la religiosita` medioevale e la peste

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la religiosita` medioevale e la peste
LA RELIGIOSITA’ MEDIOEVALE E LA PESTE
Lezioni a cura della prof.ssa Susi Del Pin
PARTE PRIMA.
SALUTE E MALATTIA NELLA BIBBIA
Dio crea l’uomo per la vita e questo valore è intrinseco a tutto il testo biblico (v. norme atte a
preservare la vita del singolo e della comunità presenti nel libro del Levitico).
La presenza del male e della malattia è quindi un elemento di riflessione del testo biblico e per
questo motivo ci sono una serie di spiegazioni legate alla perdita della salute. Bisogna considerare
che secondo l’antropologia biblica l’uomo è carne e spirito innervati uno con l’altro, non c’è una
dicotomia tra la componente fisica e quella spirituale dell’uomo. La creazione prevede innanzitutto
la creazione del corpo (il testo biblico parla di carne), nel quale Dio insuffla lo spirito vitale, che
rende l’uomo un essere vivente.
PERCHE’ IL MALE’?
FRAGILITA’: è la prima spiegazione della malattia. L’uomo è stato creato con l’argilla, quindi con
un elemento fragile e Dio assomiglia ad un vasaio che plasma la materia. La malattia e la morte
sono allora un’espressone della fragilità umana, che ogni individuo porta con sé. La Bibbia,
soprattutto nelle pagine più antiche della Vecchia Alleanza, considera la vita lunga un segno della
benevolenza di Dio, che premia colui che lo ama e lo segue con una “vita carica di anni”. Per questo
motivo i patriarchi muoiono anziani e questa visione è decisamente in contrapposizione con quella
presente nella cultura greca, dove la morte preservava l’uomo dalla corruzione della carne, per cui
c’era la concezione che “moriva giovane chi era caro agli dei”.
COLPA E PECCATO: la seconda spiegazione della malattia va collocata nel sistema della
retribuzione e della punizione. Per l’ebreo la malattia era una conseguenza del peccato e il male era
la giusta punizione per una colpa commessa. Questa visione è presente in modo esplicito nel libro di
Giobbe. Giobbe è un uomo giusto, che viene messo alla prova. Perde quello che ha di più caro (c’è
un crescendo delle perdite: prima i beni, poi gli affetti e infine la salute) e quando i suoi amici
vanno da lui in visita, si sente porre la domanda “Forse hai fatto qualcosa di sbagliato per meritarti
tutto questo?”. Questo sistema di punizione/retribuzione è presente ancora oggi nella saggezza
popolare. Di fronte alla malattia molte persone si chiedono: “Perché proprio a me? Che cosa ho
fatto di male per meritarmi questo?”, come se ci fosse un rapporto di causa ed effetto fra colpa e
perdita della salute.
LIBERTA’: il dolore provocato ad altri è la conseguenza di una libertà che l’uomo esercita. Chi ha
scelto di fare il male al prossimo non potrebbe farlo senza che questi soffra.
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FUNZIONE PEDAGOGICA: il male, la fragilità permettono all’uomo di confrontarsi con il suo
limite, di rendersi conto della sua umiltà. Per la Bibbia il male è una prova da superare e l’uomo pio
teme la prova, perché non sa se avrà la forza per superarla.
LE MALATTIE NELLA BIBBIA E LA GUARIGIONE.
Nell’AT i racconti di guarigione sono rari e tanto la malattia quanto la guarigione sono
manifestazioni del dominio di Dio sulla storia. Particolare attenzione è riservata a quelle malattie
che prevedono l’allontanamento dalla comunità e dalla vita religiosa e che vengono descritte nel
libro del Levitico. C’è un gruppo di malattie legato al tabù del sangue e che determinano
l’impossibilità a partecipare al culto: emorragie e perdite di sangue (mestruazioni e parto) rendono
la persona impura e per accedere di nuovo al sacro è necessario un rito di purificazione. Traggono
origine da questo tabù due episodi fondamentali del NT, cioè la guarigione dell’emorroissa
(Lc.8,43-44), una donna esclusa dalla società perché perdeva sangue da dodici anni, e la parabola
del Buon Samaritano (Lc. 10,29-37). Sia il levita che il sacerdote non si avvicinano all’uomo ferito
dopo l’attacco dei briganti, perché toccare il sangue avrebbe impedito loro di accedere al luogo
sacro.
