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CINQUE TAPPE PER SANTIAGO
di Luciana Buttignol
Santo Domingo de la Calzada
Quando cerchi di snebbiare la mente e hai bisogno di un percorso è lì che comincia il cammino.
Il paese è silenzioso, monocolore, quasi piatto. Come a volte può esserlo la vita. Tutto sassi marrone
chiaro. Alla mia destra l’Ufficio turistico. Vuoto. Spunta un uomo, mi dà una mappa e segna un
percorso.
Cerco nella carta tracce della mia vita che portino a qualcosa. Mi guardo i piedi, vedo conchiglie.
Poi i primi pellegrini davanti a me. Zaino, bastone, cappello. E una certa compunzione, una serietà
di impegno. Ci sono giovani, ci sono coppie. Ci sono stranieri e cicogne sulle mura attorno alle
torri. Una sagoma di cartone con un buco vuoto dove infilare il viso per farsi fotografare e mettersi
a nudo. Uno scatto da cui partire. Una immagine che una volta impressa nello schermo ti dice che il
tuo viaggio qualunque sarà, deve iniziare da quel viso.
Dentro la cattedrale canta il gallo: è bianco e tutti lo stanno a cercare. Poi lo intravedo in alto dietro
la grata di ferro. Un gallo in chiesa!.. Non s’era mai visto. E’ da qui che devo cominciare.
Burgos
Il Paseo è pieno di luminarie e di palloni di Walt Disney in vendita. Stasera ci saranno i fuochi per
la festa di San Pedro. Gruppi di persone improvvisano sfilate. Quasi sempre sgangherate.
La cattedrale ha tante angolazioni, tante facce. Da un lato è aperta, libera senza finzioni. Dall’altro
si confonde tra i vicoli. Simile a un gigante di cui non cogli la presenza perché dovresti guardare
troppo in alto.
Ed è in alto che guardi sempre quando ci cammini dentro. Verso il bianco tiburio merlettato che
sembra una filigrana di madreperla.
Ma poi abbassi la testa e ti scontri con il pesante retablo marrone stracolmo di santi.
A Burgos è bello stare insieme. Passare la vita in coppia. Appoggiarsi al bastone e continuare. Fare
una sosta sapendo che poi si deve proseguire.
Villalcazar de Sirga
A volte nella vita ci sono strade silenziose, solitarie. Attraversano campi di trifogli e papaveri.
Hanno il sole di fronte. Un sole che non disturba e che non cerchi di raggiungere. Un punto solitario
che fa da contorno al presente. Una strada stretta che attraversa la meseta e arriva ad una chiesa
scarna, sopraelevata, assolata. In mezzo a quattro case. Un crocicchio con un bar a cui arrivano i
pellegrini. Gli zaini abbandonati a terra, la toilette pulita.
Storie che si incontrano per un momento. Lingue conosciute.
Quello che sono fino ad ora non ha importanza, continuerò il cammino non so fino a dove:
“Prenderò un treno, arriverò a Santiago e poi forse a Finisterre”.
La chiesa dentro è come dovrebbe essere una chiesa: spoglia, invita alla preghiera.
Carrion de Los Condes
La cattedrale è buia e in preparativi. Sta arrivando la banda. Hanno messo delle transenne e un
vigile a dirottare il traffico. I pellegrini sono pochi, le vetrine chiuse. Ho azzardato una invasione di
campo e mi sono spinta oltre il cordone. La macchina fotografica pronta allo scatto.
L’obiettivo inquadra la tromba, poi il vecchio che la suona. Poi lo sparuto corteo di anziani. Alcuni
in coppia. Entrano nella chiesa buia. Il portone li inghiotte. Non so che festa sia.
Non so nemmeno se lo era. Una festa travestita, forse una protesta.
Il cammino a volte è l’unica cosa che ti resta. Il continuare la tua strada, il passare oltre troppo
spesso è considerato indifferenza. Invece è quasi sempre una difesa. Un non voler disturbare. Una
forma di rispetto.
Astorga
Ci sono piazze che si aprono l’una sull’altra, come piccole stanze di giochi. Occhieggiano da dietro
i vicoli, si circondano di persone sedute lungo i portici. Chiacchiere curiose di gente socievole ma
chiusa. Piccoli mondi in vetrina.
Talvolta i suoni degli altri sono richiami che escludono. Servono a delimitare il territorio, a segnare
confini.
