lunedì 5 marzo 2012
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Federazione ittaalliiaannaa bancari e assicuurativi via Modena, 5 – 00184 Roma – tel. 06-4746351 / fax 06-4746136 e-mail: [email protected] sito web: www.fiba.it Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale RASSEGNA STAMPA LUNEDÌ 5 MARZO 2012 U Unn aaffooriissm maa aall ggiioorrnnoo............................................................................................................................. 22 Età della pensione, record all’Italia ................................................................ 3 Befera: per i contribuenti un redditometro «fai-da-te» Già in cassa oltre 12 miliardi ........................................................................ 4 La ricetta di Harvard: chi delocalizza non vince ............................................. 6 pagina Rassegna Stampa del giorno 5 Marzo 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 1 Italiani al lavoro fino a 67 anni record europeo nella previdenza ................... 7 Hollande alla Merkel: qui scelgono i francesi.................................................. 8 UN AFORISMA AL GIORNO a cura di “eater communications” “Il buongusto è il peggior nemico dell’arte!! ” pagina Rassegna Stampa del giorno 5 Marzo 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 2 ((M Maarrcceell D Du ucch haam mpp)) *CORRIERE DELLA SERA* LUNEDÌ, 5 MARZO 2012 di: Enrico Marro Età della pensione, record all’Italia Il rapporto di Bruxelles: dal 2020 ritiro più tardi che nel resto d’Europa pagina Rassegna Stampa del giorno 5 Marzo 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 3 ROMA — Adesso anche l'Europa prende atto, nero su bianco, che con l'ultima riforma della previdenza l'Italia avrà la più alta età di pensionamento tra i Paesi membri, uguale per uomini e donne. E ciò non accadrà chissà tra quanto ma già nel 2020. Lo certifica il Libro bianco sulle pensioni diffuso sotto la regia del commissario per l'Occupazione e gli affari sociali, László Andor. E finalmente non c'è più, come accadeva in tutti i documenti ufficiali di Bruxelles, alcuna raccomandazione all'Italia, come invece c'è per gli altri Paesi, a eccezione di Germania e Ungheria. Abbiamo insomma fatto «i compiti a casa», direbbero il presidente del Consiglio, Mario Monti, e il ministro del Lavoro, Elsa Fornero. Secondo la tabella di marcia della riforma, già nel 2020 l'età di pensionamento in Italia sarà la più alta in Europa, con 66 anni e 11 mesi per uomini e donne, a fronte dei 65 anni e 9 mesi della Germania e i 66 della Danimarca, si legge nel Libro bianco. E questo primato si consoliderà successivamente perché la stessa riforma prevede adeguamenti periodici dell'età di pensionamento alla speranza di vita. Così si arriverà, secondo le previsioni, a 68 anni e 11 mesi nel 2040, a 69 anni e 9 mesi nel 2050 e a 70 anni e 3 mesi nel 2060, anno in cui la Germania, se non interverranno riforme, sarà ferma a 67 anni, il Regno Unito a 68. Il salto è enorme se si pensa che fino allo scorso anno nel nostro Paese l'età di pensionamento di vecchiaia era di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne e c'era la possibilità di uscire dal lavoro con la pensione di anzianità a «quota 96» (60 anni d'età e 36 di contributi oppure 61+35). Ciò faceva sì che nei confronti internazionali sull'età media effettiva di pensionamento l'Italia accusasse un paio d'anni in meno della Germania: nel 2009 essa era di 60,8 anni per gli uomini e 59,4 per le donne in Italia contro i 62,6 anni e i 61,9 anni per i lavoratori e le lavoratrici tedesche. L'aumento dell'età pensionabile è inevitabile, si sottolinea nel documento della Commissione, visto che entro il 2060 la speranza di vita alla nascita dovrebbe aumentare in Europa di 7,9 anni per i maschi e di 6,5 anni per le femmine. Le riforme serviranno inoltre a contenere la spesa, che attualmente supera in media il 10% del prodotto interno lordo (in Italia