L`anteprima del Diario dell`anno della peste di
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L`anteprima del Diario dell`anno della peste di
Diario dell’anno della peste Fu intorno all’inizio di settembre del 1664 che, insieme ai miei vicini, appresi che la peste era tornata a flagellare l’Olanda; già nel 1663 essa aveva colpito con violenza il nostro paese, e particolarmente Amsterdam e Rotterdam, portata dall’Italia, secondo alcuni, arrivata dal Levante, secondo altri, fra le merci introdotte dalla flotta turca; altri ancora suggerivano che provenisse da Candia, o da Cipro. Non era davvero rilevante da dove arrivasse, ma nessuno poteva ignorare che fosse tornata in Olanda. All’epoca non c’erano giornali che diffondessero voci e notizie sugli avvenimenti, e che le ingigantissero con la fantasia degli uomini, come in seguito vidi fare. Simili avvenimenti venivano appresi dalle lettere dei mercanti e di tutti coloro che tenevano corrispondenza con l’estero, quindi si diffondevano passando di bocca in bocca; in questo modo le notizie non si propagavano nello stesso momento in tutta la nazione, come accade oggi. Pur tuttavia sembra che il governo fosse al corrente di quanto era nell’aria, e che vi furono diverse riunioni per discutere della necessità di impedire il ritorno dell’epidemia – si tentò però di mantenere il segreto. Fu così che la notizia gradualmente perse il suo carattere di urgenza, e la popolazione cominciò a disinteressarsene, come se non riguardasse nessuno di noi o potesse bastare la speranza che non fosse vera a neutralizzarla. Questo fino alla fine di novembre, o all’inizio del mese di dicembre del 1664, quando due uomini di nazionalità francese morirono di peste nei pressi di Long Acre, o meglio all’altezza di Drury Lane. La famiglia presso la quale alloggiavano tentò di tenere nascosto il fatto, ma dal momento che la notizia animava i discorsi del vicinato, i segretari di Stato vennero allertati; poiché spettava a loro condurre un’inchiesta al riguardo, al fine di appurare la verità, due medici e un chirurgo ebbero l’in- 13 carico di recarsi all’alloggio per un’ispezione. E così fecero, trovando su entrambi i cadaveri i chiari segni della malattia ed esprimendo ufficialmente la loro diagnosi: peste. La dichiarazione venne comunicata all’ufficiale della parrocchia, che a sua volta fece rapporto al municipio. Sul bollettino settimanale delle mortalità, quindi, venne stampato secondo l’uso: Peste, 2. Parrocchie infette, 1. La popolazione manifestò grande timore in merito, e un senso di allarme si diffuse rapidamente in tutta la città, tanto più che nell’ultima settimana del dicembre 1664 morì un altro uomo nella stessa casa, e sempre di peste. Quindi per circa sei settimane potemmo stare tranquilli, dal momento che, non essendo morto nessuno con i segni dell’infezione, l’epidemia fu dichiarata passata. Ma poco dopo, se non erro intorno al 12 febbraio, morì un altro uomo in un’altra casa, ma nella stessa parrocchia e nella medesima maniera. Tale coincidenza convogliò l’attenzione della gente soprattutto sulla periferia della città, e poiché i bollettini settimanali mostravano un aumento di decessi inusuale nella parrocchia di St Giles, si iniziò a credere che la peste si annidasse tra gli abitanti di quella zona, e che molti fossero già morti senza che la notizia venisse diffusa da vicini e parenti. Era questo un sospetto che turbava gravemente la popolazione, ed erano oramai in pochi a passare per Drury Lane o per le altre vie incriminate, e solo per affari di fondamentale importanza. L’incremento della mortalità si presentava così: il numero consueto di sepolture settimanali, nelle parrocchie di St Giles-in-the Fields e di St Andrew, a Holborn, era compreso pressappoco tra i dodici e i diciassette o diciannove per ciascuna parrocchia; ma da quando aveva avuto inizio l’epidemia nella parrocchia di St Giles, il numero di sepolture aumentò in maniera rilevante. Per esempio: dal 27 dicembre al 3 gennaio dal 3 gennaio al 10 gennaio { { 14 St Giles St Andrew 16 17 St Giles St Andrew 12 25 dal 10 gennaio al 17 gennaio dal 17 gennaio al 24 gennaio dal 24 gennaio al 31 gennaio dal 31 gennaio al 7 febbraio { { { { dal 7 febbraio al 14 febbraio St Giles St Andrew 18 18 St Giles St Andrew 23 16 St Giles St Andrew 24 15 St Giles St Andrew 21 23 St Giles 24 di cui uno di peste. Un simile incremento della mortalità fu riscontrato anche nella parrocchia di St Bride, confinante da un lato con la parrocchia di Holborn, e nella parrocchia di St James a Clarkenwell, confinante con quella di Holborn dall’altro lato. Generalmente in entrambe le parrocchie il numero di decessi per settimana oscillava tra i quattro e i sei o otto, ma in quelle settimane era aumentato come segue: dal 20 dicembre al 27 dicembre dal 27 dicembre al 3 gennaio dal 3 gennaio al 10 gennaio dal 10 gennaio al 17 gennaio dal 17 gennaio al 24 gennaio dal 24 gennaio al 31 gennaio dal 31 gennaio al 7 febbraio dal 7 febbraio al 14 febbraio { { { { { { { { 15 St Bride St James 0 8 St Bride St James 6 9 St Bride St James 11 7 St Bride St James 12 9 St Bride St James 9 15 St Bride St James 8 12 St Bride St James 13 5 St Bride St James 12 6 Inoltre, destava preoccupazione il fatto che le cifre dei bollettini settimanali avevano subito un forte incremento in un periodo dell’anno in cui generalmente il dato sulla mortalità era alquanto trascurabile. Generalmente, nei bollettini della mortalità il numero abituale di decessi era settimanalmente tra i 240 e i 300. L’ultimo fu considerato un bollettino con una cifra abbastanza elevata; ma dopo di questo ci avvedemmo che i bollettini aumentavano successivamente come segue: Morti Incremento dal 20 dicembre al 27 dicembre 291 … dal 27 dicembre al 3 gennaio 349 58 dal 3 gennaio al 10 gennaio 394 45 dal 10 gennaio al 17 gennaio 415 21 dal 17 gennaio al 24 gennaio 474 59 Quest’ultimo dato era davvero allarmante, poiché presentava un numero di decessi registrati in una settimana tanto alto da non verificarsi dai tempi della precedente epidemia del 1656. A ogni modo, presto l’allarme rientrò nuovamente, e con il freddo dell’inverno, e il gelo che iniziò