A Foncebadon l’ostello è ancora chiuso, le persiane abbassate. Invece dentro i caminadores si
preparano alla partenza. Fanno colazione, si incerottano i piedi.
Buen camino.
Il mio comincia da qui, in salita, attraverso pascoli e paesaggi di montagna. Fino alla Cruz de Ferro.
Una montagna di sassi con una croce sopra, fatta di ricordi, di momenti brutti da buttare via. Il mio
sasso è quasi quadrato, un po’ smussato e compatto, l’ho raccolto lungo il percorso.
Paolo, ne ha presi tre.
“La mia vita”, ha detto. “ E’ divisa in tre parti. La terza, quella che mi appresto a vivere, l’ho scelta
più lunga. Ho ancora tante cose da fare”.
Tre sassi per una vita: io non l’avrei mai pensato.
Il cammino è un continuo saliscendi. Quando ti aspetti che dietro l’angolo ci sia la discesa, trovi
ancora salita.
Il cammino è una unica strada. Lo intraprendi quando hai paura di sbagliare o quando hai già
sbagliato. Quando hai bisogno di una direzione sola.
Davanti a me una figlia adolescente con il padre. Un percorso per insegnare, fianco a fianco, fino
alla tappa successiva, fino a che non si è trasmesso il sapere. E poi consegnare chi ami alla vita,
dove le strade sono molte e devi saper scegliere la tua.
A Manjarin, paese fatto di una sola casa, sorrido all’obiettivo mentre dietro di me un cartello
indica le distanze con le principali località del mondo: Machu Picchu 9453 km.
El Acebo mostra i suoi tetti di ardesia alla fine di una ripida discesa. Il paese fatto di sassi e legno si
snoda lungo la via dove passano i pellegrini. La prima fermata di questa tappa, dove ci si toglie lo
zaino, si mangia una mela e sostano anziani con gli occhi giovani. Parlano di progetti e sogni con
lo sguardo acceso. Con la sventatezza di chi non ha esperienza o saggezza. O forse con chi ha
deciso di buttarla via.
Il sentiero è ancora lungo, più di metà strada. Diventa scosceso e faticoso sotto il sole.
Ma ecco alla fine la calma di Molinaseca e i bambini che nuotano nel Meruelo.
Santiago de Compostela
A volte la meta non è un arrivo. Quando hai raggiunto quello che hai inseguito con così tanta fatica,
quando hai conseguito lo scopo, ti rendi conto che aveva valore solo il percorso.
Ho intrapreso il mio viaggio tanti anni fa quando mi sono resa conto di quanto mi infastidissero i
confini. Quando nei miei sogni è apparso il volo: un’altra dimensione, un altro modo di guardare.
Essere sopra le cose con occhi sereni, cercare quello che le strade calpestate da gente indaffarata,
mangiate dalle automobili non mi potevano dare.
Ho cominciato il cammino quanto ho cominciato a desiderare una guida.
Come un topo della fiaba dei F.lli Grimm ho cercato il pifferaio magico. Ho cercato regole come
mattoni, paletti come recinzioni di un percorso.
Santiago è grigia e brulicante di vita. Bucherellata dal tempo.
La cattedrale è possente. Da plaza Obradoiro la pietra cupa delle torri, infestata qua e là dal muschio
giallo, si impone come una falesia. Incurante dei venti.
La Porta Santa è aperta quest’anno di Giubileo. Numerosa è la gente in fila fuori per abbracciare il
santo, ringraziarlo per il cammino, per le persone che l’ hanno accompagnata e aiutata nel percorso.
Tante mani passano attorno alle spalle di questo povero vecchio soffocato da così tante suppliche.
La chiesa è gremita per la messa del Pellegrino. C’è gente che si ritaglia un posto tra il basamento
delle colonne. E poi, alla fine, il rituale. Arrivano otto uomini vestiti di rosso: il Botafumeiro, il
grande incensiere, viene abbassato e fatto oscillare dal contrappeso verso l’alto.
Dopo il fumo, dopo l’incenso, la chiesa si svuota.
Io indugio ancora verso la statua del santo. Lo guardo. Non mi risponde. Giro la faccia verso la luce
che si intravede dal portone aperto. Abbasso gli occhi sul bastone, la conchiglia che vi ho legato, la
bottiglia. Butto lo zaino sulle spalle.
Ancora strada da fare.