolgersi. Le film commission regionali di cui si discute sempre più spesso e che prendono sempre più forza hanno, senza dubbio, vari vantaggi. Il primo è che un produttore privato difficilmente concede un finanziamento per un progetto che non gli garantisca un ritorno economico sicuro, e ciò, di solito, va a scapito dei giovani autori e di quelle opere con meno mercato, che hanno comunque un gran valore artistico. Una film commission regionale invece, soprattutto dopo i recenti tagli statali su tutto ciò che è cultura in questa nazione, potrebbe garantire quella spinta verso la ricerca nel campo dell’audio- visivo. Il rischio, come notato dal presidente della film commission del Piemonte, è che le richieste delle regioni non tendano a incentivare l’arte e l’occupazione, ma soltanto la pubblicizzazione del proprio territorio. Un altro vantaggio è quello di assecondare la tendenza di decentramento degli ultimi tempi, ad esempio con l’attività di Diritti a Bologna e della scuola di documetari di Torino, che sono strettamente legati al territorio. Il discorso ovviamente è molto più ampio, ma è importante che se ne parli per capire in che direzione si muovono gli autori per la salvaguardia del proprio lavoro e della propria arte. Valerio Montemurro 07 SET Approfondimenti 2010 l’ecoARCA - daily gratuito scritto, stampato e distribuito presso la 67 mostra internazionale d’arte cinematografica di venezia 8 Mario Martone racconta il Risorgimento Il regista napoletano oggi in concorso con l’epopea di “Noi Credevamo” Nel corso della propria prolifica vita artistica divisa tra cinema e teatro (è oggi direttore del Teatro Stabile di Torino e la fusione della sua Falso Movimento con il Teatro Studio di Caserta di Toni Servillo e il Teatro dei Mutamenti di Antonio Neiwiller portò nel 1987 alla nascita di Teatri Uniti), Mario Martone si è più volte dedicato ad adattamenti di origine letteraria: da “L’Amore Molesto” (1998), tratto dalle pagine di Elena Ferrante a “L’Odore del Sangue” (2004), dal romanzo di Goffredo Parise: due film molto diversi, legati però da una scrittura sprofondata nella psiche dei personaggi, interessata all’indagine dei ricordi rimossi, dei legami tra desideri e vita reale. Si tratta di un tipo di indagine psicologica che in “Noi Credevamo” di Anna Banti – alla base dell’ultimo film del regista campano presentato oggi in concorso alla 67esima Mostra, 204 minuti di epopea storica – prende la forma di un’impietosa autoanalisi nella quale il protagonista Domenico, attivista e rivoluzionario negli anni delle lotte risorgimentali (che la scrittrice ricalca sulla figura del proprio nonno), si macera giudicando con durezza la linea della propria esistenza, alla ricerca di errori, macchie, colpe. “La lotta si è conclusa in un fallimento: voglio dire che mi ritrovo al punto di partenza, cioè di non sapere se ho camminato per vie diritte o storte” scrive il Domenico del romanzo che nel film avrà il volto di Luigi Lo Cascio “e il male non è tutto qui, perché l’età e la stanchezza non mi hanno guarito dalla smania di andare in fondo, di rovesciarmi come un guanto e scoprire in me il seme di ciò che chiamiamo destino e che dipende invece dallo scatto delle nostre decisioni”. Inevitabile operare un confronto tra i fallimenti privati del personaggio e quelli collettivi di una nazione di cui la Banti ieri e Martone oggi, intendono indagare la nascita. Fiorentina di origini calabresi, la Banti è stata scrittrice, traduttrice e curatrice di “Paragone”, rivista culturale co-fondata col marito Roberto Longhi. Oggi è semidimenticata, tanto che molto delle sue opere, compreso “Noi Credevamo” (1967), non vengono più pubblicate da decenni. Martone ha lavorato alla sceneggiatura con Giancarlo De Cataldo, già autore di “Romanzo Criminale”, ispirandosi solo in parte alla prosa elegante e pensosa di Anna Banti: “Abbiamo individuato tre figure minori tra i cospiratori italiani dell’Ottocento (Domenico Lopresti, Giuseppe Andrea Pieri e Antonio Sciambra) e abbiamo attribuito le loro vicende a tre personaggi di nostra immaginazione”. I protagonisti del film diventano così tre. A Domenico si aggiungono Angelo e Salvatore, giovani rivoluzionari di origine meridionale. Il film attinge