Cammino di Santiago 2
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Cammino di Santiago 2
! ! Il Cammino di Santiago di Compostela (2° parte) La notizia della scoperta della tomba di Santiago (San Giacomo) portò un favorevole scompiglio nel mondo della cristianità. La buona novella si estese rapidamente dalla Galizia alla Navarra e, oltrepassando i Pirenei, arrivò anche nel resto d’Europa. L’Occidente si sentì investito dalla responsabilità di preservare le spoglie dell’apostolo San Giacomo da ogni tipo di violazione. Dal X secolo in quelle terre (ed in particolare a Cordova) si era insediato il califfato degli Omayyadi che in breve tempo era arrivato a governare su buona parte della penisola iberica. Il pericolo era che la “chiesa ispana”, schiacciata dalle pressioni dell’Islam, ne restasse irreparabilmente isolata specialmente in quel momento di religiosa euforia per il ritrovamento delle sante spoglie. Furono i Cavalieri del Tempio a correre in aiuto di quei luoghi riportando importanti vittorie sui Mori invasori, a salvaguardia del culto di quelle reliquie. La massiccia presenza dell’Ordine Templare é tutt’oggi testimoniata da castelli ed architetture sacre che si incontrano durante il Cammino che conduce a Santiago di Compostela; fu grazie al prezioso aiuto di quest’Ordine cavalleresco che l’afflusso dei fedeli divenne sempre maggiore. Le regole di tale pellegrinaggio furono dettate dal “Liber Sancti Jacobi”, più conosciuto come “Codice Callistino”, scritto dal monaco cluniacense Almerico Picaud nel XII secolo: cinque volumi che raccolgono sia le opere di evangelizzazione svolte da San Giacomo, che l’itinerario da percorrere compresa tutta una serie di consigli utili per arrivare all’agognata meta. 1 Le vie descritte dal Codex Calixtinus erano (e sono tutt’oggi) due ed entrambe solcano i Pirenei: una via inizia dal passo di Roncisvalle ed è chiamata “Camino francés”, l’altra parte dal passo di Somport e prende il nome di “Camino aragonés”; entrambe confluiscono a Puente la Reina. In questo contesto, prenderemo in esame la via che da Roncisvalle porta a Santiago de Compostela soffermandoci solo su alcune località dislocate lungo il percorso, quelle che a nostro avviso riassumono meglio particolari caratteristiche inerenti al Cammino. Roncisvalle, uno dei luoghi più significativi del ciclo carolingio e di tutta la poesia epica medievale, è la prima tappa d’obbligo. E’ su queste alture che prese vita la più celebre battaglia condotta da Carlo Magno, re dei Franchi, contro i Musulmani. Arrivati su quel colle appare ben visibile la roccia che, secondo la leggenda, il paladino Orlando, prima di morire, percosse con tre colpi di spada fino a fenderla; in quella spada (la Durlindana) si dice che risiedessero delle sante reliquie e fu per non farla cadere nelle mani del nemico che il valoroso paladino cercò di spezzarla. Prima che le forze lo abbandonassero, con il fiato che gli restava, suonò l’Olifante, il corno magico col quale richiamò l'aiuto di re Carlo. Sembra che la “Chanson de Roland” (il poema epico scritto intorno all’XI secolo) sia stata composta sulle strade di pellegrinaggio che portano a Santiago in ricordo di quella eroica resistenza. La fede cristiana, l’onore, la fedeltà al proprio Re e all’ideale sono i temi che contraddistinguono la figura di Orlando: temi che fanno ben capire che tipo di cammino il pellegrino si appresta a compiere e quali grandi virtù dovrà realizzare. 