siamo intorno al 15%, ma la nostra è la società più vecchia del continente) e che arriverà «probabilmente al 12,5%» nonostante i correttivi già decisi in numerosi Paesi. L'equilibrio dei conti, però, non è tutto. Non a caso il Libro bianco è intitolato a pensioni «adeguate, sicure e sostenibili». L'adeguatezza ha a che fare con l'importo degli assegni e il tenore di vita di 120 milioni di anziani in Europa. I sistemi previdenziali, dice la Commissione, dovranno continuare a garantire l'«indipendenza economica» dei pensionati. In questo quadro viene analizzata la riduzione del tasso medio di sostituzione (rapporto tra la pensione e la retribuzione) nei vari Paesi conseguente all'adozione di riforme. In Italia il taglio teorico è pesante: 15 punti tra il 2008 e il 2048. Nella realtà, però, esso si ridurrà di «soli» 5 punti per effetto dell'aumento dell'età pensionabile che, col sistema contributivo, fa crescere anche l'importo della pensione. Ad incrementare il tasso di sostituzione potranno concorrere, dice il rapporto, anche i fondi pensione integrativi: «Occorrerebbe, tuttavia, che i regimi di pensione finanziati privatamente fossero più sicuri, avessero un miglior rapporto costi/efficacia e fossero più compatibili con la mobilità di un mercato del lavoro flessibile». Ed è proprio sul mercato del lavoro che si sofferma la seconda parte del Libro bianco, raccomandando di «aumentare la partecipazione delle donne e dei lavoratori più anziani». Più occupazione, soprattutto se di qualità, significa infatti più entrate contributive per pagare le pensioni, oltre ad avere riflessi positivi sulla crescita e quindi sul rapporto tra spesa previdenziale e Pil. Si raccomandano quindi politiche di formazione permanente e di conciliazione tra lavoro e famiglia. Anche di questo è chiamata a occuparsi la trattativa sul mercato del lavoro tra governo e parti sociali, attualmente arenata sulla difficoltà di trovare risorse per gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione e disoccupazione). *CORRIERE DELLA SERA* LUNEDÌ, 5 MARZO 2012 di: Mario Sensini [email protected] Befera: per i contribuenti un redditometro «fai-da-te» Già in cassa oltre 12 miliardi pagina Rassegna Stampa del giorno 5 Marzo 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 4 ROMA - Gli incassi già realizzati della lotta all'evasione nel 2011 superano ogni record. «La cifra annunciata dal presidente del Consiglio, Mario Monti, 12 miliardi di euro, è già stata superata» ha detto ieri il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. Nelle casse dell'erario sono finiti già 12,3 miliardi di euro, ma il dato dell'anno scorso «è ancora provvisorio» ha detto Befera a «Che tempo fa» su Rai2, confermando un nuovo cambiamento nella strategia di lotta all'evasione. «Con un sistema basato sull'autotassazione è molto importante l'efficacia della deterrenza nel confronto tra quanto si dichiara, quanto si spende e quanto si risparmia» dice il direttore dell'Agenzia. Grazie all'uso sistematico del redditometro, che impareremo presto a conoscere anche grazie a un software, da quest'anno il fisco comincerà a spingere sulla cosidetta «compliance» fiscale, cioè l'adeguamento spontaneo delle dichiarazioni dei contribuenti. Il che significa meno liti, ma soprattutto l'emersione di nuova base imponibile, e cioè un recupero strutturale, non più «una tantum», di evasione e di elusione fiscale. «Nessuno vuole uno stato di polizia tributaria, ma nel caso in cui i redditi dichiarati, le spese ed il risparmio non siano coerenti, al contribuente - spiega Befera - chiederemo l'origine del denaro». Gli strumenti per questo nuovo salto di qualità della guerra all'evasione, ci sono tutti. «La stiamo facendo da tre anni e ora ci sono più controlli e strumenti più forti che ci ha dato il governo Monti» ha spiegato il direttore dell'Agenzia. Gli acquisti di beni di lusso, o comunque costosi, sono tutti registrati. I conti correnti bancari e le attività