Cinema e Filosofia

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Cinema e Filosofia
Polo Liceale Statale “Saffo”
Roseto degli Abruzzi
Progetto didattico
Cinema e Filosofia
Gli argomenti di quest’anno:
RIFLESSIONI SULLA VIOLENZA
L’UOMO E LA SALVEZZA
Programma 2011-2012
Presentazione. Il corso dedicato quest’anno a “Cinema e filosofia” nasce per iniziativa dei docenti della
Classe di Concorso A037, Filosofia e Storia che, nelle riunioni per materie e di dipartimento, hanno pensato
di riconfermare per il corrente anno scolastico l’iniziativa in oggetto che ebbe molto successo tra gli studenti delle ultime classi dei vari indirizzi. L’iniziativa dello scorso anno scolastico è stata coordinata assieme al
Prof. Donato Di Pasquale, docente di Musica e di Linguaggi non verbali, ed ha avuto un carattere fortemente interdisciplinare, alternando informazioni sulle tecniche cinematografiche e musicali e notizie sulla trama
dei film, che hanno consentito ampie discussioni anche di carattere filosofico.
Nelle discussioni tra i docenti di Filosofia (Di Marco, Ettorre, Celommi, Fratini, Caiffa, Napodano) è stato
deciso di ripetere una serie di incontri a partire dal mese di gennaio 2012 fino al termine di aprile, con scadenza settimanale, evitando le festività pasquali e le settimane dedicate ai viaggi di istruzione. Il corso è
aperto agli studenti di tutti gli indirizzi delle quarte e quinte classi. La sede prescelta per le proiezioni è la
palestra di Via Alfieri. Per l’occasione si utilizzeranno le competenze tecnologiche degli studenti per la messa in funzione delle attrezzate necessarie all’uopo.
I temi principali scelti quest’anno sono due: RIFLESSIONI SULLA VIOLENZA e L’UOMO E LA SALVEZZA, data
l’attualità dei due argomenti proposti e visto che l’arte cinematografica ha fornito recentemente prove significative di opere non dozzinali che consentiranno di poter discutere appassionatamente con gli studenti
evitando di scadere nella banalizzazione di cui è maestra una certa Tv.
Gli incontri si svilupperanno in ordine a questa scaletta: dopo una prima presentazione, segue la visione del
film in oggetto; al termine della proiezione i docenti relatori animeranno la discussione. I film sono in prevalenza di recente produzione; per linguaggio e tematiche sono sembrati adatti ad un pubblico giovanile di
17-19 anni. La scelta è caduta su pellicole che presentano al tempo stesso tematiche adatte alla discussione
filosofica contenenti rilievi problematici importanti e quindi non occasionali.
Ha scritto Andrè Bazin che il cinema ha la fortuna di soddisfare nell’uomo il bisogno psicologico di “salvare
l’essere mediante l’apparenza”. Così come Pier Paolo Pasolini non mancava di parlare del cinema come
della “lingua scritta della realtà”. Altri filosofi come Gilles Deleuze considerano il cinema come una vera e
propria filosofia. Ce n’è abbastanza per confermarci che il cinema, già dai suoi inizi (la settima arte di Pudovkin), presenta forti connotazioni intellettive, ed è un buon veicolo per la pro-vocazione, il chiamar-fuori idee, concetti, intuizioni, meditazioni. Naturalmente il cinema (come racconta Jean Paul Sartre nella sua autobiografia “Le parole”) è anche divertimento, spettacolo, passatempo e oggi, in particolare, consumo di
massa, ma non ne rappresenta l’aspetto decisivo.
Il corso organizzato dal Polo Liceale Saffo non intende proporre film d’essai da contrapporre al cinema
commerciale dei nostri tempi (che rimane pur sempre il dato caratterizzante della produzione cinematografica del momento), ma vuole utilizzare le risorse offerte dai film di varia provenienza per introdurre gli studenti:
alla conoscenza dei linguaggi non verbali;
alla riflessione sui contenuti etici e filosofici offerti dal cinema;
al dialogo educativo e al confronto con le opinioni altrui;
all’acquisizione di un metodo di analisi e di studio interdisciplinare;
alla rielaborazione personale delle conoscenze.
