Il banchetto di nozze 9 febbraio 2014 (Tutti invitati a nozze) Mt 22,1

Transcript

Il banchetto di nozze 9 febbraio 2014 (Tutti invitati a nozze) Mt 22,1
Il banchetto di nozze
(Tutti invitati a nozze)
Mt 22,1-14
9 febbraio 2014
[In quel tempo,] Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il
regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a
chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con
quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali
ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”.
Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi
presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece
uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze
è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che
troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che
trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i
commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei
entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e
piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati,
ma pochi eletti.
Gesù paragona il suo regno a un luogo di festa e di gioia.
E' il ritornello continuo nelle parole e nelle azioni di Papa Francesco e il suo documento ha per
titolo appunto “La gioia del vangelo”. Per dirci che questa sua affermazione ha un fondamento
solido, all'inizio della lettera, al N° 5, cita alcuni dei passi del vangelo che esprimono il desiderio di
Gesù di riempire i nostri cuori di gioia, che poi è la volontà del Padre: “Il Vangelo, dove risplende
gloriosa la Croce di Cristo, invita con insistenza alla gioia”.
In molti cristiani, anche in cristiani “impegnati”, c'è come una dicotomia a volte molto accentuata: il
vangelo e la vita. Il Signore parla di conversione, di cambiamento di rotta, di mentalità nuova,
dicendoci di fare una scelta, perché “perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,1-8). La
scelta da fare è lui stesso, tutto il resto è una conseguenza di questa scelta.
In Marco Gesù inizia il suo ministero invitando a credere a un mondo nuovo che comincia con lui:
“Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15).
Non sarebbe male riflettere un po' sulla propria vita, sul proprio cammino di fede e vedere in che
cosa ho cambiato mentalità, o se sono talmente legato alle mie opinioni che neppure il vangelo
riesce a scalfirle.
Alcuni manoscritti dicono che la parabola fu raccontata per i capi dei sacerdoti e per gli anziani del
popolo, ai quali aveva annunziato che sarà loro tolto il regno di Dio (vedi parabola dei vignaioli Mt
2, 33-44). e la reazione del re quando i suoi servi vengono uccisi: “Allora il re si indignò: mandò le
sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città”. C’è un’allusione alla
distruzione di Gerusalemme a causa dei capi religiosi che hanno rifiutato il messia di pace
annunziato da Gesù.
Dio aveva annunziato l'universalità della salvezza attraverso i profeti.
Agli Israeliti, convinti che il Dio rivelatosi ad Abramo Isacco e Giacobbe, sia esclusivamente il loro
Dio, i profeti dicono che non è così. Ma i capi continuano a congiurare contro Gesù, perché
accettare l'universalità del Regno significa perdere il loro potere. E per non perdere il potere si è
capaci di qualunque alleanza, e così si alleano partiti avversi. Lo vediamo chiaro in molti dei nostri
politici, ora come allora da avversari si diventa alleati, pronti a diventare dinuovo avversari quando
la propria poltrona la si vede minacciata, e a pagare sono sempre i piccoli, oggi come allora.
1
Per altri la stessa parabola è raccontata da Matteo e Luca (14,16-24), anche se con delle differenze
significative, perché partono dall'esperienza diversa delle loro comunità.
L'abbiamo già visto la volta scorsa come gli ebrei convertiti restavano legati alle proprie tradizioni e
la convivenza con i pagani convertiti era difficile.
Avevano difficoltà a sedersi e a mangiare con i pagani. Gli Atti ci parlano dei rimproveri a Pietro
per essere entrato nella casa di Cornelio, un pagano e aver mangiato con lui (At 11,3).
Altri insistono nel dire che le due parabole non hanno quasi niente in comune.
Lasciamo agli esperti di continuare nel loro lavoro di approfondimento delle Scritture.
Noi prendiamo la parabola come Parola di Dio rivolta a noi oggi.
“Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire”.
Sapevano di essere invitati e aspettavano di conoscere il giorno delle nozze. Sapevano, perchè erano
stati avvertiri; i profeti ne avevano parlato e Isaia in particolare: "Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di
tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni" (Isaia 25,6-10).
Isaia lo avevano spesso sentito leggere nelle loro sinagoghe, ma a poco a poco si erano
imborghesiti, erano diventati indipendenti, indipendenti anche da Colui che li aveva liberati dalla
schiavitù e ne aveva fatto un popolo.
Erano poveri, malmessi e maltrattati e Dio li aveva guardati con simpatia e dichiarati già suo
popolo: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi
sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per
farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso” (Es 3, 7-8).
“Ma questi non volevano venire” Certo, il riferimento ai ai capi dei sacerdoti e ai farisei è chiaro;
ma questa parola è per noi oggi.
