Kesh 13 - Sarah Kaminski
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Kesh 13 - Sarah Kaminski
Israele: letteratura al femminile “E Miriam rispose a loro …” (Esodo 15, 21) di Sarah Kaminski Dall’inizio del ventesimo secolo a oggi gli amanti della letteratura ebraica e, negli ultimi quindici anni, anche il pubblico non israeliano, hanno potuto apprezzare la vasta ed eccellente produzione israeliana. In Italia le traduzioni sono state centellinate fino alla prima metà degli anni Novanta (Agnon, Bialik, Yehoshua)1, mentre la Francia aveva già abbracciato l’opera di David Shachar e negli Stati Uniti e in Germania Amos Oz era celebrato e apprezzato fin dagli anni Ottanta. In Italia, com'è stato ribadito in diverse altre occasioni, la vera apertura alla letteratura israeliana ha avuto inizio con la pubblicazione dell’opera monumentale di David Grossman, che ottenne un forte riscontro di pubblico e critica.2 Certo, a un osservatore attento non sfuggono le interessanti pubblicazioni della Rassegna mensile di Israel o di case editrici minori: Poeti di Israele, Rebellato 1969 è una raccolta di poesie dei classici H. N. Bialik, S. Tchernicovsky, U. Z. Grinberg e dei modernisti A. Shlonsky, N. Alterman e L. Goldberg; Moshe Shamir, Un re di carne e sangue, in La rassegna Mensile di Israel, Roma 1966. Nel 1981 Mondadori fece uscire una preziosa novella sulla Shoah di Appelfeld, Badenheim 1939, dimenticata però fino alla recente ristampa a cura di Guanda. Nel quadro complessivo della produzione letteraria israeliana, l’Italia si è guadagnata un posto di rispetto per la varietà e l’attenzione non solo alle vecchie guardie, ma anche alle giovani leve. Ultimamente, grazie alle traduzioni raffinate di Ariel Rathaus, lo scaffale si è arricchito di una buona lirica moderna (Wieseltier, Ed. San Marco dei Giustiniani, Genova 2003, Antologia di poeti israeliani, Einaudi, Torino 2007). Certo mancano ancora alcune opere illustri come quelle di Micah Joseph Berdichevsky (1865 - 1921), Yosef Haim Brenner (1881-1920) e di Yehoshua Bar Yosef (1912 -1992), come Città magica, una saga famigliare ambientata a Safed, (1949) oppure i racconti di Dvora Baron di cui si tratterà più ampiamente nelle prossime pagine. Si sente l’assenza di una pubblicazione più completa della narrativa di Shmuel Yosef Agnon e dell’opera di due raffinate scrittrici e saggiste: Yehudit Hendel e Amalia Kahana Carmon, la cui produzione letteraria 1 2 Cfr. Emanuela Trevisan Semi, Leggere Yehoshua, Einaudi, Torino 2006. Guido Fink, L’Indice 1988, n. 7. su D. Grossman, Vedi alla voce Amore, Mondadori, Milano 1986. cominciata negli anni Sessanta non è secondaria a quella di Grossman e di Yehoshua, anzi forse può essere equiparata alla suprema qualità espressa da Yehoshua Kenaz.3 I processi sociologici che conducono alla promozione e pubblicazione di un certo corpus letterario a discapito di un altro sono determinati da politiche culturali ed editoriali che gravitano all’interno del sistema culturale del Paese d’origine, ma anche del Paese ‘ospite’.4 Oggi, mentre gli scrittori israeliani affermati vengono tradotti quasi in tempo reale in più Paesi dell’Occidente, per le altre opere il sistema italiano spesso applica una selezione basandosi sul criterio del narrativo della Shoah, oppure del conflitto arabo-israeliano, collocando ai margini scrittori eccellenti come Sami Michael o Joel Hoffman.5 Nel fiorire della letteratura israeliana in Italia le scrittrici occupano un posto importante, ma dando un’occhiata agli elenchi bibliografici consultabili sui siti della Giuntina, di IsraeleNet e delle biblioteche