Secondo il parere di Umberto Curi, il cinema coinvolge non solo la sfera sensoriale ed emotiva dello spettatore ma soprattutto quella intellettiva, innescando un processo liberatorio. Non si può ridurre al semplice
racconto o alla mera rappresentazione della realtà, quasi fosse relegato alla funzione mimetica di un oggetto-realtà che lo trascende infinitamente. Secondo altri pensatori che possiamo considerare temerari, il cinema nascerebbe nella Caverna di Platone, set ideale per la sceneggiatura cinematografica.
Per rimanere al dato storico, occorre dire con Walter Benjamin (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936) che il cinema consente per la prima volta di porsi dialetticamente a confronto con
l’arte aristocratica ed offre l’opportunità di un’arte finalmente popolare che non si esaurisce nel puro divertimento di massa, ma diventa uno straordinario strumento didattico prima non disponibile.
Di nuovo Curi ha scritto a proposito della “violenza”, nel suo volume “Un filosofo al cinema”, Bompiani
2006, che “in un saggio ormai classico, indagando il rapporto fra l’origine del sacro e la violenza, il filosofo
francese René Girard scrive: “Non si può fare a meno della violenza per porre fine alla violenza. Ma è appunto per questo che la violenza è interminabile. Ognuno vuole proferire l’ultima parola della violenza e si
va così di rappresaglia in rappresaglia senza che mai intervenga una vera conclusione”. Da questa constatazione, elementare quanto amara, scaturisce quale coerente conseguenza l’idea che la violenza sia letteralmente con-naturata alle forme dell’organizzazione sociale. Da un lato, infatti, come insegna l’origine degli
stati moderni, e l’affermarsi in essi di classi sociali emergenti, essa agisce come fattore morfogenetico, come creatore di nuovi “ordini” sul piano internazionale e di nuovi equilibri sul piano interno. Dall’altro lato,
ogni tentativo di estinguere la violenza ne presuppone l’uso, e dunque ne ribadisce l’ineliminabilità dalla
vita individuale e da quella associata. Nel riconoscimento della derivazione intrinseca che connette la violenza all’evoluzione stessa della società, che ne segnala l’appartenenza ai modi del suo “progresso”, si manifesta uno degli aspetti costitutivi dell’essere uomini, quel male radicale che ne è alla radice. Come già
scriveva Platone nel Protagora, la violenza, vista nella sua forma più compiuta, vale a dire intesa come
guerra, rappresenta non solo una “parte” della politica, ma ne è anche il destino, in quel ciclico avvicendarsi
di guerra e politica di cui è intessuta la storia dell’umanità. Concepita come espressione di un’incancellabile
pulsione distruttiva, secondo l’interpretazione freudiana, ovvero assunta come indizio di una naturale belligeranza innata in ogni individuo, secondo una linea di ricerca etologico-antropologica, che da Hobbes (ma
per molti aspetti da Sant’Agostino) giunge fino a Lorenz, la violenza manifesta la medesima peculiare ambivalenza che caratterizza la condizione umana”.
A cura di:
Vincenzo Di Marco
Alunni coinvolti:
Classi quarte e quinte
Docenti relatori:
Vincenzo Di Marco, Claudia Ettorre, Mariadele Celommi, Marilù Caiffa, Vincenzo Napodano
Calendario:
25 gennaio 2012
1 febbraio 2012
8 febbraio 2012
15 febbraio 2012
22 febbraio 2012
Potrebbe essere programmato un sesto incontro
Tutti gli incontri si svolgeranno di pomeriggio, presso la palestra di Via Alfieri, con orario da concordare, ma
presumibilmente dalle ore 14,30 alle ore 16,30.
