Morto Khaled Fouad Allam il sociologo che studiava l`Isis

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Morto Khaled Fouad Allam il sociologo che studiava l`Isis
Morto Khaled Fouad Allam il sociologo
che studiava l’Isis
Trovato nella sua stanza d’albergo a Roma, la polizia indaga sul decesso
di Beatrice Fiorentino
Nel cinema, lo sguardo è tutto. E non da intendersi semplicemente come atto fisiologico del
guardare, ma soprattutto come espressione di una posizione etica, in qualche caso persino
politica, dell'atteggiamento con cui un autore interpreta ciò che lo circonda per poi trasmettere le
sue impressioni attraverso le immagini. In fondo è questo ciò che il cinema fa: offre una visione
del mondo.
La conversazione di Ermanno Olmi con Marco Manzoni, cui il regista bergamasco affida i suoi
ricordi ne "Il primo sguardo", pubblicato da Bompiani (pagine 186, euro 12), è piena di sguardi. La
prima occhiata che si sono scambiati i genitori del regista innamorandosi l'uno dell'altra, istante in
cui Olmi identifica la sua nascita, e molti altri sguardi affettuosi che egli ha incontrato durante la
sua esistenza, a volte dolorosa, segnata da eventi traumatici come una malattia neurologica che lo
ha colpito nel pieno degli anni costringendolo per un lungo periodo su una carrozzina o come la
Seconda guerra mondiale che gli ha sottratto il padre, caduto sotto un bombardamento quando lui
era soltanto un ragazzino.
Esperienze da cui tuttavia Olmi ha tratto suggestioni importanti che hanno contribuito a formare in
lui quella visione poetica che è stata la forza silenziosa della sua carriera cinematografica. La sua è
una Weltanschauung che parte dal basso, dalla vicinanza alle persone più umili, ai contadini, ai
lavoratori, alla brava gente, puntando a sentimenti semplici e nobili per lanciare un appello alla
fratellanza universale.
Quando Manzoni guarda il regista negli occhi, vi scorge «uno sguardo pieno di meraviglia, sogno,
mistero, pietas». «Il cinema di Olmi - dice - stupisce ancora perché ha l'impronta di quello
sguardo. Il primo sguardo, lo stesso degli innamorati e del poeta che è in lui, è ancora vivo».
Nella visione cinematografica di Olmi affiorano stupore e umiltà, ma questi sentimenti sono
sempre controllati con consapevolezza cosciente e non sono frutto di ingenuità. I personaggi dei
film che maggiormente hanno segnato la carriera dell'artista, dagli esordi con i documentari nelle
fabbriche ai film riconosciuti a livello internazionale come "L'albero degli zoccoli", fino al più
recente "torneranno i prati", si trovano spesso a dover fare i conti con il potere, l'avidità, il profitto,
l'ambizione, la guerra.
Aspetti con i quali essi si scontrano assumendo una posizione dettata da principi morali, e quindi
non remissiva, ma etica.
Il regista, guidato dalle domande che Marco Manzoni gli rivolge con ammirazione quasi devota,
ripercorre i temi salienti del suo cinema: il Tempo, la Natura, il lavoro, la spiritualità, la fratellanza,
l'amicizia. Temi che vanno ben oltre l'universo cinematografico e interessano la vita di tutti i
comuni mortali. E così, partendo dal cinema, si finisce anche per parlare di emergenza ambientale,
dell'Expo, della crisi economica e persino del Papa.
«Papa Francesco è un segno di speranza nel cambiamento verso una Chiesa più vicina nei fatti ai
poveri, agli umili e più distante dal potere economico e politico - risponde Olmi a una domanda
sulla crisi di valori dei nostri giorni - ma ci sono anche altri segni di speranza, altri papi laici come
Carlo Petrini o Vandana Shiva che combattono da anni una giusta battaglia per la difesa del
pianeta, dell'agricoltura e dell'alimentazione buona e sana. Sono temi che riguardano tutti -
prosegue - ma i media li sottovalutano e li mettono in mezzo a tante notizie futili, come fossero
un'informazione tra le altre. Invece questi temi toccano l'essenza della vita umana e della Terra, la
stessa idea di futuro del pianeta ma poiché toccano anche i grandi interessi economici e finanziari
vengono sminuiti nella loro importanza e drammaticità».
La ricerca del profitto a tutti i costi è uno dei mali della Terra e Olmi lo ha raccontato nel suo
cinema in più occasioni: da "Un certo giorno" (1969) fino al suo ultimo lavoro, un cortometraggio
realizzato in occasione dell'Expo milanese intitolato "Il Pianeta che ci ospita".
«Mi dispiacerebbe molto che Expo si trasformasse in una sorta di strategia di mercato - precisa il
regista -. Il "mercato" non è una parola brutta, lo diventa quando non è un'opportunità ma solo
privilegio di pochi potenti. Se l'Expo avrà il coraggio di affrontare i temi del cibo e dell'ambiente
con sincerità e onestà, avrà un senso; se invece è soltanto un apparente spot pubblicitario che
propone tutte le gioie possibili del cibo e perfino la soluzione dei problemi della fame del mondo,
sarà una delusione».
Si parla di guerra e di potere, «quelle degli ultimi secoli hanno corrisposto sempre alla volontà di
chi stava ai piani alti del potere», ma con una luce in fondo al tunnel che si chiama Europa: "Penso
che oggi, perché non avvenga la terza guerra mondiale, dovremmo trovare un senso comune
europeo. Quindi non più una patria terra dei padri, ma una patria nella quale ci riconosciamo per
un ideale, un obiettivo comune».
La conversazione procede per argomenti, ma trova sempre il modo per riallacciarsi al cinema
dell'autore. Addirittura, nella seconda parte, una serie di schede ne ripercorre la filmografia, titolo
per titolo. E non manca neppure qualche gustoso aneddoto, come quello dell'amicizia fraterna che
legava Olmi a Fellini dai tempi dell'uscita del film "Il tempo si è fermato!". Allora "Federicone", che
amava i vezzeggiativi e si rivolgeva a lui chiamandolo "Ermannino", si vece vivo con lui e gli disse:
«Da questo momento noi due siamo fratelli!». Per sua stessa ammissione, Olmi si sentiva, da un
punto di vista razionale, in grande sintonia con Rossellini, «perché capivo il valore del suo cinema:
il neorealismo. Federico invece era un mistero anche per se stesso. Del resto, i grandi non sanno
quello che sono».
Il neorealismo rappresentò per Olmi una autentica folgorazione. «Il cinema fu per me, più che
un'emozione, una specie di ceffone liberatorio. La sberla che presi da "Roma città aperta"mi mise
in un rapporto diverso con tutto il cinema che, da spettatore, frequentai. Mi resi conto che andavo
al cinema non più per sognare, ma per capire qualcosa in più della vita». Chissà. Magari è stato
proprio quello, allora, il primo sguardo di Olmi da regista.