la fine del medioevo fra crisi economica e rinnovamento politico

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la fine del medioevo fra crisi economica e rinnovamento politico
Materiali per l’Esame di Stato • III anno
DocumenTo 3
Nulla è più pesante o più tenace dell’oro
Così, grato a Dio e agli uomini, pago di vivande comuni e non comprate, non soltanto […] uguaglia nell’animo
le ricchezze dei re, ma le supera. [...] Abbandoniamo la città ai mercanti, agli avvocati, ai sensali, agli usurai, agli
appaltatori, ai notai, ai medici [...]: lasciamoli stare: non sono della nostra razza. Lascia che i ricchi contino i loro
denari, servendosi per questo dell’aiuto dell’aritmetica: noi conteremo le nostre ricchezze senza bisogno di studio
e di scienza. [...] Nulla è più pesante o più tenace dell’oro: non bisogna né desiderarlo né amarlo: quando infatti
si indulge alla cupidigia, non c’è nulla che più dell’oro faccia e incurvare chi lo porta, e lo abbatta, e lo costringa a
terra, né c’è da meravigliarsi se l’oro nato dalla terra, alla terra è di nuovo trascinato dal suo peso.
(F. Petrarca, De vita solitaria)
Sezione 2
la fine del medioevo fra crisi economica
e rinnovamento politico
Tema sTorico Tema storico L’idea di un Impero universale, erede dell’Impero romano e di quello carolingio, caratte-rizza
tutto il Medioevo ma anche, nonostante la crisi di questa concezione, l’inizio dell’età moderna. Questa idea entra progressivamente
in crisi con l’affermarsi delle monarchie europee, che hanno, invece, un carattere prettamente nazionale. Analizza le differenze tra
le due concezioni, evidenziando anche gli eventi fondamentali che hanno portato a questa trasformazione.
saggio breve - ambito storico-politico
Argomento: “LiberAci dALLA fAme, dALLA guerrA e dALLA peste: i drAmmi di un’epocA di trAnsizione”
Sviluppa il tema sotto forma di saggio breve, interpretando e confrontando i documenti proposti. Costrui-sci il percorso argomentativo del testo facendo riferimento anche alle tue conoscenze, individua un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizza una
destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolasti-co di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale
ecc.). Se lo ritieni opportuno, infine, sud-dividi il saggio in paragrafi, cui potrai dare eventualmente un titolo specifico.
DocumenTo 1
La peste a Firenze
Negli anni del Signore MCCCXLVIII fu nella città di Firenze e nel contado grandissima pistilenzia, e fu di tale furore
e di tanta tempesta, che nella casa dove s’appigliava chiunque servìa niuno malato, tutti quelli che lo serviano,
moriano di quel medesimo male, e quasi niuno passava lo quarto giorno, e non valeva né medico, né medicina,
o che non fossero ancora conosciute quelle malattie, o che li medici non avessero sopra quelle mai studiato, non
parea che rimedio vi fosse. Fu di tanta paura che niuno non sapea che si fare; quando s’appigliava in alcuna casa,
spesso avvenia che non vi rimanea persona che non morisse. E non bastava solo gli uomini e le femmine, ma ancora
gli animali sensitivi, cani e gatte, polli, buoi, asini e pecore moriano di quella malattia e con quel segno, e quasi
niuno, a cui venìa lo segno, o pochi, veniano a guarigione. Lo segno era questo, che, o tra la coscia e ’l corpo al
modo (nodo?) d’anguinaia, o sotto lo ditello apparia un grossetto, e la febbre a un tratto, e quando sputava, sputava
sangue mescolato colla saliva, e quegli che sputava sangue niuno ne campava.
(Marchionne di Coppo Stefani (1336-1385), Cronaca fiorentina)
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Sezione 2 - Verifca
Volume 1
DocumenTo 2
Cento anni di peste
Ai primi di ottobre del 1347 le navi genovesi sbarcarono a Messina il loro carico e i loro malati. Nelle settimane
seguenti il contagio fu fulmineo, e investì tutta l’Italia; in dicembre un’altra nave portò il morbo a Marsiglia. Da
allora ne possiamo seguire la marcia implacabile, favorita dalla stagione calda: nel giugno del 1348 la peste è a
Parigi, in dicembre raggiunge la Manica e i Paesi Bassi; nel 1349 devasta la Gran Bretagna e passa in Germania e in
Austria; nel dicembre dello stesso anno è in Scozia e in Scandinavia, e invade anche l’Europa atlantica, i Pirenei e
la Spagna. Dopo un così duro colpo, ritorna nel 1360 per falciare i più giovani, forse aggravata da febbri, infierisce
per due anni, quindi scompare per riapparire brutalmente nel 1368, nel 1369, nel 1370, e ancora dal 1375 al 1378,
dal 1380 al 1383 e dal 1399 al 1400; nel 1418 un suo nuovo assalto risulta tanto più nefasto in quanto si era un po’
persa l’abitudine alla sua presenza, peraltro rimpiazzata dal tifo e dalla dilagante pertosse del 1408, che, impedendo
di sentire i sermoni, infastidisce tanto il «Borghese di Parigi»; 1420, 1421, 1433, 1438-41: la penosa litania copre
ormai quasi cento anni.