finanziarie tutte schedate, e ormai le banche dati, Inps, utenze elettriche, telefoniche, pubblico registro, catasto, sono tutte collegate tra di loro. E come dimostrano i quasi quotidiani blitz degli agenti del fisco e della Guardia di Finanza, «che non sono contro la ricchezza, ma contro gli evasori», anche nella lotta sul campo lo Stato si è messo a fare sul serio. «Per cinquant'anni - dice Befera - è stato più facile incassare attraverso i condoni, più facile indebitarsi che fare la lotta all'evasione, che ha raggiunto 120 miliardi di euro l'anno», ma ora l'aria sembra davvero cambiata. «Questo governo ha dato segni di normalità e la normalità è pagare le tasse». Fatto sta che gli incassi aumentano a vista d'occhio e, con essi, è cresciuta anche la paura dei furbi delle tasse di essere pizzicati. Tanto che ormai il fisco, per stabilizzare le maggiori entrate, è pronto a giocare la carta del redditometro «self-service». «Metteremo a disposizione dei cittadini un nuovo software, che è alla fase finale della sperimentazione, e che consentirà loro di verificare da soli le eventuali incongruenze tra quanto si dichiara al fisco, quanto si spende e quanto si riesce a mettere da parte, ed eventualmente correggerle in fase di dichiarazione dei redditi» spiega Befera. Insomma, se il programmino evidenziasse dati non coerenti, come una spesa superiore al reddito dichiarato, ed i contribuenti non fossero in grado di giustificare la lecita provenienza del denaro, forse converrebbe loro dichiarare qualcosa di più per evitare di incorrere nei controlli dell'Agenzia, che ovviamente userà lo stesso software per scandagliare i redditi degli italiani. *CORRIERE DELLA SERA* LUNEDÌ, 5 MARZO 2012 di: Danilo Taino twitter@danilotaino La ricetta di Harvard: chi delocalizza non vince General Electric fa marcia indietro sugli impianti all’estero. «Meno scontri in politica» pagina Rassegna Stampa del giorno 5 Marzo 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 5 Il declino degli Stati Uniti come superpotenza economica è stato annunciato parecchie volte, negli scorsi trent'anni. Non è avvenuto. Ciò nonostante, la discussione che oppone «declinisti» a «continuisti» è oggi più forte che mai tra i think tank del Paese. L'Università di Harvard ha deciso di entrarci con il suo peso di ricerca e con i muscoli intellettuali dei suoi accademici. Scendendo dagli scenari geopolitici alla concretezza del fare business in America, ha stabilito che i segni di un possibile declino sono molti e preoccupanti, in termini di capacità di attrarre investimenti e di creare un ambiente favorevole agli affari: ma che le forze dell'economia americana sono tali da potere rovesciare la tendenza se il Paese e soprattutto la sua politica riescono a uscire dallo stato di denial, di negazione della realtà, nel quale vivono e se trovano forze bipartisan e collettive nell'interesse nazionale. Le proposte di Harvard sono un cambio radicale del paradigma economico egemone negli anni passati, tutto conflittuale. Dal punto di vista statistico, coloro che si sono formati a Harvard stanno con i «declinisti»: il 71% degli ex allievi - oggi per lo più professionisti, top manager e gente di finanza - prevede che nei prossimi anni l'America perderà competitività. Per molti versi, è la presa d'atto di una realtà difficile da negare: nell'economia globale sono entrati una serie di attori che prima stavano ai margini - Cina in testa - ed è inevitabile che questo emergere di forze nuove, di capitale umano rappresenti una concorrenza formidabile all'egemonia degli Stati Uniti. La parte più interessante del lavoro di Harvard, però, sta nei contenuti che ha messo in luce e nelle proposte individuate per «reinventare l'America». Lo scorso novembre, la Harvard Business School ha organizzato un convegno sul tema, al quale ha invitato leader del business, del sindacalismo, dei media e dell'accademia. I risultati della discussione sono poi stati elaborati da alcuni dei