Le dinamiche nei disordini di folla - gruppo di ricerca in Psicologia

Transcript

Le dinamiche nei disordini di folla - gruppo di ricerca in Psicologia
Le dinamiche
È fondamentale un’adeguata selezione e preparazione degli operatori preposti a tutelare la sicurezza
in scenari a rischio di disordini, allo
scopo di rafforzare la capacità di
gestire lo stress nell’interazione
con una folla potenzialmente pericolosa, di facilitare l’acquisizione
di informazioni sulla presenza e sul
ruolo di gruppi violenti e di consentire un intervento nel momento
giusto e in modo mirato e selettivo.
Nella foto: luglio 2001, un
momento dei disordini avvenuti durante il G8 di
Genova.
2
MAGGIO-GIUGNO 2009
PSICOLOGIA DELLA FOLLA
dei disordini
di folla
Perché accadono?
l problema della nascita e del
controllo dei disordini sociali
non è recente. I governatori
dell’antica Roma, per esempio,
erano molto attenti ai malumori
del popolo e ricorrevano a stratagemmi come quello sintetizzato
dal celebre motto “Panem et circenses” per assicurarsi il consenso popolare e per far cessare i tumulti. Nel corso dell’Ottocento il
processo di industrializzazione,
la crescita demografica e la diffusione delle dottrine socialiste fecero diventare il problema dei disordini sociali una delle priorità
dei governi. Per esempio, il processo di modernizzazione di Parigi, consistente nella creazione
di strade ampie e diritte, pare
avesse fra le sue ragioni quella di
garantire l’ordine pubblico.
La crescente attenzione nei confronti della folla attrasse l’interesse di studiosi come Sighele,
Ferri, Tarde e Le Bon, i cui lavori, pubblicati alla fine dell’Ottocento, posero le basi della psicologia collettiva. La psicologia della folla si propose una finalità
essenzialmente pratica, ossia
I
2009 MAGGIO-GIUGNO
quella di fornire spiegazioni e
suggerimenti su come prevenire
o controllare i disordini sociali. A
oltre un secolo dalla sua nascita
la psicologia collettiva, grazie
all’utilizzo di ricerche empiriche,
si è evoluta radicalmente, ridimensionando e modificando molti assunti delle prime teorie.
LE TEORIE CLASSICHE
SULLA FOLLA
el corso dell’Ottocento la
formazione di grandi “masse urbane” venne percepita come un potenziale pericolo per
l’ordine costituito. Non è un caso
che i primi scritti sulla folla provengano da due criminologi, Sighele e
Tarde, i quali si occuparono principalmente di determinare quali
fossero le responsabilità penali in
caso di tumulti. Nei loro scritti
emergono tuttavia dettagli sulle
dinamiche del comportamento
della folla: Tarde parla soprattutto di “legge dell’imitazione”, mentre Sighele di predisposizione individuale e di elevata suggestiona-
Recenti ricerche
hanno dimostrato,
a differenza di
quanto sostenuto
dalle teorie
classiche sulla
psicologia della
folla e degli eventi
collettivi, che vi è
sempre una logica
nel comportamento
dei singoli individui
N
Luca Pietrantoni,
Gabriele Prati
3
Il comportamento
collettivo non
è irrazionale,
ma è strettamente
regolato dalle norme
e dai valori di un
determinato gruppo
bilità. Il lavoro di Le Bon, al contrario, sembra essere rivolto più
ai governanti che ai giuristi o alle forze dell’ordine. Secondo Le
Bon il potere delle masse sarebbe destinato a soverchiare l’ordine esistente: la psicologia della
folla si rivela così l’unico strumento utile per governarle o, per
lo meno, per non esserne governati. La folla, dopotutto, viene considerata da Le Bon una specie di
gregge che non può fare a meno
del padrone, il quale, per trasmettere le proprie idee, deve saperle
comunicare. Una volta che un’idea
è stata accettata, si propaga velocemente attraverso meccanismi
come l’imitazione, il contagio e la
suggestione.
