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Introduzione
La criminalità giovanile è un aspetto problematico della realtà sociale che attira l’attenzione non solo degli studiosi e dei ricercatori, ma
di tutti coloro che per ruoli, responsabilità e compiti diversi operano
in ambito preventivo, formativo, forense e riabilitativo. La molteplicità delle teorie in campo criminologico è infatti un’indicazione di
come il mondo e gli eventi delinquenziali possano essere percepiti e
analizzati in maniera differente a seconda del contesto in cui accadono, delle persone protagoniste e degli osservatori che li interpretano.
Attualmente la ricerca, pur non dimenticando gli impianti teorici di
riferimento, ha cercato di disancorarsi da ogni forma di determinismo psicologico o sociale con cui sovente si cercava di adattare la
realtà sotto osservazione alle teorie à la mode del tempo. Si potrebbe
meditare a lungo sul perché di questa consuetudine nelle scienze sociali. La mancanza di una tradizione di certezze, che è invece presente nelle cosiddette hard sciences (Hedges, 1987), ha spesso spinto
gli studiosi a spiegare il mondo degli eventi sociali seguendo la logica lineare causa-effetto, della consequenzialità e della omogeneità,
con l’illusione di riuscire sia a colmare il gap epistemologico tra hard
and soft sciences sia a dare ordine, coerenza e senso a quanto succede intorno.
Si tende cioè a vivere in un mondo [...] di solidità percettiva priva di dubbi
ove le nostre convinzioni ci portano a credere che le cose sono solo come
noi le vediamo, e che ciò in cui crediamo non può avere alcuna alternativa
(Maturana, Varela, 1987, p. 31).
Il comportamento umano non può essere ricondotto a un processo di
influenza sistematica di specifiche variabili che, se presenti in un preciso contesto in cui sono coinvolti individui sensibili a quel tipo di
influenza, ne determinano una certa reazione. Il concetto delle “differenze individuali” (Rutter, Giller, Hagell, 1998) ci permette di capire
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che, sulla base del principio di equifinalità (Watzlawick, Beavin, Jackson, 1967), condizioni esistenziali, psicologiche e sociali diversificate e
molteplici possono dare origine a uno stesso risultato. In questi termini, la condotta criminale potrebbe essere spiegata in molteplici e
differenziati modi, così come molteplici possono essere stati i percorsi
multicausali alla base della sua esternalizzazione. Da questo consegue
che conoscere un fenomeno secondo una specifica prospettiva non
preclude la realizzazione di altri modi di percepirlo e di comprenderlo.
Quando si cerca di spiegare un evento accaduto, nella fattispecie
un reato, è, invece, facile cadere nell’errore di ricostruirlo secondo
una causalità quasi lineare, in quanto si è portati a organizzare tutti
gli elementi a disposizione come se essi avessero realmente operato
secondo un ordine temporale preciso. Nella realtà l’evolversi degli
eventi avviene seguendo la logica della complessità. La consapevolezza di questo in ambito criminologico e psicologico può contribuire
alla creazione di un paradigma in grado di cogliere l’individualità delle situazioni e le loro relazioni, la singolarità e la complessità delle
esperienze. Inoltre, da una prospettiva essenzialmente pragmatica, conoscere le variabili, le cause e le dinamiche della delinquenza giovanile diventa significativo per comprendere come si possano usare strumenti scientifici ed empirici al fine di progettare piani di intervento a
misura del minore, del suo percorso di vita e della sua autobiografia,
ma anche della sua realtà sociopsicologica e del suo mondo interpersonale. Questo può aiutare lo psicologo a fare psicodiagnosi adeguate
e a individualizzare e pianificare i compiti educativi e formativi; il ricercatore a esplorare le molteplici variabili di rischio e di protezione
alla base del comportamento antisociale; l’avvocato a elaborare non
una difesa deresponsabilizzante ma costruttiva di un progetto formativo; il giudice a decidere sulle risposte rieducative e di sostegno da
proporre e perseguire; la famiglia a capire l’importanza di una presenza genitoriale coerente, costante e affettiva (Palomba, 2002; Turri,
2001).
Se la criminalità è stata infatti spesso studiata come fenomeno statico per cui, quando c’erano un’infrazione delle norme penali, un criminale e una vittima, si parlava automaticamente di criminalità, analisi criminologiche specifiche hanno invece evidenziato delle differenze,
non solo concettuali, ma anche strumentali ed espressive, nel fare antisociale (Bijleveld, Hendriks, 2004; Corrado, Roesch, Hart, Gierowski,
2002; Farrington, 1986; Loeber, Farrington, Petechuk, 2003; Gulotta,
2005a; Piquero, Farrington, Blumstein, 2003; Farrington, West, 1993;
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INTRODUZIONE
Loeber, Farrington, 1998a; Tremblay, 2003; Wolfgang, Thornberry,
Figlio, 1972; Zara, 2005).
