Bollettino 01.2013 - Associazione Italia
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Bollettino 01.2013 - Associazione Italia
[email protected] Editoriale Care Lettrici, Cari Lettori, un caloroso Shalom a tutti Voi questo è il primo, orgoglioso, numero del Bollettino della sezione di Alba Bra Langhe Roero dell’Associazione Italia –Israele. Speriamo sia di gradimento e possa gettare quel seme di curiosità e interesse per gli argomenti che andremo trattando. Il mese di gennaio è trascorso con un primo evento associazionistico, cui dedicheremo apposito spazio qui di seguito, che ha avuto un buon successo di pubblico e di interesse. Omaggiamo il mese di gennaio con la tematica “principe” del mese, la Memoria. Ma non solo. Si introduce infatti il concetto di Giusto, parola cui forse non tutti sanno attribuire l’esatto significato e valore. Infatti il 6 marzo prossimo sarà la Prima Giornata Europea dei Giusti. L’argomento non puo’ non collegarsi alla Memoria. Ed ecco che buono spazio in questo primo numero è dedicato a tali argomenti. Chiudono il bollettino alcuni consigli di lettura e di cinema. Molti consigli di lettura a tema, nel vastissimo panorama Memoria e Shoà, iniziando da due testi, poco noti rispetto ad altra letteratura, che sono pieni di dolore e di forza vibrante e crediamo possano e sappiano entrare nella pelle di ogni lettore. Febbraio è anche il mese di Purim, che cade il 14 di Adàr, ed è la più allegra di tutte le feste, ma sappiamo cos’è Purim? Da dove nasce, come si festeggia e perché si festeggia. Abbiamo tentato una piccola escursione in questa “festività” amata soprattutto dai bambini I soci che volessero proporre argomenti o temi, che volessero collaborare o suggerire miglioramenti, saranno benvenuti. Buona Lettura! Evento: vento: La Giornata della Memoria La nostra Associazione ha aperto il 2013 con un evento in occasione della Giornata della Memoria. Il 27 gennaio sono infatti stati nostri graditi ospiti lo scrittore Gabriele Rubini e la relatrice Mara Marantonio per la presentazione dell’opera prima “Generazioni 1881-1907” edito da HWP. La presentazione è stata tenuta presso la Chiesa di San Giuseppe, concessaci dal Centro Culturale San Giuseppe dal suo presidente Dr.Roberto Cerrato. Ampia la presenza del pubblico albese e non solo, tra cui L’assessore comunale Dr. Scavino, il sen. Tomaso Zanoletti, il Presidente dell’Associazione Padre Girotti, sig. Vai, e il presidente dell’Associazione Culturale Arvangià dr. Renato Bosca Gabriele, studioso di storia ebraica e del Medio Oriente, ha vissuto un anno in un kibbutz in Israele prima di laurearsi in storia americana e ora affianca la sua attività di scrittore con quella di export manager. Mara, profonda conoscitrice dell’arte e della cultura israeliana ed ebraica in genere, ha per alcuni anni prestato opera presso l’associazione Italia Israele di bologna, ed oggi ha un sito web www.langolodimara.com in cui consiglia e recensisce libri e film, non mancando una parte informativa su fatti di Israele Gli ospiti, giunti ad Alba nel pomeriggio del sabato, si sono piacevolmente intrattenuti con alcuni membri dell’associazione nella prima giornata, hanno potuto visitare la mostra di Carrà alla fondazione Ferrero e godere dei piatti tipici dell’albese. Persone di cultura e di grande simpatia hanno manifestato gradimento verso la città di Alba e verso la nostra Associazione. La presentazione, durata oltre due ore, è stata aperta dal saluto del presidente della nostra Associazione Avv Pier Mario Morra, il quale ha esordito ricordando che la Giornata della Memoria è occasione anche e soprattutto di Speranza, speranza data da tutti coloro che, Giusti fra le Nazioni, ebbero il coraggio di scegliere, di ribellarsi e fare la cosa giusta, aiutando chi era perseguitato. “Generazioni” è un romanzo corale, di ampio respiro nel quale l’autore con uno stile brillante e incisivo racconta le vicende di cinque famiglie ebree declinandole in un’epoca storica tumultuosa e foriera di grandi mutamenti in cui meravigliosi personaggi di finzione interagiscono con figure realmente esistite (dal protosionista Moses Hess a Dreyfuss, da Pisarro a Boris Schatz) Da Zithomir in Ucraina dove il romanzo si apre nel marzo del 1881 con le violenze di un pogrom passando per la piccola cittadina di Berdichev, teatro degli avvenimenti che intrecciano le vite dei Zylberstein e dei Jacobi, fino a Shoshanat-Yericho (il villaggio in Eretz Israel “una trentina di pionieri e un pugno di baracche di legno arroccati in cima a un colle” nato dalla munificenza del benefattore Moses Montefiore) il lettore si appassiona alle vicende delle famiglie russe e non può fare a meno di partecipare alle gioie, ai dolori e alle tragedie che li vedono protagonisti. E’ una galleria di personaggi indimenticabile che Rubini ritrae con un accurato lavoro di scandaglio psicologico rivelando di ognuno i pregi, i difetti, le aspirazioni e i desideri più reconditi: pervasi da autentico spirito sionista sono consapevoli che per sfuggire all’antisemitismo e ai pogrom l’unica strada da perseguire è l’Alyah, la salita in Eretz Israel, ma solo pochi potranno realizzare quel sogno. Con Daniele Morpurgo, giornalista del Resto del Carlino, conosciamo la Bologna del 1887, percorriamo le strade che costeggiano Piazza San Domenico, facciamo due chiacchiere con gli amici di Daniele al Caffè S. Pietro indignandoci per il massacro degli italiani in Eritrea. Ancora una volta la Storia si insinua nel racconto con la triste vicenda di Edgardo Mortara, il