di Roma si rileva che solo un terzo dei titoli è ‘al femminile’. Nella stessa direzione si muove “The Institute for Translation of Hebrew Literature” di Ramat Gan, in cui il numero complessivo di autori e autrici promossi è naturalmente maggiore, ma la posizione della letteratura scritta da donne è ugualmente ‘minoritaria’. In Israele, soprattutto a Tel Aviv, alla fine degli anni Ottanta, l’argomento della narrativa femminile divenne un topos importante nei dibattiti giornalistici e nei circuiti accademici. In un articolo pubblicato nel giugno 1989 sul quotidiano Yediot Aharonot un gruppo di scrittrici raccontava con orgoglio l’esperienza della conquista dell’io donna e scrittrice, mentre in un’intervista apparsa su Ha’aretz il 7 marzo 2003, ventidue autrici, fra cui un’araba – alcune famose, altre alle prime armi – presentavano Lì ci sono le rose, antologia di racconti erotici. Il titolo alludeva a un noto verso di Yona Wallach (1944-1985), stravagante sacerdotessa della lirica, ribelle, femminile e dissacrante. I racconti trattavano i tabù delle generazioni precedenti, riportando l’urlo sommesso di Rachel Bluwstein (1890-1931), poetessa della prima immigrazione in terra di Israele, di Dvora Baron (1887-1956) e della giovane poetessa, scrittrice e accademica Leah Goldberg e si plasmavano sul modello della letteratura forte, liberatoria ed espressionista di Zeruya 6 Shalev. 3 Il primo racconto della Carmon apparso in Italia, Ne’ima Sasson scrive poesie, è in La novella d’Israele. Narratori israeliani contemporanei, Spirali, Milano 1987. 4 Even-Zohar, Itamar 1979. “Polysystem Theory.” Poetics Today 1 (1-2, Autumn), pp. 287-310. 5 Il primo tradotto con più opere, mentre il secondo, Joel Hoffman, è stato presentato al pubblico italiano con un solo romanzo Il Cristo dei pesci, Feltrinelli, Milano 1993. 6 La vita e la produzione lirica di Yona Wallach costituiscono una nozione fondamentale per la comprensione della letteratura israeliana. Vedi I. Sarna, Yona Wallach, Jerusalem, Keter; G. Steindler Moscati, «From Collection Memory to Self-Definition. Biblical Images in Israeli Women’s Poetry», in Henoch, XXII, 1- giugno 2000, pp. 87-10. Negli anni successivi la letteratura femminile scelse anche il modello antologico, in cui amore, maternità, commento e preghiera creavano un forum di identificazione. Il fenomeno è estremamente interessante nell’ambito della lettura dei testi classici ebraici come la Bibbia, il Talmud e la Cabala. In Israele ebbe successo il volume di Aliza Lahav, La preghiera delle donne ebree lungo i secoli, che svelava alle lettrici un universo, da Hanna orante al tempio di Shilo fino alle invocazioni moderne, passando attraverso la preghiera italiana del XV secolo, in cui la donna “ringrazia di 7 essere fatta donna e non schiava…”. Ci limitiamo in questa sede ad accennare solo all’esistenza di una feconda produzione di saggistica, in cui le autrici vengono contestualizzate in una visione socio-politica più ampia, smentendo lo stereotipo della donna pioniera, vocata al lirismo e 8 all’intimità, ma anche alla missione nazionale affidata al “settore femminile” I lettori italiani forse non conoscono tuttora le madri della vasta produzione letteraria israeliana, ma ricordiamo che autrici come Saviyon Liebrecht, Lea Eini e Yehudit Rotem seguono il filone emotivo ed erotico creato da un’importante scrittrice, Naomi Frankel, che all’inizio degli anni Settanta scrisse il romanzo di formazione Il mio amato, una storia d’amore impetuosa che, sullo sfondo del kibbutz e della Guerra dei sei giorni, racconta la conquista a opera di due generazioni