docenti dell'università - tra loro calibri come Michael Porter, Jan Rivkin, Laura D'Andrea Tyson, Mihir Desai - e pubblicati in un lungo dossier sulla Harvard Business Review. L'edizione italiana di quest'ultima, poi, ha riproposto i temi e li ha sottoposti all'opinione di una dozzina di top manager e intellettuali per cercare proposte capaci di ricostruire la competitività dell'Italia. Il risultato è un blocco di indicazioni - un Compact, come si usa dire ora - attorno al quale sia l'America sia l'Italia sono chiamate a riflettere e a prendere decisioni. Una visione - scrive il direttore della Harvard Business Review Italia, Enrico Sassoon - che ha i caratteri di «un nuovo umanesimo economico e imprenditoriale». In effetti, uno dei richiami centrali dell'analisi harvardiana sta nella necessità di cambiare approccio: non serve solo la fase critica, il finger pointing per indicare colpe di altri; occorre che tutti, in primo luogo chi fa impresa e chi si occupa di lavoro incalzi una politica sempre più bloccata, a Washington come a Roma, e sempre più divisa e litigiosa («che non fa prigionieri») secondo linee ideologiche. Da qui, il nuovo canone di competitività elaborato da Porter e Rivkin: «Gli Stati Uniti sono un luogo competitivo allorché le imprese che vi operano sono in grado di competere con successo nell'economia globale e allo stesso tempo sono in grado di sostenere standard di vita alti e crescenti per l'americano medio». Lo stesso si può ovviamente applicare all'Italia e agli italiani. Vista con queste nuove lenti, la competitività non è più solo capacità di fare utili: deve anche sapere accrescere il benessere sociale allargato. Le proposte concrete sono in alcuni casi sorprendenti. Sul versante del lavoro, per esempio, Thomas Kochan sostiene che dobbiamo ammettere un concetto che è stato a lungo negato: «Quel che è buono per le singole imprese americane non è più automaticamente buono per il business a livello nazionale, per i lavoratori americani o per l'economia». La globalizzazione e lo spostamento di imprese da un Paese all'altro ha cambiato tutto. Kochan propone di passare a un modello di imprese fondato sulla cosiddetta high-road strategy, cioè su pratiche che, oltre alla ricerca di performance elevate, prevedono lavoratori ad alta capacità collaborativa, forti investimenti nel training, l'impegno a costruire la fiducia in azienda per risolvere i problemi e stimolare pagina Rassegna Stampa del giorno 5 Marzo 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 6 l'innovazione, sistemi di compensazione che allineano l'interesse della società con quelli dei dipendenti, partnership tra management e lavoratori (il che significa anche rilanciare il ruolo dei sindacati, oggi in crisi). «Le società che seguono queste strategie - sostiene Kochan - generano consistenti ritorni per gli azionisti e sostengono standard di vita alti e crescenti». Sulla base di questa impostazione sistemica e in qualche modo bipartisan, Harvard ha elaborato la proposta di un Jobs Compact per il futuro dell'America, finalizzato alla creazione, entro il 2020, di 20 milioni di nuovi posti di lavoro di alta qualità, obiettivo da raggiungere investendo sul «capitale umano» e sulla creazione di condizioni non solo perché le imprese investano in America ma anche affinché molte produzioni spostate all'estero negli anni scorsi ritornino. Grandi gruppi come Ford, General Motors, General Electric, Boeing si sono per esempio messe al tavolo con i loro sindacati, hanno calcolato benefici e oneri reali della delocalizzazione e poi hanno rinegoziato i salari d'ingresso per le fabbriche americane, la suddivisione dei profitti e gli impegni per investimenti tesi a riportare posti di lavoro in America. In un articolo sulla Review, il numero uno di General Electric, Jeffrey Immelt, spiega sulla base di quali calcoli il gruppo abbia deciso di invertire la politica di outsourcing degli anni scorsi. Oltre che sul lavoro, Harvard ha