in più punti anche alla lunga e per tanti versi oscura cronologia del Risorgimento italiano (Martone parla di “fatti, comportamenti e parole attinti rigorosamente alla documentazione storiografica”). Ecco quindi Toni Servillo nei panni di Giuseppe Mazzini, Francesca Inaudi e Anna Bonaiuto in quelli di Cristina di Belgiojoso (personalità di spicco della cultura risorgimentale italiana, attiva nella difesa della Repubblica Romana nel 1849 dirigendo il servizio delle ambulanze militari, è stata scrittrice e giornalista); Andrea Renzi, altro nome importante della compagnia di Teatri Uniti, è Sigismondo da Castromediano – salentino, è stato patriota e successivamente membro del primo Parlamento italiano – presente anche nelle pagine della Banti (Domenico lo descrive come un «cuore candido», come il «paragone della dirittura morale»); Luca Zingaretti è Francesco Crispi, mentre Renato Carpentieri e Luca Barbareschi incarnano rispettivamente Carlo Poerio e Antonio Gallenga. Giancarlo De Cataldo è anche autore di un’intervista impossibile a Giuseppe Mazzini, interpretato però da Remo Girone, pubblicata qualche settimana fa sul Venerdì di Repubblica e messa in scena pochi giorni fa nell’ambito della quarantesima edizione di Settembre al Borgo a Caserta Vecchia. Valentina Alfonsi 07 SET R ecensioni 2010 l’ecoARCA - daily gratuito scritto, stampato e distribuito presso la 67 mostra internazionale d’arte cinematografica di venezia 9 Vallanzasca - Gli angeli del male Sinossi di Michele Placido - Italia, 125’ con Kim Rosssi Stuart, filippo Timi, Moritz Bleibtreu, Valeria Solarinio Nella Milano degli anni Settanta regna l’incontrastato Francis Turatello quando la batteria di Renato Vallanzasca emerge prepotentemente. La vicenda ripercorre ascesa e caduta del gruppo di outsiders della Comasina. Si alternano, così, nel racconto cinematografico, la sua vita, i crimini, gli arresti, le sue celebri fughe, fino alla sua inevitabile e definitiva cattura. Commento Michele Placido dirige con buon mestiere un’altra pagina nera della nostra storia italiana. Inevitabili le assonanze con Romanzo Criminale, anche se qui si parla delle gesta di un singolo personaggio più che di una storia corale e complessa che coinvolgeva politica, servizi deviati, mafia e quant’altro si potesse pensare. Kim Rossi Stuart, autore ancora una volta di un’ottima prova, incarna perfettamenmte il ruolo di angelo del male. In modo sobrio ed asciutto racconta la ribellione di un uomo senza scivolare nel cliché del loser. C’è una frase che racchiude il senso dell’intrepretazione, quando il bel Renè dice: “Io non sono cattivo ma il lato oscuro in me è fortemente pronunciato”. Si sottolina, in questo modo, una interpretazione della vita del bandito non legata ad elementi sociali ma asso- lutamente personali. Si tratta di una scelta. Quella scelta che Placido racconta consapevole della inevitabile coda polemica che il film ha già innestato. Ottimo il cast, i costumi, le ambientazioni. Frabio Cacatini La passione Sinossi di Carlo Mazzacurati - Italia, 106’ con Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Corrado Guzzanti, Cristiana Capotondi Gianni Dubois è un regista italiano in crisi che non riesce a scrivere un soggetto originale e che viene ingaggiato “sotto ricatto” da un paesino toscano per dirigere la rappresentazione della Passione di Cristo il giorno del venerdì Santo. Così si ritrova a trascorrere una settimana nella Toscana più profonda nel tentativo di mettere in piedi una sorta di via Crucis dove spicca un pessimo quanto vanitoso attore locale nella parte di Cristo. Commento Tra le righe emerge una sfumatura un po’ amara che è quella della religione, del rapporto tra la gente e la sacralità. Il film è arricchito dalle straordinarie interpretazioni di un cast dal grande valore artistico in cui spicca un esilarante Silvio Orlando e poi Stefania Sandrelli e Corrado Guzzanti che aggiungono pepe e ironia alla storia. Bravo anche Giuseppe Battiston nella parte di un Cristo con qualche chilo di troppo. Ma in fondo, come si evince da una battuta del film, “anche Cristo adesso sarebbe stato grasso”. Il rischio di approcciarsi a una storia del genere, all’eterna conflittualità tra uomo e fede, era quello