Diocesi di Como
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Bioetica 6 Sabato, 24 marzo 2012 D i recente papa Benedetto XVI ha ricevuto i membri della Pontificia Accademia per la vita e ha rivolto loro un discorso di metodo, prima che di etica. “È mio desiderio – ha detto – incoraggiare l’onestà intellettuale del vostro lavoro, espressione di una scienza che mantiene desto il suo spirito di ricerca della verità, a servizio dell’autentico bene dell’uomo, e che evita il rischio di essere una pratica meramente funzionale”. In che cosa consiste il modo corretto di procedere, scelto dall’Accademia per la vita nell’affrontare il tema dell’infertilità umana? In un’impostazione che manifesta la fiducia della Chiesa nelle possibilità della ragione umana di osservare la natura e in un lavoro scientifico, rigorosamente condotto, che tengano sempre presente l’aspetto morale. Insomma, la Chiesa insiste sul fatto che la fede è amica della ragione e insieme, come alleate, possono giungere a un seria valutazione morale. Il tema scelto quest’anno ✎ riflessioni | di Marco Doldi Perchè la vita non è un «prodotto»... dall’Accademia è “Diagnosi e terapia dell’infertilità”: già di per sé possiede sia una rilevanza umana e sociale, sia un peculiare valore scientifico ed esprime la possibilità concreta di un fecondo dialogo tra dimensione etica e ricerca biomedica. L’alleanza di fede e ragione guida la ricerca biomedica, orientandola verso l’autentico bene per l’uomo. Nel concreto caso dell’infertilità di coppia esistono vie per una corretta valutazione diagnostica e una terapia che corregga le cause dell’infertilità. Altre vie non possono, invece, essere percorse. E queste sono note: le tecniche di fecondazione artificiale, che riducono la dignità umana e cristiana della procreazione a “prodotto”. Ora, invece, la procreazione umana ha un legame con l’atto ■ Curare la sterilità Attenzione ai «mercanti» di fronte un tema molto delicato ● Nacque nel 2001 su impulso di papa Giovanni Paolo II profitto o al delirio di sostituirsi al Creatore. Non si può infatti negare che si sono impiegate somme ingenti per ottenere risultati modesti e molte frustrazioni. A ben altri risultati si deve giungere per considerare adeguatamente le legittime aspirazioni genitoriali della coppia, che si trova in una condizione d’infertilità. La Chiesa, dal canto suo, presta molta attenzione alla sofferenza delle coppie con infertilità, ha cura di esse e, proprio per questo, incoraggia la ricerca medica. La scienza, tuttavia, non sempre è in grado di rispondere ai desideri di tante coppie. “Vorrei ricordare agli sposi che vivono la condizione dell’infertilità, che non per questo la loro vocazione matrimoniale viene frustrata”. I coniugi, per la loro stessa vocazione battesimale ● La sua attività è una sintesi vera fra «verità e amore» ● La cura della fertilità è sempre legata al rispetto delle persone L’Istituto internazionale Paolo VI ha dieci anni A bbiamo letto nel Vangelo qualche domenica fa che Gesù ha rovesciato i banchi dei cambiavalute nel cortile del tempio perché, a suo dire, quel luogo sacro della preghiera e del culto si era trasformato in una bieca gazzarra affaristica e speculativa. Beh, qualcosa di simile – facendo le debite proporzioni – potremmo dirlo ai nostri giorni del gran mercato della fecondazione artificiale. Anche la generazione di un figlio rappresenta, infatti, un luogo “sacro” (e ciò vale anche per chi non crede: anche lui, infatti, si riconosce in alcuni valori etici e umani “assoluti”, cioè “separati” dalla relatività delle singole opinioni, appunto “sacri”). E anche questo luogo “sacro” si presenta oggi affollato di mercanti e affaristi. In Europa e nel mondo la “riproduzione medicalmente assistita” (a proposito: ecco un altro esempio di sofisticazione linguistica che occulta la realtà, da aggiungere a quelli citati a pagina 2 di questo numero del “Settimanale”. La realtà è che molte tecniche in uso non “assistono” affatto, ma rimpiazzano e sostituiscono l’azione umana generativa) rappresenta un business dal giro d’affari milionario. Ennesimo capitolo di quella “medicina dei desideri” che rischia di ignorare i veri bisogni di salute delle persone per orientarsi alla soddisfazione (certo più redditizia) dei cosiddetti “bisogni di qualità”. D’altra parte – si dice – è la legge del mercato: l’offerta va dove c’è la domanda. Fatale, allora, che fra i banconi