leggi l`articolo

Transcript

leggi l`articolo
n. 42
Il Sole 24 Ore
DOMENICA - 12 FEBBRAIO 2012
47
Davide Paolini giornalista gastronomico dell’anno
L’Academie Internationale de la Gastronomie ha premiato Davide Paolini,
critico gastronomico di queste pagine fin dalla fondazione del Supplemento,
e apprezzato conduttore di Radio24, come miglior giornalista gastronomico
nella categoria «giornalismo multimediale». Paolini ha vinto recentemente anche
il sondaggio del sito www.italiaatavola.net come personaggio gastronomico del 2011
Tempo liberato
Oceano Atlantico
santiago
Il cammino si fa in quattro
di Claudio Visentin
I
l Cammino di Santiago, il più significativo pellegrinaggiodell’Occidente cristiano, non finisce mai di stupirci. Sono ottocento chilometri (un milione di passi!) da Roncisvalle, al confine con la Francia,
fino a Santiago di Compostela, in Galizia, attraversocittà e piccoli villaggi,mesetas desolate e boschi rigogliosi, sentieri polverosi e nastri d’asfalto.
È un’impresa decisamente impegnativa:
si è esposti alle intemperie, si alloggia in sem-
plici ostelli e ci si misura quotidianamente
con i limiti della propria condizione fisica.
Eppure il successo è stato clamoroso e del
tutto inatteso, frutto di un passaparola spontaneo piuttosto che di campagne promozionali. Ormai quasi duecentomila viaggiatori
raccolgono ogni anno questa sfida, spesso
senza neppure essere credenti. Qualcuno però comincia anche a lamentarsi. Vuoi perché
in qualunque compagnia vantarsi di aver
percorso il Cammino serve solo a scoprire
che qualcun altro l’ha già fatto anche lui.
Vuoi perché la solitudine e il raccoglimento
lungo il percorso cominciano a diventare
merce rara. Anche d’inverno ormai il tracciato più popolare, il cosiddetto Cammino fran-
Il celebre pellegrinaggio è
troppo affollato. Così chi vuole
sfuggire alla ressa ha
riscoperto altri antichi tragitti,
come quelli percorsi dagli inglesi
cese (quello seguito dai pellegrini che arrivano dalla Francia, l’unico nel corso dei secoli a
non cadere mai completamente in disuso), è
costantemente battuto, e già nel pomeriggio
può capitare di trovare l’ostello occupato se
appena si tarda un poco.
È cominciata così la riscoperta degli "altri
cammini" – il Cammino del Nord, la Via della
Plata, il Cammino portoghese eccetera – percorsi da chi giungeva da Paesi diversi dalla
Francia o da altre regioni spagnole. Sono tutti
cammini riaperti da poco dopo secoli di abbandono, ma ormai sono ragionevolmente
segnalati,dotati di strutture ricettive e ora anche descritti dalle guide, come questa di Terre
di mezzo (Donatella Capizzi Maitan, A Santiago lungo il Cammino primitivo e il Cammino inglese. Due percorsi alternativi verso Compostela", Terre di mezzo, pagg. 86, € 18,00).
In particolare i pellegrini meno inclini a
compromessi hanno adottato il Cammino
primitivo, che porta questo nome perché ripercorre l’itinerario seguito nell’anno 829
dal re asturiano Alfonso II il Casto con la sua
corte, in quello che fu il primo pellegrinaggio iacobeo della storia. Scorre per km 310
tra i boschi e le vallate della Spagna settentrionale. Il percorso, duro e impervio, attraverso regioni spopolate, parte da Oviedo, attraversa la montuosa regione delle Asturie
FERROL
1a
A CORUÑA
Pontedeume
2a
Betanzos
1b
3a
Bruma
4
Ribadiso
Pedrouzo
(Arca)
Sigüeiro
5
13
12
SANTIAGO
DE COMPOSTELA
As Seixas
10
11
Cammino primitivo
Cammino inglese
Cose vecchie
restaurate
dal tempo
Il richiamo della campagna
Cosa spinge i tanti
«contadini di prima
generazione» a tornare
alla terra? L’idea che
il progresso non sia più
abbandonare la natura
il fuoco
della natura
Il dipinto dell’artista
sloveno, Jernej Forbici
«What shines
beneath», 2009
(«Cosa brilla al di
sotto», Courtesy
dell’artista) è una del
centinaio di opere
esposte nella mostra
«Il fuoco della
natura», a Trieste
da oggi al 9 aprile,
al Salone degli
incanti, ex Pescheria.