bambino ebreo amico d’infanzia di Morpurgo, rapito dalle autorità ecclesiastiche e mai più restituito alla famiglia. Una storia dolorosa che è rimasta conficcata nell’animo del giovane e riemerge dopo anni dalle pagine di un articolo di Daniele che nel frattempo è diventato marito di Zita e padre affettuoso di Italo e Filippo. Un altro personaggio storico fa capolino dalla penna sapiente di Rubini facendo sognare i lettori che hanno amato le sue rime sui banchi di scuola: è Giosuè Carducci dal temperamento burbero e imprevedibile che affascina Morpurgo con la sua oratoria e diventa per il giovane aspirante professore un maestro e un modello cui ispirarsi. Lasciamo Daniele Morpurgo, ormai giornalista famoso della testata bolognese, alle prese con un articolo su Francesco Crispi, divenuto in quegli anni Primo Ministro per entrare nella Parigi del 1895. Fin dalle prime pagine l’autore inquadra con lucidità fotografica l’epoca nella quale si dipana la vicenda della famiglia Lanzmann. Siamo nel 1895 al tempo dell’Affaire Dreyfus. Capitano, patriota alsaziano di religione ebraica, Alfred Dreyfus giunto ai vertici dello Stato Maggiore viene accusato ingiustamente di aver passato ai prussiani informazioni militari segrete e degradato in pubblico dinanzi a generali, giornalisti venuti da tutto il mondo e ad una folla che fuori dai cancelli non nasconde il sentimento antisemita serpeggiante nella società francese, al grido: “Morte al giudeo, fuori gli ebrei dall’esercito”. In questo contesto si inserisce la storia struggente del tenente Antoine Lanzman, alsaziano ed ebreo come Dreyfus. Benché si senta prima di tutto francese e poi ebreo per Antoine l’identità ebraica ha un significato profondo e un pomeriggio al circolo degli ufficiali non può fare a meno di udire una conversazione fra quattro ufficiali subalterni. L’indignazione è tale per quelle frasi antisemite che chiede soddisfazione sfidandoli a duello. A nulla servirà l’amore di Pauline, la sua compagna, né l’affetto del padre Bénoit: il destino di Antoine è segnato e l’epilogo straziante lascerà una cicatrice indelebile nell’animo di coloro che lo hanno amato, oltre alla consapevolezza che un’immane ingiustizia si sia compiuta. Nel corso del colloquio con il dott. Rubini si sono toccati i molteplici temi del libro, il quale, per parole stesse dell’Autore, è ricco di “semi da far germogliare”. La storia delle 5 famiglie ebree, durante un lasso piuttosto breve di tempo, ha permesso di affrontare anche temi piu’ caldi come il sionismo e la nascita dello Stato di Israele. Per tutti coloro che non avessero potuto presenziare o che, seppur presenti, gradissero leggere la relazione della D.ssa Marantonio, la stessa ce ne ha lasciato copia e la troverete in allegato al presente bollettino. Giornata della Memoria: proposta del Regio di Torino Sempre in occasione del “Giorno della Memoria” Il Teatro Regio di Torino ha organizzato, per Lunedì 28 gennaio, un concerto in cui Israel Yinon, direttore d’orchestra israeliano, ha diretto la Filarmonica ’900 del Teatro Regio di Torino. La Filarmonica ’900, in collaborazione con la Comunità Ebraica di Torino, ha proposto un repertorio ispirato alla riflessione sui temi della pace fra i popoli e dell’ecumenismo religioso. Il concerto si è aperto con la Passacaglia di Hans-Peter Dott, rivisitazione in chiave contemporanea dell’antica forma barocca consistente in una serie di variazioni su basso ostinato. A dirigere l’orchestra è chiamato proprio colui al quale, in veste di direttore principale dell’Orchestra Sinfonica di Graz, Dott dedicò la composizione: Israel Yinon, definito dalla critica specializzata come uno dei direttori dal repertorio più fantasioso e interessante del panorama internazionale. Sul palco della Filarmonica ’900 è salito anche Jan Vogler, violoncellista tedesco, naturalizzato negli Stati Uniti, che ha eseguito magistralmente Schelomo, rapsodia ebraica per violoncello e orchestra di Ernest Bloch. Il violoncello solista gioca un ruolo fondamentale nella composizione e, intonando il canto di un melisma – la canzone-preghiera con cui viene letta la Torah – “impersonando” la voce del Re Salomone davanti al suo popolo. Nella seconda parte del concerto, l’atmosfera festosa della Terza Sinfonia di Robert Schumann, la “Renana” in mi bemolle maggiore op. 97. L’ opera, scritta in soli due mesi, è la testimonianza di uno degli ultimi periodi felici vissuti dal compositore, durante il suo soggiorno a Düsseldorf, sulle rive del Reno. Ringraziamo il socio onorario M° A. Galoppini per averci segnalato il bellissimo evento. Per chi volesse approfondire a questo indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=ehXHUX_D8sk&feature=share è reperibile breve intervista al M° Yinon e al Vicepresidente della Comunità Ebraica di Torino, David Sorani che ha introdotto magistralmente il concerto del 28.01 al Regio con esaustiva spiegazione sull’opera di Ernest Bloch. La Memoria del Bene Giusti fra le Nazioni di Haim Hefer Sento la definizione “Giusti fra le Nazioni” e provo a pensare alle persone che diedero un nascondiglio in cui rifugiarsi. Se fossi stato io al loro posto, che cosa avrei fatto? In mezzo a un oceano di odio, avrei forse dato rifugio ai figli di un altro popolo? Saremmo stati disposti, io e i miei famigliari, a vivere in una paura continua? A sognare tutte le notti il passo pesante dei carnefici? Sarei stato pronto a continuare fra tiri di fuoco e lame di coltelli, tra i sussurri dei pettegolezzi, i mormorii delle voci e le speranze dei