puntato l'attenzione sulla scuola e l'educazione, sulle strategie di localizzazione, sui problemi della manifattura, sulla finanza, sulla macro-economia e sulla politica. Quest'ultima, divisa e inefficace, è uno dei maggiori problemi degli Stati Uniti: senza risolvere il quale i vecchi paradigmi permarranno e i «declinisti» potrebbero alla fine avere ragione. Come in Italia. *la Repubblica* LUNEDÌ, 5 MARZO 2012 di: ROBERTO MANIA Italiani al lavoro fino a 67 anni record europeo nella previdenza Dopo la riforma l’età di ritiro è la più alta dell’UE pagina Rassegna Stampa del giorno 5 Marzo 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 7 Stiamo diventando il paese europeo più virtuoso per le pensioni. Per la prima volta la Commissione di Bruxelles non ha più raccomandazioni destinate all´Italia. Di più: il nostro modello sta diventando un esempio per il vecchio continente. Nel 2020 gli italiani, uomini e donne, andranno in pensione con almeno 66 anni e undici mesi. Meglio della Germania di Angela Merkel (65 anni e nove mesi) che sta dettando le rigidissime regole per l´equilibrio dei conti pubblici per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani; meglio della piccola Danimarca (66 anni), dove è nata quella flexsecurity che anche noi vorremmo adottare. Nel 2060, legando l´età per la pensione alle speranze di vita, raggiungeremo per entrambi i sessi addirittura i 70 anni e tre mesi. Un record. Tutti gli altri paesi si fermeranno prima. Sta scritto nel Libro Bianco della Commissione europea (“Un’agenda dedicata a pensioni adeguate, sicure e sostenibili”) appena pubblicato. L’EFFETTO “RIFORMA FORNERO” Le nostre performance sono dovute all´ultima riforma pensionistica, firmata dal ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che ha deciso di accelerare senza più tentennamenti nel passaggio al metodo contributivo per il calcolo della pensione e di innalzare progressivamente l´età pensionabile, superando di fatto i prepensionamenti. La riforma italiana sembra, almeno per tre quarti, quasi un´applicazione in laboratorio di tutti i suggerimenti che Bruxelles ha per i sistemi pensionistici continentali: allungamento dell´età in rapporto alla speranza di vita (nel 2050 gli europei over 65 saranno la metà della popolazione); ridurre il ricorso ai prepensionamenti; estendere la formazione a tutto il ciclo della vita lavorativa e non solo alla fase iniziale (qui l´Italia è molto deficitaria); equiparare l´età di donne e uomini; incrementare i fondi pensionistici integrativi. IL MERCATO DEL LAVORO VA CAMBIATO L´altro lato della medaglia, però, raffigura il lavoro. E qui arrivano anche le note dolenti per il nostro paese. Siamo in fondo alla classifica dell´Unione europea relativa al tasso di occupazione dei lavoratori anziani, cioè quelli compresi tra 55 e 64 anni. Appena il 36,6 per cento contro il 57,1 per cento della Gran Bretagna o il 57,7 per cento della Germania, fino al 70,5 per cento della Svezia. A colmare questo nostro divario dovrebbe servire proprio la riforma del mercato del lavoro in discussione tra il governo e le parti sociali: meno lavoro precario, più formazione per poter passare da un lavoro ad un altro, ma soprattutto da una mansione ad un´altra anche nella stessa azienda. Proprio il modello (la flessibilità interna) su cui ha investito la Germania con le riforme contenute nel "pacchetto Hartz" varato all´inizio di questo secolo. E non è un caso che il ministro Fornero guardi al caso tedesco come a un esempio da seguire: «Gli interventi hanno consentito alla Germania - ha scritto ieri il ministro sulla Stampa - di cogliere più rapidamente ed efficacemente che in precedenza l´onda positiva della congiuntura avviatasi nella seconda metà dello scorso decennio». Il passaggio dal retributivo al contributivo avrà effetti non secondari sul tasso di sostituzione (rapporto tra la pensione e l´ultima retribuzione) delle future pensioni: la Commissione stima, per gli italiani, un