L’altro gruppo di malattie considerato pericoloso passa sotto il nome di lebbra. La malattia
impediva la partecipazione alla vita civile e, solo dopo un attento esame che sancisse la guarigione,
era possibile reinserirsi nella comunità.
Nel libro del Siracide il medico viene visto come colui che impara a discernere i medicamenti
presenti nella natura e che permettono la cura. E’ evidente l’influsso della cultura greca nel pensiero
giudaico, ma è ribadito che chi guarisce è Dio, che fornisce le medicine che il medico usa.
Importante è la funzione della preghiera, che consente all’uomo di trarre forza nel momento della
sofferenza.
GESU’ E LE GUARIGIONI
Uno dei tratti distintivi dell’opera pubblica di Gesù è il suo potere taumaturgico. Tutti i Vangeli
affrontano il tema della guarigione operata da Cristo. Gesù rifiuta la visione del rapporto malattiapeccato (v. episodio della guarigione del cieco nato, Gv. 9,1-2), ma soprattutto con le guarigioni
introduce di nuovo le persone nella comunità che le aveva escluse e instaura il Regno di Dio, che
supera le limitazioni di questo mondo. La cura dei malati e la guarigione saranno un elemento
peculiare dell’annuncio degli apostoli e dell’affermazione del cristianesimo.
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PARTE SECONDA.
CRISTIANESIMO E MALATTIE: IL MEDIOEVO.
Dopo la caduta dell’Impero romano sarà il cristianesimo a garantire la trasmissione del sapere
medico del mondo greco-romano soprattutto attraverso l’opera del monachesimo. Non solo nei
monasteri gli amanuensi ricopieranno i trattati di medicina e in particolare i testi di Galeno, ma
cominceranno a garantire la cura dei malati introducendo il principio dell’hospitalitas (nome che ci
rimanda all’ospedale). Con hospitalitas si intende il servizio reso al bisognoso e al sofferente,
secondo quanto previsto dalle opere di misericordia, ricavate dal vangelo di Mt.25,35-37 : VESTO,
POTO, CIBO, REDIMO, TEGO, COLLIGO, CONDO.
Accanto ai monasteri sorgono le “case ospitali” per accogliere e curare i malati, come recita la
Regola di San Benedetto (cap. XXXVI): “Infirmis ante omnia et super omnia omnis cura
adhibenda est” e nei monasteri si prepareranno le piante curative e i farmaci, al punto che vigeva il
detto “claustrum sine armario est quasi castrum sine armamentario”.
La Chiesa identifica due santi protettori dell’arte medica, cioè Cosma e Damiano, due medici
fratelli gemelli siriani, che nella seconda metà del sec. III curavano i poveri. Arrestati durante le
persecuzioni di Diocleziano, per il loro rifiuto di abiurare il cristianesimo, furono decapitati.
SANTI COSMA E DAMIANO, con in mano i simboli della medicina
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Il connubio Chiesa-medicina si afferma nel Medioevo con la nascita delle Università, luoghi della
sola dottrina medica, mentre gli ospedali saranno i luoghi della cura. Gradualmente si segna una
separazione tra medicina e chirurgia anche per alcune decisioni conciliari, come quella del Concilio
di Tours (1163) che proibisce ai religiosi di effettuare pratiche cruente. Nelle Università si continua
a studiare il corpo umano e nel 1315 a Bologna nasce l’anatomia con una lezione sul cadavere di
una donna. La Chiesa controllò il fenomeno con l’intendimento di impedire che i pezzi dei cadaveri
si trovassero in posti diversi, cosicché nel giorno del giudizio le anime dei defunti fossero costrette
a vagare alla ricerca delle diverse parti del proprio corpo (restitutio ad integrum).
