l`ultimo giorno di un condannato a morte

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l`ultimo giorno di un condannato a morte
Viale Kennedy 4
90014 Casteldaccia (PA)
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L’ULTIMO GIORNO DI UN CONDANNATO A MORTE
Bicetre
Condannato a morte!
Sono cinque settimane che convivo con questo pensiero, sempre solo con esso, sempre agghiacciato dalla sua presenza,
sempre curvo sotto il suo peso!
Un tempo, poiché mi sembra che siano anni piuttosto che settimane, ero un uomo come un altro. Ogni giorno, ogni ora,
ogni minuto aveva la sua idea. La mia mente, giovane e ricca, era piena di fantasie. Si divertiva a farle scorrere una
dopo l’altra, senza ordine e senza fine, ricamando di inesauribili arabeschi questa grezza ed esile stoffa della vita. Erano
ragazze, splendidi piviali di vescovo, battaglie vinte, teatri pieni di brusio e di luce, e poi ancora ragazze e oscure
passeggiate notturne sotto le vaste braccia degli ippocastani. Era sempre festa nella mia immaginazione. Potevo pensare
a ciò che volevo, ero libero.
Ora sono prigioniero. Il mio corpo è in ceppi in una cella, la mia mente è prigioniera di un’idea. Un’orribile, una
sanguinosa, un’implacabile idea! Non ho orami che un pensiero, una convinzione, una certezza: condannato a morte!
Qualunque cosa faccia, è sempre qua, questo pensiero infernale, come uno spettro di piombo alle mie costole, solo e
geloso, scacciando ogni distrazione, faccia a faccia con me, miserabile, e scuotendomi con le sue due mani di ghiaccio
quando voglio voltare la testa o chiudere gli occhi. Si insinua in tutte le forme in cui la mia mente vorrebbe rifuggirlo, si
mescola come un orribile ritornello a tutte le parole che mi rivolgono, si aggrappa con me alle orrende grate della mia
cella; mi ossessiona da sveglio, spia il mio sonno convulso, e mi riappare in sogno sotto forma di coltello.
Così mi sveglio di soprassalto, perseguitato da esso e dicendomi: “Ah! Ma è solo un sogno!”. Ebbene! Ancor prima che
occhi pesanti abbiano avuto il tempo odi socchiudersi abbastanza per vedere questo fatale pensiero scritto nell’orribile
realtà che mi circonda, sulle lastre umide e diacce della mia cella, nei pallidi raggi della mia lampada notturna, nella
trama grossolana della tela dei miei abiti, sul cupo volto della guardia la cui giberna riluce attraverso la grata della
prigione, mi sembra che una voce abbia già mormorato al mio orecchio: - condannato a morte!
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Questa pagina è tratta dal libro di Victor Hugo dal titolo “L’ultimo giorno di un
condannato a morte” pubblicato dalla Newton editore.
L’angosciosa e dolorosissima attesa di un uomo che sta per essere privato del suo
unico bene, della sua stessa vita si consuma lenta e inesorabile, al ritmo ossessivo,
martellante degli ultimi penosissimi pensieri e dei deliranti fantasmi di una mente
incredula e atterrita. È con questa sorta di lucidissima e appassionata perorazione
letteraria a favore dell’abolizione della pena di morte, pubblicata nell’ultimo anno
della monarchia dei Borboni, che Victor Hugo, all’età di ventisette anni, prese
posizione in difesa dei diritti inalienabili dell’uomo e innanzitutto quello alla vita. La
sua vocazione letteraria nasce e si costituisce infatti quotidianamente proprio in
quel luogo vivo, presente, tangibilissimo che è la realtà circostante: non “il
contingente, l’accidentale, il particolare”, ma la trama superiore di una storia che
diviene motivo di passione e di poesia altissima. Ed è il suo incedere incalzante,
travolgente, inarrestabile che trascina con sé anche gli ultimi brandelli di vita di un
condannato alla morte e all’oscenità abominevole di una folla che attende urlante il
suo spettacolo.
Casteldaccia (PA), lì 22.09.2016
Ing. Francesco Solazzo
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