Insegnanti motivati ed efficaci

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Insegnanti motivati ed efficaci
Insegnanti motivati ed efficaci
1° incontro: martedì 25 ottobre 2011
«Massima cura» e «minimo controllo».
(Ri)costruire la «sicura autorevolezza» dell’insegnante.
Don Domenico Cravero è psicoterapeuta e sociologo. Lavora con adolescenti problematici in
comunità terapeutiche di reinserimento. Lavora con genitori, promuovendo “scuole per genitori”,
anche nell’ambito di istituti scolastici.
Per l’efficacia dell’insegnamento, per insegnanti motivati ed efficaci, come recita il titolo del corso,
occorre riscoprire la categoria dell’autorevolezza, cosa significa questo termine in ambito
scolastico, a partire da una definizione di autorevolezza dei genitori. È un valore importante?
Come si forma? Da cosa deriva?
Nel quadro attuale di emergenza educativa, esaminiamo cosa dicono le ricerche sul concetto di
autorevolezza (cita la rivista L’età evolutiva). La cifra che riassume gli studi è “massima cura,
minimo controllo” nel processo educativo, sia familiare che scolastico.
Controllo implica il concetto di autorità più che di autorevolezza. Una visione del lavoro
spersonalizzata, si stabilisce con la disciplina, si garantisce con la punizione. Non si dice che non sia
necessario il controllo, ma deve tendere al minimo. Con il controllo non si promuove l’autonomia.
Cura significa ascolto, negoziazione di regole.
Quali sono i frutti dell’autorevolezza, quali conseguenze si provocano se i genitori e i docenti sono
autorevoli? Il criterio per identificare i frutti è l’autoefficacia.
Un bambino con i genitori autorevoli avrà una buona autostima, saprà cavarsela da solo, sa darsi
una regola da sé (dal greco àutos nòmos). Più c’è autorevolezza, più c’è autoefficacia e meno
controllo. Una scarsa autoefficacia genera sentimenti di incapacità, inutilità, depressione. Si
collega all’autoefficacia lo svolgere da sé i compiti (base dell’apprendimento cooperativo è
affidare i compiti al gruppo e valorizzare la capacità di essere efficaci).
Si parla anche di efficacia filiale, più un ragazzo diventa autoefficace, se la cava, meglio è capace di
essere figlio, di accettare la diversità di ruolo. Non si tratta di pura armonia, cresce anche nel
conflitto, nel difendere le ragioni. Vive la diversità e il rispetto nella differenza dai genitori. Una
buona socializzazione di preadolescenti e adolescenti (fare cose fuori casa) normalmente si
accompagna ad una buona autoefficacia e efficacia filiale. Se si sta bene con gli altri, si sta meglio
con i genitori.
Come applicare questi concetti nella scuola? Il controllo è dato da voto e disciplina, non significa
dare minimo valore al voto ma se tutto fosse finalizzato al voto, non si esprimerebbe la passione
della scuola.
Vediamo un parallelismo tra la famiglia (genitori/figli) e la scuola. In famiglia un’esperienza base
nel la precedente gestione del rapporto genitori/figli era la virtù dell’obbedienza. Non è più così. Il
contesto culturale non permette di usare la parola obbedienza, è inaccettabile. Tuttavia, tutti
possono constatare che se nel rapporto genitori/figli viene meno l’obbedienza, se vale la regola
che ognuno può fare tutto ciò che vuole, non c’è limite. L’educazione non può essere pensata.
Occorrono dei vincoli, dei no e dei sì per crescere. Se si intende l’obbedienza in senso
unidirezionale, la volontà dell’adulto che il bimbo deve seguire non può funzionare. Se non ci sono
regole, neppure così è pensabile l’educazione.
Come si esce da questa contraddizione? Il bambino, il preadolescente può imparare l’obbedienza
dall’obbedienza dei genitori. Non si può intendere l’obbedienza in senso unidirezionale per la
nostra concezione di libertà, maturata in tante lotte sociali. Ora c’è un’altra idea sui minori, sui
ragazzi. Per secoli li si è pensati come minori, esseri umani in minorità, non ancora formati. Oggi
l’infanzia è intesa in modo diverso. Il bimbo è una persona, ha capacità intuitive, sensibilità, magia
addirittura superiore all’adulto, tanto che si sostiene di non far morire il bambino che c’è in noi.
Per non intendere l’obbedienza secondo un modello unidirezionale occorre inserire il concetto di
reciprocità. Il bambino impara l’obbedienza, ad autolimitare le proprie voglie solo dall’esempio dei
genitori. I bambini obbediscono ai genitori i quali obbediscono al bene dei propri figli. Non
seguono le pulsioni di genitori che vogliono proiettare i propri obiettivi, le proprie attese sui
bambini.
Obbedienza significa pensare in modo diverso il rapporto genitori/figli. La massima cura andrà
posta per capire quale autonomia, quale vocazione, qual è il bene dei figli. Minimo controllo
riguarda il concetto del tirare su il bambino così come voglio io. Le scuole dei genitori servono
come laboratorio per costruire un nuovo modello di virtù per il rapporto genitori/figli. Una
limitazione consapevole alle pulsioni fa emergere qualcosa di meglio dal capriccio che il bimbo sta
facendo. L’obbedienza non è più imposta, non è più sottomissione ai tratti del carattere del padre.
Sono coinvolti quella donna e quell’uomo impegnati a capire il bene del figlio. L’obbedienza
continua ad essere conflittuale ma attraverso l’autorevolezza dei genitori che pongono dei vincoli.
Non può essere possibile fare ciò che vuoi, la soddisfazione, la gratificazione istantanea;
l’obbedienza dà dolore, fa star male, obbedire per amore è pura fantasticheria, non puoi percepire
subito che l’altro dicendoti dei no ti sta amando, sull’istante prevale il tuo io. L’obbedienza in
famiglia è in grado di costruire legami genitori/figli nella diversità dei ruoli, nel vincolo affettivo
della famiglia. L’obbedienza è libera e reciproca, è la stessa fatica del papà e della mamma che
rinunciano alle proprie proiezioni per dedicare energie a comprendere ciò che vuole il figlio.
È possibile tentare un parallelo tra l’obbedienza nel rapporto genitori/figli e l’autorevolezza nel
rapporto docente/allievo? Al docente spetta la fedeltà alla trasmissione culturale (deontologia
professionale), all’allievo tocca la responsabilità nell’apprendimento.
Secondo il principio di massima cura e minimo controllo, per il controllo si tratta di disciplina, voto,
punizioni, ci devono essere ma devono tendere al minimo; quanto alla cura, il docente deve dare
testimonianza umana, far emergere la sua persona all’interno della professionalità. Due elementi:
1. Saper agire professionalmente, conoscere la sua materia, competenza nel ruolo; sapere la
materia e saperla spiegare. Un medico è bravo se è umano ma prima di tutto deve saper
fare la diagnosi.
2. Un bravo insegnante di matematica la deve conoscere bene ma non è detto che basti
conoscere la materia per essere un bravo insegnante. All’interno della professionalità deve
emergere la sua persona, la sua originalità.
L’insegnamento non è solo scienza ma anche arte. Scienza e arte, dunque, far emergere la qualità
della sua persona, in modo che l’allievo senta che l’insegnante c’è per lui, per lei, pur essendoci
per tutta la classe.
Piergiacomo Oderda
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