delatori? E tutto ciò non per una sola notte, non per un mese, ma per anni. E tutto ciò senza chiedere alcun compenso, ma solo una stretta di mano. E tutto ciò perché l’uomo deve essere uomo per l’uomo. Nella terribile guerra costoro furono ogni giorno in battaglia. Essi sono i Giusti per il cui merito il mondo non è andato in rovina. Nella storia del popolo assassinato, soffocato e ucciso, essi sono state le colonne portanti: la clemenza e la compassione su cui il mondo si regge. Di fronte al loro eroismo, che costituisce per noi ancora un enigma, noi ebrei chiniamo il capo con gratitudine. Fonte: Anna Rolli tramite Giuseppe Segre CHI SONO I GIUSTI Il prossimo 6 marzo 2013 sarà celebrata la Pr Prima Giusti.. Il 10 maggio 2012 ima Giornata Europea dei Giusti infatti il Parlamento Europeo ha approvato con 388 firme la proposta di Gariwo di istituire il 6 marzo una Giornata europea dedicata ai Giusti per tutti i genocidi. Ma, che cos’e un “Giusto”? Alcune riflessioni tratte da un recente articolo di Marina Gersony, Stefano Levi Della Torre sul bollettino di “Mosaico” Il termine Giusto è tratto dal passo della Torà che afferma “chi salva una vita salva il mondo intero” ed è stato applicato per la prima volta in Israele in riferimento a coloro che hanno salvato gli ebrei durante la persecuzione nazista in Europa. Il concetto di Giusto è stato ripreso per ricordare i tentativi di fermare lo sterminio del popolo armeno in Turchia nel 1915 e, per estensione, a tutti coloro che nel mondo hanno cercato o cercano di impedire il crimine di genocidio, di difendere i diritti dell’uomo nelle situazioni estreme, o che si battono per salvaguardare la memoria contro i ricorrenti tentativi di negare la realtà delle persecuzioni. “Per me e per tutti gli altri prigionieri era l’unico tedesco buono, l’unico tedesco di cui non avevamo paura, l’unico a cui un ebreo poteva chiedere un favore». Con queste parole Moshe Bejski si riferiva a Oskar Schindler, l’uomo che ingannò le SS salvando la vita di centinaia di ebrei e in seguito reso famoso dal film di Steven Spielberg. Giudice della Corte Costituzionale di Israele e Presidente della Commissione dei Giusti dello Yad Vashem, Bejski è scomparso nel 2007 lasciando una preziosa eredità etica alle nuove generazioni. Nello stesso modo in cui Simon Wiesenthal dava la caccia ai criminali nazisti, Bejski si mise sulla traccia di coloro che avevano aiutato gli ebrei a salvarsi, spesso scontrandosi con l’ingratitudine dei sopravvissuti. Non gli interessava tanto la purezza e la perfezione di chi aveva salvato delle vite. Non cercava né eroi né superuomini. L’elemento essenziale era l’azione giusta, anche se isolata, perché in quella si era espresso il Bene. Una visione che lo portò spesso a scontrarsi con le istituzioni più propense a celebrare i santi e gli eroi piuttosto che rendere merito ai quanti, imperfetti e contradditorii, avevano messo in gioco se stessi per gli altri. Raccogliere l’eredità che fu di Bejski significa ripercorrere la sua strada: per valorizzare i Giusti di oggi, in ogni parte del pianeta. Ovvero quei disobbedienti, anticonformisti, sovversivi e piantagrane, coraggiosi ribelli che alzano una voce fuori dal coro e si spendono per salvare chi è in pericolo, ovunque accadano genocidi o crimini contro l’umanità. Grazie all’impegno di Gariwo, il Comitato per la Foresta dei Giusti (www.gariwo.net), il concetto ebraico di Giusto tra le nazioni si è dunque universalizzato, diventando patrimonio di tutti. Ma qual è la definizione di Giusto? E come dargli corpo oggi in un’Europa individualista, confusa, spesso amorale e distratta? Ne hanno parlato pensatori e filosofi nell’ambito del convegno internazionale “Le virtù dei Giusti e l’identità dell’Europa”, che si è svolto di recente a Milano, a Palazzo Marino. Organizzato dall’Associazione per il Giardino dei Giusti del capoluogo lombardo, è stato il primo appuntamento in vista delle celebrazioni per la Giornata Europea dei Giusti (6 marzo), istituita lo scorso maggio dal Parlamento Europeo e fortemente voluta da Gabriele Nissim, scrittore, storico, ideatore e presidente di Gariwo che, grazie al proprio, testardo, impegno, è riuscito a far passare la mozione a Bruxelles. «Le figure dei Giusti sono un simbolo unificante in cui tutti possono riconoscersi. Figure di coraggio civile che, oggi come ieri, mettono a rischio la propria vita in difesa dei diritti umani, testimoni di verità, di compassione…», dichiara. «Abbiamo bisogno di una piattaforma etica su cui costruire l’identità nobile dell’Europa. Valori alti, su cui edificare l’Europa, per uscire dal localismo miope, dall’intolleranza. Ecco perché la Memoria del Bene e dei Giusti è così importante.». Un percorso tutt’altro che facile, perché spesso le memorie dividono, e sono in concorrenza tra loro. Come osserva ancora Gabriele Nissim, a cui va dato il merito di svolgere un importantissimo lavoro sulla Memoria del Bene, «ciascuno ha i suoi Giusti da proporre e quegli degli altri da escludere». A Bruxelles, c’era chi non voleva che si parlasse degli armeni, altri del totalitarismo sovietico, altri ancora della Bosnia e altri ancora pensavano che si dovesse parlare solo dei Giusti della Shoah. «Eppure -spiega Nissim-, si diventa veramente europei quando si è cittadini del mondo, quando si costruisce una memoria condivisa. L’Europa non si costruisce con una memoria che guarda solo al particolare, ma con la pluralità delle memorie». Va detto che per lo piu’ il Giusto non è mai un eroe, o un guru, non è