a dicembre e durò fino al termine di febbraio, accompagnato da venti moderati ma pungenti, la mortalità tornò a livelli moderati, la città si rimise in salute e la popolazione considerò il pericolo scongiurato. Eppure a St Giles le sepolture continuarono a essere numerose, e in particolare dall’inizio di aprile le morti si mantennero a un livello stabile di venticinque a settimana, fino all’intervallo tra il 18 e il 25, in cui nella parrocchia di St Giles si registrò il decesso di trenta persone, con due casi di peste e otto di tifo epidemico, che era considerato più o meno la stessa cosa. Aumentò intanto anche il numero totale dei morti di tifo epidemico, e cioè si andò da otto a dodici nell’arco di una settimana. Questo ci allarmò nuovamente, e la popolazione era ancora più preoccupata perché ora le condizioni meteorologiche sarebbero cambiate, con il ritorno del caldo e l’estate imminente; tuttavia la settimana seguente potemmo ancora ben sperare, perché la mortalità fu bassa, il numero dei decessi totali fu di 388, di cui nessuno di peste e solo quattro di tifo epidemico. 16 Ma la settimana successiva il morbo ricomparve e si diffuse in altre tre parrocchie, ovvero a St Andrew a Holborn, a St Clement Danes e a St Mary Woolchurch, ovvero a Bearbinder Lane, vicino a Stocks-Market, all’interno delle mura della City, dove la morte di un uomo gettò la popolazione nel panico; in tutto ci furono nove morti di peste e sei di tifo epidemico. Un’inchiesta rivelò che questo francese morto a Bearbinder Lane, che precedentemente viveva a Long Acre, vicino alle case infette, si era trasferito altrove per timore del contagio, ignorando di essere già stato colpito dal morbo. Tutto questo accadeva all’inizio di maggio, ma la stagione era temperata, variabile e abbastanza fresca, e la popolazione poteva ancora nutrire qualche speranza. Era rassicurante il fatto che la City fosse in salute, e che la totalità delle novantasette parrocchie avesse seppellito solo cinquantaquattro persone. Iniziammo a sperare che la peste, essendosi diffusa principalmente tra gli abitanti della periferia della città, non si sarebbe estesa ulteriormente; ancora positivo fu il dato della settimana successiva, che andava dal 9 al 16 maggio: solo tre decessi, di cui nessuno nella City, o nelle Liberties, mentre nella parrocchia di St Andrew si registrò la morte di appena quindici persone, che è una cifra molto esigua; anche se nella parrocchia di St Giles si contarono trentadue morti, il fatto che uno solo di essi manifestasse i segni della peste restituì una buona dose di tranquillità alla popolazione. Il bollettino delle morti offriva cifre molto basse, perché la settimana precedente esso raggiungeva il numero di 347, mentre la settimana cui ci stiamo ora riferendo non superava quello di 343. Seguitammo a sperare per alcuni giorni, ma ben pochi, perché la gente non poteva più essere tenuta all’oscuro della verità; furono effettuate delle ispezioni nelle case e si scoprì che in realtà la peste si era diffusa ovunque, e che ogni giorno mieteva un gran numero di vittime. Ecco quindi fallire ogni tentativo di sminuire il pericolo della cosa, o di tacerla; anzi, fu ben presto evidente che il contagio si era esteso a dispetto di ogni speranza, che nella parrocchia di St Giles aveva colpito numerose strade e che intere famiglie erano costrette a letto dal morbo. Persino il bollettino della settimana successiva iniziò a mostrare evidenti i segni della malattia; furono registrati, è vero, solamente quattordici decessi per peste, ma si trattava di mistificazione e tacita connivenza, poiché nella parrocchia di St Giles seppellirono 17 un totale di quaranta morti, perlopiù colpiti dalla peste, anche se dichiarati vittime di altre malattie; e sebbene l’incremento del numero di decessi fosse di soli trentadue casi e l’intero bollettino ne registrasse solo 385, c’erano tuttavia quattordici morti di tifo epidemico, e altrettanti di peste; e senza dubbio quella settimana erano morte cinquanta persone di peste. Il bollettino seguente riguardava il periodo tra il 23 e il 30 maggio, quando si registrarono diciassette morti di peste; ma i funerali a St Giles raggiunsero la quota di cinquantatré, un numero spaventoso.Ufficialmente solo nove di queste persone furono dichiarate colpite dall’epidemia, ma un esame più rigoroso effettuato dai giudici di pace in seguito alla richiesta del sindaco attestò che altre venti persone erano morte di peste ma erano state denunciate come affette da tifo epidemico o da altre malattie, e che numerosi altri decessi erano stati tenuti nascosti. Ma tutto questo è ancora nulla rispetto a quel che seguì; perché era arrivato il caldo, e a partire dalla prima settimana di giugno il contagio si propagò in modo terrificante. I bollettini registrarono un incremento notevole, con le voci “tifo epidemico”, “febbre” e “infezione ai denti” sempre più ampie; si tendeva infatti a coprire la malattia il più possibile, per impedire che si venisse esclusi dai rapporti sociali e che le autorità chiudessero le abitazioni infette, cosa che, se ancora non veniva messa in pratica, era fortemente minacciata. La seconda settimana di giugno, la parrocchia di St Giles, su cui gravava ancora quasi tutto il peso del contagio, seppellì centoventi abitanti; di questi, solo sessantotto vennero registrati dai bollettini come appestati, ma le vittime dovevano essere state almeno cento, stando al numero abituale di funerali in quella parrocchia, fornito precedentemente. Fino alla settimana in questione la City era rimasta esclusa dal contagio, non essendo morto nessuno di peste in tutte le novantasette parrocchie, salvo il francese a cui si è accennato prima. Tuttavia a questo punto si registrarono quattro decessi all’interno della City, uno in Wood Street, uno in Fenchurch Street e due in Crooked Lane: la zona di Southwark restò completamente immune, non essendo morto nessuno su quella sponda del Tamigi. Io vivevo fuori da Aldgate, a circa metà strada fra Aldgate Church e Whitechapel Bars, sulla sinistra o sul lato nord della strada. Dal 18 momento che l’infezione non aveva raggiunto quella parte della City, le