Lungo il corso del Medioevo la malattia più temuta era la lebbra, per la quale valevano le
prescrizioni del Levitico cap.XIII. La Chiesa si attiva per l’assistenza nei confronti dei malati con
l’Ordine di San Lazzaro di Gerusalemme, mentre le Repubblica di Venezia destina un’isola della
laguna al ricovero dei lebbrosi.
E’ in questo contesto di cura e di affermazione della medicina che irrompe nel 1348 la peste nera.
Erano passati otto secoli dalla peste di Giustiniano, esplosa nel 543 e descritta da Procopio.
PARTE TERZA.
LA PESTE E LA DIMENSIONE RELIGIOSA.
Dall’autunno del 1347 ai primi mesi del 1350 l’Italia fu colpita dalla morte nera, da un’epidemia di
peste, il cui serbatoio sono i topi, il vettore le pulci e il destinatario l’uomo. La peste partì da
Messina, nel cui porto arrivarono, provenienti da Caffa sul Mar Nero, dodici navi genovesi cariche
di grano infestato da topi e a bordo della quali c’erano già morti e moribondi. La diffusione fu
velocissima e nell’arco di pochissimo tempo interessò tutto il continente. Il crollo demografico fu
impressionante: la peste colpiva tutti e i medici erano del tutto impotenti di fronte a questo morbo.
Non mancarono i tentativi di dare spiegazioni sul perché della malattia: furono ricercati motivi
astrologici (congiunzioni di pianeti), climatici (aria corrotta), religiosi (attacchi contro gli ebrei
accusati di essere portatori del contagio) e divini. Come aveva fatto Procopio, che in occasione della
peste del 543 aveva parlato di “castigo di Dio”, così ora papa Clemente VI si riferiva all’ira del
Creatore verso i cristiani inobbedienti. Di fronte all’impossibilità di trovare una cura si
organizzarono processioni e preghiere (a fame, peste et bello libera nos, Domine) , chiamando a
proteggere i sani e i malati due santi, cioè san Sebastiano e san Rocco.
SAN SEBASTIANO: San Sebastiano colpito dalle frecce richiama la scena evocata con la peste di
Atene dei dardi di Apollo che colpiscono il corpo del malato. Il fatto di essere scampato al martirio
(durante le persecuzioni di Diocleziano era stato legato ad una colonna ed era stato colpito dalle
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frecce, ma era sopravvissuto e si era ripresentato davanti all’imperatore) aveva fatto di lui un santo
taumaturgo, ma soprattutto un simbolo di possibile guarigione.
SAN ROCCO: altro santo invocato contro la peste è San Rocco, riconoscibile per le piaghe che
devastano il corpo e che troviamo in tantissime chiese della penisola. Rocco nasce a Montpellier in
Francia nel sec. XIV da famiglia nobile. Dona tutti i suoi beni ai poveri e parte per un
pellegrinaggio a Roma. Durante questo periodo scoppia un’epidemia di peste e Rocco si dedica alla
cura dei malati. Quando anche lui si ammala nessuno lo aiuta: Rocco allora si rifugia in un bosco e
prega Dio in attesa della morte. Riceve però la visita di un angelo che lo cura, mentre un cane ogni
girono gli porta del pane. Rocco così guarisce.
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La peste evoca la fine del mondo e richiama il quarto sigillo dell’Apocalisse “e subito vidi
apparire un cavallo verdastro, e colui che vistava sopra aveva nome la Morte e l’Inferno la
seguiva”.
Vengono prese delle decisioni per evitare il contagio e per tenere gli infetti in quarantena: nascono i
lazzaretti, che richiamano i lebbrosari dell’Alto Medioevo, ma dai quali anche si differenziano.
LEBBROSARIO
LAZZARETTO
Il lebbroso con il disfacimento della carne
anticipa la putrefazione della morte, ma non
determina la paura della morte, soltanto
ribrezzo. Se qualcuno nel lebbroso vedeva il
segno di una colpa, molti erano anche quelli che
in lui vedevano il Redentore che si era caricato
delle sofferenze del mondo(v. san Francesco e il
lebbroso). Il lebbrosario è un ospizio, un luogo
di isolamento, che segna la morte civile del
malato, perché difficilmente uno ne esce.