di 9 nuovi e fieri ebrei: il kibbutznik e il giusto guerriero del ’67. A questo fece seguito, nel 1981, il romanzo Come fiore selvatico, in cui lo scenario politico è la Guerra di Kippur del ‘73. Entrambi i libri sono stati letti da migliaia e migliaia di donne israeliane, generando un modello romantico di immedesimazione senza precedenti. La più originale della nuova generazione, emersa negli anni Ottanta, è senza dubbio Orly Castel Bloom, che con i racconti Non lontano dal Centro (1987) e Dolly City (1992; Stampa alternativa, 2008) ha sconvolto i sereni ambienti letterari confortati da S. Yizhar, Nathan Shacham, Amos Oz e 10 A B. Yehoshua. La sua principale caratteristica è il postmodernismo destrutturante, espresso in un ebraico originale. Il dibattito sulla letteratura della Bloom è sempre in auge; i protagonisti, spesso donne, portano il racconto fino all’assurdo e scompaginano la realtà, dando vita a una simbiosi con un mondo esterno altrettanto imperfetto e addirittura comico. La protagonista di Dolly City, medico, nutre un’ansia incontrollata per un bambino che in realtà non le appartiene. L’ossessività riflette in modo beffardo il mito della yiddishe mame, demarca gli incubi delle madri israeliane e definisce un avvertimento politico. Orly Castel Bloom, insieme a Etgar Keret, ha saputo dare un giro di vite alla Zeruya Shalev, Una relazione intima, 1997 (Sperling & Kupfer, Milano 2003). 7 Aliza Lahav, Tefilat nashim. Pesifas nashi shel tefilot usipurim, Yediot Aharonot, 2005, pp. 32-33. La preghiera riportata è modifica della preghiera maschile. 8 Cfr. Bat Sheva Margalit Stern, Redenzione sofferta, il movimento operaio femminile in terra di Israele 1920 – 1939), Yad Yitzhak Ben Tzvi, 2006, in ebraico 9 Cfr. Judith Rotem, Lo strappo, Feltrinelli, Milano 2000; Lea Eini in AAVV, Nuovi narratori israeliani, Theoria, 1998. 10 La rabbia del vento, Einaudi, Torino 2005; convengo con Alon Altaras che nell’articolo del 9 agosto 2006 sulla Repubblica contesta la scelta editoriale di modificare il nome arabo del racconto, l’unico di S. Yizhar pubblicato in italiano. struttura lessicale e grammaticale dell’ebraico israeliano, sciogliendo l’idioma da classicismi standardizzati. Non a caso sia lei che Grossman si riferiscono ai grandi scrittori della diglossia yiddish-ebraico, Shalom Aleichem e a Mendele Moicher Sfoirim quando parlano di avi linguistici. L’energia della Bloom ha reso il cammino più facile a molte altre scrittrici come Susanne Adam o 11 Shoham Smith e Edna Mazya, autrici di romanzi urbani. Dalle osservazioni acute e spesso maniacali della Bloom è scaturito anche un fenomeno opposto di compassione per le cose semplici. Un esempio interessante in tal senso è la novella psicologica di Gai Ad, Via Rimon 7, edita da Zmora Bitan nel 2004. Si narra con toni camerali la perdita dell’amore e della memoria in una casa di cura costruita per pochi pazienti. L’abbandono subito dalla protagonista e le proteste dei vicini ‘per bene’, si mescolano alla sofferenza e alle gioie degli ospiti, per lo più anziani. Analizzando la saggistica dei grandi critici letterari dai tempi della formazione dello Stato di Israele fino a oggi – Y. Kloyzner, P. Lachover, G. Shaked, D. Miron, O. Bartana – si nota, come spiega Yaffa Berlovitz, un vuoto di circa quarant’anni.12 Le donne erano presenti nell’espressione lirica, ma la narrativa e l’establishment non le hanno registrate e per circa quarant’anni sono rimaste invisibili, nonostante Nehama Puchacevsky, Elisheva Bichovsky, Leah Goldberg, Dvora Baron e almeno altre quindici scrittrici, operassero e pubblicassero già in Palestina-Israele. 