giornate nel nostro quartiere continuavano a trascorrere alla maniera di sempre. Dall’altra parte della città, invece, gli abitanti vivevano nel terrore, e i più ricchi, specialmente i nobili e i gentiluomini, si trasferivano dalla zona occidentale della City fuori città, con al seguito tutta la famiglia e la servitù. Tale fenomeno si poteva osservare particolarmente a Whitechapel, vale a dire nella grande strada dove abitavo, con continue sfilate di carri e carrozze con merci, donne, servitori, bambini ecc. Comparivano diligenze con a bordo gente del più alto lignaggio, e cavalieri al seguito, e tutti che se ne scappavano il più velocemente possibile; quindi seguivano vetture vuote, carri e cavalli di riserva con servitori che erano di ritorno o venivano spediti dalle campagne a prendere altra gente ancora; e ancora un gran numero di uomini a cavallo, alcuni da soli, altri accompagnati da domestici e, generalmente, tutti carichi di bagagli e ben equipaggiati per viaggiare, come si poteva dedurre dal loro aspetto. Era uno spettacolo tremendo e malinconico, e poiché non si poteva fare a meno di guardarlo dal mattino alla sera, non essendoci in verità nient’altro da vedere, mi riempiva la testa di pensieri molto seri sulla sventura che stava per abbattersi sulla nostra città e sulla sciagurata situazione che avrebbe afflitto coloro che avrebbero continuato ad abitarla. Per alcune settimane la quantità di gente in partenza fu tale che non si arrivava alla porta del sindaco senza incontrare grandi difficoltà: vi era infatti una gran ressa per ottenere passaporti e certificati di buona salute per andare all’estero, poiché essi erano necessari per attraversare le città lungo la strada maestra o per alloggiare in qualsiasi locanda. Poiché fino a quel momento non si era verificato nessun caso di infezione all’interno della City, il sindaco dava certificati di buona salute a tutti coloro che abitavano nelle novantasette parrocchie, e, per un po’ di tempo, anche agli abitanti del quartiere detto Liberties. Questa furia di partenze, come dicevo, continuò per alcune settimane, ovvero per i mesi di maggio e giugno, tanto più che correva voce di un imminente ordine, da parte del Governo, di collocare cancelli e barriere sulle strade per impedire alla gente di partire, e che le città che si trovavano sulla strada maestra presto non avrebbero più consentito il passaggio alle persone provenienti da Lon- 19 dra per impedire che diffondessero il morbo lungo la via. Queste voci non avevano alcun fondamento, soprattutto all’inizio. Fu allora che anche io iniziai a pensare seriamente a me stesso e al mio futuro: dovevo decidere se rimanere a Londra o chiudere la casa e scappare come facevano molti dei miei vicini. Mi sono dilungato su quest’argomento perché so che potrebbe tornare utile a coloro che verranno dopo di me, se dovessero trovarsi nella condizione di prendere una decisione in un simile frangente; spero quindi che questa mia relazione giunga a costoro come un suggerimento in base al quale agire, piuttosto che come il resoconto di quel che feci, visto e considerato che potrebbero non avere alcun interesse a conoscere il mio destino. Mi trovavo a dover scegliere tra due alternative: una era quella di continuare a gestire i miei affari e i miei notevoli commerci, nei quali avevo investito tutto il mio denaro; l’altra era di salvaguardare la mia salute e la mia vita durante una sciagura così spaventosa come quella che vedevo abbattersi sulla City e che, probabilmente al pari degli altri miei concittadini, ingigantivo per via della paura. La prima considerazione era di fondamentale importanza per me; facevo il sellaio, e poiché lavoravo soprattutto fuori dalla bottega e non con una clientela casuale, ma con i mercanti che commerciavano con le colonie inglesi in America, la maggior parte dei miei guadagni si trovava al momento nelle mani di costoro. Ero scapolo, è vero, ma avevo tutta una famiglia di servitori per la mia attività, avevo casa, negozio e magazzini pieni di merci… Insomma, in breve, abbandonando tutte queste cose come bisogna fare in un caso del genere (ovvero senza un sorvegliante o una persona fidata che se ne prenda cura) avrei corso il rischio di perdere non soltanto la mia attività, ma anche i miei beni e, in verità, tutto quello che avevo costruito nella mia vita. A Londra, in quel periodo, viveva un mio fratello più grande, tornato di recente dal Portogallo; quando ci consultammo riguardo al futuro, la sua risposta fu, in poche parole, la stessa che venne data in un’altra situazione completamente diversa, e cioè: “Signore, salva te stesso”. Insomma, mi suggeriva di rifugiarmi in campagna, com’egli stesso aveva deciso di fare con la sua famiglia, e aggiunse una battuta che aveva udito all’estero: che il miglior antidoto contro la peste era fuggire il più lontano possibile. Quanto 20 all’obiezione che avrei perduto la mia attività lavorativa e i miei beni, o crediti, mi mise a tacere affermando la stessa cosa che io avevo sostenuto come argomento a favore della mia permanenza, ovvero che rimettevo a Dio la mia incolumità e salute; “non sarebbe più ragionevole rimettere alla volontà di Dio gli affari e la tua attività” mi disse “invece di rimanere in un momento di così grave pericolo rimettendo a Lui la tua salute?”