calo del 15 per cento tra il 2008 e il 2048 che sarà compensato però dall´allungamento del periodo di lavoro e dall´eventuale adesione ai fondi complementari. *la Repubblica* LUNEDÌ, 5 MARZO 2012 DAL NOSTRO INVIATO ANAIS GINORI Hollande alla Merkel: qui scelgono i francesi Il candidato socialista replica al boicottaggio, Berlino smentisce ogni ingerenza L’avversario di Sarkozy resta in testa nei sondaggi L’aiuto tedesco è un boomerang pagina Rassegna Stampa del giorno 5 Marzo 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 8 PARIGI - «Non sono i dirigenti europei a dover pesare sulle decisioni del popolo francese». Con una laconica frase, François Hollande ha risposto ieri al presunto piano di Angela Merkel per boicottarlo nella campagna elettorale contro Nicolas Sarkozy. Il leader socialista, favorito nei sondaggi, ha evitato di criticare direttamente la Cancelliera tedesca, che pure non ha voluto incontrarlo durante il suo ultimo viaggio in Germania. Secondo Der Spiegel, sarebbe stata Merkel a portare sulla stessa linea anche David Cameron, Mario Monti e Mariano Rajoy. Le rivelazioni del settimanale tedesco, con le inevitabili polemiche sull´inedita ingerenza negli affari interni francesi, hanno costretto Berlino a prendere le distanze. «Ogni capo di governo sceglie indipendentemente se e come ricevere Hollande», ha commentato un portavoce della Cancelliera che però ha confermato che non c´è in programma alcun appuntamento con il candidato della gauche. Merkel non avrebbe gradito l´annuncio del leader socialista di voler rinegoziare il "fiscal compact", le modifiche al Trattato europeo varate ufficialmente venerdì scorso da 25 Paesi dell´Ue in nome di un maggiore rigore finanziario. «Una ricostruzione fantasiosa», ha replicato ieri Palazzo Chigi, sottolineando che il premier italiano non parteggia per nessun candidato francese. Ma nonostante le smentite resta il fatto che finora Hollande non è riuscito a incontrare nessun capo di governo durante le sue visite a Roma, Berlino, Londra e Madrid. Nel 2007, ha ricordato il Ps, la stessa Merkel aveva ricevuto entrambi i candidati all´Eliseo, Nicolas Sarkozy ma anche Ségolène Royal. E così prima, nel 2002, il socialdemocratico Gerhard Schroder si era fatto fotografare sia con Jacques Chirac che con Lionel Jospin. «E´ una tradizione che purtroppo Merkel ha voluto interrompere», osserva Pierre Moscovici, direttore della campagna elettorale del Ps. Hollande ha ripetuto ieri che, se verrà eletto, chiederà che ci siano ulteriori modifiche all´intesa sul Trattato europeo, in particolare per inserire nuove misure di sostegno alla crescita economica. Il leader socialista continua a rimanere in testa ai sondaggi in vista delle elezioni presidenziali francesi di questa primavera. La discesa in campo di Sarkozy, candidato ufficialmente da due settimane, non ha per ora invertito la tendenza. Una rilevazione di Lh2-Yahoo attribuisce solo il 23% dei voti al presidente uscente Sarkozy (al primo turno), in calo di tre punti rispetto a due settimane fa. Mentre Hollande, malgrado una flessione dell´1,5%, rimane avanti con il 30,5. Al secondo turno Hollande vincerebbe con il 58%, contro il 42% di Sarkozy. «Hollande ha un chiaro problema di credibilità in Europa», ha rilanciato ieri Nathalie Kosciusko-Morizet, portavoce del candidato-presidente. Ma il piano segreto di Berlino per sostenere Sarkozy, vero o falso che sia, potrebbe avere l´effetto contrario, rafforzare Hollande contro la coppia Merkozy, soprattutto con un popolo sciovinista e sensibile al rispetto della sovranità nazionale come quello francese. Non a caso, l´annunciata visita a Parigi della Cancelliera in campagna elettora è stata per ora rimandata. La Fiba-Cisl Vi augura di trascorrere una giornata serena A Arrrriivveeddeerrccii aa domani 6 Marzo pagina Rassegna Stampa del giorno 5 Marzo 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 9 ppeerr uunnaa nnuuoovvaa rraasssseeggnnaa ssttaam mppaa!!