Alla luce di queste considerazioni, non si può parlare di un concetto unico e ben definito di delinquenza o criminalità, quanto piuttosto di diverse manifestazioni antisociali, devianti e violente che rientrano nel framework della criminalità (Zara, 2005, pp. 3-6):
– la devianza riguarda quelle forme di condotta e stili di vita che si
discostano in modo evidente dagli standard e dalle norme della società. Non tutti i comportamenti devianti sono necessariamente antigiuridici, anche se tutti i comportamenti delittuosi finiscono per essere
considerati devianti, specie in relazione all’iter penale che consegue
alla condotta delittuosa – una denuncia, un processo e una possibile
sentenza di condanna. Questi aspetti caratterizzano i meccanismi di
devianza secondaria a cui facevano riferimento non solo Lemert
(1951), ma anche Becker (1963) e Goode e Ben-Yehuda (1994), in
base ai quali la condanna penale diventa anche una condanna sociale
e pubblica iscritta nella biografia dell’individuo, che rischia di continuare a essere sempre e comunque considerato un ex delinquente;
– i comportamenti antisociali sono intesi come quella serie di condotte aggressive e di atteggiamenti impulsivi e iperattivi che iniziano a
manifestarsi già nella prima infanzia e che, se persistono, possono diventare sistematizzati ed evolvere in atteggiamenti di aperto conflitto
con l’esterno, traducendosi in un vero e proprio disturbo del clima
sociale esistente;
– la delinquenza è definita come quei comportamenti illeciti messi in
atto dai minori di 18 anni che, generalmente, regrediscono con l’entrata dell’adolescente nel mondo adulto. Molti di questi atti sono infatti definiti delinquenti in virtù della minore età delle persone coinvolte, si pensi al consumo di alcol oppure alla guida senza patente;
– la criminalità rappresenta quella serie di comportamenti illeciti
particolarmente severi e violenti, vietati dal codice penale di un paese, che in genere sono il frutto di un’evoluzione sistematica di condotte che da antisociali sono diventate delinquenziali, poi criminali e
violente. Si tratta quindi di individui che mettono in atto e perlopiù
persistono in comportamenti illeciti gravi. Nondimeno è possibile incontrare individui che commettono, nel corso dell’intera vita, un solo
atto criminale grave e violento, senza avere alle spalle una storia di
antisocialità.
A questa distinzione possono essere associati due altri concetti relativi a una condizione di malessere esistenziale che, tuttavia, non
sempre risultano aggravati da una condotta delinquenziale: il disagio
e il disadattamento.
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Il disagio è una forma di malessere psicosociale e di conflitto intra- e interpersonale, non esclusivamente giovanile, che incide sul
come l’individuo vive i propri compiti di crescita nel proprio ambiente di vita. Da questa condizione di difficoltà di sentirsi e di percepirsi
adeguati alla situazione, possono derivare ansia sociale e isolamento.
Froggio (2002) ritiene che il concetto eserciti una funzione di camuffamento semantico (p. 25), in quanto viene spesso adottato per intendere una varietà di problematiche che vanno dalle esperienze di marginalità sociale a condizioni psicopatologiche gravi. «Disagio è uguale
a sofferenza, malessere, malattia. Il termine viene usato per definire
ed indicare situazioni di malessere-sofferenza perché sembra essere
più leggero e meno stigmatizzante di altre definizioni scientifiche e
tecniche» (Froggio, 2002, p. 25). In questo senso, il termine risulta
ambiguo e aspecifico, quindi non sempre funzionale a un’analisi mirata della condizione psicologica e sociale dell’individuo coinvolto in un
percorso antisociale.
Il disadattamento è una condizione sociopsicologica di chi non è
in grado d’inserirsi in un ambiente o in un contesto familiare o socioculturale. Non sempre implica aggressività, violenza o manifestazioni
criminali, anche se è vero il contrario, cioè che l’individuo antisociale
ha spesso difficoltà di adattamento prosociale. Si tratta della difficoltà
di trovare un proprio spazio sociale all’interno del contesto di vita in
cui l’individuo è inserito; contesto che non sempre è stato direttamente e necessariamente scelto. Il problema emerge, quindi, non tanto perché l’individuo si trova in una realtà sociopsicologica non in
linea con il proprio sé, ma soprattutto a causa di una incapacità (reale o solo percepita) di sentirsi in grado di modificare la propria condizione.
A fronte di queste considerazioni, esiste anche la necessità di avvicinarsi al problema con nuovi presupposti interpretativi, operativi ed
applicativi in grado di cogliere, con accuratezza epistemologica, le
differenti sfumature del comportamento antisociale che vede coinvolti
minori sempre più giovani, di differenti estrazioni sociali e provenienti da diverse realtà urbane, geografiche e culturali. Questa eterogeneità antisociale alimenta nuove ansie e nuove paure a causa del sentimento di insicurezza sociale che cadenza la vita metropolitana, ma
che altera anche il clima tranquillo della cittadina di provincia.