13 Questa assenza è stata spiegata da Lily Ratok, come “assenza dell’autonomia e della centralità della donna come narratrice”.14 La Ratok, specializzata nella letteratura di Amalia Kahana Carmon, sostiene in quest’antologia che il coinvolgimento emotivo, la sudditanza all’amore sia nelle scrittrici veterane sia in quelle giovani, le allontana dal centro del sistema letterario, mentre gli uomini vivono appieno la dimensione della missione poetica. La Berlovitz tende invece a spiegare la posizione delle donne nella zona grigia attraverso fattori socio-culturali, piuttosto che attraverso le scelte o le costrizioni e gli archetipi psicologici. Nella Palestina degli anni Venti scrivevano S. Y, Agnon, Y. H. Brener, A. N. Gnessin, A. A. Kabak, Y. Burla e Y. Bar Yosef, nomi illustri che hanno accompagnato e influenzato i milieux letterari israeliani dalla II aliyà fino agli anni Settanta.15 Le donne, invece, sono rimaste nella 11 12 Suzanne Adam, Laundry, Keter, Jerusalem, 2002; Edna Mazya, Esplosione cosmica, E/O, 2001 Y. Berlovitz, Racconti di scrittrici dello Yishuv prima della nascita dello Stato di Israele, HaSifria Hahadasha, 2003 Dan Miron, Founding Mothers and Stepsisters:The Emergence of the First Hebrew Poetesses & Other Essays [Hebrew] (Tel Aviv: Hakibbutz Hameuchad, 1991), pp. 160-177). 14 L. Ratok, L’altra voce – Narrativa femminile, Hasifria Hachadasha, Tel Aviv, 1994, pp. 270-272, in ebraico. 15 G. Shaked, “ Letteratura ebraica moderna, il tema del sionismo”, Henoch, XXI, 1-2-luglio, 1999, pp. 185 - 204. Sulla situazione e le delusioni delle donne ebree, operaie, sindacaliste e politiche si può leggere nella ricerca storica pubblicata da Bat Sheva Margalit, Redenzione in catene, il movimento operaio femminile in Terra di Israele, Yad Ben Ztevi, 2006. 13 penombra del sistema letterario ufficiale, dedicandosi, in città come nei kibbutzim, alla didattica e ai servizi. La loro scrittura si esaurisce nel racconto, spesso memorialistico o formativo. Considerano se stesse quale mezzo per la costruzione della società sionista futura, incoraggiate dalle parole dei grandi leader, tra cui il linguista E. Ben Yehuda16. A fare da raccordo tra le due visioni si colloca l’analisi di Yigal Schwartz sulla letteratura femminile di quel periodo. Egli tiene conto della teoria negativa di D. Sadan, D. Miron e G. Shaked, che non riconoscono un ruolo di rilievo alle autrici nella repubblica letteraria dello Yishuv-Israele ma, allo stesso tempo, osserva con attenzione il desiderio politico di L. Ratok e di Y. Berlovitz di assegnare uno spazio politico e sociale alla produzione di questa generazione di scrittrici.17 Come si fa a presentare la storia e le origini della scrittura al femminile in una realtà italiana in cui tutti gli scrittori israeliani (eccetto ovviamente il gruppo Oz-Grossman-Yehoshua, a cui si possono aggiungere anche Meir Shalev e, ultimamente Sami Michael) vengono considerati, un unicum? Quattro nomi sono indispensabili per la presentazione “delle narratrici invisibili”: Nechama Pukhatchevsky (1869-1934), Dvora Baron (1887-1956), Elisheva Bichovsky (1888 – 1949) e Leah Goldberg (1911-1970). Elisheva Bichovsky, figlia di padre pravoslavo e madre inglese, emigrata nel 1925 dalla Russia in Terra di Israele con il marito ebreo Shimon, gode ultimamente di una nuova attenzione da parte della critica israeliana. Il suo interesse per l’ebraismo, lo yiddish e l’ebraico cominciò a Mosca; frequentando “La società degli amanti dell’ebraico” si innamorò e, all’età di 32 anni, sposò il suo professore di ebraico. Poetessa, scrittrice, traduttrice