perfetto, non è una figura titanica e lontana che si innalza sugli altri: sta invece dentro le cose, va verso l’altro, verso l’aderenza. «Nessun Giusto obbedisce alla Legge naturale. Anzi: spesso lui è oltre e al di fuori della Giustizia riflette il filosofo Massimo Cacciari-. Non c’è nulla di naturale in un Giusto. In lui tutto è sovrannaturale. La sua non è la temperanza medievale che insegnava un concetto di equilibrio. E non è neppure l’idea di una Giustizia distributiva e tanto meno punitiva. Il Giusto non chiede mai la punizione, ma ha a che fare con l’idea del dono e del perdono. Se il Male è escludere l’altro, far sì che l’altro non sia, non esista, il Bene è invece effusivo, non isola, non esclude: è il donarsi per il donarsi, senza calcolo. Per effusività intendo il guardare l’altro: il vero peccato originale dell’Uomo è, da sempre, il non guardare, il voltare la testa dall’altra parte e rifiutarsi di vedere. Questa è la famosa banalità del Male. Il Giusto lotta contro il Male ma non facendo MAI il Male». Indifferenza, non vedere, far finta di niente, ma anche apatia e ignoranza di chi non vuole sapere o non può sopportare l’orrore . O di chi si rifugia nell’omissione, una tra le colpe più gravi dell’umanità. Perché è proprio cumulando le omissioni che vengono fuori le azioni perverse. Perché è a forza di tollerare e lasciar correre che diventano possibili i grandi Mali. Non a caso i totalitarismi sono nati poco a poco, nell’indifferenza generale, fino a quando non era troppo tardi per reagire alle esplosioni di violenza. In questa cornice, il Giusto assume una posizione determinante; quella di colui che può cambiare il corso delle cose attraverso il suo comportamento: «Il Giusto è colui che insegue un pensiero “riflettente”-spiega Nissim-, ovvero che agisce in base a un pensiero che si fa riflesso degli altri. E che obbedisce a qualcosa di inaspettato, sorprendente anche per se stesso, un impulso morale che non sospettava di avere. Hannah Arendt diceva che ciò che conta è insegnare alle persone a pensare con la propria testa, a esercitare il proprio spazio di responsabilità e a difendere il proprio orizzonte morale. Questo è il retroterra su cui può crescere un Giusto. E la responsabilità è sempre una sfida; a volte non ci sono esempi da seguire, siamo soli con la nostra legge morale, quella voce interiore, che è lì a guidarci, sola contro tutti». La responsabilità individuale, dunque, è una delle parole chiave, penso all’idea di “responsabilità incarnata” a cui si riferiva il filosofo Emmanuel Levinas: se non rispondo di me chi risponderà per me?, si chiedeva dal campo di prigionia, durante la Seconda Guerra Mondiale. Per Levinas un Giusto è colui che si fa carico del “volto dell’Altro”, della sua “bisognosità” e fragilità. Il Giusto è colui che prende su di sé “lo spessore carnale” del mondo e che accetta di portare l’Altro sulle proprie braccia e metterlo intorno al collo». Ed è a questo punto che entrano in gioco valori come rispetto e dignità, valori fondanti dell’universalità umana. Dice in proposito Salvatore Natoli, accademico e filosofo: «la parola chiave è: dignità. Che vuol dire libertà, universalità. Nella Bibbia c’è scritto: “ama il prossimo”. Nella tradizione talmudica, l’espressione è bella e viene chiosata in questo modo: “cerca per il tuo prossimo quello che cerchi per te stesso”. E Spinoza svilupperà chiaramente questa dimensione, tralasciando l’uso del termine solidarietà, troppo compassionevole e buonista, ma usando l’utilità. Nulla è più utile all’uomo dell’uomo stesso. Cioè concorrere per la realizzazione del bene comune». E conclude: «Il nuovo Welfare non è una distribuzione assistenziale di risorse, ma è piuttosto creare condizioni opportune perché ognuno possa valorizzare se stesso. Poiché se non si rispetta la singola persona, il rischio è che la solidarietà diventi una generosità pelosa o una forma di parassitismo legalizzato». Attualità, da Israele : Sempre piu’ palestinesi vogliono diventare israeliani Nel mese di dicembre 2012 ad Alba si è svolta una serata dall’inquietante titolo “La legge del piu’ forte. Un viaggio in Palestina oggi”. Alcuni soci della nostra sezione sono andati a sentire la conferenza, corredata da video-documentario predisposto da PaxChristi. Pareva di assistere piu’ alla fiera della menzogna cha altro, interviste improbabili, messaggi subliminali, distorsione informativa. Orbene, proprio pochi giorni orsono ci imbattiamo in un coinvolgente articolo del 23 ottobre scorso ( in originale link al fondo). L'articolo è decisamente interessante e ci fa conoscere qualcosa sul mondo palestinese in Israele. Qualcosa che è molto diverso da quanto solitamente viene riportato e dai media e dalle varie associazioni propalestina. E la voce che ce ne parla è quella di un arabo, il giornalista Khaled Abu Toameh, Toameh giornalista arabo israeliano (per chi lo volesse conoscere meglio http://en.wikipedia.org/wiki/Khaled_Abu_Toameh ) diamogli voce: “Non si può negare che richiedendo la cittadinanza israeliana, sfidando i moniti dell'OLP e di Hamas, i palestinesi intendano vivere sotto la giurisdizione israeliana, anziché quella araba. L'Autorità Palestinese (AP) si mostra preoccupata per il crescente numero di palestinesi di Gerusalemme che richiedono la cittadinanza israeliana. Hatem Abdel Kader, residente nel West Bank governata da Al Fatah, ma in possesso di "passaporto di Gerusalemme", ha rivelato che più di 10 mila palestinesi di Gerusalemme hanno ottenuto la cittadinanza israeliana. E attribuisce