Fotografi come Gianni
Berengo Gardin o
Robert Mapplethorpe
o artisti quali Ed
Ruscha o Marc Quinn
riflettono sul tema
della natura, sotto
diversi aspetti, dal
degrado ambientale,
all’estinzione delle
specie, dalla potenza
dei vulcani alla
bellezza dei paesaggi
di Pia Pera
«I
contadinisgobbano.Lanatura ride. I contadini piangono» scrive Kristin Kimball, newyorchese Ivy League, catapultata nella Dirty
lifedicuineltitolodaun’inchiesta sui giovani produttori di cibo biologico. Tra di loro scopre di non volersi trovare da
nessuna altra parte se non a tenere in mano
uova tiepide nel pollaio. È l’inizio di un’avventuraraccontataconcaloreescritturascintillante: la resurrezione, insieme a Mark, di Essex
Farm,immensafattoriaabbandonatanelNorth Country.
Superatoilprimo,durissimoimpattocolgeloinvernale,la ripopolanodigallinee mucche,
maiali e api, tacchini e cavalli. A primavera comincianogiàarifornireilvicinatodiognigenere di prodotto alimentare, carne e sciroppo
d’acero inclusi. E dire che erano partiti agli antipodi: Mark conservava il filo interdentale a
volte servisse a riparare i calzoni, a Manhattan
Kristin teneva l’elenco del telefono in frigo.
Una fattoria interamente biologica, con macchinari a trazione animale come tra gli Amish,
èuna creatura in perenne divenire:nullaè mai
davvero terminato, il lavoro è un torrente senza fine, ci sono solo cose da fare subito e altre
che si possono rimandare. Un autentico ricatto, sbuffa Kristin: perché se non fai quello che
c’è da fare, qualche essere vivente appassirà,
soffrirà o morirà.
Come spiegare allora l’attrattiva irresistibiledellacampagnacuisoccombeunaminoranza, però significativa e appassionata, di giovaninatinellecittà?Propongo unazoommatasu
Greenhorns, documentario girato da Severine
von Tscharner Fleming sui contadini di prima
generazione, e sull’omonimo libro di prossima uscita. Ancora studentessa e attivista a Berkeley, Severine si accorge, organizzando un
festival,cheifilmsull’agricolturasono tuttiintrisi delladisperazione e del senso di fallimento di chi non è riuscito a guadagnarsi una vita
A
© RIPRODUZIONE RISERVATA
costanza algranti
verdeggiando
a me mi piace
di Davide Paolini
occidentali, per poi passare in Galizia e ricongiungersi al Cammino francese nell’ultimo
tratto. Sofferenza garantita.
Gli snob puntano invece sul breve Cammino Inglese (km 118), che parte dai porti di Ferrol o A Coruña e si addentra fra i monti della
Galizia fino a Santiago. Aperto da crociati e
templari, era il cammino di chi proveniva da
nord, ed ebbe discreta fortuna nell’autunno
del Medioevo, per poi essere abbandonato
conla nascita dellachiesaanglicanae il diffondersi della Riforma protestante.
Il Cammino inglese è il meno frequentato
in assoluto: «L’Inglese è bello perché non ci
va nessuno», vi diranno. Non è sempre facile
ma si percorre in una settimana, compreso il
viaggio aereo di andata e ritorno, laddove il
Cammino francese richiede oltre un mese.
Ma il tempo guadagnato vi basterà appena
per scontare il peccato di superbia e il poco
cristiano desiderio di saperla più lunga degli
altri. Vedete voi.
migliore. Nessuno che racconti la storia come
la conoscono lei e i suoi amici: che lungi dal
considerarsi dei perdenti costretti a sgobbare
in campagna, sono convinti, coltivando cibo
sano, di avere trovato la via per prendersi cura
di se stessi e del mondo.
Edecco Joel e Katiechesotto laneve mostranoifilid’erbadelpaneavenire,Pilarcolsuobel
vivaio di piantine da orto, Ortarius con le sue
mucche nere, Chris coi preparati biodinamici
cherenderanno fertilità allaterra,Anne e i suoi
squisiti formaggi di capra. Tutti persuasi che a
togliere bellezza e dignità alla vita del farmer
sia stata la cosiddetta rivoluzione verde, quella
chehatrasformatol’agricolturainindustriaeil
contadinoinsalariato.Nonc’èfuturonellemonoculturesu migliaia di ettari.Bisogna tornare
a Thomas Jefferson, che nella piccola fattoria
vedeva la spina dorsale della democrazia, a
Thoreau, trovare ispirazione in Wendel Berry,
Masanobu Fukuoka, Vandana Shiva.