Il primo invito lo abbiamo ricevuto nel battesimo. Poi ancora da piccoli abbiamo appreso nel
catechismo che la Chiesa è universale (cattolica), poi a poco a poco l'avevamo ridotta a “romana” e
ancora a poco a poco ne avevamo fatto un'impero, con i poteri di un impero e il papa quasi un
imperatore. E noi stessi, semplici cristiani ne avevamo preso le distanze, guardandola come una
realtà fuori di noi e confondendola spesso col Vaticano. Ne avevamo preso le distanze non sempre
per scelta, ma spesso per apatia.
Papa Francesco ci invita a riappropriarci del senso della Chiesa:
“Peccatore sì, traditore no! E questa è una grazia: rimanere sino alla fine nel Popolo di Dio. Avere
la grazia di morire in seno alla Chiesa, proprio in seno al Popolo di Dio. E questo è il primo punto
che io vorrei sottolineare. Anche per noi chiedere la grazia di morire a casa. Morire a casa, nella
Chiesa. E questa è una grazia! Questo non si compra! E’ un regalo di Dio e dobbiamo chiederlo:
‘Signore, fammi il regalo di morire a casa, nella Chiesa!’. Peccatori sì, tutti, tutti lo siamo! Ma
traditori no! Corrotti no! Sempre dentro! E la Chiesa è tanto madre che ci vuole anche così, tante
volte sporchi, ma la Chiesa ci pulisce: è madre!”.
E solo così saremo ogni giorno in cammino, assieme a tutta l'umanità verso il banchetto di nozze.
“Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio
pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”.
Fanno gli schizzinosi, sanno che ci saranno anche altri. Quando ci si dimentica delle proprie origini
e delle condizioni in cui si viveva, si cambia anche modo di pensare e di guardare gli altri.
Si direbbe che è l'atteggiamento dei “poveri arricchiti”. Non si vive più nell'atteggiamento di
2
gratitudine verso colui che ti ha salvato e la sua parola non è più “lampada per i miei passi e luce
sul mio cammino” (Sal 118, 105), ma un insieme di frasi stereotipate che non hanno relazione con
la realtà della vita, della propria vita.
Ma il Signore vuole scuoterli, perché il suo amore per loro non è venuto meno, vuole che gioiscano
della sua gioia nel suo regno, al banchetto nuziale. Sono essi che devono accogliere gli altri, quelli
che sono come essi erano una volta.
“Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi
presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero”.
Forse noi non arriveremmo a questo atto materiale di uccidere, ma dobbiamo metterlo in conto nella
nostra vita se accettiamo di essere i servi inviati a indicare la strada del banchetto.
“Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti per le
strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si
riempì di commensali”.
Ecco, il Signore ci da l'indirizzo degli invitatai. I discepoli, che vivono ogni giorno con il maestro,
vedono a chi si rivolge più spesso e la reazione degli altri, pure loro invitati, ma schizzinosi e
scandalizzati: “Mangia con i peccatori, accoglie le prostitute, guarisce i pagani …“.
Nonostante ciò questi stessi discepoli un giorno faranno un po' fatica a ricordare gli indirizzi (Pietro
e il centurione, i rimproveri degli Ebrei convertiti a Pietro), ma a poco a poco si lasciano convertire
dallo Spirito. Anche essi sono in cammino di conversione.
Noi siamo i servi mandati a chiamare gli invitati. A chiamarli, non a invitarli. Presentarci a nome del
re e trattandosi di invitati del re, con tutto il rispetto dovuto agli invitati del re:
“Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, - e il figlio dell'uomo perché te ne curi? - Eppure l'hai
fatto poco meno degli angeli, - di gloria e di onore lo hai coronato” (salmo 8, 5-6).
Dobbiamo portare nella mente e nel cuore questa immagine di ogni uomo e di ogni donna della
terra, a cui siamo mandati a portare l'invito al banchetto di nozze.
Servi del re sono coloro che hanno accolto l'invito di seguirlo da vicino e vivono in casa sua e
prevengono i suoi desideri, perché lo conoscono bene. Si tratta quindi di conoscere bene questo re.
Non lo si può conoscere per sentito dire, ma giorno per giorno a contatto con lui e nutrendosi alla
sua Mensa, si conosce meglio il suo pensiero, le sue preferenze.
E' l'atteggiamento giusto che dobbiamo avere per essere veri discepoli e che ci porta a modificare
molte delle nostre convinzioni personali e troppo umane.
In nessun caso noi possiamo decidere chi è invitato e chi no. Anche qui dobbiamo riflettere molto
per rompere quella dicotomia nella nostra vita di cristiani di cui ho detto prima.
Nel re c'è tutto il rispetto per l'altro, non obliga, ma semplicemente invita. I servi non dicono agli
invitati come devono presentarsi, come vestirsi, gli inchini che devono fare. I servi devono solo
invitare e parlare del banchetto e del re, se hanno imparato a conoscerlo, altrimenti non sarebbero
proprio adatti.
Gli apostoli lo conoscono giorno per giorno, e parlano di lui a tutti, perché tutti aspirano alla vita e
hanno sete di gioia.
Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle
nozze si riempì di commensali.
Ed è festa!
3