questo crescente fenomeno al fallimento del progetto dell'AP e all'incapacità dei paesi arabi e islamici di supportare concretamente i residenti arabi di Gerusalemme. In altre parole, egli riconosce che Israele fa per i palestinesi molto più di quello che la leadership palestinese e l'intero mondo arabo e islamico ha fatto per essi.Secondo le statistiche rese note dal Ministero degli Interni, nell'ultimo decennio 3.374 palestinesi hanno ottenuto la cittadinanza israeliana; con un trend esponenziale negli ultimi due anni. I palestinesi che vivono a Gerusalemme godono della condizione di residenti permanenti in Israele. Ciò consente loro di possedere una documento di identità israeliano, sebbene non possano ottenere un passaporto. In altre parole, godono di tutti i diritti dei cittadini israeliani, con l'unica eccezione rappresentata dalla possibilità di votare alle elezioni generali. La legge israeliana consente a tutti di richiedere la cittadinanza. Eppure, nei primi vent'anni dopo la riunificazione di Gerusalemme del 1967, pochi palestinesi ne fecero richiesta: all'epoca, ciò era considerato un gesto di tradimento; e l'OLP, aperta minacciava i palestinesi che valutavano di agire in tal senso. Ma la tendenza è mutata dopo la sottoscrizione degli Accordi di Oslo del 1993, e con la nascita dell'Autorità Palestinese dell'anno successivo: d'un tratto, il numero di richiedenti è aumentato esponenzialmente, con i palestinesi che non hanno più mostrato timore o vergogna nel presentarsi agli uffici competenti del Ministero degli Interni per richiedere la cittadinanza israeliana. Il principale motivo addotto è il timore che Israele possa cedere la sovranità di Gerusalemme Est all'AP: ciò li priverebbe di tutti i privilegi goduti in quanto residenti sotto la giurisdizione israeliana, inclusi l'accesso alla sanità e all'istruzione pubblica, nonché la libertà di movimento e di lavorare.Inoltre, i palestinesi di Gerusalemme realizzano che malgrado le difficoltà che incontrano in Israele, le loro condizioni di vita risultano di gran lunga migliori di quelle di cui godrebbero se vivessero sotto la giurisdizione dell'AP. La mancanza di democrazia e la massiccia corruzione inducono altresì molti palestinesi a richiedere la cittadinanza israeliana, come modo per garantirsi un futuro sotto la sovranità dello stato ebraico: come ha efficacemente riassunto un palestinese: «preferisco vivere nell'inferno degli ebrei, che nel paradiso di Hamas o di Arafat». Un altra ragione per cui i palestinesi si affrettano a richiedere la cittadinanza israeliana è il timore che le autorità possano loro revocare il documento di identità israeliano: secondo la normativa, gli arabi che risiedono a Gerusalemme, e che vanno a vivere al di fuori dello stato, perdono automaticamente il loro status di residenti permanenti. Negli ultimi dieci anni, in effetti, molti residenti palestinesi che sono andati a vivere nel West Bank hanno perso la loro carta d'identità israeliana.Molti di coloro che hanno richiesto la cittadinaza israeliana sono cristiani di Gerusalemme, timorosi di finire sotto la giurisdizione palestinese o addirittura sotto Hamas.Ironicamente, ottenere la cittadinanza israeliana è stato un modo agevole per gli arabi per assicurarsi i diritti sociali, economici, sanitari e di istruzione che solo questo stato garantisce in questa estensione. Non vi è dubbio che richiedere la cittadinanza israeliana, in contrasto con le raccomandazioni di Hamas e dell'OLP, sia una affermazione politica di principio da parte dei richiedenti, i quali ammettono di preferire di vivere sotto la giurisdizione israeliana, anziché sotto quella araba. di Khaled Abu Toamhe http://www.gatestoneinstitute.org/3407/palestinians-israeli-citizenship p.s. Mentre c'é ancora chi sostiene la tesi oltraggiosa - ma ormai più ridicola: non ci crede più nessuno - dell'apartheid in Israele; un volo charter ha trasportato 240 immigrati africani nello stato ebraico nel mese di ottobre. Il volo è il primo di una serie, facente parte del programma "Dove’s Wings", un'iniziativa pubblica che favorirà l'aliyah delle comunità ebraiche dell'Etiopia, convertite con la forza al cristianesimo durante il 19esimo e 20esimo secolo. Consigli di Lettura Il canto del popolo ebraico massacrato - di Yitzhak Katzenelson, ed. La Giuntina Davanti al "cantare" di Yitzkah Katzenelson ogni lettore non può che arrestarsi turbato e reverente. Non è paragonabile ad alcun'altra opera nella storia di tutte le letterature: è la voce di un morituro, uno fra centinaia di migliaia di morituri, atrocemente consapevole del suo destino singolo e del destino del suo popolo. Non del destino lontano, ma di quello imminente. Gli hanno già portato via la moglie e i suoi due figli più piccoli. Sa che presto toccherà anche a lui. In questa attesa scrive, perché scrivere è l'unico modo per non uscire pazzo. Scrive anche il suo ultimo dramma, rimasto incompiuto, che parla di Annibale e della distruzione di Cartagine. Scrive prima di sparire nel campo di sterminio. Scrive perché come il poeta con cui inizia il canto bisogna prendere l'arpa e cantare l'ultimo canto degli ultimi ebrei in terra d'Europa. E' rimasto lui per cantare quel mondo che non c'è più, quel mondo dei villaggi dell'Europa orientale, quel mondo dove c'era sempre un rabbino e dove al mercato si parlava in yiddish. Nella città del massacro Testo yiddish a fronte Di Chaim N. Bialik ed. Il Nuovo Melangolo Una struggente poesia questa di Bialik, inorridito di fronte al famigerato pogrom del 