Èla generazione cui Il dilemma dell’onnivoro
di Michael Pollan e Fast food nation di Eric
Schlosserhaapertogliocchi.La verarivoluzione parte dalla scelta di mangiare cibo sano e
saporito, e produrlo localmente. Riusciranno?
Dureranno? Ci sarà abbastanza terra buona
per tutti? Chissà: se tanti vecchi andranno in
pensionerendendodisponibilicirca400 milioni di acri di terra fertile, ogni giorno ne vanno
perduti altri 2.880 a vantaggio del cemento.
Traigiovani farmer insieme all’ottimismoserpeggiailtimorechel’accumulodisempremaggiori latifondi in mano a pochi ricchi petrolieri
Non dei perdenti costretti
a sgobbare nei campi, ma
coltivatori di cibi sani, convinti
di aver trovato la via per
prendersi cura di sé e del mondo
minacci un ritorno alla servitù. Mentre possedereicampichesilavoranoèlabasedellalibertà, la condizione necessaria al progetto di crescere il proprio cibo lavorando come cani ma
mangiando come re.
Per riuscire, bisogna riscuotere la comunità
dall’assuefazionealciboscadente.Consigliabile a questo fine la tecnica del pusher, scrive
Chi ha bevuto tutto il vino?
vrei voglia di convocare Trilussa
per una seduta spiritica, dovrebbe
risolvermi un dubbio statistico,
visto che il poeta ha ben
identificato, a suo tempo, i consumi di pollo.
Il mio interrogativo tocca la domanda
di vino rosso, bianco e bollicine. Si perché
soprattutto ristoratori, osti e trattori
lamentano da tempo un grande calo di
consumo da parte dei clienti, riversando
colpe sull’etilometro, sulla crisi e sul caro
etichette. Una realtà, quella del ber meno,
rispetto al passato, che trova riscontro
proprio nelle carte dei vini, soprattutto
in quelle, divenute Bibbia negli anni d’oro,
dove, per trovare un rosso o un bianco di
un’annata da Guinness, era necessario
passare larga parte della cena o del pranzo.
Così sfogliando, sfogliando noto sempre più
che, nelle pagine riservate ai grandi vini,
l’ultima annata presente nella carta è sempre
più lontana nel tempo. Un indizio chiaro e
lapalissiano che quelle etichette non sono
state "rincalzate" dalle nuove annate,
già poste sul mercato dai produttori. La
conclusione è davvero elementare: non c’è
domanda da parte dei clienti (o, in qualche
caso, manca il soldo al ristoratore), per cui
l’approvvigionamento è rimandato a tempi
migliori. Nel frattempo però ciò che si
è acquistato resta come "magazzino", quindi
un valore che pesa sui bilanci a fine anno. Lo
stesso profumo di "rimanenze" l’ho avuto
girovagando in enoteche e Gdo (si perché
anche qui ci sono ormai i grandi vini,
nonostante molti produttori mostrino,
apparentemente, una certo idiosincrasia
snobistica…) dove però l’arte dello sconto è
di casa, non fa povero, anzi, attira.
Fatte queste considerazioni, sono
stupefatto nell’apprendere dai consorzi
dei marchi territoriali più importanti il tutto
"esaurito". Allora dove sono finite tutte le
bottiglie di Amarone, Brunello di Montalcino,
Barolo e Barbaresco, i vini siciliani di Nero
d’Avola o di Nerello Mascalese, i Franciacorta
Docg, i Trento classico? Addirittura dalla
Valpolicellagiungono cifre entusiasmanti:
piazzati 13 milioni di Amarone, 25 milioni
di bottiglie Ripasso; il Brunello metterà sul
mercato per l’annata, in uscita (2008)
un milione di bottiglie in più. Per non
accennare ai trionfi del Prosecco, ormai
incoronato come traino del made in Italy nel
mondo, con previsioni di cifre miliardarie
(in bottiglie) fra una decina d’anni. Se le cifre
sono vere (non le metto in dubbio!) significa
che i marchi finalmente fanno aggio sulle
bottiglie firmate da enologi o winemaker,
protagonisti della scena vinicola fino
a qualche anno fa.
