Editoriale - San Felice Circeo
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Editoriale - San Felice Circeo
Editoriale Il paese che non c'è Nihil gravius quam destituite spes torquet Nulla maggiormente affligge gli animi, che le deluse speranze di Alessandro Cresti La situazione di stallo nell’amministrazione del Paese mi induce a ripetere, forse con noiosa retorica, concetti già dibattuti su questo giornale e in altri pubblici interventi, ma sono dell’avviso che “repetita iuvant” e poi chissà che, prima o poi, questa mia goccia continua, sostenuta da un imperituro ottimismo, non sortisca gli auspicati buoni risultati e un salutare rinnovamento. Allo stato attuale ciò che mi sembra costruttivamente più chiaro e utile è insistere su cosa non fare, cosa non fare più. Finita la frenesia pre-elettorale, che ha visto realizzate alcune iniziative promesse da anni e mai nemmeno iniziate (Vigna la Corte, ristrutturazione Piazza Vittorio Veneto, programmazione piano del colore per le case al centro storico, metanizzazione, eccetera), oggi, a un anno dalle elezioni, tutto è tornato tranquillo. Alla fine della scorsa estate si dava per scontato che sarebbe stata rifatta tutta la pavimentazione di Corso Vittorio Emanuele fino a piazzale Marconi, davanti al belvedere. All'inizio dell'estate di quest'anno nulla di tutto questo è avvenuto e non si vedono neanche cenni di una qualche attività in tal senso. In compenso ci sembra che gli abusi edilizi individuali continuano indisturbati e le demolizioni, nel numero esiguo in cui si stanno effettuando, danno una sorta di aureola all’Amministrazione comunale, ma è evidente a tutti, soprattutto a chi ha modo di osservare quello che succede nelle campagne, che le costruzioni continuano a spuntare come funghi. A questo proposito, tra ieri e oggi, basterebbe fare la “prova del nove”: 1. Contare di quanti abusi e di quale cubatura è stata chiesta la sanatoria senza che siano stati colpiti da ordinanza di demolizione; 2. Fare questa operazione in particolare per il Centro storico, chiedendo a tutti i proprietari di immobili, cui non sono stati fermati i lavori, quale ditta li abbia eseguiti. Si scoprirebbe che c’è chi, nel Centro storico, può tutto o quasi tutto. Semplici affacci che diventano balconi praticabili o addirittura profonde e lunghe terrazze per un intero lato di un immobile che guarda il mare, tetti sopraelevati per rendere abitabili i soppalchi interni, finestre che diventano finestroni o si raddoppiano, panorami che cambiano in una notte per chiusure illegittime di vario genere, sopraelevazioni ed altro. Così è stata cancellata la memoria di un Paese. Mi diceva un amico parecchi anni fa, quando questo fenomeno stava cominciando a prendere piede: “Ho comprato una casa soprattutto perché mi consentiva di godere di un bel panorama. Dal mio terrazzino, infatti, vedevo tutto il golfo del Circeo; tornato l'anno successivo, dallo stesso affaccio non vedevo più il mare: davanti a me avevano sopraelevato precludendomi completamente la sua vista.”. È un tipo scherzoso il mio amico e mi raccontava sorridendo quanto gli era accaduto, come se fosse una favola. Ma l'episodio non faceva parte di un mondo fantastico e irreale, come quello delle fiabe, era realmente accaduto ed era uno dei tanti simili che continuano ad accadere ancora oggi. E mi domando: moralità etica e legalità nelle attività politiche e amministrative dove sono andate a finire? Per sdrammatizzare tutta questa situazione non allegra canticchio il ritornello di una canzone degli anni ‘60: “Che sarà, che sarà, che sarà della mia vita chi lo sa?” e il mio pensiero si sposta dal presente al futuro anche prossimo. Parafrasando il verso di prima, mi chiedo che cosa succederà, se continua questo incallito e incorreggibile problema della politica, che da controllo e gestione oculata quale dovrebbe essere della cosa pubblica si è trasformata in un tavolo di lavoro, attorno al quale si assegnano incarichi (vedi spazzatura campana da dieci anni a questa parte) e si discute di veri e propri affari, che certamente torneranno utili a qualcuno, ma difficilmente lo saranno per quegli ignari cittadini, sottoposti a sforzi e disagi economici per tenere in piedi questo stato di cose. Non avremo mai vera democrazia se non ci convinciamo che le leggi vanno rispettate, anziché studiare il modo per eluderle e, se questo concetto non entra in testa alla gente, dovrebbero essere gli amministratori a cercare con urgenza il modo di controllare con vigore e senza discriminazioni di nessun tipo che ciò avvenga, anche da parte loro. Le piccole amministrazioni non sfuggono a questa regola, anzi sono tasselli importantissimi da cui si parte per costruire l'intero mosaico, nessuna deve dimenticare questo compito fondamentale per dare l'esempio, per essere la prima di una cordata, per non rischiare che il dilagante sistema clientelare costituisca un intrigo di vincoli e ricatti da cui non poter più uscire. La verità è che a tutti, poco o tanto, fa comodo questo sistema, perché ciascuno di noi ha il suo scheletro nell'armadio. È difficile cambiare rotta, perché questa mentalità è troppo radicata ed è diventata una peculiarità tutta italiana, soprattutto dell'Italia centro-meridionale. A questo proposito, infatti, vorrei raccontare un episodio accadutomi qualche mese fa, in Veneto, presso l'abitazione di un parente. In questa zona già da tanto tempo si attua con rigore la raccolta differenziata dei rifiuti e io, non abituato, ho fatto fatica a rispettare queste regole, tanto che spesso il mio sacchetto non veniva prelevato, perché non avevo seguito bene il criterio di divisione del materiale di scarto. A un certo punto, persistendo la mia difficoltà, ho finito col riempire un enorme sacco nero, che ho caricato in macchina per gettarlo, durante il viaggio di ritorno a Roma, nel primo contenitore per la raccolta indifferenziata. “Vedo una folla innumerevole di uomini simili ed uguali che non fanno che ruotare su se stessi, per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo. Ciascuno di questi uomini vive per conto suo ed è come estraneo al destino di tutti gli altri: i figli e gli amici costituiscono per lui tutta la razza umana; li tocca ma non li sente; non esiste che in se stesso e per se stesso, e se ancora possiede una famiglia, si può dire per lo meno che non ha più patria.” Alexis de Tocqueville. Questo pensiero filosofico mi sembra adattarsi bene al momento storico che stiamo vivendo, in cui domina un sentimento di egoismo profondo che fa sentire ogni uomo al centro di tutto e assolutamente indifferente a quanto e a quanti gli ruotano intorno. Quella esigua minoranza che pensa di non far parte di questa “folla” deve continuare a far sentire la sua voce, deve battersi senza timori e senza sosta per lanciare e sostenere un cambio di rotta con tutti i mezzi a sua disposizione. Io sento di appartenere a questa minoranza e voglio riproporre tanti bei sentimenti e modi di pensare del passato, che pure possono rivivere nel progresso sfrenato di oggi, costituendone elementi di riordino e riequilibrio, oltrechè radicato retaggio storico e motivo di orgoglio civile. E sono anche dell’avviso che tutto ciò non vada più suggerito con stile, pacatamente, serenamente, ma con determinazione e rumore in ogni occasione e nei confronti di tutti coloro che, indipendentemente dalla corrente cui appartengono, non sono esemplari e rappresentativi, ma continuano a rimanere al loro posto ad esercitare un potere con danno per tutti.