. Non potevo ribattere che non sapevo dove andare, dato che avevo molti amici e parenti nel Northamptonshire, da cui era venuta originariamente la nostra famiglia, e in particolare avevamo una sorella che viveva da sola nel Lincolnshire e sarebbe stata ben felice di accogliermi e offrirmi un alloggio. Mio fratello, che aveva già mandato la moglie e due bambini nel Bedfordshire e aveva deciso di seguirli, mi suggeriva vivamente di partire, e mi aveva anche convinto, ma a quel punto non riuscii a trovare una cavalcatura; se è vero che non tutta la popolazione aveva abbandonato Londra, lo stesso non si poteva dire dei cavalli, e per diverse settimane in tutta la città fu praticamente impossibile comprarne uno o solo affittarlo. A quel punto decisi di viaggiare a piedi con un solo domestico, fermandomi a dormire non nelle locande, ma in una tenda militare che avremmo portato con noi, oppure riposando nei campi, essendo la stagione molto calda e non dovendo preoccuparci di raffreddori o mali simili. Furono molti quelli che si organizzarono in questo modo, soprattutto coloro che avevano combattuto durante la guerra di pochi anni prima; e devo necessariamente aggiungere che, se tutti avessero viaggiato a questo modo, la peste non avrebbe raggiunto tante città di campagna e abitazioni, con gravi conseguenze per un gran numero di persone. Ma il servitore che avevo scelto come compagno di viaggio mi diede allora una delusione: temendo la diffusione dell’epidemia, e non sapendo quando sarei partito, si organizzò in altro modo piantandomi in asso, e così un’altra volta dovetti rimandare la mia partenza; e in una maniera o nell’altra scoprivo che la decisione di abbandonare la città era sempre ostacolata da un incidente, tanto da renderla vana o da farla rimandare ancora; e questa storia dei contrattempi voluti dalla Provvidenza introduce una storia che altrimenti si potrebbe considerare una divagazione non necessaria… Tale storia potrebbe tornare utile anche perché illustra quello 21 che secondo me è il miglior metodo da adottare in simili circostanze per chiunque, specie se si è persone che hanno piena coscienza dei propri doveri e vorrebbero essere consigliate su come adempierli: sarebbe bene tenere lo sguardo sulle occasioni provvidenziali che via via ci si presentano, e valutarle nel loro insieme, nei rapporti che hanno l’una con l’altra e nel modo in cui tutte si pongono innanzi al problema nel suo complesso. E infatti esse si possono senza dubbio considerare suggerimenti del cielo riguardo alle scelte da prendere: andarsene, intendo dire, o rimanere a casa propria nel pieno di un’epidemia contagiosa. Un giorno, mentre riflettevo su questi temi, pensai con grande emozione che, così come nulla può succederci senza l’ordine o il permesso del Signore, i contrattempi che stavo incontrando sulla mia strada dovevano avere in sé un significato soprannaturale, e che dovevo assolutamente capire se non si trattasse di un avvertimento del cielo affinché non partissi. Dunque subito pensai che, se davvero Dio voleva che rimanessi, allora avrebbe potuto a tutti gli effetti proteggermi da ogni pericolo o dal rischio della morte, e che se avessi cercato di mettermi in salvo fuggendo da casa e ignorando questi avvertimenti, che reputavo divini, sarei fuggito da Dio – e la Sua giustizia a quel punto avrebbe potuto sorprendermi ovunque e in qualsiasi momento. Tali pensieri mi portarono a cambiare i progetti per l’immediato futuro, e quando mi ritrovai a discutere con mio fratello, gli dissi che avevo intenzione di rimanere e di accettare il mio destino laddove Dio mi aveva indicato, e che questo mi pareva il modo migliore di fare il mio dovere, secondo quanto ho detto in precedenza. Nonostante anche mio fratello fosse religioso, rise di cuore di quelli che a me erano sembrati chiari segnali del cielo, e mi raccontò molte storie di uomini ingenui (così li chiamò) che avevano agito alla mia maniera. Disse che, se fossi stato in qualche modo reso incapace di partire a causa di malesseri o infermità, allora avrei sicuramente dovuto arrendermi al destino come a una espressa volontà divina; non potendo muovermi, avrei cioè dovuto sottomettermi al cenno di Colui il quale, essendo il mio Creatore, aveva un incontestabile diritto di sovranità nel disporre della mia persona; in quel caso non sarebbe stato difficile determinare quale fosse il volere della Provvidenza, ma era assolutamente ridicolo che io mi 22 considerassi avvertito dal cielo e non lasciassi la città solo perché non riuscivo a noleggiare un cavallo o perché il mio servitore, che avrebbe dovuto accompagnarmi in viaggio, era invece scappato. Poiché continuavo ad avere gambe, braccia, salute e altri servitori, e senza grandi difficoltà avrei potuto affrontare uno o due giorni di cammino, e poiché inoltre possedevo un certificato che attestava la mia buona salute, di certo lungo la strada sarei riuscito a trovare un cavallo da noleggiare o una carrozza di posta, a mio piacimento. Seguitò quindi a parlarmi delle pericolose conseguenze che comportava la leggerezza dei turchi e dei maomettani in Asia e in altri paesi in cui era stato (mio fratello, che faceva il mercante, era tornato dall’estero solo pochi anni prima, come ho già detto, e per ultimo era stato a Lisbona), i quali, basandosi sulle idee da loro professate circa la predestinazione e il fatto che il destino di ciascuno sia predeterminato e irrevocabilmente deciso in anticipo, frequentavano luoghi infetti e si intrattenevano con persone malate senza alcun timore: ed ecco infatti che morivano in gran numero, dieci o quindicimila ogni settimana, mentre i mercanti europei o cristiani, che prestavano attenzione alla malattia e cercavano di starne alla larga, di solito evitavano il contagio. Sulla base di queste argomentazioni, mio fratello riuscì per l’ennesima volta a farmi cambiare parere e a prendere in considerazione l’idea di partire, iniziando da subito i preparativi. In effetti l’infezione intorno a me aumentava – i bollettini parlavano ormai di quasi settecento morti a settimana –, e mio fratello mi diceva che non si sarebbe arrischiato a restare più a lungo. Gli chiesi di lasciarmi un altro giorno per riflettere, e avrei preso la mia decisione; e poiché avevo già pensato a come sistemare i miei affari e a chi affidare le mie cose, tutto quello che mi restava da fare era decidermi. Quella sera tornai a casa afflitto e indeciso; avrei passato la serata a riflettere sulla decisione da prendere, ed ero praticamente solo per la via, poiché la gente non usciva più di casa dopo il tramonto – e avrò presto modo di spiegarne diffusamente il perché. Quando iniziai a riflettere, mi sforzai di stabilire innanzitutto che cosa dovessi fare e passai in rassegna gli argomenti con cui mio fratello mi aveva convinto ad andare in campagna e le forti motivazioni che mi spingevano a rimanere in città: le esigenze legate ai miei affari e la giusta preoccupazione di salvaguardare i miei beni, 23 oltre agli avvertimenti che credevo di aver ricevuto dal cielo; pensavo, infatti, che se avevo ricevuto quello che mi sembrava un ammonimento a rimanere, avrei dovuto supporre che esso portava con sé anche la promessa di sopravvivere se lo avessi seguito. Questo pensiero mi confortava, e mi sentivo più che mai incline a rimanere, convinto dalla segreta certezza che sarei stato risparmiato. Oltretutto, mentre sfogliavo la Bibbia immerso in questi cupi pensieri, esclamai «Cosa devo fare, Signore? Aiutami» e cose simili; e proprio in quel momento cruciale mi capitò di fermarmi al salmo 91 e di leggere dal secondo versetto al settimo, e dopo fino al decimo, come segue: “Di’ al Signore: ‘Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido’. Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge. Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio. La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza; non temerai i terrori della notte né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno. Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra; ma nulla ti potrà colpire. Solo che tu guardi, con i tuoi occhi vedrai il castigo degli empi. Poiché tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell’Altissimo la tua dimora, non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda”. Non servirà certo che io dica al lettore che fu in quel momento che decisi di rimanere in città, e che, affidandomi interamente alla bontà e alla protezione dell’Onnipotente, non avrei cercato nessun altro rifugio; e dato che la mia vita era nelle sue mani, Egli poteva risparmiarmi durante un’epidemia tanto quanto in un tempo in cui regnava la salute; e se non riteneva opportuno salvarmi, ero comunque nelle sue mani, ed era giusto che facesse di me quello che riteneva opportuno. Con tale risoluzione me ne andai a dormire; e più tardi, il giorno seguente, trovai un’ulteriore conferma della mia scelta nel fatto che la donna alla quale avevo deciso di affidare la mia casa e tutti i miei affari si ammalò. Del resto anche io il giorno successivo non mi sentivo bene, e se pure avessi deciso di partire non avrei potuto. Rimasi malato tre o quattro giorni, e questo fatto determinò in tutto e per tutto la mia permanenza. Salutai mio fratello, che partì per Dorking, nel Surrey, intenzionato poi a spostarsi ancor più lontano nel Buckingamshire o nel Bedfordshire, in una località remota che aveva scelto per la propria famiglia. 24 Era davvero terribile ammalarsi in un simile momento, perché bastava lamentarsi un poco perché si venisse ritenuti degli appestati; e nonostante non avessi alcun sintomo di quel male, tuttavia, sentendo un gran dolore sia alla testa che al ventre, temetti io stesso di essere stato contagiato. Dopo tre giorni, tuttavia, migliorai. La terza notte riposai bene, sudai un po’ e recuperai buona parte delle mie forze. Più guarivo e più mi convincevo di essere stato risparmiato dalla peste, e ben presto tornai a occuparmi dei miei affari. Tutto questo allontanò definitivamente il mio progetto di rifugiarmi in campagna, e poiché mio fratello ormai era via, non ebbi più discussioni su questo argomento, né con lui né con me stesso. Eravamo ormai a metà luglio, e la peste che aveva colpito soprattutto l’altro lato della città, e, come ho già detto, le parrocchie di St Giles, St Andrew a Holborn e i dintorni di Westminster, cominciò ora a spostarsi in direzione est verso la zona dove abitavo io. In realtà non procedeva direttamente verso di noi, perché la City, ovvero la parte racchiusa dalle mura, ne era ancora quasi del tutto immune; né l’epidemia era penetrata in profondità a Southwark, sull’altro lato del Tamigi. Sebbene, infatti, quella settimana il numero dei morti di tutte le malattie fosse 1268, con approssimativamente oltre 900 decessi a causa della peste, in tutta la City, all’interno delle mura, essi ammontavano a 28 soltanto, e a soli 19 a Southwark, compresa la parrocchia di Lambeth, mentre solamente nelle parrocchie di St Giles e in quella di St Martin in the Fields ne erano morti 421. L’infezione permaneva soprattutto nelle parrocchie della periferia, dove, essendo la densità della popolazione più alta e la povertà più diffusa, la peste trovava più facilmente delle prede rispetto alla City, come noterò più avanti. La peste si stava però avvicinando alla nostra zona, avendo colpito le parrocchie di Clerkenwell, Cripplegate, Shoreditch e Bishopsgate; ed essendo queste ultime due adiacenti a quelle di Aldgate, Whitechapel e Stepney, il contagio finiva per manifestarsi con la massima intensità e virulenza in quelle zone, anche quando ormai si stava indebolendo nelle parrocchie occidentali dalle quali aveva preso l’avvio. È interessante notare che in questa particolare settimana che va dal 4 all’11 luglio, in cui, come ho osservato, morirono di peste quasi quattrocento individui nelle due sole parrocchie di St Martin e St Giles in the Fields, nella parrocchia di Aldgate non ne moriro- 25 no che quattro, in quella di Whitechapel tre e nella parrocchia di Stepney uno soltanto. Ugualmente, nella settimana successiva, dall’11 al 18 luglio, quando il bollettino settimanale salì alla cifra di 1761, su tutta la riva di Southwark, sul Tamigi, non morirono più di sedici persone. Tuttavia questo aspetto delle cose mutò in fretta, e l’epidemia cominciò a diffondersi soprattutto nella parrocchia di Cripplegate e a Clarkenwell. Nella seconda settimana di agosto solo nella parrocchia di Cripplegate si seppellirono 886 persone, e in quella di Clarkenwell 155 (di cui appestati, secondo il bollettino, 850 nella prima e 145 nella seconda). Nel mese di luglio, quando, come ho già detto, sembrava che la nostra parte della città venisse risparmiata rispetto alla zona ovest, io percorrevo le strade normalmente per i miei affari; e in particolare mi recavo nella City una volta al giorno, o ogni due giorni, all’abitazione di mio fratello, per controllare che tutto fosse in ordine. Entravo con la chiave e ispezionavo la maggior parte delle stanze per vedere se ogni cosa era al suo posto; nonostante infatti sia difficile credere che nel pieno di una simile sciagura qualcuno potesse essere così spietato da