Monastero di Bose - Lussuria, l`amore senza amore

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Monastero di Bose - Lussuria, l`amore senza amore
Lussuria, l'amore senza amore
GIACOMO MANZÙ, Gli amanti
La Stampa, 2 dicembre 2007
di ENZO BIANCHI
Questa passione nasce nello spazio della sessualità che è dimensione umana
La Stampa, 2 dicembre 2007
Nel nostro viaggio attraverso le patologie dei rapporti, che la tradizione chiama “vizi capitali”, dopo la “gola” e
strettamente connessa ad essa troviamo la lussuria: voracità di cibo e voracità sessuale affondano infatti le radici nello
stesso terreno. “L’ingordigia è madre della lussuria”, notava già Evagrio nel IV secolo: come la gola, anche la lussuria è
un vizio del corpo in cui sono coinvolti tutti e cinque i sensi, attraverso una preparazione che inizia con la vista, l’odorato,
l’udito, e si conclude con la gola e il tatto. Ciò non di meno, sono entrambi “vizi dell’anima”, che nascono dal cuore e che
a partire dal cuore vanno contrastati. Gola e lussuria sono passioni che indicano uno scadimento della percezione e un
conseguente atteggiamento che porta a ricercare il piacere per se stesso, il godimento fisico avulso dallo scopo al quale
è legato.
Il piacere sessuale, in particolare, ha quattro caratteristiche: è il più intenso piacere fisico; è un piacere complesso che
investe tutto il corpo e la psiche; è un piacere legato al tempo, alla storia di un uomo e di una donna, dalla pubertà alla
vecchiaia; è un piacere che è inerente all’atto sessuale, pur essendone solo un aspetto. Si comprende perciò che se
l’incontro sessuale viene ridotto al piacere fisico e all’orgasmo, non ci si interessa altro che all’organo specificamente
implicato in esso, senza aprirsi ad alcuna finalità. E così finisce per essere ristretto a un solo scopo: “Tu possederai il tuo
prossimo”, e l’altro è ridotto al suo corpo, alle sue parti erotiche e desiderabili, diventa un oggetto, addirittura un elemento
feticistico… Ma l’energia sessuale è unificante quando è rivolta all’amore, alla comunicazione, alla relazione, cioè a una
“storia” d’amore; ridotta all’erotismo, invece, essa frammenta, divide, dissipa il soggetto. Imparare ad amare significa
dunque ordinare il desiderio, assumere il proprio corpo sessuato, acconsentire alla distanza, rinunciare all’abuso, a
dominare sull’altro, a possederlo.
Chi è preda della lussuria assolutizza la propria pulsione e nega la relazione con l’altro, compiendo così una scissione
della propria personalità e una cosificazione dell’altro. Le pulsioni erotiche, non più ordinate e armonizzate nella totalità
del sé, sfogano la propria natura caotica e selvaggia, fino a sommergere l’altro, indotto nella fantasia o nella realtà –
quasi sempre con prepotenza – all’atto sessuale. In altre parole, la lussuria si manifesta là dove il piacere sessuale è
incapace di sottostare alle elementari regole della dignità propria e altrui. Se non si accede a tale disciplina, il dono
diventa possesso, l’attrazione violenza, l’unità del corpo e della psiche viene tragicamente spezzata; e, quel che è
ancora più grave, il partner finisce per essere trasformato da soggetto di relazione a mero oggetto di consumo, ridotto
addirittura a una sola parte del suo corpo.