L’appestato fa paura e il lazzaretto si trasforma
in un luogo di morte, ma anche di cura. Se uno
guarisce, dal lazzaretto può uscire, per cui
questo luogo anticipa per molti versi i moderni
ospedali.
La paura della morte, la velocità dei decessi per peste, l’impossibilità a comprendere quello che sta
accadendo, il costante ripresentarsi di ondate epidemiche provocano dei cambiamenti anche nel
modo in cui viene vissuto il rapporto con Dio e nel modo in cui si legge il testo sacro. L’arte
religiosa testimonia questo cambiamento soprattutto nella rappresentazione della Madonna e di
Cristo.
LA FIGURA DELLA MADONNA: DALLA MAESTA’ ALLA PIETA’. La peste porta i fedeli a
immedesimarsi con il dolore vissuto da Maria di fronte alla morte del Figlio. L’arte gradualmente
abbandona la figura della Maestà, la Vergine intronizzata come una regina, per lasciare spazio alla
madre che accoglie tra le sue braccia il figlio morto. La Madonna diventa la madre, che non può
salvare il figlio, che perde il figlio in modo repentino e violento, come accadeva con i morti di
peste. La Maestà viene sostituita dalla Pietà.
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GIOVANNI BELLINI. La Pietà presenta la Madre dolorosa che soffre e non può fare alcunché per
salvare il Figlio. Il Figlio porta su di sé i segni della sofferenza della croce e la mano forte e viva
della madre contrasta con la mano cadaverica e ferita di Cristo. Il mantello nero della Vergine ci
introduce nel lutto della scena. Gli occhi della madre sono gonfi di pianto, come recita il cartiglio
posto sul sarcofago, dal quale i tre personaggi escono (“Haec fere quum gemitus turgentia lumina
promant, Bellini poterat flere Joannis opus”), mentre quelli del figlio sono irrimediabilmente chiusi.
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IL CRISTO: LA CROCIFISSIONE.
Per diversi secoli la croce non fece parte dell’iconografia cristiana: il marchio di infamia collegato
alla crocifissione e l’accento posto sulla risurrezione favorirono una raffigurazione gloriosa di
Cristo, posto sulle absidi come Pantocrator, Signore di tutto, principio e fine, alfa e omega.
Già dopo l’Anno Mille si assiste ad un cambiamento. Sotto l’influsso della spiritualità francescana
arrivano le prime rappresentazioni di Cristo crocifisso: è in atto un processo di umanizzazione della
figura di Gesù e in particolare si pone l’accento sulla sofferenza che ha anticipato la Sua morte e
che sta alla base del percorso di redenzione operato dal Salvatore.
Riprendendo l’iconografia orientale appare il Christus triumphans, un Cristo appiccicato alla croce,
indifferente al dolore, con gli occhi aperti e il volto sereno, superiore alla morte che sta affrontando.
Gradualmente il Cristo trionfante lascia il posto al Christus patiens, rappresentato con un corpo
che si contorce per la sofferenza, con gli occhi chiusi per la sopportazione del dolore. Nel corso del
sec. XV prende vita la narrazione raffigurata della Via crucis sino a stabilire le quattordici stazioni:
la peste ha allontanato dalla vita dell’uomo medievale le immagini del Cristo glorioso (la via crucis
si chiude con la stazione della deposizione di Gesù nel sepolcro) per sostituirlo con il Cristo umano
che affronta la morte.
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BIBLIOGRAFIA
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 CLARRK KEE HOWARD, Medicina, miracolo e magia nei tempi del nuovo Testamento,
ed. Paideia 1993
 COSMACINI GIORGIO, La religiosità della medicina. Dall’antichità ad oggi, ed. Laterza
2007
 COSMACINI GIORGIO, L’arte lunga, Storia della medicina dall’antichità ad oggi, ed.
Laterza 1999
 GIORGI ROSA, Santi, ed. Electa 2002
 RAPINO VALENTINA, La bellezza della fede, ed. San Paolo 2013
 ZUFFETTI ZAIRA, Mater dolorosa. La Pietà nell’arte, ed. Ancora 2014
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