commettere rapine e furti, è pur vero che in città si commettevano crimini di ogni tipo, come anche bagordi di ogni sorta, e come sempre apertamente: non con altrettanta frequenza, certo, ma solo perché il numero della popolazione era calato. Anche la City iniziò ad accusare il colpo, ma la quantità della gente era di molto diminuita, dal momento che tantissimi suoi abitanti si erano trasferiti nelle campagne e altri continuarono a fuggire per tutto il mese di luglio, sebbene non allo stesso ritmo. Arrivati ad agosto, cominciavo a pensare che nella City sarebbero rimasti soltanto magistrati e servitori. Mentre la City si svuotava, devo notare che la Corte si trasferì per l’estate piuttosto presto, nel mese di giugno, recandosi a Oxford, dove piacque al cielo proteggerla. La peste, che io sappia, non li sfiorò neanche; eppure non ho mai visto palesare alla famiglia reale un qualsiasi segno di gratitudine né ho riscontrato una volontà di riforma, sebbene non volessero si dicesse che le loro dissolutezze potevano, senza che si peccasse contro la carità divina nell’affermarlo, aver avuto il loro peso – e grande – nell’attirare quel pauroso castigo di Dio sull’intera nazione. 26 La fisionomia di Londra – intendo dire l’intero blocco di edifici, City, Liberties, sobborghi, Westminster, Southwark e tutto l’insieme – appariva adesso stranamente alterato; perché la City non era ancora molto infetta, ma, nell’insieme, l’aspetto delle cose,era molto cambiato. Ogni volto rivelava tristezza e sofferenza, e sebbene alcuni quartieri non fossero ancora stati colpiti violentemente, tutti apparivano molto preoccupati; vedendo che la pestilenza progrediva visibilmente, ciascuno considerava se stesso e la propria famiglia in grave pericolo. Se fosse possibile descrivere con esattezza quei tempi a coloro che non li videro, e dare al lettore un’idea adeguata dell’orrore che era dovunque, egli rimarrebbe fortemente turbato e incredulo. Londra era in lacrime; gente in lutto per le vie non se ne vedeva, giacché nessuno indossava il nero, secondo il costume, per gli amici più cari; ma la voce del lutto si udiva distintamente per le vie: le urla delle donne e dei bambini alle finestre e alle porte delle case, dove i loro parenti più stretti probabilmente morivano, o erano appena morti, erano frequentissime mentre si percorrevano le strade, e avrebbero potuto commuovere anche l’uomo più impassibile del mondo. In quasi tutte le case si vedevano lacrime e si udivano lamenti, specie nella prima fase dell’epidemia, perché verso la fine i cuori umani si erano induriti, e la morte era sempre davanti agli occhi, al punto che non ci si affliggeva più per la perdita dei propri cari e ci si aspettava di morire noi stessi l’attimo seguente. Gli affari mi conducevano talvolta all’altro capo della città, anche quando l’epidemia era soprattutto da quelle parti; al pari degli altri non ero abituato a una simile disgrazia, ed era quanto mai sorprendente vedere quelle vie, che di solito erano affollate, deserte. C’erano così poche persone, che un forestiero, se avesse smarrito la strada, avrebbe potuto percorrere una via intera – e intendo una strada secondaria, da cima a fondo – senza incontrare nessuno, eccetto i guardiani delle abitazioni chiuse, di cui ora parlerò. Un giorno in cui mi ritrovai in quella parte della città per affari, fui spinto dalla curiosità a osservare le cose più attentamente del solito; e in effetti feci una lunga passeggiata. Andai su per Holborn, dove le strade erano piene di gente, ma tutti camminavano al centro della via, e non lungo un lato o l’altro, perché, immaginai, non volevano mescolarsi con nessuno che uscisse dalle case o venire 27 raggiunti da esalazioni o da odori che provenissero da abitazioni infette. Le Corti di giustizia erano tutte chiuse, e al Temple, o a Lincoln’s Inn, o a Grey’s Inn, non si vedevano molti avvocati. Nessuno litigava più, non c’era bisogno di intentare cause; inoltre, essendo quello un periodo di vacanza, se ne erano andati quasi tutti in campagna. In alcuni luoghi, intere file di case erano chiuse e abbandonate; rimanevano sì e no un guardiano o due. Quando parlo di file d’abitazioni chiuse, non intendo dire che erano state chiuse dalle autorità, ma che una grande quantità di gente aveva seguito la Corte, per esigenze di lavoro e altri obblighi; e poiché altri si erano allontanati perché realmente impauriti dall’epidemia, alcune di quelle strade erano proprio deserte; ma nella City vera e propria, sebbene gli abitanti fossero sconcertati, lo spavento non era ancora così grande, specialmente perché, come ho già detto, l’epidemia inizialmente aveva rallentato la sua diffusione; di conseguenza essi erano, per così dire, in allarme, e poi di nuovo in cessato allarme, e questo diverse volte, fino a quando non si abituarono a questo stato di cose. Persino quando il morbo si manifestò violentemente, vedendo che non si diffondeva subito nella City, o nelle zone orientali e meridionali, la popolazione cominciò a prendere coraggio, e a essere in un certo senso un po’ meno impressionabile. È vero che una gran folla di gente, come ho notato, scappava, ma proveniva per la maggior parte dal West End, e da quello che chiamano il cuore della City – si trattava cioè dei più ricchi, che erano liberi da affari e impegni commerciali. Gli altri, invece, rimanevano, come rassegnandosi al peggio; cosicché nella zona che noi chiamiamo Liberties, e nei sobborghi, a Southwark e nella parte più orientale, come a Wapping, Ratcliff, Stepney, Rotherhith e simili, la popolazione generalmente restava, a eccezione di poche famiglie ricche qua e là, che, come abbiamo già osservato non dipendevano dal proprio lavoro. Bisogna sempre tener conto che ai tempi di questa epidemia, ovvero quando essa scoppiò, la City e i sobborghi erano straordinariamente affollati, perché, nonostante io abbia vissuto ancora abbastanza per vedere un ulteriore incremento della popolazione, e molti forestieri fissare a Londra la propria residenza in misura maggiore che in qualsiasi altro periodo, a quel tempo eravamo tuttavia convinti che tale era la quantità di gente che, finite le guerre, 28 