2 La strada scende, passa da Pamplona e si innalza solitaria per fermarsi a Nuestra Señora de Eunate. La piccola chiesa Templare di Eunate, dalla caratteristica pianta ottagonale, si erge isolata su un vasto paesaggio pianeggiante che in piena estate si colora del giallo dei girasoli. Il suo nome “Eunate”, in lingua basca assume il significato di “cento porte”. Nella dottrina cristiana si parla di tante “porte” che chiudono l’accesso ad altrettante “stanze”: tante barriere, tante prove da vincere e superare. Ad ogni porta corrisponde un mondo spirituale superiore ed il vero pellegrino dovrà capire subito che solo acquisendo virtù su virtù potrà sperare di presentarsi in una “nuova veste” davanti al Trono di Dio; dietro a questo concetto anche il numero cento, simbolo di perfezione, trova la sua logica spiegazione. La chiesa, costruita nel 1170, resta l’esempio della più bella e suggestiva architettura romanica. Il fatto che la sua pianta sia ottagonale apre ad altre comprensioni. Se ci ricordiamo, in epoca Templare tutti i fonti battesimali erano contraddistinti da quello stesso numero di lati. Ve n’è uno famoso a Poitiers in Francia e diverse cappelle templari, ideate con il medesimo intendimento, a Tomar in Portogallo. Il numero otto è messo in relazione al battesimo ed al “mistero dell’ottavo giorno”: ai sei giorni della costruzione del mondo, segue il settimo, il giorno del riposo; infine vi è l’ottavo, il più misterioso, quello della “rivelazione Divina”. Il pellegrino che passava da Eunate e s’introduceva in quella piccola chiesa avvolta da spiritualità e raccoglimento, era come se si immergesse in un fonte battesimale: quel battesimo era inteso come affrancatura dalla schiavitù di un mondo materiale tutto da abbandonare. La via adesso conduce a Puente la Reina, importante centro di unificazione con il percorso proveniente da Somport. Puente la Reina, vero “crocevia” di strade, prende nome dall’imponente ponte romanico, uno dei più interessanti esempi di architettura medievale. Questo 3 ponte, fonte di antiche storie e leggende intessute dai pellegrini stessi, fu costruito per facilitare il passaggio da una riva all’altra. Sotto ai suoi s e i a rc h i a t u t t o s e s t o, intervallati da altrettanti archetti usati come sfiatatoi, scorrono le impetuose acque del fiume Arga; la potenza di quella struttura, le tre torri difensive che lo sovrastano e l’immagine della Vergine (Virgen del Puy) un tempo presente sulla torre centrale, danno subito l’idea della “fortezza”, prima virtù che il pellegrino dovrà attuare. Il viandante prima di oltrepassare quel ponte entrava, in segno di auspicata benedizione, nell’Iglesia del Crucifijo, chiesa del XII secolo, appartenuta all’Ordine Templare. Un crocifisso insolito, carico di una forte drammaticità si trova all’interno dell’abside. Questa scultura lignea di grandi dimensioni è ritenuta un’opera straordinaria di arte gotica medievale. La croce, a forma di “Y”ha un suo significato. Andando a consultare l’antico alfabeto runico utilizzato dalle tribù celtiche, ci accorgiamo che una delle sue lettere (la lettera “Algiz”) ha la stessa caratteristica forma. Le Rune sono ancor oggi considerate espressioni del Divino, segni di potenza e di sapienza universale: simboli dietro ai quali venivano nascoste verità assolute. La lettera Algiz, con quell’asse centrale ed i due bracci protesi verso l’alto, assume il significato di “albero del mondo”, pilastro che sostiene tutto l’universo. Guardando le braccia allungate di quel Cristo dolente, ma possente, si avverte tutta la vigoria di quel gesto: è il Cristo il vero “reggitore” di tutto l’Universo. Così il pellegrino, prima di attraversare quel ponte che lo introdurrà nel Cammino vero e proprio, si ritrova a sostare davanti a quel Crucifijo simbolo di sacrificio, amore incondizionato e di protezione. 4 Oltrepassato Puente la Reina, la strada prosegue per Estella, raggiunge il bel monastero benedettino di Santa Maria la Real de Irache, entra nella valle dell’Ebro ed arriva alla chiesa del Santo Sepulcro de Torres del Rio. Anche la pianta di questa chiesa è di forma ottagonale: chiara opera dei cavalieri Templari e raro esempio di arte medievale ispano-arabo. Sul tetto a otto falde dell’edificio, si erge una lanterna, “la lanterna dei morti”, sormontata da una piccola edicola dentro la quale un tempo ardeva un fuoco che, oltre ad illuminare i viandanti nell’oscurità, serviva loro da guida e da riferimento. Quella luce, che si stagliava nel buio della notte, se da una parte voleva ricordare il fuoco d’Amore cristico