Alla ricerca di un dialogo comune sul problema immigrazione

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Alla ricerca di un dialogo comune sul problema immigrazione
LUDOVICA GAZZI
23 aprile 2011 : Alla ricerca di un dialogo comune sul problema immigrazione
I due quotidiani, usciti entrambi il 23 aprile 2011, portano al centro della prima pagina la
tentazione da parte di Parigi di cambiare («Il Corriere della Sera») e di sospendere («Le Figaro»)
gli accordi di Schengen. Si legge infatti che di fronte al nuovo problema immigrazione il
Presidente francese Nicolas Sarkozy vorrebbe, tramite un'azione comune, rafforzare le frontiere
dal momento che l'accordo europeo di Shengen così com'è pensato non permetterebbe una
risposta efficace a questa nuova minaccia. Ma cosa si nasconde in realtà dietro quei due verbi,
all'apparenza innocui?
I due giornali vanno letti all'interno della crisi del modello di gestione degli spazi e delle
frontiere verificatosi dall'inizio del 2011 a seguito dell'ingente flusso migratorio proveniente dalla
Tunisia, dalla Libia e dall'Africa Subsahariana, conseguente ai drammatici avvenimenti della
primavera araba. Essa infatti non si è fatta sentire solo sugli stati direttamente coinvolti ma il suo
vento ha soffiato ben oltre i loro confini. I paesi del Sud del Mediterraneo infatti rappresentano al
contempo una meta di immigrazione e un punto di transito nelle strategie degli immigrati: per le
loro strade passano le più consistenti rotte migratorie verso l'Europa. Il vento di rinnovamento
politico e sociale ha provocato una rottura di questa cerniera di contenimento, portando per quelle
strade e quelle rotte migliaia di immigrati. Migliaia di persone che per motivi politici ed
economici hanno deciso di intraprendere un viaggio della speranza. Speranza che si è lentamente
indebolita fino a naufragare tra l'ipocrisia delle parole, i calcoli politici, gli interessi nazionali.
I due stati maggiormente coinvolti dal flusso di migranti e dalla conseguente crisi, prima
che politica, umanitaria sono l'Italia e la Francia. A causa della sua vicinanza con le coste Nord
Africane, l'Italia rappresenta il primo punto di arrivo della rotta centrale mediterranea. Paese di
transizione dunque, come sottolineato da «Le Figaro»: "La mesure viserait à répondre à l'afflux
d'immigrants tunisiens et libyens via l'Italie". La meta finale per la maggior parte dei migranti è
infatti la Francia, dove molti sperano in un ricongiungimento familiare o nell'aiuto di amici. Tra
gennaio e aprile, sono circa 25000 immigrati soprattutto tunisini e libici a sbarcare sulle coste
italiane; momento critico è stato il mese di febbraio, quando 4000 immigrati sono sbarcati sulle
coste di Lampedusa. L'Italia ha dichiarato lo stato di emergenza umanitaria. A seguito di una
timida risposta da parte della Comunità Europea, i due paesi hanno cercato ognuno a modo
proprio di risolvere il problema immigrazione, prima di arrivare ad un accordo.
Due sono le misure prese dallo stato italiano: come prima cosa è stato stipulato un patto
tra l'Italia e la Tunisia sul controllo dell'immigrazione clandestina, più precisamente, per usare le
parole del ministro degli Interni Maroni, “Si tratta di un accordo tecnico sulla cooperazione tra i
due Paesi contro l'immigrazione clandestina ed oltre al rafforzamento della collaborazione tra
forze di Polizia sono previsti anche rimpatri". Questi ultimi in particolare riguardano tutti i
tunisini sbarcati in Italia successivamente all'entrata in vigore del decreto sul permesso di
soggiorno temporaneo di sei mesi firmato il 6 aprile 2011, seconda decisione questa presa dal
governo italiano per cercare di tutelarsi da questa scomoda invasione. Questo documento
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permette infatti a chi ne è in possesso di spostarsi liberamente nell'area Schengen, consentendo
così di raggiungere altri paesi europei.