1903 a Kisinev in Bessarabia (1903), un massacro avvenuto con l'esplicito appoggio dell'apparato politico e militare zarista. Ma una lirica non velata da pietismo, anzi da rabbia.. rabbia per non avere opposto resistenza, per aver accettato troppo passivamente. In questo Bialik suona una corda potente e se da un lato condanna il pogrom e la violenza, d'altra parte condanna anche la passività dell'accettazione Immagini vibranti, parole forti, scene che non si vorrebbe mai vedere. Ve lo proponiamo per meglio approfondire il tema pogrom, visto che il libro dello scrittore ospite a gennaio iniziava proprio con uno di essi, a Zithomir nel 1881 Storia della Shoah Georges Bensoussan ed La Giuntina «Tra il 1939 e il 1945, la Germania nazista, assecondata da molteplici complicità, ha sterminato circa 6 milioni di ebrei europei nel silenzio pressoché totale del mondo. Le è mancato solo il tempo per distruggere l’intero popolo ebraico come aveva deciso. Questa è la realtà cruda del genocidio ebraico, Shoah nella lingua ebraica. La decisione di “far scomparire” il popolo ebraico dalla terra, la determinazione di decidere chi deve e chi non deve abitare il pianeta, spinta alle sue ultime conseguenze, segna la specificità di un’impresa, unica a tutt’oggi, tesa a modificare la configurazione stessa dell’umanità». Georges Bensoussan (nato in Marocco nel 1952) è uno dei maggiori storici contemporaneisti. Autore di numerosi saggi, tradotti anche in italiano, fra cui il fondamentale Il sionismo. Una storia politica e intellettuale 1860-1940 (Einaudi 2007), dirige la Revue d'Histoire de la Shoah ed è il responsabile editoriale delle pubblicazioni del Mémorial de la Shoah di Parigi. -La La Neve nell’armadio di Enrico Mottinelli , ed La Giuntina Auschwitz e la "vergogna del mondo" Con una conversazione con Edith Bruck C’è un modo per rapportarsi all’evento Auschwitz per chi non lo ha vissuto ma ne è suo malgrado un erede? Qual è la sua attualità per noi, cittadini di un’Europa nata anche nei campi di sterminio nazisti? E come evitare che la memoria celebrata ogni 27 gennaio non diventi un rito vuoto? Confrontarsi con lo sterminio significa interrogarsi sul senso della propria umanità, e la vergogna sembra emergere come l’unica emozione adeguata. È quella messa in luce da Primo Levi, la «vergogna del mondo»; provata per la colpa altrui, per lo stupro compiuto ai danni dell’uomo. Alla fine resta come eredità duplice: è il segno della nostra condizione messa a nudo, ma è anche l’ultimo bagliore di umanità prima del baratro. In appendice, una conversazione con Edith Bruck, scrittrice di origini ungheresi, sopravvissuta all’internamento in vari campi, tra i quali Ausc hwitz, Dachau e Bergen-Belsen. Enrico Mottinelli è autore dei romanzi Lontano padre (2005, premio Città di Cuneo Primo Romanzo – giuria delle scuole – 2007) e Il sapore del ferro (2008). Poesie scritte a tredici anni a Bergen Belsen 1944 di Uri Orlev ed. La Giuntina «Scrissi la prima poesia quando ancora ci trovavamo nel nostro nascondiglio, nella parte polacca di Varsavia. È rimasta là. Quando il campo [di concentramento] fu ridotto, cosi come il numero dei bambini, ripresi a comporre poesie. Scrivevo la prima stesura su un’asse che avevo staccato dal mio tavolaccio e la ricopiavo sul taccuino solo quando mi soddisfaceva completamente». Rinchiuso a Bergen-Belsen, il giovanissimo ebreo polacco Jurek OrΠowski affidò alla poesia le proprie angosce di tredicenne colpito dalla barbarie nazista. Nel 2005 lo stesso autore, divenuto nel frattempo Uri Orlev, ha tradotto queste liriche in ebraico. È una testimonianza pura, reale, la voce autentica di un bambino nella Shoah. Traduzione italiana con originale ebraico a fronte e riproduzione del taccuino in polacco. Uri Orlev è nato come Jerzy Henryk (Jurek) Orlowski nel 1931, a Varsavia. Dopo aver perso la madre, uccisa dai nazisti, fu deportato insieme al fratello e alla zia nel campo di Bergen-Belsen. Oggi vive a Gerusalemme. Scrittore di fama internazionale, ha pubblicato numerosi libri di narrativa per ragazzi e adulti. La Farfalla Impazzita di Giulia Spizzichino con Roberto Riccardi Dalle Fosse Ardeatine al Processo Priebke ed. La Giuntina La farfalla impazzita: è questa la definizione che un suo caro amico dà di Giulia Spizzichino, ebrea romana segnata dalle deportazioni e dalla strage delle Fosse Ardeatine, che le hanno strappato ben ventisei familiari. Un insetto che sbatte le ali a caso, senza riuscire a trovare un luogo dove posarsi. La sua vita, dopo la retata del 16 ottobre 1943 nel Ghetto, dopo quella prima metà del ’44, interminabile, in cui è costretta a nascondersi e rischia più volte di essere presa dai nazisti, non sarà più la stessa. Impossibile vivere un’adolescenza spensierata: i balli, le amiche, i primi amori. Impossibile coltivare relazioni affettive, e saranno due i matrimoni andati male. Mezzo secolo più tardi, anche i fantasmi di un passato mai dimenticato le torneranno davanti. Sarà chiamata proprio lei, la farfalla impazzita, a partire per l’Argentina. Un viaggio nello spazio e nel tempo per ottenere l’estradizione di Erich Priebke. È il maggio 1994, la sua missione riesce. Ma in fondo alla strada non troverà la pace, bensì una nuova stagione di sofferenza, quella dei processi. Una testimonianza toccante, che nonostante tutto ci consegna un messaggio di speranza e di amore. Giulia Spizzichino, nata e cresciuta a Roma, sfugge alla grande deportazione del 16 ottobre grazie al padre Cesare, che nella richiesta dell’oro alla Comunità