Programma provvisorio: una breve rassegna dei film proposti
I CENTO PASSI
Un film di Marco Tullio Giordana. Con Luigi Lo Cascio, Luigi Maria Burruano, Lucia Sardo, Paolo Briguglia,
Tony Sperandeo. Drammatico, durata 114 min. - Italia 2000
Alla fine degli anni Sessanta a Cinisi, un piccolo paese siciliano, la mafia domina e controlla la vita quotidiana oltre agli
appalti per l'aeroporto di Punta Raisi e il traffico della droga. Il giovane Peppino Impastato entra nel vortice della contestazione piegandola, con originalità, alle esigenze locali. Apre una piccola radio dalla quale fustiga con l'arma dell'ironia i potenti locali fra i quali Zio Tano (Badalamenti). Peppino verrà massacrato facendo passare la sua morte per un
suicidio. Se lo si guarda con gli occhiali dell'ideologia I cento passi (che si ispira a fatti realmente accaduti), con la chiusura sulle bandiere rosse e i pugni chiusi del funerale di Impastato, potrebbe sembrare un film di propaganda. In realtà
è un film di impegno civile (che non si vergogna di citare il Rosi di Le mani sulla città) che si assume il compito di ricordarci che la lotta a quel complesso fenomeno che passa sotto il nome di mafia non appartiene a una 'parte'.
LA ROSA BIANCA
Un film di Marc Rothemund. Con Julia Jentsch, Gerald Alexander Held, Johanna Gastdorf, Fabian Hinrichs,
André Hennicke.
Titolo originale Sophie Scholl - Die letzten Tage. Drammatico, durata 117 min. - Germania 2005.
Il 17 febbraio del 1943, quando il governo tedesco dichiarò caduta e perduta Stalingrado, un gruppo di studenti
dell’università di Monaco si convinse che la fine della guerra fosse ormai prossima. Otto mesi di bombardamenti continuati e le numerose perdite di soldati sul fronte orientale accrebbero l’ottimismo e l’euforia del movimento di resistenza studentesco de La Rosa Bianca. I tempi e il popolo tedesco erano maturi per il loro sesto volantino rivoluzionario. Furono i fratelli Scholl, Hans e Sophie, a offrirsi volontari e a immolarsi, ignari, per la causa. Quella mattina di febbraio centinaia di volantini di denuncia contro i crimini nazisti vennero disseminati lungo i corridoi degli atenei. Un ge-
sto azzardato che divenne il loro punto di non ritorno: sorpresi da un sorvegliante, furono interrogati dalla Gestapo,
processati dalla Corte Popolare di Giustizia e condannati alla ghigliottina in soli cinque giorni.
I fratelli Scholl, così come tutti i membri della resistenza che nei mesi successivi furono rintracciati e indagati, "peccarono" di entusiasmo: all’epoca dei fatti nessuno di loro avrebbe potuto prevedere che la guerra sarebbe durata ancora
due anni, ma soprattutto nessuno di loro capì quanto lontani fossero i tedeschi dal prendere coscienza dell’orrore del
quale finirono per essere complici. Alcuni testimoni raccontarono il lungo applauso che accolse il ritorno in accademia
del sorvegliante delatore. La storia de La Rosa Bianca e dei fratelli Scholl non è nuova al cinema tedesco, il regista
Marc Rothemund è stato preceduto negli anni Ottanta da due connazionali, gli autori Percy Adlon e Michael Verhoeven. Questa volta però ci troviamo davanti a un’opera con un diverso respiro e con una diversa storia, che prende avvio ed è favorita dal ritrovamento di documenti inediti conservati per decenni negli archivi della Germania Est e resi
pubblici soltanto nel 1990. A partire dai verbali originali degli interrogatori e dalle numerose testimonianze, come
quella della compagna di cella Else Gebel, Rothemund costruisce un film dove il 90% delle parole e delle azioni sono
autentiche, riservandosi soltanto in due occasioni di sviluppare una sua verità.