Viene da chiedersi allora se tutto questo
ben di Dio venga consumato all’estero
(così come le bottiglie con più zeri, anche
in Italia, siano trangugiate solo da russi ,
giapponesi e indiani), o la ristorazione e
la distribuzione non raccontano il vero, cioè
piangono sul copione di sempre…. Che
la crisi al ristorante sia un’Araba fenice
solo per giornali e televisioni?
Insomma un bel cruciverba. Sine qua non.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
«Il gastronauta» è ogni sabato
alle 11 su Radio24
scherzosamente Kristin Kimball: regalare ortaggifreschi,carnesaporitaeuovavereaifuturi clienti, convincendoli a pagare in anticipo la
produzione dell’anno. A Essex Farm ce l’hanno fatta, al punto di associare altre braccia alle
quattroiniziali.Torniamoalladomandadipartenza: come spiegare che persone libere scelgano il ricatto di cui sopra, una vita di duro e
incessante lavoro? Possibile che una giovane
newyorchesedisuccesso siadispostaalasciarsi ingrossare gli avambracci a furia di mungere? Che una vegetariana si ritrovi a macellare
muccheepolli,mangiaredigustofegatodicervo? Il dubbio si affaccia, tant’è che all’indomanidellafesta di nozze, Kristinparte: un editore
lehachiestounaguidadelleHawaii.Nelcosiddetto paradiso di Maui si accorge tuttavia che
quel genere di edonismo non l’appaga più.
Non vede l’ora di tornare. Da suo marito, ma
anche alla sensazione di sentirsi pienamente
immersa in un flusso in cui non c’è frattura tra
vita e lavoro, a un impegno costante ma che
sprigiona energia creativa.
La scelta di vivere in fattoria non è un ritorno ai buoni tempi andati. Se coltivare la terra è
attraente,èperchénelfrattempotantecoseso-
calalù
di Donata Marrazzo
A
more, morte e diserzione ai
tempi della Grande Guerra: sua
maestà Ernest Hemingway non
perde occasione per dichiarare il
suo fervente antimilitarismo. Racconta di
trincee, bombarde, ospedali militari, e di
quel tuffo nel Tagliamento con cui Frederic
Henry, soldato americano volontario al
fronte italiano, sfugge alle truppe
austroungariche e a quelle tedesche.
Abbandona il campo durante
la disfatta di Caporetto, dice Addio alle armi.
A Stresa l’aspetta l’amata Catherine,
infermiera calda e appassionata. Ma la
pioggia in ogni pagina è incessante, ed è
cattivo presagio. L’amore non salverà
nessuno: la donna morirà durante il parto e
pure il suo bambino. Frederic resterà
un uomo senza meta. Impietoso, diretto e
crudo anche nel linguaggio, il libro,
rivisitazione di un’esperienza realmente
vissuta dall’autore, è senza tregua, senza
lieto fine. Talmente potente per forma e
contenuti che durante il fascismo, in Italia,
nocambiate,e inmeglio.QuandoKristinrifiuta di rinunciare al suo cognome, Mark è pronto ad assumere quello di lei: gli basta un segno
che esprima l’appartenenza alla stessa famiglia.È scomparsoil padre/padrone.Come pureuna dellepiaghe più tristidella vita nei campi, l’isolamento.
Igiovanicoltivatorisisentonotraloroaportata di rete. E Amherst, dove Emily Dickinson
ha vissuto da reclusa nel suo giardino, ospiteràamarzounaconferenza perBeginningWomen Farmers. Il progresso non è più quello di
una volta, lasciare la terra.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Kristin Kimball Dirty Life. Una storia
d’amore, cibo e animali, Elliot, Roma,
pagg. 254, € 16,50;
Severine von Tscharner Fleming,
Greenhorns, documentario,
www.thegreenhorns.net ;
Greenhorns: 50 dispatches from the new
farmers’ movement, a cura di
Paula Manalo, Severine von Tscharner
Fleming, Zoe Ida Bradbury,
Storey Publishing, aprile
di Michele De Lucchi
U
na volta si diceva: l’albero è vissuto molto, è diventato alto, un
fulmine lo ha colpito, è seccato.