Di fronte a una realtà di cronaca che parla di baby gangs, di minori sex offenders, di adolescenti violenti e omicidi, l’opinione pubblica si trincera dietro l’ideologia di una maggiore severità e punitività con l’illusione di riuscire a controllare e bloccare un problema che
sembra essere sfuggito di mano, inizialmente ai genitori e agli inse14
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gnanti, poi alle Forze dell’ordine e successivamente al sistema della
giustizia.
Per quanto la costruzione sociale della criminalità sia basata fondamentalmente sul sensazionalismo e non su un’effettiva analisi scientifica del problema, ci si pone comunque di fronte al compito di ristabilire gli equilibri tra il dovere dell’informazione e quello del controllo e della protezione; tra l’esigenza punitiva e quella responsabilizzante; tra il reo e la vittima; tra il singolo e la società.
Tenendo presente che, fortunatamente, i casi di reati efferati che
vedono coinvolti preadolescenti e/o adolescenti continuano a essere
relativamente limitati, in tutto il mondo, ci si chiede non solo quando,
con chi e dove intervenire, ma soprattutto come. È alla luce di tutti
questi aspetti che il rapporto tra criminalità giovanile, intervento, responsabilità e giustizia è altamente complesso e controverso. Ciò che
invero colpisce di più, per parafrasare le parole di un noto scrittore
contemporaneo, Ian McEwan (1997), è che tante cose terribili vengono commesse da persone che non sono affatto terribili. Dietro ogni
atto criminale e violento c’è sempre una persona, una storia, una realtà o più realtà in conflitto, ed è soprattutto per questa ragione che
risulta particolarmente importante riscoprire l’individuo dietro la maschera del criminale.
Lo scopo di questo libro è tentare di definire i percorsi scientifici,
empirici e giuridici verso i quali la riforma della giustizia minorile dovrebbe orientarsi; esso nasce specialmente dal bisogno di porre chiarezza in un ambito di interesse sociale e scientifico come quello della
criminalità e del suo controllo.
La conoscenza criminologica e psicogiuridica non è, infatti, così
scontata e condivisa come invece si crede. A fronte di un sempre crescente interesse per le problematiche giovanili, devianti, antisociali e
violente, continuano infatti a esistere profonde lacune in ambito criminologico, specie in riferimento ai paradigmi teorico-concettuali di
riferimento, ma anche rispetto a una debole tradizione metodologica
e di ricerca longitudinale. Si pensi che gli studi specifici sulle dinamiche di iniziazione, continuità e aggravamento delle carriere criminali
sono prevalentemente anglosassoni, così come i programmi di assessment e management del rischio.
Perché un minore intraprende un percorso antisociale, mentre un
altro, pur provenendo da una simile condizione esistenziale, segue invece un percorso normativo? Come e perché un individuo diventa
criminale? Come si struttura una carriera criminale? Perché un individuo persiste nel commettere reati, mentre un altro desiste da una
carriera criminale?
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A questi interrogativi si aggiungono le difficoltà pratiche associate
alla costruzione di programmi di prevenzione e di responsabilizzazione dei minori coinvolti in comportamenti antisociali e in condotte pericolose e a rischio. Il buon senso, l’intuizione e una buona dose di
sensibilità, per quanto ingredienti necessari dell’operare in ambito minorile, non possono sostituirsi alla conoscenza scientifica.
Come si può tentare di organizzare interventi preventivi senza
avere una visione d’insieme delle variabili di rischio che direttamente
o anche in modo mediato contribuiscono alla messa in atto di condotte delittuose? Come si può pensare di intervenire senza conoscere
il problema nella sua eterogeneità e complessità? Come si può difendere o giudicare un minore senza conoscerlo? Come si può procedere
alla programmazione di un progetto educativo e di reinserimento senza essere informati sulla storia di vita individuale, sulle risorse disponibili o recuperabili e sui fattori di protezione che completano il quadro esistenziale su cui si cerca di intervenire?
Questo libro inizia da una breve analisi delle dinamiche criminogeniche che vedono coinvolti minori, anche non imputabili, per poi
esplorare in dettaglio la giustizia penale minorile anche alla luce dei
documenti internazionali a favore di una tutela della minore età. Il
paradigma delle carriere criminali verrà presentato come cornice di
riferimento per capire e spiegare, e non certamente per giustificare,
l’iniziazione criminale, la sua persistenza e la sua escalation. L’imputabilità minorile e la responsabilità criminale verranno analizzate alla
luce dei nuovi paradigmi di riferimento. Verranno puntualmente esaminati la giustizia riparativa e mediativa e i perché epistemologici della loro validità attuativa.
Ringraziamenti
Sinceramente ringrazio le dottoresse Silvia Griglio, Rossella Siragusa e
Ines Vitale e il dottor Mark Mattioli per avermi pazientemente e puntualmente aiutata nel meticoloso compito di correzione delle bozze.
Un particolare ringraziamento va alla Casa Editrice Carocci, in particolare al dottor Gianluca Mori e alle dottoresse Claudia Evangelisti,
Maria Cristina Parisi, Leila Rodano, Lucilla Siragusa, per la loro preziosa, costante e professionale collaborazione.
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