di scadere nella banalità. Ma Mazzacurati l’ha saputo evitare, regalando più di una risata agli spettatori e riuscendo a delineare la realtà quotidiana, con tutti i suoi problemi, con semplicità, senza retorica. Da non trascurare, infine, un altro aspetto: che il film, cioè, riesce sì a far ridere ma senza cadere sulla volgarità. E il pubblico ha dimostrato di apprezzare con un lungo e scrosciante applauso alla fine della proiezione. Scenografia caratteristica, molto curata e mai eccessiva che ci aiuta a entrare nel contesto e nel profondo del film. La pellicola non delude insomma le aspettative del pubblico. Alice Coiro e Ilaria Caterini 07 SET Recensioni 2010 l’ecoARCA - daily gratuito scritto, stampato e distribuito presso la 67 mostra internazionale d’arte cinematografica di venezia 10 Promises Written in Water Sinossi di Vincent Gallo - USA, 75’ - con Vincent Gallo, Delfine Bafort, Sage Stallone, Lisa Love Una bella ragazza sciupauomini viene colpita da una malattia incurabile e affida la sua ultima volontà ad un fotografo. Nessun dolore e le sue ceneri in acqua: potrà accontentarla solo il protagonista, interpretato dallo stesso regista Vincent Gallo, che cercherà lavoro in un’impresa di pompe funebri per potersene occupare di persona. Commento Vincent Gallo ritorna dietro la camera da presa e se la fissa sul volto. Protagonista assoluto dei suoi lavori, anche nella pellicola in bianco e nero sbarcata al Lido si compiace tanto di quello sguardo su di sé che solo lui sa regalarsi. Stavolta veste i panni di un personaggio a metà strada tra la simpatia e l’autoproclamazione, al suo fianco una coprotagonista che è motivo della storia. Nel mezzo c’è un rapporto umano - fatto di scambio di battute ripetute fino all’esasperazione - che avrà fine solo con la morte di lei. Non è amore, né amicizia. Un’attrazione (fisica?) che li avvicina e li stringe in promesse, caratteri che li allontanano. Timido e insicuro lui, sfrontata e di poche parole lei. Meno sorprendente delle precedenti pellicole da lui dirette e interpretate, meno geniale di “Buffalo 66” e lontano dallo scandalo di quel poco conosciuto “The Brown Bunny”, “Promises Written in Water” non sconterà le solite critiche. Un’opera vittima della sfrontatezza del regista – vanitoso sul lavoro come pochi altri - che è al tempo stesso sceneggiatore, produttore e autore delle musiche. Riuscendo sempre bene, direbbero gli affezionati che riconoscono il marchio di fabbrica. Il risultato momentaneo vede poco contenta la stampa e tanto curioso il pubblico. Ora tocca alla Giuria. Micaela De Bernardo I’m Still Here Sinossi di Casey Affleck - USA, 108’ con Joaquin Phoenix A partire dall’autunno del 2008 l’attore Joaquin Phoenix viene “pedinato” con la macchina da presa dal cognato Casey Affleck che ne segue la discesa verso l’abisso dopo la sua dichiarazione di voler chiudere con la carriera cinematografica. Phoenix, le cui fattezze appaiono quasi irriconoscibili a causa di un gran barbone e di una capigliatura leonina, ci viene mostrato nel suo processo di reinvenzione di se stesso e nel suo progressivo avvicinarsi al mondo dell’ hip hop. Il suo tentativo di lavorare ad un disco con P. Diddy diviene sempre di più un’utopia e il suo atteggiamento scontroso e burbero nei confronti di colleghi e giornalisti lo rendono oggetto di pubblico scherno e di pettegolezzi. Commento Un bambino si tuffa in acqua circondato da un verde fogliame sotto lo sguardo del padre. Così inizia l’opera di Casey Affleck che fino all’ultimo lascia lo spettatore nel dubbio: si tratta di verità o di finzione, di film o di documentario? Vedere una grande promessa del cinema contemporaneo due volte candidato agli Oscar “spogliarsi” metaforicamente e letteralmente davanti alla macchina da presa lascia talmente sbigottito lo spettatore che quest’ultimo non riesce o non vuole credere che quell’individuo con il panzone sia il Commodo de “Il gla- diatore”. Credere o non credere, questo è il problema. Ma, proseguendo con le citazioni, l’essenziale è invisibile agli occhi. Affleck ci mostra che Phoenix “è ancora qui” ma dove sia il qui è compito dello spettatore scoprirlo. Forse è semplicemente lì dove l’abbiamo lasciato all’inizio del film. Lui, che