Il merito delle teorie classiche è
stato quello di avere stimolato una
riflessione su fenomeni sociali
come tumulti, rivolte e manifestazioni. Il principale limite di questi
approcci, però, è stato quello di
avere decontestualizzato i disordini sociali. Le spiegazioni sulle
dinamiche della folla sono indipendenti dal contesto storico,
sociale, culturale e intergruppale. In altre parole, si postula che le
dinamiche di un disordine siano
sempre le stesse sia nel caso di
una rivolta della plebe nell’antica
Roma sia in quello di uno scontro
tra tifosi e polizia durante una
4
partita di calcio del campionato
italiano. Un secondo limite concerne lo scarso o nullo ricorso
alle evidenze empiriche per lo
sviluppo delle teorie. Queste ultime, infatti, si basano per lo più su
deduzioni ricavate da fatti raccolti qua e là, dall’aneddotica e
dal senso comune e, non per ultimo, dall’ideologia dominante che
tendeva a negare le ingiustizie
sociali alla base dei disordini e a
legittimare una leadership forte e
carismatica in grado di direzionare l’impulsività della folla.
A partire dalla seconda metà
del Novecento ci si rese sempre
più conto che per la comprensione delle cause era necessario affidarsi a ricerche empiriche: studi
di casi tramite l’approccio etnografico, esperimenti di laboratorio
e inchieste furono le metodologie più utilizzate. I risultati di queste ricerche hanno portato all’elaborazione del Modello Elaborato
dell’Identità Sociale o ESIM (Elaborated Social Identity Model) di
Reicher (2001), che ha concettualizzato i disordini di folla come
fenomeni estremamente complessi le cui determinanti si collocano
su più livelli. Le ricerche hanno
dimostrato, a differenza di quanto sostenuto dalle teorie classiche, che vi è una logica nel comportamento delle persone duran-
Se una relazione tra
due gruppi diventa
saliente, tende a far
sfumare in ciascun
gruppo le differenze
presenti tra i vari sottogruppi. Per esempio
uno scontro tra polizia
e tifosi tende a rendere
meno rilevanti le differenze esistenti fra i
vari sottogruppi di tifosi (o di poliziotti) in
quanto prevale la contrapposizione “noi vs
loro”. Uno dei punti
centrali dell’ESIM
concerne proprio l’analisi delle modificazioni
dinamiche dell’identificazione sociale sulla
base delle relazioni
intergruppi. Ne deriva
che se eventi tra gruppi
possono modificare
l’identità sociale, ne
risulta un cambiamento anche in termini di
norme e valori condivisi (figure 1 e 2).
te un disordine, che è comprensibile solo se si considera la prospettiva di tutti gli attori nella
ricostruzione di quanto accaduto.
IL MODELLO ESIM
l modello ESIM fu elaborato da
Stephen Reicher e colleghi a
partire dagli anni Ottanta e si
basa sul concetto di “identità sociale”, ossia sull’insieme di quegli
aspetti del concetto di sé che derivano dall’appartenenza ad un
gruppo. In un evento collettivo diventano salienti identificazioni peculiari: prima di tutto si tende a
passare da un’identità personale
(ciò che ci distingue dalle altre persone e ci rende unici) a un’identità collettiva (ciò che distingue il nostro gruppo da altri gruppi e lo rende unico). Inoltre, una persona può
I
MAGGIO-GIUGNO 2009
appartenere a più gruppi, per
esempio essere “ultrà” e “naziskin”: l’identificazione con un
gruppo piuttosto che con un altro dipende dal contesto che la
rende saliente (pensiamo, ad
esempio, a una partita di calcio
o a una manifestazione politica).
Ne deriva che negli eventi collettivi non vi è la perdita della propria individualità intesa come
identità personale, ma questa
viene resa saliente in un’identità di gruppo.
L’identificazione con un grup-
po presuppone l’assunzione di
norme, regole e valori. Le ricerche hanno documentato che,
contrariamente a quanto sostenuto nelle teorie classiche, il
comportamento collettivo non è
irrazionale ma è strettamente
regolato dalle norme e dai valori di un determinato gruppo. Se
fosse vero che le persone in una
folla tendono a perdere le proprie inibizioni, a divenire più
violente o a comportarsi in modo
incivile, non vi dovrebbero essere differenze fra le cose che suc-
Figura 1 – Le dinamiche dei disordini: salienza di una categoria sovraordinata (ad esempio, tifosi)
nei disordini tra tifoserie e forze di polizia.