Nelle opere precedenti Sophie finiva per perdersi e confondersi nel gruppo, nel coro studentesco. Qui, al contrario,
ogni movimento della macchina da presa, ogni piano è per lei, per la sua figura esile e tragica, portatrice sana, come
Antigone, di amore fraterno e di coraggio civile. A incarnare il sacrificio di Sophie è il talento di Julia Jentsch, sola davanti alla macchina da presa che lascia sullo sfondo bandiere e divise. Dentro resta soltanto il volto di una ragazzina
che raggiunge la maturità nel tempo fugace di una canzone di Billie Holiday.
AGORA
Un film di Alejandro Amenábar. Con Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac, Ashraf Barhom, Michael
Lonsdale. Avventura, durata 128 min. - Spagna 2009
Alessandria d'Egitto. Seconda metà del IV secolo dopo Cristo. La città in cui convivono cristiani, pagani ed ebrei è anche un vivo centro di ricerca scientifica. Vi spicca, per acume e spirito di indagine, la giovane Ipazia, figlia del filosofo e
geometra Teone. Ipazia tiene anche una scuola in cui l'allievo Oreste cerca di attirare la sua attenzione. C'è però anche
un giovane schiavo, Davus, attratto dalla sua bellezza e dalla sua cultura. Col trascorrere degli anni la tensione tra gli
aderenti alle diverse religioni diviene sempre più palese e finisce col divampare vedendo il prevalere dei cristiani i quali godono ormai della compiacenza di Roma (anche se non di quella di Oreste divenuto prefetto). Guidati dal vescovo
Cirillo e avvalendosi del braccio armato costituito dai fanatici monaci parabalani, i cristiani riescono ad annullare la
presenza delle altre forme di religione e intendono regolare i conti con il pensiero che oggi definiremmo 'laico' di Ipazia. Ci sono fasi della storia del cattolicesimo che sono rimaste nell'ombra e sicuramente quella della presa di potere
da parte dei cristiani di Alessandria, guidati da un vescovo autoritario e violento salito anche all'onore degli altari, appartiene al versante di cui non è il caso di andare fieri e neppure di cercare alibi in una diversa sensibilità rispetto al
passato remoto. Il cinema, quando gliene viene offerta l'opportunità, fa bene a fare luce anche su questi aspetti. Se si
prende delle licenze narrative può anche essere giustificato da esigenze di trasposizione. Quella che però non può essere in alcun modo apprezzata è la scelta linguistica adottata in questa occasione da un pur apprezzato regista quale è
Alejandro Amenabar. Dinanzi a una tematica così complessa il regista spagnolo sceglie la via del "peplum post litteram" in cui tutto è palesemente finto e si finisce con l'attendere il Maciste di turno che faccia crollare le colonne di
gommapiuma del lontano passato di Cinecittà. L'eroina è proprio bella (e muore nuda), i cattivi sono cattivi che più
non si può (e sono tutti dalla parte dei cristiani) e non c'è costume a cui manchi il cartellino della tintoria. Se ci si aggiunge qualche lezioncina sull'astronomia del tempo e qualche scontro armato dilatato per fare metraggio si raggiun-
ge la durata giusta per un passaggio televisivo in due parti. Ma ci sono miniserie tv come Empire che hanno meno pretese e una resa perlomeno uguale.
CENTOCHIODI
Un film di Ermanno Olmi. Con Raz Degan, Luna Bendandi, Amina Syed, Michele Zattara, Damiano Scaini.
Commedia, durata 92 min. - Italia 2007.