della fecondazione artificiale finiscano per aggirarsi anche avvoltoi e faccendieri. In Italia la legge 40 del 2004 ha cercato di portare un po’ d’ordine dentro un comparto dove vigeva la “deregulation” pressoché totale: ha proibito le tecniche di fecondazione eterologhe – cioè implicanti l’intervento di uno o più soggetti estranei alla coppia genitoriale (“donatori” di seme, di ovuli, di utero…) – e ha limitato la possibilità di uso degli embrioni prodotti in vitro nelle tecniche omologhe. Cercando, in altri termini, di tutelare sia il diritto preminente del figlio ad avere “due” (e non di più!) genitori “certi” (e non misteriosi!), sia il diritto di ogni vita umana concepita (“in vitro” come “in vivo”) di avere almeno una “chance” di sopravvivenza (attuazione del principio costituzionale di uguaglianza). Naturalmente nel grande emporio delle provette non si aggirano solo mercanti assetati di denaro. Ci sono molti medici e operatori sanitari – la maggioranza, probabilmente – retti e coscienziosi, non allettati dal profitto facile, ma mossi da un sincero desiderio di aiuto alle coppie afflitte dal dramma della sterilità. E poi appunto ci sono loro: le coppie con un grande e santo desiderio di un figlio. Coppie che bussano alla porta della tecnologia, certo per vedere esaudito un legittimo desiderio di paternità e maternità, ma con l’umiltà di chi domanda, non con la tracotanza di chi pretende (disposto, se del caso, a farsene un baffo di ogni limite etico e legale). Ben vengano, dunque, nel mercato della fecondazione assistita, offerte terapeutiche come quella di cui si parla qui a fianco. O come quella attiva presso il Centro di fertilità dell’Ospedale Valduce di Como (della quale contiamo di riferire più approfonditamente a suo tempo). Non capiti che, chi desidera un figlio che non arriva, abbia a trovarsi di fronte sempre e soltanto un’offerta terapeutica querula di promesse (spesso non mantenute), avida di fatturazione, e soprattutto scaltra di un pragmatismo insensibile alle dimensioni etiche e umane del generare. don ANGELO RIVA coniugale, che è, al medesimo tempo, espressione dell’amore dei coniugi e della loro unione insieme fisica e anche spirituale. È il costante insegnamento della Chiesa, espresso già dagli anni del Concilio. L’istruzione vaticana “Donum vitae” considerava l’intima connessione nell’atto coniugale tra aspetto unitivo e aspetto procreativo per valutare le tecniche artificiali e concludeva che esse non semplicemente separano i due aspetti, ma, addirittura, prescindono dall’atto coniugale, riducendo il concepito ad un prodotto di laboratorio. Ora, proprio la fede e la ragione valutano queste tecniche, senza cedere al facile fascino del progresso. Insieme smascherano quei risultati di una ragione, che è stata piegata alla logica del e matrimoniale, sono sempre chiamati a collaborare con Dio nella creazione di un’umanità nuova. La vocazione all’amore, infatti, è vocazione al dono di sé e questa è una possibilità che nessuna condizione organica può impedire. Dove, dunque, la scienza non trova una risposta, la risposta che dona luce viene da Cristo. Detto questo, si registrano casi in cui la ricerca medica può realmente aiutare i coniugi a superare la condizione d’infertilità. Qui avviene qualcosa di grande, perché si giunge al concepimento di un figlio e si recupera la fertilità. È un’altra grande differenza tra le tecniche artificiali e i mezzi di aiuto alla fertilità: la coppia che ricorre alle prime resta pur sempre nella condizione di sterilità. Non sono, pertanto, una terapia. I secondi mirano a restituire ai genitori il bene della fertilità e tutta la dignità di essere responsabili delle proprie scelte procreative, per essere collaboratori di Dio nella generazione di un nuovo essere umano. I l 25% delle pazienti, seguite con approccio medico, hanno ottenuto una gravidanza e il 32% sottoposte ad intervento di chirurgia endoscopica mininvasiva hanno avuto la gioia di un bambino. Sono i dati che provengono dall’applicazione, in ambulatorio, del “protocollo diagnostico terapeutico per la sterilità di coppia”. A fornirli è Riccardo Marana, direttore dell’Istituto scientifico internazionale (Isi) Paolo VI di ricerca sulla fertilità e infertilità umana per una procreazione responsabile, che per il decimo anno di attività ha donato a papa Benedetto XVI un volume – a cura di Francesco Angelini – che documenta il percorso