ebraica romana vede i prodromi del peggio e, per salvarli, porta i suoi cari fuori città, in rifugi di fortuna. Il 21 marzo ’44 Giulia rischia l’arresto quando nell’abitazione di fronte vengono catturati i nonni e numerosi zii e cugini, tutti appartenenti al ramo materno, i Di Consiglio. Sette di loro finiranno tre giorni dopo alle Fosse Ardeatine, altri diciannove non torneranno da Auschwitz. Giulia oggi è madre e nonna. Non ha mai smesso di soffrire. Ma nemmeno di sperare Roberto Riccardi (Bari, 1966), colonnello dell’Arma e giornalista, dirige la rivista Il Carabiniere. Ha esordito per Giuntina con Sono stato un numero. Alberto Sed racconta (2009), che ha vinto il Premio Acqui Storia ed è arrivato in finale al Premio dei Ragazzi dell’Adei-Wizo. Con Legame di sangue (Mondadori, 2009) si è aggiudicato il Premio Tedeschi, annuale del Giallo Mondadori. Ha pubblicato racconti per il Giallo Mondadori e per Hobby & Work Publishing. Consigli di Cinema : La sposa promessa Un film di Rama Burshtein. Con Hadas Yaron, Yiftach Klein, Irit Sheleg, Chayim Sharir, Razia Israeli. Titolo originale Lemale Et Ha'Chalal. Drammatico, durata 90 min. - Israele 2012. - Lucky Red uscita giovedì 15 novembre 2012. Ottima prova del cinema israeliano Shira ha 18 anni, è figlia di un rabbino della comunità ortodossa di Tel Aviv e sorella minore di Esther, che attende un figlio dal marito Yochai (un intensissimo Y. Klein, attore da tenere d’occhio). L'interesse di Shira si rivolge per la prima volta verso un coetaneo, che la famiglia le ha proposto come possibile fidanzato, ma la morte di Esther per parto allontana ogni decisione. Solo con il neonato, di cui si occupano con amore Shira e la sua famiglia, Yochay viene invitato a risposarsi presto. La prospettiva che possa andarsene con il nipotino in Belgio, spinge la moglie del rabbino a proporgli di prendere in moglie proprio Shira. Sta alla ragazza accettare o meno questa difficile proposta. Opera prima di Rama Burshtein, Fill the void è un esordio a cui tributare un benvenuto sentito e meritato, per la coerenza delle scelte forti di regia e l'emozione che scorre in esso, dapprima sottile come un ruscello poi sempre più simile ad un fiume in piena, che non straripa però dagli argini di una forma stretta, rigida e adottata volontariamente. Esattamente com'è per il sentimento amoroso tra un uomo e una donna nella comunità in cui si ambienta il film, regolata da riti e precetti il cui rispetto formale è inteso in tutto e per tutto come sostanziale, e all'interno dei quali una libertà non lesiva è possibile, ma va ricercata e non è sempre facile. È di questo spazio ristretto al massimo, di cui gli interni delle case non sono che un riflesso, uno strumento, che tratta il film della Burshtein: la storia di una scelta che viene dall'alto e si trasforma in una scelta del cuore. O, come probabilmente direbbe uno di loro, la scelta di una corrispondenza rinvenuta dove era già presente anche se sembrava impossibile. Dall'esterno, si può comprendere o meno, accettare o meno, ma la forza del film sta proprio nell'evitare di porre un confronto tra il mondo laico e il mondo religioso. Tutto si svolge all'interno di un contesto (non solo materiale) confinato, esotico e probabilmente realmente incomprensibile a chi non gli appartiene, ma dove l'amore, il dubbio, il desiderio, la paura e la felicità sono quelli che invece conosciamo tutti nello stesso modo, e dove non mentire a se stessi è il comandamento universale che non dovrebbe conoscere pareti divisorie. Purim Purìm significa "sorti" ed è la festività più allegra del calendario Ebraico, che inizia il 14 di Adar e termina il giorno seguente. Si tratta di una festa non-Biblica, istituita dai Rabbini in epoca tarda, e infatti gli avvenimenti che questa celebrazione ricorda sono accaduti molto dopo la rivelazione della Torah sul monte Sinai. A Purìm ci si rallegra per la salvezza degli Ebrei che scamparono al perfido Haman, il quale voleva sterminarli, e si loda il Signore che ha sempre protetto il popolo d'Israele permettendogli di sopravvivere a tutte le terribili persecuzioni della storia. Durante la festività, il giorno dopo il digiuno, viene letto l'intero Libro di Ester (in ebraico meghillàt Estèr, lett.:Rotolo di Ester), uno dei libri storici che compongono i Ketuvim. Il racconto inizia con Mardocheo che salva re Assuero da un complotto di corte. Il Re lo eleva al rango di funzionario scatenando le invidie di Amàn, il potente consigliere del Re. Re Assuero, diede una serie di banchetti in onore dei dignitari dei regni mediorentiali e, di fronte al rifiuto della regina Vasti, sua moglie, a presenziare ad uno dei banchetti, decise di prendere una nuova moglie a cui conferire il rango di Regina per non rimanere umiliato di fronte al mondo. Mordechai, allora, portò alla corte del Re anche sua cugina Ester, orfana, che incontrò le grazie del Re. Ester divenne la regina. Nuovamente Mordechai venne a conoscenza di un complotto contro il Re e lo fece avvertire da Ester. Ester ne guadagnò il rispetto. In quegli stessi giorni Amàn, venne elevato al massimo rango e da quel giorno tutti dovevano inginocchiarsi e prostrarsi in sua presenza. Unico a non prostrarsi rimase Mordechai poiché, in quanto Ebreo, rispettava il precetto di non prostrarsi se non di fronte al proprio Dio. Amàn avvampò d'ira e, saputa l'origine di Mordechai, piuttosto che rivalersi su di lui, decise di sterminare l'intero popolo ebraico. Amàn così parlò al Re: « Vi è un popolo segregato e anche disseminato