Figura 2 – Estensione della norma violenta di un sottogruppo minoritario al gruppo intero in caso di
attacco illegittimo e indiscriminato all’altro gruppo.
2009 MAGGIO-GIUGNO
cedono nel corso di manifestazioni di gruppi diversi tra loro.
Pensiamo a manifestazioni di
folla in cui sono coinvolti gruppi
sociali con norme pacifiche (ad
esempio, la marcia di Assisi o il
Gay Pride) o altre in cui vi
potrebbero essere gruppi con
norme e valori che incentivano
un’azione di protesta violenta
(ad esempio, estremisti politici,
oppure emarginati delle banlieue di Parigi).
Le evidenze empiriche indicano che in un evento collettivo le
persone tendono a ignorare, se
non a contrastare, chi incita alla
violenza nel momento in cui tale
atteggiamento non è conforme
alle norme del gruppo.
Quello che avvenne nel corso
della partita tra Juventus e Udinese il 16 settembre 2007, quando un tifoso lanciò un petardo
all’Olimpico di Torino può esserne un esempio: il tifoso fu bloccato dai vicini di posto nell’attesa dell’intervento di steward e
forze dell’ordine, mentre in tribuna saliva il coro «Fuori fuori».
In questo caso furono i tifosi a
“punire” un membro del proprio
gruppo e prevalse la norma volta a “non creare incidenti”; ciò
indica quanto i comportamenti
individuali siano strettamente
normati dalle regole del gruppo.
Un altro punto importante
concerne la natura delle relazioni intergruppi. Per rimanere
all’esempio del calcio, durante
una partita i rapporti intergruppi possono essere intesi in senso sovraordinato, ossia tifosi vs
forze dell’ordine, ma anche a
livello sotto-ordinato, ossia fra
tifosi di squadre avversarie o
all’interno della stessa tifoseria.
Ciò che succede fra due persone appartenenti a gruppi diversi assume la connotazione di un
evento intergruppi: l’identificazione col gruppo fa sì che se
5
Ciò che succede
fra due persone
appartenenti a
gruppi diversi
assume
la connotazione
di un evento
intergruppi
Bandiere, sciarpe,
maglie o altri elementi
distintivi costituiscono
simboli che caratterizzano e rinforzano l’appartenenza e la delimitazione dei gruppi.
viene aggredita una persona
non conosciuta in termini personali ma che indossa la stessa
divisa, o qualsiasi altro elemento che richiama un’appartenenza comune, gli altri membri del
gruppo possono essere propensi a prenderne le difese o, addirittura, passare all’attacco in
nome del gruppo a cui appartengono.
In alcune manifestazioni di folla si assiste alla partecipazione di
un elevatissimo numero di gruppi e associazioni diverse con norme sociali eterogenee (dalla non
violenza al culto della violenza).
Facciamo un esempio prendendo
spunto dalle analisi di Della Porta e Reiter (2006). Durante il G8
del 2001 a Genova, i black bloc
agirono secomdo un copione violento ben definito di attacchi del
tipo “mordi e fuggi”; quando le
forze di polizia decisero di reagire a questi attacchi i black bloc si
erano già dispersi con la conseguenza che vennero colpiti altri
6
gruppi di manifestanti. Le cariche
delle forze di polizia furono, così,
percepite dai manifestanti come
un attacco illegittimo nei loro
confronti, modificando la loro
identità sociale da “noi siamo
composti da tanti gruppi diversi”
a “noi siamo un unico gruppo
che sta subendo lo stesso destino”. Una maggiore salienza dell’identità sovraordinata si accompagnò a una tendenza al livellamento delle norme sociali esprimendosi in una forma di difesa a
sua volta violenta. Si arrivò
insomma all’assunzione di un’appartenenza di gruppo in senso
sovraordinato (“siamo i manifestanti con norme simili”) rispetto a quella sotto-ordinata (“noi ci
differenziamo dagli altri gruppi di
manifestanti perché siamo non
violenti”).