e saggista, pubblicò in Russia e poi in Israele, ma rimase a lungo considerata un’ospite esotica della letteratura israeliana. Ricordiamo qui il volume Viuzze del 1929, il primo romanzo scritto da una donna in Israele. Narra la storia di Ludmilla Vivien, una giovane poetessa, che come la scrittrice chiede a un giovane ebreo, Daniel Roiter, sposato e padre di una figlia, di insegnarle l’ebraico. Apparentemente una banale storia d’amore dal sapore cecoviano, mentre da lontano giungono gli echi della rivoluzione e la società borghese sperimenta la caduta di ogni criterio morale. Ludmilla può scegliere tra un amore borghese concedendosi al rispettabile impiegato sposato, Kravzov, oppure mantenere una romantica e delicata storia con il sionista Daniel, o ancora sistemarsi con lo scrittore potente e stimato, 16 Sul tema vedi Yaffa Berlovitz, Tre Racconti di donne della seconda alyià, Sifriat Tarmil, 1984 (in ebraico). Sulla situazione e le delusioni delle donne ebree, operaie, sindacaliste e politiche si può leggere nella ricerca storica pubblicata da Bat Sheva Margalit, Redenzione in catene, il movimento operaio femminile in Terra di Israele, Yad Ben Ztevi, 2006. 17 Yigal Schwartz, Vantage Point, Kinneret, Zmora-Bitan, 2005, cap.V. Galvitz, stringendo un legame che potrebbe procurarle un visto per la Francia, la porta per la sognata Parigi; insomma, un romanzo alla Jane Austen nella Tel Aviv di ottanta anni fa!18 Il processo di riscoperta di una letteratura dimenticata è toccata anche a Leah Goldberg, famosa per la sua poesia, ma meno nota come saggista, traduttrice e scrittrice per adulti e bambini, nonché fondatrice della cattedra di letteratura comparata all’Università di Gerusalemme. Il romanzo Egli è la luce, del 1949, racconta attraverso elementi biografici la malattia mentale del padre catturato dai lituani alla fine della Prima guerra mondiale. La ragazza, Nora Kriger – una scelta ibseniana – torna dagli studi di archeologia compiuti a Berlino. Studia per essere idonea alla vita in Terra di Israele, per poter abbandonare la decadenza dell’Europa e ancorarsi a un passato storico, ma vero e quasi tangibile. Durante la permanenza a casa si infatua dell’amico del padre, vive il drammatico divorzio dei genitori e l’incubo di un possibile suicidio di suo padre. Per molti anni il romanzo è stato considerato una letteratura buona ma secondaria, un narrativo troppo ‘europeo’, simile a quello di David Vogel e poco indigeno, nonché privo di geografia e valori sionistici. Oggi, invece, con la nuova pubblicazione dell’opera, si riconosce all’autrice l’innovazione linguistica, lo stile del realismo lirico mitteleuropeo e il coraggio di parlare dell’Europa tra le due guerre come un campo di morte.19 Nella storia della letteratura ebraica si è a lungo dibattuto sulla relazione tra grandi scrittori israeliani e fonti ebraiche. Nell’ultimo e quinto volume dello studio storico e poetico, rassegna critica su cent’anni di questa letteratura, Shaked osserva che “essa è tornata alla sua terra d’origine, la nachalà, ma non alla menuchà, la pace e la tranquillità. La letteratura israeliana ha ereditato e continuato l’opera definita ebraica in yiddish, in ebraico e anche negli idiomi locali nelle diverse diaspore”.20 Yehudah Amichai ha sempre elaborato la Bibbia in versi moderni, Grossman studia il Talmud, Dov Elbaum, un giovane scrittore israeliano parla con i patriarchi. L’ebraicità, spostata dal sionismo ai margini del sistema letterario, è ora tornata con forza nella narrativa moderna, risorgendo con le opere classiche degli anni Venti-Quaranta e nella voce potente degli autori che praticano la dialettica tra appartenenza e strappo: Judith Rotem e Hanna Bat Shachar. Chissà se le madri della letteratura ebraica conoscevano la storia talmudica della dotta Beruria, la moglie di rabbi Meir, che morì suicida e umiliata dopo avere ceduto a un tranello teso dal marito 18 Su Elisheva hanno scritto Y. Beerlovitz, Lili Ratok, Rut Almog e Shlomit Kinel dell’università di Bar Ilan, vedi Haaretz, 13 giugno 2008. 