congedati gli eserciti e restaurata la famiglia reale e la monarchia, era accorsa a Londra per dedicarsi agli affari o per mettersi al servizio della Corte e viverci, in cambio di prestazioni, mansioni di fiducia e attività del genere, che la città si calcolava contenesse oltre centomila persone in più di quante ne avesse mai contate precedentemente; alcuni addirittura credevano che ce ne fosse il doppio, perché tutte le famiglie in rovina del partito monarchico erano accorse qui, e qui tutti i veterani intraprendevano attività, e qui si stabiliva una grande quantità di famiglie. Inoltre la Corte era portatrice di un gran lusso e di nuove mode; tutti erano divenuti amanti della mondanità, e la spensieratezza della Restaurazione aveva attirato a Londra moltissime famiglie. Ho spesso pensato che, come Gerusalemme venne assediata dai Romani quando i Giudei erano là riuniti per celebrare la Pasqua, per cui vi scovarono un incredibile numero di persone, che altrimenti si sarebbero trovate in altri paesi, così la peste entrò a Londra quando si era casualmente verificato un aumento eccezionale della popolazione a seguito delle particolari circostanze che abbiamo precedentemente elencato. E dato che questo affluire della gente presso una Corte gaia e spensierata generava molti commerci nella City, specie nel campo della moda e dell’eleganza, furono anche molto richiesti operai, fabbricanti e simili, perlopiù povera gente che campava del proprio lavoro. E ricordo in particolare che, in un rapporto al sindaco sulla condizione dei poveri, si stimava che nella City e nelle sue adiacenze vi fossero non meno di centomila tessitori di nastri, la maggior parte dei quali viveva allora nelle parrocchie di Shoreditch, Stepney, Whitechapel e Bishopsgate, ovvero nei dintorni di Spittle Fields – ma lo Spittle Fields di allora, che occupava neanche un quinto del suo territorio rispetto a oggi. Tutto questo ci permette di calcolare il numero complessivo della popolazione, e in effetti mi sono spesso meravigliato che tanta gente vi fosse rimasta, come appariva evidente, nonostante all’inizio dell’epidemia una così vasta moltitudine avesse abbandonato la città. Ma farò ora un passo indietro per tornare all’inizio di questo eccezionale periodo di tempo. Quando le paure della gente erano ancora recenti, vennero stranamente accresciute da alcuni fatti insoliti, che, sommati, stranamente non fecero sì che l’intera comunità si 29 alzasse in piedi, abbandonasse le proprie abitazioni e fuggisse da quel luogo prescelto dal cielo, come un Acheldama, e destinato a venire cancellato dalla faccia della Terra insieme a tutto ciò che ospitava. Citerò solo alcuni di questi fatti, ma certo erano davvero numerosi, quanto numerosi erano i maghi e gli indovini che li diffondevano, che spesso mi chiedevo come mai qualcuno (e soprattutto le donne) avesse avuto il coraggio di rimanere. Innanzitutto prima della peste apparve in cielo, e restò lì alcuni mesi, una stella fiammeggiante o cometa, così come accadde due anni dopo, poco prima dell’incendio di Londra: le vecchie e le donne tanto superstiziose da sfiorare l’imbecillità, che potrei forse definire allo stesso modo, “vecchie”, notarono (sebbene, soprattutto in seguito, ne fecero parola solo quando su di noi calarono entrambi quei castighi di Dio) che quelle due comete passavano direttamente sopra la città, e così vicino alle case, che senza ombra di dubbio annunciavano qualche disgrazia destinata soltanto alla City; la cometa che precedette la pestilenza era di un colore pallido, smorto, malsano, e il suo moto assai possente, lento e solenne; ma la cometa comparsa prima dell’incendio era brillante e luminosa, o, come si disse, fiammeggiante, con un moto rapido e frenetico. Coloro che avvistarono la prima, in modo concorde, predissero un castigo assai grave, lento ma spietato, terribile e spaventoso, esattamente come fu la peste; coloro che avvistarono la seconda, invece, previdero una disgrazia improvvisa, rapida e violenta come si rivelò appunto il grande incendio. Anzi, certe persone furono così precise nei dettagli, che mentre guardavano la cometa che precedette l’incendio, immaginarono non solo di vederla passare rapida e inquietante, seguendone il movimento con lo sguardo, ma credettero di udirla: avvertirono un rombo precipitoso e potente, sinistro e terrificante, perfettamente distinguibile nonostante la distanza. Io assistetti al passaggio di entrambe le comete, e devo ammettere che avevo nella testa tante di quelle superstizioni, da essere pronto a considerarle come preavvisi della punizione divina; in particolare, dopo che la peste era seguita alla prima cometa, quando in seguito vidi una seconda cometa nel cielo, non potei dire altro se non che Dio non aveva ancora finito di flagellare la città. Non potevo tuttavia spingermi oltre quanto a superstizione, poiché sapevo che gli astronomi attribuiscono fenomeni del genere a 30 cause naturali, e che i movimenti e le rivoluzioni degli astri sono calcolati, o potrebbero in qualche modo essere calcolati, e di conseguenza non si possono propriamente chiamare premonitori, e tanto meno cause di eventi quali epidemie, guerre, incendi e così via. Ma indipendentemente dalle mie convinzioni passate e presenti e dalle riflessioni dei filosofi, questi fenomeni ebbero un’influenza straordinaria sulle menti del popolo, e si avevano, quasi universalmente, tristi presentimenti di qualche terribile calamità, o castigo, che stava per abbattersi sulla città; il tutto principalmente a causa dell’apparizione di questa cometa e del piccolo allarme che venne dato nel mese di dicembre in seguito alla morte di due persone nella parrocchia di St Giles, come abbiamo già visto. I timori della gente venivano ulteriormente accresciuti dalle idee sbagliate che circolavano in un tempo in cui il popolo era più portato a credere alle profezie, agli scongiuri degli astrologhi, ai sogni e alle storie delle anziane comari, di quanto non lo fosse stato prima o lo sarebbe stato in seguito – non riesco a immaginare in base a quali principi. Non saprei dire se questa sfortunata disposizione sia stata inizialmente provocata dalle