Un giovane e attraente professore universitario di filosofia si rende improvvisamente irreperibile. È infatti ricercato
per un reato del tutto insolito: ha letteralmente inchiodato al pavimento e ai tavoli di una biblioteca ricca di antichi
manoscritti e incunaboli quegli stessi volumi preziosi che avevano nutrito la sua formazione. Mentre i carabinieri lo
cercano, il professore trova rifugio sulle rive del Po, a Bagnolo San Vito, dove una piccola comunità gli offre riparo e
accoglienza.
Ermanno Olmi, classe 1931, ha deciso, da spirito libero quale è sempre stato: Centochiodi è il suo ultimo film di fiction.
D'ora in avanti tornerà al primo amore o, meglio, al mezzo espressivo che per primo ha incontrato sulla sua strada artistica: il documentario. Ecco allora che questa 'storia' diventa una sorta di testamento autoriale. Cosa preme di più al
settantaseienne autore? Gli preme, ancora una volta, guardare alla Fede attraverso l'uomo. Un uomo liberato dal vincolo del rigore della Legge che, per interessi del tutto umani, si pretende essere metro di tutte le cose. La parola, la
parola scritta, codificata nei libri non vale un caffè con un amico. Olmi contro la lettura quindi? Assolutamente no. Olmi contro l'agitare i Libri (di qualsiasi fede e religione) per nascondere dietro quelle pagine, di cui ci si proclama unici e
indefettibili interpreti, progetti di egemonia culturale o politica. Il Sacro per il regista è troppo importante per essere
chiuso entro limiti. "Ma pur necessari, i libri non parlano da soli" afferma l'epigrafe che apre il film.
Chi parla veramente al cuore e alla mente del protagonista, un Gesù Cristo in autoesilio dal mondo freddo della
'Cultura', sono quegli umili che vivono sulle sponde del Po (fiume amato da Olmi che già ne aveva cantato la magia in
un documentario) che sono capaci di accogliere con piena naturalezza (senza neppure far mancare quella carnalità che
può anche sfociare nel motteggio volgare) lo Sconosciuto. Magari anche aiutandolo a riparare un tugurio, ricevendo
poi in modo disinteressato la sua solidarietà nel difendere quegli argini che il mercantilismo cieco vorrebbe deturpare.
È proprio in questa genuina umanità che si rispecchia il senso della vita secondo Olmi ed è un po' un peccato che il
doppiaggio delle fasi iniziali del film e quello del valido Raz Degan (a riprova che i Maestri sanno trovare il talento là
dove altri hanno visto solo l'esteriorità) in qualche modo ne falsino la compattezza, non solo stilistica ma anche sonora. Meglio sarebbe stato se Degan avesse parlato in quel suo italiano stentato che lo avrebbe fatto diventare un
'Cristo' venuto da lontano e ancor più pronto (rispetto a quello un po' declamatorio che ci offre il doppiatore) a
'imparare' dall'uomo che fa del dialetto il mezzo di comunicazione della sua saggezza popolare. Nonostante questo il
film rimane nella mente e nel cuore spingendoci ad attendere il suo ritorno sugli schermi con i documentari che già sta
realizzando.
RICOMINCIO DA CAPO
Un film di Harold Ramis. Con Bill Murray, Andie MacDowell, Chris Elliott, Stephen Tobolowsky, Brian Doyle-Murray.
Titolo originale Groundhog Day. Commedia, durata 103 min. - USA 1993.
Ramis, regista fino ad ora di filmetti demenziali a basso quoziente intellettuale, è stato baciato dalla fortuna. Infatti ha
ricevuto il soggetto di Danny Rubin che è quanto di più paradossale e originale sia capitato negli ultimi anni. Bill Murray è un insopportabile meteorologo in trasferta a Punxsutawney. Nella ridente cittadina montana sta infatti per essere celebrata la "giornata della marmotta". È in tandem con una produttrice, Andie MacDowell, piuttosto conformista.
Per uno scherzo del destino il protagonista si trova a dover rivivere la medesima giornata all'infinito. Pur essendo comico il film è anche una riflessione sull'alienazione e sul malessere della società.