19 Menahem Peri, And this is The Light, Hasifria Hachadasha, 2005 e un ampio saggio sulla scrittrice Verso Lea di Amia Liblich, Hakibbutz Hameuchad, 1995. Leah Goldberg, Tutti i racconti, Sifriat Hapoalim, 2009 (in ebraico). 20 G. Shaked, Narrativa Ebraica, 1880-1980, V vol. p.481. – altri diranno prova d’amore – confermando così il detto “Le donne sono vane”.21 Oppure i bellissimi libri memoir di Glucken Von Hamelin, (Amburgo 1646 - Metz 1724), esperta di commenti e interpretazioni rabbiniche come sottolinea Chava Turniansky nella sua nuova edizione al testo della vedova Glucken, commerciante di pietre preziose e madre di 14 figli, di cui due morti infanti; costei, dopo la morte del marito nel 1691, decise di scrivere le proprie memorie. Il manoscritto fu copiato da due figli e a noi è pervenuta una testimonianza preziosa, in cui la donna ebrea del settecento non si sentiva affatto rinchiusa nello spazio del matroneo.22 Dvora Baron (1887-1956) traduttrice di Flaubert, Cecov e maestra del racconto breve,conosceva probabilmente le storie di Beruria e di Glucken, essendo lei stessa figlia di un rabbino e grande cultrice della lingua yiddish e della tradizione ebraica. Nel 1903 pubblicò brevi racconti sui giornali ebraici. Giunta in Palestina nel 1911, entrò nella redazione del quotidiano Davar e nel 1915, dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, fu esiliata con il marito in Egitto, da cui tornò cinque anni più tardi. I suoi racconti sono scritti con realismo linguistico, minuziose descrizioni ambientali della società dello shtetl, grande impeto e attenzione al mondo femminile. Dvora Baron e Leah Goldberg ricordano Miriam che aggiunge al canto solenne e lungo di Mosè, un’espressione più essenziale, corredata di musica e ballo. Un solo versetto, dopo i tredici declamati dal fratello. “Miriam rispose a loro: ‘Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!’”. Il commentatore Rashi dice: “Miriam cantò per e con le donne facendo una sorta di riassunto del canto potente di Mosè”. La Professoressa Tova Cohen dell’Università di Bar Ilan propone una lettura più ampia.23 In primo luogo nota l’attenzione data dal narratore alle modalità con cui Miriam invoca la vittoria di Dio “Allora la sorella di Aronne, Miriam la profetessa, prese in mano un tamburello, e le altre donne si unirono a lei. Esse suonavano i tamburelli e danzavano”. Mosé glorifica Dio, mentre Miriam è più diretta e risponde alle donne, ma nella sua invocazione usa il plurale maschile; si potrebbe comprendere che (diversamente dalla visione dei saggi) il suo canto, più semplice e immediato, è espressione di tutto il popolo. 21 ● Tosafta Kelim, Bava Metzia 1,6; vedi l’interpretazione nella raccolta di racconti talmudici elaborati da Ruth Calderon, The Market. The Home. The Heart, Keter, 2001(in ebraico). 22 Chava Turniansky, Gluckel- memorie, 1691-1719, Centro Zalman Shazar, 2006, edizione corredata di 3000 note. La prima traduzione in ebraico risale al 1929; a riguardo si veda anche Zeev Gris. http://hsf.bgu.ac.il/cjt/files/electures/sifruthadrush.htm. Memorie, ed. Giuntina, 1984 23 Cfr. http://www.biu.ac.il/JH/Parasha/beshalah/coh.html