Eppure questa passione nasce nello spazio della sessualità che è dimensione umana positiva, invito a un cammino
verso la comunione tra uomo e donna: il piacere sessuale è un fenomeno complesso, che non riguarda solo la genitalità
e l’orgasmo, ma la persona intera, con tutti i suoi sensi. Esso è linguaggio d’amore, epifania del dono di sé all’altro, è
coronamento dell’unione e, come tale, è inscritto nella storia di un uomo o di una donna: appare nella pubertà ed è
accompagnato dalla fecondità, per poi conoscere una stagione di sterilità, fino alla sua estinzione. Al contrario, la
lussuria consiste nell’intendere il piacere come qualcosa che è scisso dai soggetti, dalla loro storia d’amore, ed è perciò
una ferita inferta a se stessi, all’altro e, in definitiva, a quel Dio di cui l’essere umano è immagine. Insomma, l’esercizio
della sessualità si sfigura quando si separa il corpo dalla persona: allora degenera, trapassa in aridità, diventa ripetizione
ossessiva, obbedisce all’aggressività e alla violenza. L’amore, che è dono di sé e accoglienza dell’altro, è smentito
radicalmente dalla lussuria, che vuole il possesso dell’altro; e così il rapporto sessuale, che dovrebbe essere un
linguaggio “altro”, sempre accompagnato dalla parola ma anche eccedente la parola stessa, diventa la morte del
linguaggio, della comunicazione, impedendo di fatto ogni comunione.
Il contesto culturale in cui oggi viviamo, costruito ad arte da molti mass media e sfruttato dalla pubblicità, è quello di un
universo erotizzato: la nostra è una società in cui l’unica realtà non oscena è quella dell’erotismo, al punto che è ormai
inevitabile imbattersi in immagini erotiche, che si imprimono nella nostra mente per riemergere in seguito e stimolare le
nostre fantasie perverse. Una via elementare per reagire a tale clima che si respira, è quella di riflettere sul fatto che,
come l’ingordigia, anche la lussuria toglie la libertà: chi ne è schiavo finisce per asservirsi all’idolo del piacere sessuale,
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che lo ossessiona e crea in lui una pericolosa dipendenza. Chi è preda della lussuria è come malato di bulimia dell’altro,
lo cosifica realmente nella prestazione sessuale o virtualmente nell’immaginazione. La vera perversione in atto nella
lussuria è infatti quella che induce a concepire l’altro come semplice possibilità di incontro sessuale, come mera
occasione di piacere erotico. Come non notare oggi il fenomeno della senescenza precoce dell’esercizio sessuale nelle
nuove generazioni? Come ignorare l’esercizio di un eros virtuale? Vie che conducono presto a un libidogramma piatto.
Sì, chi non conosce l’ascesi dello sguardo, dell’ascolto e perciò dell’immaginazione, facilmente cade preda della lussuria.
Ora, per affrontare e vincere questo vizio che imbarbarisce il rapporto con il corpo, è necessaria una disciplina in vista di
una umanizzazione: occorre un’igiene dei pensieri, una lotta per dominare nel cuore e nella mente fantasie sessuali
distorte e deviate, e così poter accedere alla percezione del mistero e della bellezza del corpo, il proprio e quello altrui.
Né si dimentichi che essere continente è altra cosa dall’essere casto: si può praticare la sessualità restando casti, così
come ci si può astenersi dall’esercizio della sessualità senza per ciò stesso essere casti. Casto (castus) è infatti colui che
rifiuta l’incesto (in-castus) e rispetta radicalmente l’alterità e la differenza, rifiutando la fusione della coincidenza,
dell’assorbimento dell’altro e nell’altro. La vera castità comporta la rottura del cordone ombelicale, la presa di coscienza
di un corpo sessuato, la volontà di incontrare l’altro nella differenza e nel rispetto dell’alterità. Castità è anche
integrazione della sessualità nella persona, attraverso l’unità interiore della persona nel suo essere corpo e spirito. Essa
comporta una padronanza di sé che è pedagogia alla vera libertà umana. Sì, c’è un’alternativa chiara: o l’essere umano
domina le sue passioni oppure si lascia da esse alienare, rendere schiavo. Per questo la disciplina interiore, anche nello
spazio della sessualità, è sempre opera di libertà e, quindi, di ordine e di bellezza, è opera di umanizzazione perché
anche l’esercizio della sessualità sia un’opera d’arte, un capolavoro nelle storie d’amore.
Enzo Bianchi
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