per un periodo si è fatto chiamare Leaf (foglia), ritorna a immergersi nel fiume (River, come il fratello morto di overdose nel 1993 a soli 23 anni), vagando alla ricerca di una nuova identità o di un nuovo senso. Roberta Carbone 07 SET R ecensioni 2010 l’ecoARCA - daily gratuito scritto, stampato e distribuito presso la 67 mostra internazionale d’arte cinematografica di venezia 11 Un po’ di corti... Uno sguardo ad alcuni dei film brevi che popolano il Lido En quittant la salle Perla aujourd’hui je n’avais qu’une question qui me passait par la tête pourquoi j’ai pas pu garder mes yeux ouvertes pendant la projection? et la seule reponse qui me senblait logique était le contenu des courts ... A part le premier film “720 Degrees” de Ishtiaque Zico, que j’ai personnellement apprécié et pendant lequel le realisateur a evoque en cinq minutes et grace a deux tours de camera de « 360 degrees » les problèmes majeurs de l’humanité ainsi que sa vision pessimiste du monde , il m’etait vraiment difficile de comprendre les intensions des realisateurs des autres films: “indefatigeable”,” how to pick berries”, “o mondo e belo” et “cold clay,emptiness”, voir impossible pour le dernier court “voodushevlenie” qui devait, selon le synopsis ,brosser le theme du desepoir humain a travers une observation angoissante de la nature, C’est alors la faute à qui? D’une audience peu cultivée incapable de déchiffrer les codes choisit par les realisateurs, de voir au dela de l’ordinaire et de passer au niveau 1 de conprehension tout en considerant le niveau 0 primaire de base? ou celle des realisateurs incapables de s’exprimer et de bien transmettre leurs idées et intentions ... je tiens donc a dire que pour cette categorie de films dites “d’horizon ”on ne peut pas parler d’une audience ordinaire mais plutôt d’un groupe d’élites qui se spécialise au monde de cinema et du coup qui maitrise le langage cinématographique c’est a vous alors chers lecteurs de faire la conclusion ... Selma Ben Mimoun Lasciando la sala Perla oggi mi sono posta una domanda: perché non riuscivo a tenere gli occhi aperti durante la proiezione? E l’unica risposta che mi è sembrata logica è stata: il contenuto dei corti ...a parte il primo, “720 Degrees” di Ishtiaque Zico, che ho apprezzato e in cui il regista ha evocato, in cinque minuti, grazie alla camera a 360 gradi a due torri, i grandi problemi dell’umanità e la sua visione pessimistica del mondo. È stato veramente difficile comprendere le intenzioni dei registi degli altri film: “Indefatigeable”, “How to pick berries”, “O mondo e belo” e “Cold Clay, Emptiness...”. Impossibile da vedere l’ultimo corto “Voodushevlenie” che doveva, secondo la sinossi, trattare il tema della disperazione umana attraverso l’osservazioneangosciantedellanatura. Allora di chi è la colpa? Di un pubblico poco colto, incapace di decifrare i codici scelti dai registi, di vedere oltre l’ordinario e passare al livello 1 di comprensione, tenendo conto del livello di base primario 0? O dei registi incapaci di esprimersi e di trasmettere bene le loro idee ed intenzioni... Ci tengo quindi a dire che questa categoria di film chiamata “Orizzonti” non si può presentare ad un pubblico ordinario, ma piuttosto ad un gruppo d’elite specializzato nel cinema mondiale e con la padronanza del linguaggio cinematografico. A voi allora cari lettori le conclusioni... JJ Natural Born Killers Il crudele destino ha zittito la sveglia per l’odiato ma unico spettacolo delle 8emezza, concesso a noi miseri accreditati verdi. La nostra giornata al Lido ha dunque inizio con l’ormai tradizionale coda del Palabiennale, senza neanche la soddisfazione di aver visto “Somewhere”. I film della mostra ci appaiono per ora girati con maestria, ma piuttosto poveri in sceneggiatura. Dopo il sangue di “Machete” i vari accreditati, noi compresi, finiscono per ronfare, distrutti dalle code chilometriche, dai silenzi giapponesi e il solito autocompiacimento autoriale francese. Ciò nonostante entriamo convinti alla prima di “Silent souls”, film dalla fotografia piacevole che, a differenza di altri, ci sembra dotato di una lentezza “leggera” e giustificata dalla solidità della trama. Un scroscio interminabile di applausi invade