Soggetti alla legge ma non al capo

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Soggetti alla legge ma non al capo
Soggetti alla legge ma non al capo
di Roberta De Monticelli
In questa autolimitazione del potere che ci fa, governanti e governati, uguali di fronte alla legge, è
il valore della legalità e il senso delle istituzioni democratiche. Come la divisione e la relativa
autonomia dei poteri.
Mentre un vento di rivolta soffia a sud della Penisola, incendiando i paesi islamici dal Nord Africa
all'Iran, ci si può chiedere se la millenaria riflessione occidentale sul potere, la legge e la
disobbedienza potrà ancora aiutarci a decifrare il futuro di questa che già la nostra speranza chiama
“la caduta dei tiranni”. Ma se rivolgiamo di nuovo lo sguardo al presente italiano, un dubbio ancora
più forte ci assale. Ovvero se le categorie filosofiche dell'obbedienza e della disobbedienza, sulle
quali si fonda in definitiva quanto di meglio abbiamo saputo dire sui fondamenti del potere politico
nella coscienza delle persone, possano servirci ancora. In questa Italia, «terra di nefandezze, abiure,
genuflessioni e pulcinellate».
In questo nostro Paese che «attraverso Machiavelli, ha mostrato al mondo il volto demoniaco del
potere»; «che ha inventato il fascismo»; dove «la politica si è definitivamente trasformata in
crimine, ricatto, delazione, scandalo, imbroglio». Parole vigorose. Parole di uno scrittore, Ermanno
Rea, che si fa leggere d'un fiato dalla prima all'ultima pagina nel suo La fabbrica dell'obbedienza
(Feltrinelli). Questa fabbrica è l'Italia. Rea attraversa la questione morale passando per i nostri
classici, l'Unità tradita, il fascismo, il dopoguerra democristiano, la svolta degli anni Ottanta, fino al
presente di «un regime così corrotto e maleodorante che non si sa più con quale aggettivo bollarlo».
UN CORREDO DI SUDDITANZA E MENZOGNA
Ma questo libro pone una domanda, semplice e per così dire spettacolare. La stessa dei saggi su
Rinascimento Riforma e Controriforma di Bertrando Spaventa, che proprio dagli studi del filosofo
napoletano trae ispirazione e respiro. Noi siamo stati i primi. Abbiamo inventato il cittadino
responsabile con l'Umanesimo e il Rinascimento. Com'è successo che a questi centocinquant'anni di
splendore sia seguita la nostra lunga servitù civile e morale, con il suo corredo di arti della
sudditanza, della menzogna, dell'opportunismo e del cinismo, che ritroviamo tanto ben descritte
nelle pagine dei nostri classici da Guicciardini a Leopardi? Com'è potuto accadere che questa storia
si sia inesorabilmente ripetuta dopo grandi, in qualche modo miracolose, accensioni di speranza? Il
Risorgimento finì di morire col fascismo, e la Costituzione nata dalla Resistenza si vede oggi che
fine rischia di fare. Ecco, sarebbe molto miope chi vedesse nella risposta di Rea una semplice
riedizione di quella di Spaventa: colpa della Controriforma! Ciò che conta non è di chi o di cosa sia
la colpa, ma l'analisi spietata di come si fabbrica la servitù del cuore e la prigionia della mente - che
sono l'esatto contrario di tutte le figure di una coscienza delle leggi, antiche e moderne. Delle figure,
cioè, dell'obbedienza e della disobbedienza. Del dovere e del diritto. Che stanno alla libertà dei
cittadini come la sudditanza al potere illimitato sta alla libertà dei servi. L'opposizione è la stessa
che corre fra “I care” e “me ne frego” - come già aveva notato don Milani nel suo L'obbedienza non
è più una virtù. A differenza della legge, il potere è «alla ricerca di un'obbedienza sempre
contingente e perciò da rinnovare continuamente, senza mai esigere… una responsabilità totale,
prolungata nel tempo». Che sia ottenuta con la dipendenza spirituale, con la tecnica della
confessione e del perdono, oppure con la dipendenza materiale, il favore e il ricatto: la distruzione
dello “spirito delle leggi” è una cosa sola con la polverizzazione dell'impegno personale. Cioè la
riduzione della necessità del dovere alla contingenza della soggezione, del valore della promessa al
prezzo dello scambio - in una parola, la demolizione della responsabilità personale, che obbedienza
e disobbedienza autentiche presuppongono. Ci aiuta a vederlo Raffaele Laudani con il suo
Disobbedienza (Il Mulino): un testo che, come ogni prima lezione di filosofia del diritto, si apre nel
duplice segno del Socrate platonico e dell'Antigone sofoclea. «E poiché sei venuto al mondo, sei
stato allevato ed educato, come puoi dire di non essere, prima di tutto, creatura nostra, in tutto
obbligato a noi, tu e i tuoi avi?».
SIAMO UNA FABBRICA DI SERVI VOLONTARI
Questo dicono le leggi a Socrate, secondo un celeberrimo passo del platonico Critone. Più che padre
e madre sono per Socrate le leggi, senza le quali non esiste Città dove ragione si oppone a ragione,
ma solo la ragione del più forte, la guerra o il dispotismo. Perciò Socrate accetta la morte e non
fugge, pur sapendo che la condanna è ingiusta. Howard Zinn, cantore americano della
disobbedienza civile, non perdonava a Socrate il suo atto di obbedienza. Eppure è proprio dai tempi
dell'Umanesimo e del Discorso sulla servitù volontaria (1548) di Etienne La Boétie che lo
sappiamo: un tiranno non ha altra forza che quella che gli conferiscono i suoi sudditi, perché non c'è
altra fonte di sovranità che il libero volere degli individui. È questa coscienza, infine, che ha
permesso di intendere non solo la disobbedienza, ma anche l'obbedienza come un modo della
libertà: l'obbedienza, s'intende, alla legge e non al capo. L'auto-obbligazione responsabile dei
cittadini, che ha dunque come ultima fonte di legittimità nient'altro che il rispetto della pari dignità
di ognuno. In questa autolimitazione del potere che ci fa, governanti e governati, uguali di fronte
alla legge, è il valore della legalità e il senso delle istituzioni democratiche. Come la divisione e la
relativa autonomia dei poteri. Oggi respiriamo l'onda maleodorante fatta di abusi condoni favori
tangenti impunità soprusi e perdoni. È la palude stigia che abbiamo fatto della nostra anima, con un
sì dopo l'altro alla ventennale svendita della legalità in cambio di consenso. Chiamiamola pure
“democrazia bloccata”: Ermanno Rea ci insegna che l'impunità assurta a stile di vita non è che
l'ultimo capitolo della storia di minorità morale e cinismo cui ha condotto l'intimo matrimonio delle
coscienze e della Controriforma. Solo una parola cambieremmo, al titolo. Non la fabbrica
dell'obbedienza, ma della servitù - questo abbiamo fatto e continuiamo a fare dell'Italia. Allora sarà
più chiaro che non abbiamo scusanti: perché non c'è servitù se non volontaria.
da Saturno 25 febbraio 2011