Il contadino lo ha tagliato, ne ha
fatto una trave del suo tetto. La pioggia lo ha
bagnato,sièrotto,ilcontadinolohacambiato e una scala ne ha fatto. La scala per molto
tempohafunzionato,ungiornounmontante si è spezzato e i pezzi sono diventati una
staccionata,poiunagambadiunasediaeancora un manico di un martello, fino a essere
gettato sul fuoco per scaldare il contadino.
Oggi si direbbe: l’industria un bell’asse ha
prodotto e lucidato, un commerciante lo ha
venduto nel mercato, un’impresa lo ha acquistato, per molti anni lo ha usato, la Costanza lo ha recuperato e la Antonia lo ha
presentato. C’è tanto legno, tanta lamiera,
tantoramechevieneusato senzaparticolari
attenzioni soprattutto nell’edilizia, nella
cantieristica stradale, nelle officine di città e
che è materia naturale, semplice e povera,
ma che in qualche maniera è passata per le
mani dell’industria e del trasandato mondo
urbanizzato delle città contemporanee. E
qualcuno può dubitare che sia una materia
menobelladiquellaagrestedelvecchiocontadino: affatto! È materia bellissima, ancora
più bella che mai, anzi, nello stato di suo più
straordinario splendore. Non c’è cera più
bella di quella che la patina della mano e del
consumo costante e assiduo può produrre,
non c’è colore più raro di quello che la luce
crea con l’ossidazione delle superfici, non
c’è rifinitura più preziosa di quella prodotta
daltempo. Epoic’èuna cosainpiù:lamano,
la mente, la filosofia, il gusto, la poesia della
toscanacciachetutto questo combina insiemenellamanieraapparentementepiùnaturale in forma di mobili, sculture, arte, design
e di cose che servono nelle case. Apparentemente, perché non si può fare facilmente
senza mettere in campo sapienti doti compositiveelasensibilitàdichivedenellamateria tutto quello che altri non vedono.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Prima mostra a Milano per la designer
Costanza Algranti con una doppia sede
(fino a fine marzo 2012) all’interno
della Galleria di Antonia Jannone, corso
Garibaldi 125, e presso il laboratorio di
via Pepe 28 (www.costanzaalgranti.it;
www.antoniajannone.it)
Il soufflé di Hemingway
nella traduzione di Fernanda Pivano, venne
distribuito clandestinamente. E
per questo nel 1943, in occasione
dell’occupazione di Torino, la scrittrice
genovese fu arrestata.
Come per altri romanzi del Nobel – le cui
inedite combinazioni alcoliche sono
passate alla storia (rinomata la sua versione
del Daiquiri: 1oz Rum, 1/2oz Maraschino,
1/2oz Succo pompelmo, 1/2oz Cordial lime)
– in questo racconto cupo di guerra non ci
sono atmosfere da boulevard parigini, né da
battute di caccia nelle verdi colline d’Africa:
lampeggiano consolatori per i due amanti
solo sesso, vino e buon cibo: «Catherine
tenne la mia giubba sulla spalle mentre
mangiavamo. Avevamo una gran fame e il
pranzo era buono e bevemmo una bottiglia
di Capri e una bottiglia di St. Estephe… Per
cena mangiammo la beccaccia con soufflé
di patate e purè di castagne e insalata e uno
zabaglione per dessert… "Il vizio è una cosa
magnifica, disse Catherine"».
I cocktail e le ricette che hanno stuzzicato
lo scrittore statunitense compongono
libri e piatti di autorevoli chef
contemporanei. Quello che segue è
il procedimento per un delicato e soffice
soufflé alla Hemingway. Lessate le patate e
passatele con lo schiacciapatate. Unite
burro e panna. Aggiungete sale e noce
moscata. Quando il composto risulterà
tiepido unite i tuorli e il formaggio
grattugiato. Montate a neve gli albumi e
incorporateli. Versate tutto in una pirofila
alta (o in pirottini monodose), imburrando
e spolverizzando il contenitore con
il pangrattato. Preriscaldate il forno
a 200 gradi e cuocete per 20 minuti. Gli
ultimi 5 minuti abbassate la
temperatura a 180.
Resistete alla tentazione di aprire
il forno durante la cottura.
Ingredienti:
800 g. di patate, 80 g. di burro, 4 uova,
250 ml. di panna, pangrattato, formaggio,
noce moscata, sale
© RIPRODUZIONE RISERVATA