Gli episodi di violenza dei
manifestanti furono quindi rivolti anche nei confronti di quei
reparti delle forze dell’ordine
che nulla avevano a che fare con
le prime cariche generando un
processo uguale e contrario a
quello descritto (“tutti noi delle
forze dell’ordine siamo minacciati”), rafforzando l’appartenenza
di gruppo in senso sovraordinato e riducendo la percezione di
differenze nei diversi metodi di
gestione dell’ordine pubblico. Da
qui l’escalation del conflitto.
L’ESIM contempla anche l’influenza di fattori a livello macro
come l’ideologia del gruppo e la
sua storia. Per esempio, non
sono stati rari negli scontri tra
tifoserie, i disordini causati da
ultrà per vendetta in seguito a
episodi di violenza accaduti anni
prima. Tutti i gruppi e, più in
generale, le folle, hanno una
memoria storica che porta i
membri ad assumere come normativi certi comportamenti che
prima non lo erano. Inoltre, la
memoria collettiva può essere
un fattore predisponente piuttosto che scatenante la violenza:
basti pensare al potere che posMAGGIO-GIUGNO 2009
seggono certi eventi passati di
suscitare stereotipi o pregiudizi
condivisi che possono creare un
senso di sospetto e di ostilità
generale. Un certo tipo di aspettative può dare adito a una particolare interpretazione della
realtà soprattutto quando vi è
ambiguità o scarsa disponibilità
di informazioni: pensiamo all’arresto di un tifoso quando non
sono chiari i fatti che lo hanno
determinato. In questo caso la
presenza di pregiudizi negativi
nei confronti delle forze dell’ordine può portare a interpretare
l’arresto come non legittimo.
CONCLUSIONI
ll’ESIM non sono mancate le critiche. Focalizzandosi sull’escalation di un
conflitto si rivelerebbe, infatti,
meno adatto a definire le deter-
A
2009 MAGGIO-GIUGNO
minanti che si trovano a monte di
incidenti e scontri. D’altra parte,
possiamo notare come il modello riduca enormemente l’aspetto
delle caratteristiche individuali
nella spiegazione dei disordini. È
ragionevole, però, non dimenticare che i fattori personali giocano un ruolo importante nella scelta dell’appartenenza a un gruppo violento piuttosto che non violento; è più probabile infatti che
una persona con disposizioni antisociali inizi ad aggregarsi a un
gruppo estremista violento.
Ad ogni modo, le ricerche derivate da tale approccio teorico
hanno implicazioni pratiche
importanti in termini di prevenzione e gestione degli eventi di
folla. La gestione degli eventi collettivi è un’operazione estremamente delicata in cui vanno equilibrati sia il diritto alla libera
espressione che l’esigenza di
preservare l’ordine pubblico.
Riferimenti bibliografici
DELLA PORTA D., REITER R. (2006), «The policing of global protest: The G8 at Genoa
and its aftermath». In D. Della Porta, A.
Peterson, H. Reiter (Eds.), The policing of
transnational protest, Ashgate, Aldershot, pp. 13-41.
MUCCHI FAINA A. (2002), Psicologia collettiva. Storia e problemi, Carocci, Roma.
PIETRANTONI L., PRATI G. (in stampa), «Elaborating the police perspective: The role of
perceptions and experience in the explanation of crowd conflict», European Journal of Social Psychology.
R EICHER S. (2001), «The psychology of
crowd dynamics». In M. Hogg, R. S. Tindale (Eds.), The Blackwell handbook of
social psychology: Group processes,
Blackwell, Oxford, pp. 182-208.
STOTT C. J., ADANG O. M. J. (2004), «“Disorderly” conduct: Social psychology and
the control of football “hooliganism” at
Euro 2004», The Psychologist, 17, 318319.
Luca Pietrantoni insegna Psicologia
dell’emergenza e degli eventi critici
presso l’Università degli Studi di
Bologna.
Gabriele Prati è dottorando in Psicologia
sociale.
7