sciocchezze di certa gente che stampando predizioni e pronostici ne ricavava dei soldi; ma è certo che alcuni libri, quali L’Almanacco di Lilly, Le previsioni astrologiche di Gadbury, L’Almanacco del Povero Robin e così via, spaventarono il popolo, e anche alcuni libri che volevano passare per religiosi, uno dal titolo Esci di Babilonia, mio popolo, se non vuoi essere partecipare delle sue piaghe, un altro chiamato Consigli utili, un altro ancora Il memorandum di Gran Bretagna, e parecchi simili. Tutti o quasi predicavano esplicitamente o velatamente la rovina della città; alcuni individui, addirittura, erano così suggestionati da correre per le strade con le loro profezie, convinti di essere stati mandati dal cielo a predicare alla città. Uno in particolare, come Giona a Ninive, gridava per le strade: «Tra soli quaranta giorni, Londra sarà distrutta». Non posso oltretutto affermare con certezza se diceva quaranta o pochi giorni. Un altro correva seminudo, con le solo mutande indosso, urlando giorno e notte come l’uomo ricordato da Giuseppe, che gridava «Sciagura a Gerusalemme» poco prima della sua distruzione; così questo nostro disgraziato strepitava «Oh, il grande e terribile Signore», e non aggiungeva altro, ma ripeteva continuamente le stesse parole, con una voce e una furia pieni di terrore, e in 31 tutta fretta; nessuno, che io sappia, lo vide mai fermo o a riposo, o intento a mangiare. Ho incontrato più volte questo poveretto per le strade, e gli avrei rivolto la parola, ma quello non conversava con nessuno, gridava soltanto preda del terrore. Tutto ciò bastava a gettare la gente nel panico, ma il peggio arrivò quando nei bollettini si lesse che a St Giles c’erano stati uno o due morti di peste. Subito dopo questi avvenimenti pubblici ci furono i sogni delle vecchie, o, direi piuttosto, le interpretazioni che le vecchie davano dei sogni altrui; e queste fecero addirittura uscire di testa una marea di persone: alcuni udivano voci che li ammonivano d’andarsene, perché a Londra ci sarebbe stata una tale moria, che i vivi non sarebbero bastati a sotterrare i morti; altri avevano le visioni; e lasciatemi dire, sia degli uni che degli altri, e con tutto il rispetto e la compassione possibili, che essi udivano voci che non parlarono mai e vedevano apparizioni che mai comparirono; ma l’immaginazione della gente era stravolta e turbata, e non c’è da stupirsi se quelli che stavano sempre con gli occhi puntati al cielo vedessero forme e figure, immagini e apparizioni, che altro non erano se non aria e fumo. Qui raccontavano di aver visto uscire da una nuvola una mano che brandiva una spada fiammeggiante con la punta sospesa sulla città, là vedevano carri funebri e bare per aria, in viaggio per i funerali; e là ancora mucchi di cadaveri che giacevano senza sepoltura, e cose di questo tipo, secondo quanto l’immaginazione della povera gente terrorizzata forniva loro materia su cui basarsi. Così una fantasia stravolta riconosce navi, eserciti e battaglie sospesi in cielo Finché uno sguardo ragionevole dissolve i vapori E riporta il tutto all’elemento naturale: una nuvola. Potrei riempire questa cronaca delle strane storie che la gente faceva ogni giorno su tutto quello che aveva visto; e ognuno era così sicuro di aver scorto quello che professava di aver visto, che non c’era verso di contraddirlo senza rovinare l’amicizia e venire considerato, da un lato, maleducato e incivile e, dall’altro, empio e stolto. Una volta, prima che fosse cominciata la peste – diversamente da quello che ho spiegato a proposito della parrocchia di St Giles –, vedendo una folla per strada (penso fosse marzo), mi unii a essa per 32 soddisfare la mia curiosità, e la trovai intenta a fissare il vuoto, per cercare di scorgere quello che una donna sosteneva di vedere chiaramente, cioè un angelo vestito di bianco con in mano una spada fiammeggiante, che brandiva sopra la testa. La donna descriveva accuratamente ogni particolare della visione, ne indicava agli altri il movimento e la forma; e il popolo acconsentiva con tale veemenza e con tale prontezza che una persona disse: «Sì, vedo distintamente ogni cosa. Vedo la spada con assoluta chiarezza». Un altro diceva di vedere l’angelo. Uno ne vedeva proprio la faccia, ed esclamò: «Che creatura meravigliosa!». Chi notava una cosa, chi un’altra. Io guardavo con altrettanto impegno degli altri, ma probabilmente non con altrettanta voglia di lasciarmi suggestionare, e ammisi che in realtà non riuscivo a vedere se non una nuvola bianca, brillante perché colpita dalla luce del sole. La donna cercava in ogni modo di farmi vedere l’apparizione, ma non riuscì a farmi riconoscere che la vedevo; e, del resto, se l’avessi fatto, avrei mentito. Tuttavia la donna si girò verso di me, mi guardò in viso e pensò che stessi ridendo, ma la sua immaginazione la stava ingannando, perché non stavo affatto ridendo, ma stavo seriamente considerando come la povera gente si lasci travolgere dalla forza della propria fantasia. In ogni modo mi diede le spalle e mi accusò di essere empio e che mi stavo prendendo gioco di lei. Disse che era giunto il momento dell’ira divina, che si stava approssimando la punizione celeste e che la gente empia come me sarebbe stata dispersa e mandata in rovina. Le persone intorno a noi sembravano piene di sdegno quanto lei; e mi resi conto che non sarei riuscito a convincerli che non stavo ridendo di loro e ad aprire loro gli occhi, ma che avrebbero finito per malmenarmi. Così me ne andai; e la visione venne considerata veritiera, come la stella infuocata. Sempre in pieno giorno feci un altro incontro casuale; e questo avvenne mentre percorrevo un angusto passaggio dalla Petty France al cimitero di Bishopsgate, lungo una fila di ospizi per i poveri. Ci sono due camposanti adiacenti alla parrocchia di Bishopsgate; uno lo attraversiamo per passare dal luogo chiamato Petty France in Bishopsgate Street, uscendo proprio dalla porta della chiesa; l’altro è di fianco a quel passaggio dove si trovano, sulla sinistra, gli ospizi per i poveri e a destra c’è un muretto con una recinzione, e dall’altra parte il muro della City, ancora più a destra. 33