Primavera di Francia

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Primavera di Francia
Primavera di Francia
Domenica 06 Maggio 2012 23:00
di Fabrizio Casari
Diciassette anni dopo Francoise Mitterrand, Francois Hollande, socialista, è il nuovo Presidente
della Repubblica francese, avendo battuto al ballottaggio il Presidente uscente Sarkozy, tra i
peggiori capi di Stato della storia moderna d’Oltralpe. Un risultato che era prevedibile sia in virtù
dei sondaggi, sia perché mai era accaduto che il presidente uscente fosse uscito dal primo
turno elettorale in svantaggio nei confronti dello sfidante.
A nulla sono valse le sue bassezze elettorali, quali l’agitare lo spettro dell’isolamento francese
in Europa, indicando nei mercati internazionali i primi avversari delle tesi socialiste e della
stessa persona di Hollande, prefigurando sciagure finanziarie per i Transalpini.
L’inquilino - ora sfrattato - dell’Eliseo, nella disperata rincorsa ai voti dell’estrema destra, aveva
apertamente dichiarato di voler assumere alcuni dei temi agitati dai lepenisti come agenda
politica per il prossimo mandato, violando così la tradizione repubblicana gaullista che mai
aveva avuto tentennamenti nei confronti della destra, sapendo discernere con nettezza le
politiche conservatrici da quelle apertamente reazionarie.
Sarkozy, dunque, ha pagato amaramente sia il suo narciso egocentrismo, sia aver rotto il patto
costituzionale storico francese, che impone la salvaguardia dei valori repubblicani nati dalla
guerra di liberazione dal nazifascismo.
Alcuni degli analisti e dei commentatori rilevano come, dal momento che la somma dei voti al
primo turno ha mostrato una maggioranza di destra nell’elettorato francese, più che la vittoria di
Hollande la Francia abbia voluto sconfiggere Sarkozy. A riprova di questa tesi si ricorda che i
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conservatori, forti del 9% dei voti, abbiano detto sin dal giorno successivo al primo turno che
non avrebbero dato indicazioni di voto per Sarkozy ed è anche vero che la stessa Le Pen ha
rifiutato d’indicare in Sarkozy un’ipotesi di voto per il suo elettorato. Il disprezzo per l’ex inquilino
dell’Eliseo ha indubbiamente attraversato il paese intero.
Ma ritenere questi gli elementi decisivi sarebbe limitato: sostenere che il mancato appoggio
dell’elettorato reazionario francese sia la causa dell’esito finale, quindi in sostanza affermare
che Hollande abbia vinto solo perché Sarkozy ha perso, è una lettura errata, aritmetica e non
politica.
Una lettura tende ad “italianizzare” la Francia, giacché si fonda sul paradigma solo italiano che
somma l’accozzaglia neofascista con la destra e il centro-destra pur di veder prevalere lo
schieramento reazionario e conservatore, mentre in Francia ciò non è realizzabile. La
sommatoria dei voti resta numerica, non diventa politica: in Francia non sono sommabili i due
elettorati e le due leadership (conservatori e reazionari), mentre lo sono (purtroppo) in Italia.
Sarkozy ha perso perché ha esibito uno stile di governo di scarsa eleganza, che ha
caratterizzato la sua corte con gossip, tradimenti, voltafaccia, corruzione e un livello privo di
profilo presidenziale nell’agire politico e personale, che ha spesso sovrapposto il grottesco della
sua figura personale con il ruolo austero di quella istituzionale (ricorda qualcuno?). Sul piano
delle scelte politiche, poi, ancora peggio: è stato l’interprete di una linea di politica economica e
sociale priva di respiro e autonomia, avendo letteralmente sposato le tesi tedesche sull’Europa
e consegnato il paese alle unghie del rapace teutonico. Il prezzo della guerra elettorale di Libia
ha poi svelato l’ambizione e la disperazione dell’ex-presidente e il tentativo di scaricare anche il
suo ex-sodale e amico, Berlusconi, ha solo offerto un’ulteriore lettura dell’opportunismo e del
cinismo del marito di Carla Bruni.
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Hollande ha caratterizzato il suo programma con la proposta di patrimoniale, la difesa del
salario minimo e dell’indennità di disoccupazione, la volontà di non rimanere inerti di fronte alla
speculazione finanziaria, disegnando in senso progressista il programma di governo e
rimettendo al centro del dibattito politico la Francia e non solo l’Europa. Convinto di dover
improntare il suo programma elettorale al recupero della dimensione centrale del welfare nel
sistema economico e nella promessa di riformare le linee rigoriste dell’impianto ideologico
europeo, il neo presidente socialista si è detto convinto di dover ristabilire la relazione con
Berlino quale asse centrale delle politiche europee, ma riequilibrando i pesi specifici tra i due
paesi e imponendo un significativo cambio di rotta che metta al centro la crescita economica in
luogo della centralità esclusiva di quella finanziaria.
La vittoria di Hollande avrà comunque dei riflessi importanti nello scenario internazionale. Le
tendenze sempre più forti ad una revisione sostanziale delle linee del patto finanziario europeo,
uniscono infatti una parte cospicua dell’elettorato europeo e sono decisamente sostenute dagli
Stati Uniti, che insieme ai paesi del BRICS imputano ormai alle politiche della BCE una
minaccia gravissima alla stabilità ed alla ripresa del ciclo economico internazionale.
E' poi un’autentica doccia fredda per la signora Merkel, che deve affrontare le elezioni odierne
in alcuni Leander non semplici e che si trova ormai con lo spettro delle politiche che potrebbero
decretare la fine del suo regno; intanto la notizia che arriva dalla Francia dice chiaro che non
disporrà più di un cameriere all’Eliseo.
E, tornando a Parigi, tra circa un mese le legislative determineranno sia maggioranza e minoranza parlamentare che la compagine governativa, ma risentiranno certamente della crisi
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dei conservatori che, da oggi, si apre in tutta la sua ampiezza. D’altra parte il peso che la
sinistra del Front de Gauche e dei Verdi (che hanno votato in massa per Hollande) otterranno
nelle legislative sarà decisivo per il sostegno ai socialisti, che s’immagina possano ricevere un
ulteriore spinta dalla vittoria nelle presidenziali.
Sarkozy, nel confronto televisivo che l’aveva opposto al suo sfidante, aveva sostenuto che la
Francia non aveva bisogno di un presidente “normale”, con cìò indicando come il leader
socialista fosse privo di brillantezza e autorevolezza necessarie per guidare il paese. Ma
l’elettorato francese ha invece dimostrato che la congiuntura internazionale deve riprendere a
camminare su due gambe: quella che poggia sul recupero di sovranità economica e politica
della Francia, in una logica europea basata sulla Carta di Roma più che sul Trattato di Lisbona
e l’altra fondata su uno stile di governo ed una moralità che sappiano indicare sobrietà e
giustizia sociale nella distribuzione dei carichi di sacrifici. Un Presidente “normale” è dunque
necessario per il futuro, tanto quanto era necessario archiviare una macchietta che volle farsi
re.
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