XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno A
Mt 22,1-14
Ultima delle tre parabole sul rifiuto del Regno, quella degli invitati alle nozze del
re riprende il tema della reazione nei confronti della predicazione e della persona di
Gesù. I rigidi osservanti e conoscitori della Legge non accolsero il suo annuncio e ne
respinsero gli appelli alla conversione, come del resto avevano già fatto nei confronti
del Precursore. Gli esclusi, gli scomunicati, come le prostitute e i pubblicani, e tutti
quelli che nel popolino venivano disprezzati per la loro poca conoscenza della Legge,
gli riservarono invece una buona accoglienza.
La prima parte della parabola con le sue immagini della grande festa di nozze
preparata dal re per suo figlio, con gli invitati di "riguardo", quelli scelti, che rifiutano
l'invito portato dai servi (ancora una volta simbolo dei profeti), vuole sottolineare
proprio la responsabilità dei "primi", il popolo eletto a cui appartiene l'Alleanza, che
con il loro rifiuto si autoescludevano dalla salvezza; una salvezza indissolubilmente
connessa con la missione del Figlio: il banchetto è per le nozze del figlio del re. Non la
Legge, ma la fede in Cristo salva. Ogni uomo è chiamato a decidersi di fronte
all'invito ultimo.
Ci sono degli invitati di "diritto" in questa narrazione a cui i servi sono mandati per
primi. Paolo ci ricorda che
Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione,
il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo
secondo la carne. Rom 9,4-5
Ma nel momento in cui essi rifiutano, l'invito passa "alle strade"
A causa della loro caduta la salvezza è giunta alle genti, per suscitare la loro gelosia.
Rm 11,11
Vengono chiamati tutti quelli che si possono trovare: buoni e cattivi.
Qui il tono della parabola cambia e, al posto dell'ammonizione finale dove si
esaltano gli ultimi e gli emarginati su chi si è sempre considerato superiore, si
inserisce un richiamo rivolto a coloro che sono stati chiamati, introdotto dal motivo
dell'abito da cerimonia.
Matteo parla alla sua comunità e, attraverso questa, alla Chiesa di tutti i tempi. La
linea di demarcazione passa ora all'interno del nuovo popolo di Dio che si professa
credente. Per far parte del banchetto della salvezza finale basta aver accettato il
messaggio evangelico, aver ricevuto il battesimo ed essere entrati nella chiesa?
Matteo ha davanti agli occhi l'immagine di un discepolo e di una comunità troppo
fiduciosi in se stessi, illudendosi forse di possedere, nel loro essere stati scelti al posto
dei primi, una cambiale per il Regno. Dopo aver ascoltato per tre volte consecutive
che il Signore cerca gli ultimi e gli esclusi e che costoro saranno gli eredi delle
promesse al posto del popolo eletto, si può correre il rischio di cadere in una falsa
sicurezza che smorza l'impegno inducendo alla superficialità.
La metafora dell’abito scorre tutta la Scrittura a partire dalle vesti che Dio fece per
Adamo ed Eva dopo la caduta, tuniche di pelli, fino a quelle di lino splendente della
“sposa dell’Agnello” e di coloro che sono invitati al banchetto che è la comunione
piena con il Risorto1
Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze
dell'Agnello; la sua sposa è pronta, le hanno dato una veste di lino puro splendente». La
veste di lino sono le opere giuste dei santi. Ap 19,7-8
Il simbolo dell'abito da cerimonia serve a ricordare al discepolo che non basta
rispondere "si" nella fede alla vocazione cristiana, ma che al credente si richiede
fedeltà di vita nell'obbedienza alla volontà divina rivelata dal Signore. Altrimenti
l'esclusione dal Regno riguarderà anche lui, esattamente come l'invitato a nozze privo
dell'abito da cerimonia.
La doppia parabola si conclude con una massima desunta dalla tradizione: molti
sono i chiamati ma solo pochi sono scelti. La vocazione cristiana non comporta per se
stessa la salvezza e non è per i credenti una garanzia di partecipazione al Regno.
Il risultato finale di questa complessa parabola è una grande allegoria in cui viene
descritta a grandi linee la storia della salvezza dove Dio (il re) chiama alla salvezza (il
banchetto) prima Israele mediante i profeti, Cristo e gli apostoli (i servi rimasti
inascoltati, picchiati e uccisi) e poi i pagani (i cattivi e i buoni). Alla storia della
chiamata di Dio si intreccia quella delle risposte degli uomini: negativa degli uni e
positiva degli altri. La risposta negativa diventa causa di devastazione e morte in
coloro che l'hanno pronunciata (la città incendiata e i suoi abitanti uccisi): rifiutare
Cristo è rifiutare la vita. La risposta positiva consente l'accesso alla sala del banchetto
ma esige l'impegno a vivere una fedeltà concreta: per questo l'evangelista precisa che
la sala è stata riempita di buoni e di cattivi. Di per se l’essere “cattivo” non comporta
l’esclusione dalla chiamata perché a tutti a data la possibilità della conversione. Il
grano buono e la zizzania crescono insieme e solo alla fine verranno separati in base
al criterio non dell'appartenenza alla Chiesa né di una sterile ortodossia, ma della
conformazione della propria vita agli insegnamenti di Cristo Gesù.
11
Cfr. Ap 3,4.5.18; 4,4; 6,11; 7,9.14; 16,15; 19,8; 22,14