decennale dell’Ente, che ha sede nell’Università Cattolica di Roma. Il volume riproduce 50 contributi scientifici, accettati e pubblicati da prestigiose riviste internazionali, opera dei ricercatori dell’Isi, in tema di terapia chirurgica dell’infertilità e di regolazione naturale della fertilità. Presidente dell’Isi, dal 10 novembre 2003, è il card. Dionigi Tettamanzi. All’interno del Consiglio di amministrazione, figurano – tra gli altri – come rappresentante della Cei mons. Giuseppe Anfossi, come rappresentante dell’Istituto Toniolo Paola Bignardi e come rappresentante della Pontificia Accademia per la vita il card. Paolo Sardi. Presidente del Comitato scientifico dell’Isi è il già rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (ora ministro della cultura), Lorenzo Ornaghi. Già negli anni Ottanta veniva istituito presso la Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica di Roma il “Centro studi e ricerche per la regolazione naturale della fertilità”, diretto dalla compianta Anna Cappella, che si è poi notevolmente sviluppato negli anni e del quale l’Isi costituisce, per così dire, un’evoluzione. Il sostegno di due Papi La Fondazione Isi, istituita ufficialmente il 22 giugno 2001 per iniziativa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dell’Istituto Giuseppe Toniolo di studi superiori e della Fondazione vaticana Paolo VI per la cultura in Italia con la collaborazione della Pontificia Accademia per la vita, nasce come risposta all’appello lanciato da Paolo VI nell’enciclica “Humane vitae” per “un’onesta regolazione della procreazione umana”, attraverso la diffusione dei metodi naturali per la regolazione della fertilità. Giovanni Paolo II, alla luce degli sviluppi scientifici verificatesi nel campo della procreazione umana dopo l’“Humanae vitae”, mise in evidenza l’opportunità che per regolazione naturale della fertilità umana doveva intendersi anche il “superamento naturale dell’infertilità”. “Far convergere qualificati ricercatori operanti nel settore di questa delicata problematica, perché essa possa trovare soluzioni sempre più efficaci, nella linea dell’etica sessuale e procreativa costantemente ribadita dal magistero”: così Giovanni Paolo II, nel discorso pronunciato il 9 novembre 2000 in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2000-2001, ha sintetizzato i compiti dell’Isi. “Sta a cuore anche a me”, gli ha idealmente risposto il suo successore, Benedetto XVI, quando il 25 novembre 2005 ha inaugurato l’anno accademico 2005-2006, definendo l’Isi un “esempio eloquente di quella sintesi tra verità e amore che costituisce il centro vitale della cultura cattolica”, grazie all’obiettivo di “dare una base scientifica sicura sia alla regolazione naturale della fertilità umana che all’impegno di superare in modo naturale l’eventuale infermità”. Incoraggiamento, questo, confermato anche dalla visita di Benedetto XVI al Policlinico Gemelli, il 5 novembre scorso. Oneste ricerche “Posso testimoniare, sulla base della mia esperienza professionale, come – impegnandosi con competenza e dedizione in una medicina a servizio dell’uomo – si possa riuscire ad offrire soluzioni sempre più concrete per patologie importanti come causa di sterilità, quali la patologia tubarica e l’endometriosi, per le quali in altri Centri si prospetta direttamente come soluzione la fecondazione in vitro”. È la testimonianza di Riccardo Marana, direttore dell’Isi dal 2007, che dichiara l’impegno suo e dell’Istituto a “continuare i lavori di ricerca”, pur in presenza di “una situazione di gravissima crisi economica nazionale e internazionale”. “L’attività dell’Isi – ricorda il direttore – ha avuto come fine primario l’obbligo di essere sempre all’altezza dei suoi compiti: ricerca scientifica, qualificazione professionale, scambi di esperienze a livello nazionale e internazionale, collaborazioni partecipate di docenti e personale di prim’ordine al fine di testimoniare che centro, cuore e meta di tutta l’attività è la dignità della persona umana”. Quando nacque l’Isi, ricorda Adriano Bompiani, direttore dell’Istituto nel 2002, “già da qualche anno ferveva in Italia la polemica sull’uso dei metodi di fecondazione in vitro e trasferimento dell’embrione in utero per risolvere casi d’infertilità e di sterilità”. Scopo dell’Isi, allora come oggi, è “operare con oneste ricerche per migliorare le conoscenze nel campo della procreazione umana”.