fra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo e che non osserva le leggi del re; non conviene quindi che il re lo tolleri. Se così piace al re, si ordini che esso sia distrutto; io farò passare diecimila talenti d'argento in mano agli amministratori del re, perché siano versati nel tesoro reale. Allora il re si tolse l'anello di mano e lo diede ad Amàn, l'Agaghita, figlio di Hammedàta e nemico degli Ebrei. Il re disse ad Amàn: «Il denaro sia per te: al popolo fa' pure quello che ti sembra bene» » (Ester 3,8-11) L'editto emanato dal Re, secondo il consiglio di Amàn, venne diramato in tutto il regno gettando nello sconforto e nella disperazione l'intero popolo ebraico. Mordechai chiese alla cugina Ester di voler andare dal Re a chiedere grazia per il suo popolo, ma lei gli rispose che nessuno, se non chiamato, poteva recarsi dal Re, pena la morte. Mordechai fece dire ad Ester: « Non pensare di salvare solo te stessa fra tutti gli ebrei, per il fatto che ti trovi nella reggia. Perché se tu in questo momento taci, aiuto e liberazione sorgeranno per gli ebrei da un altro luogo; ma tu perirai insieme con la casa di tuo padre. Chi sa che tu non sia stata elevata a regina proprio in previsione d'una circostanza come questa? » (Ester 4,13-15) Ester, convinta delle ragioni di suo cugino Mordechai, gli mandò a dire: « Và, raduna tutti gli ebrei che si trovano a Susa: digiunate per me, state senza mangiare e senza bere per tre giorni, notte e giorno; anch'io con le ancelle digiunerò nello stesso modo; dopo entrerò dal re, sebbene ciò sia contro la legge e, se dovrò perire, perirò! » (Ester 4,17) Per i tre giorni seguenti Ester, Mordechai e tutto il popolo ebraico osservarono il digiuno ed implorarono la clemenza del Signore verso il proprio popolo. Ester si recò dal Re al termine del digiuno e, lo pregò di voler offrire un banchetto e di invitare anche il perfido Amàn. La notte il Re non riuscì a prendere sonno e chiede che gli venisse letto il libro delle cronache nel quale era registrato il servigio che Mordechai aveva reso la Re. Subito dopo la lettura del passo relativo, Amàn si presentò al Re per chiedere che Mordechai venisse impiccato. Ma il Re chiese ad Amàn cosa si dovesse fare per onorare un uomo. Amàn rispose pensando che il Re volesse onorare lui stesso. Al termine della risposta il Re ordinò ad Amàn di fare quanto appena detto in onore di Mordechai. Amàn divenne una furia, fece come comandato e tornò alla propria casa. Non appena arrivato giunsero gli eunuchi del Re che lo accompagnarono al banchetto. Durante il bachetto la Regina Ester chiese: « Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, o re, e se così piace al re, la mia richiesta è che mi sia concessa la vita e il mio desiderio è che sia risparmiato il mio popolo. Perché io e il mio popolo siamo stati venduti per essere distrutti, uccisi, sterminati. Ora, se fossimo stati venduti per diventare schiavi e schiave, avrei taciuto; ma il nostro avversario non potrebbe riparare al danno fatto al re con la nostra morte » (Ester 7,3-4) Il Re di rimando le chiese: « Chi è e dov'è colui che ha pensato di fare una cosa simile? » (Ester 7,5) Ed Ester: « L'avversario, il nemico, è quel malvagio di Amàn » (Ester 7,6) Amàn venne impiccato a quello stesso palo che aveva fatto preparare per Mordechai e quest'ultimo ne prese il posto come consigliere del Re. Come si festeggia: Il giorno precedente a Purìm (13 Adar), si osserva il digiuno di Ester che dura dall'alba al tramonto. Se questa data cade di Shabbat, il digiuno viene anticipato al giorno precedente. Vi sono poi quattro importanti mitzvot da osservare prima del tramonto: Leggere la meghillah di Ester; quando viene menzionato il nome di Haman gli Ebrei fanno molto rumore per cancellare il suo ricordo. Donare cibo; viene infatti donato del cibo già pronto da mangiare ad almeno una persona. Fare dei doni ai poveri; cioè dare delle monete ad almeno due persone bisognose. Consumare il pasto festivo; bisogna consumare almeno un pasto durante la festività. Durante lo Shabbat precedente a Purìm viene letto il brano di Deuteronomio 25;17-19 (in aggiunta alla parashà della settimana) in cui si parla dell'assalto della tribù di Amalek che attaccò gli Ebrei senza motivo durante l'esodo dall'Egitto. Non a caso, Haman era proprio un discendente di Amalek. Poichè a Purìm i bambini Ebrei usano mascherarsi, questa festa viene chiamata anche "Carnevale Ebraico". Secondo la tradizione, la festività di Purìm, come anche quella di Channukkah, verrà festeggiata anche dopo la venuta del Messia. (da http://www.ritornoallatorah.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=194%3Apuri m&catid=45%3Afeste&Itemid=77 ) PROSSIMI PROSSIMI APPUNTAMENTI Il mese di Marzo vedrà l’Associazione aderire all’iniziativa della Giornata delle Buone Azioni, prevista per domenica 10 marzo, che si svolge non soltanto in Israele ma in tutto il mondo. Sempre a Marzo è prevista l’organizzazione per tutti i soci di una cena conviviale che sarà motivo di aggregazione e reciproca conoscenza. Data e luogo saranno come di consueto comunicati tempestivamente a mezzo mail. Il 12 Aprile prossimo si prevede invece serata formativa sul tema: negazionismo. Sarà ospite il prof. Claudio Vercelli. Anche per questo evento, luogo e orari vi verranno comunicati a mezzo mail. Segnaliamo inoltre “La Shoah nelle Terre Novaresi e i Giusti” mostra commemorativa presso la Chiesa del Divin Redentore Novara (Via Ansaldi 4/a), dal 16 febbraio al 24 marzo (orari sabato e domenica 14.30-18.30)