Cento anni di peste! E di che peste! La peste bubbonica con complicazioni polmonari, per la quale il malato, come
riferiscono tutti i cronisti dell’epoca, si copre di pustole, ha le membra annerite, il corpo agitato da convulsioni,
vomita sangue e muore, senza rimedio, in «tre giorni esatti». Chi supera tale limite guarisce; ma il contagio è inarrestabile: a propagare il flagello è sufficiente il respiro, alla distanza di pochi metri, e a maggior ragione il contatto
e le vesti; il cadavere annerito che giace lungo la strada, poi, rimane pericoloso per almeno quarantotto ore. Le
misure profilattiche, anche quando ormai si è acquisita una certa esperienza, sono risibili; maschere per i medici,
gli infermieri e i becchini; fuoco per gli abiti dei defunti e calce sui cadaveri; un po’ di ebrei massacrati, peraltro
senza effetto. […] Le ragioni di un simile «successo» del morbo nero costituiscono ancora oggi un problema. Ho
fatto cenno a condizioni climatiche forse favorevoli; ho rilevato che lo stato sanitario delle popolazioni era in
declino da vent’anni […]. L’impressione che si ricava è che il fenomeno si potrà spiegare più attraverso le battute
d’arresto della peste che non attraverso i suoi progressi: l’affollamento, soprattutto urbano, è manifestamente
la causa dell’entità numerica della catastrofe[...] Il morbo, d’altra parte, è selettivo: gli adulti sono colpiti per
primi, ma toccherà poi, e in maggior misura, ai bambini, probabilmente più fragili dei loro predecessori del 1348
o del 1350. I poveri, meno nutriti e più ammassati, sono le vittime più frequenti; ma soccombono anche, oltre
a personaggi di alto rango come un duca di Borgogna, molti borghesi facoltosi, quali notai e scabini, inchiodati
in città dalle loro funzioni, per non parlare, naturalmente, dei medici. […] Naturalmente lo storico, impavido,
osserva che si alleggerisce così un peso demografico divenuto insostenibile. Non meno evidenti sono però gli
effetti disgreganti: innanzitutto, come sempre accade quando si verificano alterazioni nella popolazione, le conseguenze sulla manodopera o sulla nuzialità si fanno sentire soltanto sulle generazioni successive; è il fenomeno
delle «classi vuote», che le due ultime guerre mondiali hanno reso familiare agli storici: anche se la pandemia
arretra, la «ricostruzione» manca di braccia e ben presto viene a mancarle il respiro, riaprendo la strada a un
nuovo assalto del morbo. […] Il numero dei non coniugati è elevato; inoltre, il «modello familiare», del quale
ho già segnalato la flessione, accelera la propria decadenza; ci si sposa più tardi: nella Champagne meridionale
l’età media delle spose passa dai diciotto ai ventidue anni, e quindi, verso il 1430, ai ventiquattro; prostituzione
e relazioni prematrimoniali si radicano saldamente nei costumi; e i bastardi si moltiplicano al punto che il diritto, rinunciando ad escluderli dalla società, li ammette all’eredità e alle carriere: quanti tra loro, figli naturali
di principi, avranno d’ora in poi un ruolo politico o militare di primo piano! Per quanto concerne il numero di
figli per ciascun nucleo familiare, si registra un vero e proprio crollo: ancora nella Champagne, il 48 per cento
delle coppie contadine non ne ha, o non ne ha di viventi quando passa l’addetto al censimento; a peggiorare
le cose, la rarefazione delle nutrici costringe le madri ad allattare personalmente, diradando di conseguenza le
nascite; esistono infine ragioni per sospettare, ad esempio in Italia e intorno a Parigi, una ripresa della pratica
dell’abbandono, in particolare per quanto concerne le bambine.
(R. Fossier, Storia del Medioevo, vol. III, Il tempo delle crisi. 1250-1520, Einaudi, Torino, 1987)
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Materiali per l’Esame di Stato • III anno
DocumenTo 3
Fame, peste e carestia
La carestia, che era cominciata lo scorso anno nel mese di maggio, durò fino alla festa della Natività della Beata
Maria di quest’anno [1316]. Caddero piogge autunnali così abbondanti che i frutti non riuscirono a maturare. A
fatica poterono essere raccolti quasi disfatti nel giorno della Natività di Santa Maria. I mugnai furono costretti a
mettere il grano a seccare prima di macinarlo, tanto era impregnato d’acqua [...]. E il pane disponibile non aveva
alcun valore nutritivo, né sostanza, perché i chicchi non avevano avuto alimento dal calore del sole estivo [...].
Alla fame che aveva invaso tutta la terra fece seguito la mortalità degli uomini, soprattutto dei poveri, tanto che a
stento i vivi potevano seppellire i morti. Ed ecco che la dissenteria, prodotta dal cattivo stato dei cibi, prese quasi
tutti [...]. Ma non solo gli uomini erano rovinati dai cibi cattivi; anche le pecore cadevano a causa dell’erba marcia;
così che tutti ebbero paura a mangiare carne. Non ci fu in quel tempo nemmeno un vecchio che ricordasse di avere
mai visto prima tanta fame, peste o carestia.
(Historia Anglicana, in Rerum Britannicarum Medii Aevii Scriptores)
DocumenTo 4
Lo spettro della morte infierisce sugli abitanti di una città
B. Bonfigli, Gonfalone di San Francesco al Prato, particolare, XV secolo, Perugia, San Francesco al Prato.
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