inaspettatamente la Sala Grande e permette il nostro solito imbarazzante confronto con il glitterato mondo VIP. Elfman è seduto di fronte a noi e si imbarazza alla nostra richiesta di foto ricordo (forse perché indossa un cappello con visiera verde decisamente poco da gala); Salvatores si volta invitandoci cordialmente a sedere in prima fila onde evitare le nostre ginocchia nella schiena: nel farlo ci scopre in preda a un attacco di narcolessia post-feste. L’unico membro della giuria a creare un vera e propria rissa è Tarantino, siamo organizzatissimi per battere la concorrenza pulp-fanatica prima dell’arrivo del bodyguard. Questa volta ce l’abbiamo fatta, siamo i primi per l’agognato autografo. Al contrario del nostro primo incontro abbiamo l’audacia di fare una battuta sull’eleganza del nostro foglio da autografare che lo ritrae in una posa secsi.” Visto che stile, Mr Tarantino?”. Ci asseconda, prende il pennarello e scoppia a ridere. “ Il pennarello scarico vi ha rovinato lo stile”. N.B. Dobbiamo ancora perfezionare la tecnica di approccio a Mr Kill Bill. JJ Programmazione accrediti cinema del 06/09/2010 Sala Grande 11.00 14.30 16.45 22.30 Achille di Giorgia Farina Into paradiso di Paola Randi Přežít svůj život (Surviving Life) di Jan Švankmajer Promises Written In Water di Vincent Gallo Balada triste de trompeta di Álex de la Iglesia Sala Darsena 17.00 Oča (Dad) di Vlado Škafar 21.30 John’s Gone di Josh & Benny Safdie 19.00 Notre étrangère di Sarah Bouyain Ritorna l’eterna lotta tra il bene ed il male, il giusto e lo sbagliato, l’etico e l’aberrante, il dolce ed il salato, le lasagne ed i cannelloni. Torna l’attimo epico che illumina il momento della ricerca. Perchè questa é in realtá la lotta, nient’altro che la ricerca del nemico. La sua ombra si delinea tra l’ignoto, il non detto, negli spazi lasciati dall’epico alla banalitá. Dunque partiamo per la questa. Quale la nostra nemesi da sconfiggere quest’anno dopo la retromarcia? La prima forse? O il Folle? Retorica sembrerebbe l’ennesimo elogio della follia e pertanto altrettanto retorico la sua erezione a nemico per antonomasia. Altri lidi dobbiamo guardare, forse perché questo Lido non ci basta piú. La precisione forse? L’ordine? La necessita’? La stanchezza? L’obbligo? Di sicuro se le stampanti funzionassero al primo colpo sarebbe meglio. Tsumetai nettaigyo di Sion Sono Diego K. Pierini Sala Perla 14.30 Ama i grattini Paola Altomonte Raavan di Mani Ratnam 17.15 Chi di (Red Earth) di Clara Law 00.30 I Crudeli diSergio Corbucci Per questi stretti morire (cartografia di una passione) di Giuseppe Gaudino e Isabella Sandri Bofrost Stefano Cannillo Non ha visto i’UFI Sala Volpi 13.15 15.00 Massimiliano Monti Chicco di caffè Svinalängorna (Beyond) di Pernilla August Mary Calvi Woman I di Nuntanat Duangtisarn ‘Meri ‘Ca Verano de Goliat di Nicolás Pereda 17.15 20.00 22.00 Cinque ore in contanti di Mario Zampi La manina di Fatma (ep. di Cuori infranti) di Vittorio Caprioli Elisabetta Ferrando Dovere Morale, Civile, Culturale L’onorata società diRiccardo Pazzaglia In redazione: The happy poet di Paul Gordon Silvia De Marchi Sala Pasinetti 13.00 I’m still here di Casey Affleck 15.30 720 Degrees di Ishtiaque Zico, Indefatigable di Semiconductor, Miten marjoja poimitaan (How To Pick Berries) di Elina Talvensaari, O mundo è belo di Luiz Pretti, Cold Clay, Emptiness... di SJ. Ramir, Voodushvlenie (Inspiration) di Galina Myznikova/Sergey Provorov 17.30 Diane Wellington di Arnaud des Pallières Xifang qu ci bu yuan (Reconstructing Faith) di Wen Hai (Huang Wenhai) 19.30 Painès de São Vicente de Fora, Visão Poètica diManoel De Oliveira Micaela De Bernardo Andrea Socrate Falconi Micaela De Bernardo Flavio Nuccitelli Paola Tarasco Valerio Montemurro Ferdinando Schiavone Valentina Alfonsi Frabio Cacatini Alice Coiro e Ilaria Caterini Roberta Carbone Nainsukh diAmit Dutta Selma Ben Mimoun PalaBiennale 08.30 11.00 13.15 15.15 Vallanzasca - gli angeli del male di Michele Placido Film a sorpresa Essential Killing di Jerzy Skolimowski Raavanan di Mani Ratnam 18.00 Achille diGiorgia Farina 20.30 Noi credevamo di Mario Martone Into paradiso diPaola Rondi Balada triste de Trompeta di Álex de la Iglesia Seguici su: http://www.loudvision.it