da saper alimentare nel proprio cuore, dall’altra faceva riflettere sulla futilità della vita umana, intesa come pellegrinaggio verso l’eternità. Superata anche Viana, la strada prosegue per Logroño, città che deve la sua autonomia dagli Arabi al leggendario Cid Campeador, valoroso cavaliere le cui gesta ispirarono romanzi e canzoni dell’epoca. Interessante la cattedrale e la chiesa Templare del XII secolo, nella quale si raccoglievano i viandanti; non meno interessante, anche se insolita, la presenza di cicogne che cominciano a delinearsi nel cielo e che sembrano voler accompagnare, per lunghi tratti di percorso, il “peregrinus”. Questo volatile maestoso dal piumaggio bianco-rosato ormai sembra aver trovato il suo “habitat” in questa zona della Spagna ed i suoi nidi sono un po’ dovunque, specialmente sui campanili e sui pinnacoli di chiese e palazzi. Sull’ora del tramonto è uno spettacolo veder volteggiare nel cielo le cicogne. La loro preferenza va alle guglie delle cattedrali: arrivano numerose, ad ali spiegate, fanno giri mirabolanti, poi lievemente poggiano su quelle sommità, vi si fermano sopra -una per guglia- e lì ad ali chiuse diventano loro stesse parte di quegli innalzamenti verso il cielo. La cicogna riveste una bella simbologia che trova relazione con il percorso che porta a Santiago. Si parla di lei come di uccello fecondo, legato al culto della Grande Madre che genera e nutre con amore i suoi piccoli, ma anche come emblema della lotta contro i serpenti che 5 abilmente riesce a sterminare con il suo lungo becco. Nella cristianità medievale le serpi erano ispiratrici dei vizi e dei peccati che costellano la vita dell’umanità e la cicogna diventa ben presto l’emblema del disprezzo che si deve avere verso i propri cattivi affetti. Lasciato Logroño il Cammino riprende, passa per Navarrete e Najera e arriva a Santo Domingo de la Calzada. Questo paese prende il nome da San Domenico, un giovane pastore di quei luoghi che non solo decise di vivere di eremitaggio e preghiera, ma che portò anche grande aiuto e protezione ai pellegrini costruendo un ponte, ospedali e luoghi di accoglienza. A Santo Domingo fu dedicata la cattedrale di El Salvador fondata poco dopo la sua morte. La singolarità di questa chiesa non sta tanto nella sua bella struttura architettonica o nelle statue che vi si trovano all’interno, ma nel fatto che in alto, nella zona absidale sinistra guardando l’altare, appare una gabbia con dei galli dalla cresta rossa e dall’incedere elegante. Anche la statua di Santo Domingo ha un piccolo gallo ai suoi piedi e piccoli galli scolpiti o dipinti appaiono in altri angoli della chiesa. La presenza di questo volatile, anche se sembra derivi dal ricordo di un antico miracolo accaduto, ha sicuramente un suo preciso significato. Il gallo, rispetto a tutti gli altri animali, è il primo ad accorgersi del sorgere del sole: con il suo sbattere delle ali sembra voler “cacciare via la notte” e con l’inno intonato dalla sua squillante voce sembra voler chiamare l’aurora. In epoca ellenistica fu consacrato ad Apollo, dio del Sole, ma anche a Minerva ed Esculapio divinità che ben impersonano l’antica Sapienza. Sempre riferendosi a quest’aspetto solare, Plinio osserva che il gallo è l’unico a guardare verso il cielo. Spesso lo si vede camminare a testa alta e cresta eretta; poi tende il collo, inarca la piumata coda e tutto il corpo sembra protendersi verso l’alto. Quel gallo (così legato al Santo che portò tanto aiuto ai pellegrini) rappresenta la solerzia e la vittoria nei confronti di tutte le difficoltà che si vorrebbero opporre al Cammino. La strada prosegue, passa dal bel monastero di San 6 Juan de Ortega ed arriva a Burgos, capitale della Castiglia, città che ha visto la nascita di El Cid Campeador, condottiero spagnolo della prima metà dell’XI secolo. Notevole la sua statua equestre al centro della città. Il mantello del Cid è mosso dal vento, la sua spada è puntata verso il nemico e lo sguardo è fiero: tre simboli importanti nei quali possiamo cogliere l’atteggiamento che il vero pellegrino deve tenere durante tutto il percorso che lo condurrà a Santiago; la spada, emblema di una volontà d’amore che non deve trovare cedimenti, assume così anche il significato dell’arma terribile da saper usare contro il “nemico”, presente fuori e dentro se stessi. All’interno della cattedrale di Burgos, dedicata interamente alla Vergine Maria, vi è un bel simbolo davanti al quale sostare. Nella navata laterale, dentro ad una nicchia, appare un grande Crocifisso e sotto ai piedi del Cristo, sono sospese grosse uova di struzzo. L’uovo, simbolo di fecondazione e di nascita, in quel contesto assume il significato di “resurrezione” a nuova vita. Il motivo per il quale furono scelte le uova di struzzo non fu certo a caso. Lo struzzo depone le sue uova sotto la sabbia e le lascia covare dal calore del Sole. Il Sole è il simbolo di Cristo ed il fatto che quelle uova siano sotto la sua croce, fa capire che solo avvicinandosi a Lui ci sarà la possibilità di salvezza per tutta l’Umanità. Nella simbolica cristiana, lo sguardo penetrante dello struzzo, capace di scorgere a grandi distanze, è stato messo in relazione alla “vigilanza” ed alla cura che si deve avere per le cose divine. Infine le sue piume, per la leggerezza e la bellezza che le contraddistinguono, fin dalle più antiche tradizioni, sono state assimilate alla purezza del cuore ed alla Giustizia. Dopo la visita d’obbligo alla Cartuja de Miraflores, monumentale complesso monastico a pochi chilometri da Burgos, la strada riparte per Fromista, Villalcazar de Sirga e Carrion de Los Condes: tre cittadine dove l’arte romanica si esprime in forme perfette ed in statue e bassorilievi che ricordano le effigie del Santo Apostolo. 7 Il percorso riprende, attraversa Sahagun ed arriva a Leon, antica città al confine della C a s t i g l i a l a c u i r a f fi n at a cattedrale di stile gotico offre una sosta imperdibile. La cattedrale prende anche il nome di “Pulchra leonina” a testimoniare la sua bellezza e la sua forza. Chi vi entra sul mezzo del giorno, quando il sole è al suo apice nel cielo, ha la fortuna di assistere ai giochi di luce che i raggi intrecciano con i mosaici colorati delle sue vetrate; la sera invece, sul tramonto, le sue guglie attirano stormi di cicogne che, volteggiando per quei bei pinnacoli, decidono di farli diventare il loro sicuro appoggio. Dando un ultimo sguardo alla facciata della cattedrale, ci accorgiamo di una fila di piccole civette allineate sulla balaustra sovrastante il rosone centrale. La civetta, spesso interpretata come portatrice di morte e di calamità, lì su quella facciata assume un ben altro significato. Nella simbologia cristiana i suoi occhi aperti, spalancati anche nel buio della notte, l’hanno messa in relazione allo stato di “veglia” che l’innamorato di Cristo deve tenere; inoltre il suo aspetto pensoso, immobile, ha ispirato l’emblema di concentrazione e meditazione che si deve tenere all’interno di un luogo sacro. Il pellegrino, deve far tesoro di questi simboli per poi riprendere, con volontà e spirito di ricerca il Cammino. La strada continua e, lasciata Leon, oltrepassata Astorga, si inerpica per un tragitto che va a toccare un paesaggio montano che offre nuove vedute. Una meta del pellegrino è arrivare a Foncebadon, sul monte Irago, piccolo paese ormai da tempo abbandonato, ma che conserva ancora un’antica usanza. L’agile, dinoccolato palo di legno che sostiene una piccola croce di ferro e il minuscolo eremo con le effigie di San Giacomo lì vicino, ci dicono che quel luogo è stato visitato più volte dall’Apostolo. Quella croce semplice, alta, ancor oggi si erge su una montagnola di sassi: é tradizione che ogni pellegrino porti con sé una pietra 8 del suo paese e che la depositi ai piedi di quel simbolo cristico; tante altre piccole croci che si incontrano durante la salita, fatte con l’intreccio di due legni, testimoniano che ancora è viva e sentita quell’antica credenza. Nella Tradizione egizia era il Sommo Sacerdote ad aprire la strada per la costruzione del Tempio, ma era il popolo stesso a contribuire alla sua edificazione: ciascun individuo, a seconda delle sue possibilità, recava la propria pietra e pian piano prendeva forma l’edificio, dimora della sapienza e della divinità. Stessa cosa può intendersi in quel semplice gesto: pellegrini provenienti da tutti i paesi del mondo portano ancora lì, su quel monte che ha visto le vestigia del Santo, il segno della loro presenza partecipando alla simbolica costruzione del Tempio universale di tutti i fedeli. Mentre il cammino scende ripidamente lasciando alle spalle il piccolo paese diroccato di El Acebo e Molinaseca, il paesaggio si addolcisce in fresche valli alberate che portano a Ponferrada, antica cittadina posta sulla confluenza dei fiumi Boeza e Sil. Al centro del paese, in posizione strategica, resiste eroicamente alle intemperie ed all’usura dei secoli, il “Castillo del Temple”, antica fortezza Templare dell’XI secolo. La sua struttura in pietra massiccia, le sue torri merlate ed il ricordo di un antico ponte levatoio che doveva rimanere ben serrato al nemico, ci riportano ancora una volta all’idea della “fortezza”,virtù indispensabile da realizzare. La strada riprende, passa da Villafranca de Bierzo, sale verso il valico di Petrafita do Cebreiro e scende nella valle di Triacastela, caratteristica 9 cittadina la cui piccola chiesa racchiude una bella statua di San Giacomo. In tempi molto antichi i pellegrini, arrivati in quella verde vallata, passavano dalla cava posta in quella zona per raccogliere, anche in questo caso, una pietra e portarla alla parrocchia di Castañeda; qui la depositavano nel forno di calce, che allora lavorava per il materiale di costruzione della cattedrale di Santiago di Compostela, rinnovando così l’idea del proprio contributo alla sua edificazione. Ormai pochi chilometri separano da Santiago: Sarria, Palas do Rei, Mellid sono gli ultimi paesi prima di arrivare al passo di Labacolla. Giunti al fiume, i pellegrini si lavavano il corpo ed il viso in segno di purificazione per prepararsi al grande evento. Restava ancora un’ultima fatica: la salita al Monte Gozo o Monte della Gioia, che domina dall’alto la città di Santiago. La felicità di poter scorgere finalmente le guglie della Cattedrale è stata ben resa dal gruppo scultureo in bronzo, oggi presente su quell’altura. Due pellegrini, in un moto istintivo di gioia, slanciano il braccio in avanti verso la vista di quelle guglie. Il capo è scoperto, il loro caratteristico cappello è diventato il vessillo da innalzare verso il cielo. Termina con questa immagine il 2° articolo dedicato al Cammino di Santiago: tante le cose dette, ma ancor di più quelle che restano da dire. Ma torneremo sull’argomento. Per ora è importante ricordare che durante il Cammino non vi è chiesa (piccola o grande che sia) palazzo, monastero o luogo di accoglienza che non presenti al suo interno o sulla facciata simboli legati a San Giacomo. Le statue ed i dipinti che lo raffigurano costellano retabli, absidi, cappelle, cripte, come pure la “conchiglia”, simbolo di Sapienza Divina, che ben lo contraddistingue. Le immagini del Santo piccole e grandi, in piedi, seduto, a cavallo, con la spada innalzata verso il cielo, sono da ricercare in ogni luogo visitato: tanti ritratti che ancor oggi possono ricordare la sua grandezza e che fanno sentire ancor viva la sua presenza. L’occhio scruta furtivo, lo sguardo si fa attento ed il simbolo o l’immagine appare in una 10 specie di “caccia al tesoro” che offre non poche emozioni. L’idea che in quest’articolo abbiamo voluto dare, non è stata tanto quella di seguire un itinerario d’arte e d’architettura, ma piuttosto di cercare di mettere in luce il filo conduttore che deve muovere tutto il percorso: piccoli, grandi significativi episodi che possono arricchire il bagaglio intimo, personale del vero”peregrinus” che con volontà, umiltà ed amore si appresta a raggiungere la sofferta e sospirata “meta”. 11