Questa misura, com’è facilmente intuibile, non è piaciuta al governo francese,
consapevole del fatto che molti immigrati sognavano di valicare le Alpi. Subito l'opinione
pubblica si è mobilitata: «Le Figaro» di mercoledì 6 aprile 2011 ha titolato L'Italie ouvre les
portes de l'Europe aux réfugiés tunisiens. Nell'articolo lo spazio Schengen viene definito come
“une cittadelle aux remparts bien fragiles”, e più oltre si legge che se da una parte l'Italia offre
l'Europa in mano nemica, dall'altra parte Bruxelles tarda a intervenire per non vedersi costretta a
ipotizzare il fallimento di uno dei principi di Schengen, ovvero la libera circolazione delle
persone. La Francia ha contestato, tramite le parole del Ministro dell'Interno Claude Gueant, la
validità del visto rilasciato dall'Italia e ha reso noti i cinque punti da rispettare per poter entrare in
Francia: essere in possesso di un titolo di soggiorno valido, emesso da uno Stato membro della
convenzione di Schengen; avere un passaporto nazionale valido; giustificare lo scopo e le
condizioni del proprio soggiorno in terra francese; non costituire una minaccia per l'ordine
pubblico e non essere entrati in Francia da più tre mesi; certificare di disporre di risorse
sufficienti, ossia 62 euro al giorno a persona, 31 euro se si dispone di un alloggio. E mentre la
querelle continuava, e l'Italia teneva aperte le porte dell'Europa per liberarsi degli immigrati, la
Francia decideva di chiudere le sue di porte. La tensione tra i due Stati infatti si è inasprita
ulteriormente a Ventimiglia il 17 aprile quando la gendarmerie francese ha bloccato i treni diretti
in Francia con a bordo molti immigrati6. Motivo: mantenere l'ordine pubblico a seguito di
manifestazioni di attivisti italiani e francesi a sostegno di immigrati tunisini che si apprestavano a
prendere il treno verso il paese transalpino. Ma il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha
assicurato che "L'Italia e la Francia hanno interessi comuni e non sono in contrasto [...] Sui
permessi temporanei c'è ancora da mettere a punto qualche aspetto giuridico; l'Italia emette
documenti validi, i francesi stanno applicando regolarmente le regole europee". Dunque, Francia
e Italia pur rimanendo nella legalità hanno interpretato a loro vantaggio i termini del Trattato,
incuranti delle reali situazioni dei migranti e poco propensi ad essere solidali nei loro confronti.
Esemplificative sono a riguardo le due prime pagine e in particolare i verbi utilizzati;
cambiare va in questo contesto letto dunque come sinonimo di rafforzare e la possibilità di
sospendere, già prevista in casi particolari che mettano a rischio la sicurezza pubblica, dovrebbe
semplicemente diventare più "facile e condivisa". Francia e Italia infatti, dietro la volontà di
cercare un dialogo per un'azione comune in materia di immigrazione, dietro quei verbi, cambiare
e sospendere, hanno disegnato precise strategie politiche e nazionali. La Francia infatti avrebbe
voluto avere più autonomia nel sospendere il Trattato, così da poter bloccare, pur rimanendo nel
giusto, l'arrivo indesiderato di immigrati da un'Italia che avrebbe voluto al contrario liberarsene,
spingendo a sua volta verso una modifica del Trattato nel senso di una maggiore difesa delle
frontiere esterne, per scongiurare lo sbarco sulle proprie coste di nuovi immigrati. Questa
esigenza, avvertita da entrambi i paesi, di rivedere la governance di Schengen si è concretizzata
nel vertice bilaterale tenutosi a Roma il 26 aprile 2011. Come ricorda «Il Corriere della Sera»,
l'obiettivo di Roma era quello di proporre una politica comune su asilo, rimpatri e aiuti: “Cosa
chiederanno i due paesi, in vista del vertice straordinario Ue sull'immigrazione del 12 maggio?
Innanzitutto un rafforzamento di Frontex, l'agenzia che si occupa di coordinare gli stati europei
nella gestione delle frontiere esterne. Si auspicherà poi una politica comune sugli aiuti ai Paesi
da cui provengono i migranti e una politica comune di responsabilizzazione dei Paesi della
sponda Sud del Mediterraneo”. I due capi di stato hanno inoltre scritto una lettera al presidente
della Commissione Europea José Manuel Barroso nella quale si può leggere “Vogliamo che
Schengen viva, per questo deve essere riformato”. La questione immigrazione, nelle idee
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diversamente che nei fatti, non deve dunque essere rimbalzata da uno stato ad un altro, ma deve
essere affrontata in comune e nel senso di una modifica stessa del Trattato.
La Commissione Europea ha ammesso il 4 maggio 2011, a seguito della riunione del
Consiglio europeo e dell'Europarlamento, il principio di un possibile ristabilimento temporaneo
dei controlli alle frontiere interne dell'Unione europea in caso di défaillance di un paese membro
situato alle frontiere esterne dello spazio europeo. Molte sono state subito le critiche e le paure
all'interno della Commissione stessa di vedere sfumare così uno dei pilastri della fortezza
europea, fondata sul supporto reciproco, la cooperazione internazionale e i diritti umani.
La proposta immigrazione è stata sottoposta al Consiglio Europeo del 24 giugno:
I governi dei paesi membri hanno chiesto alla Commissione di formulare proposte per
rafforzare la cooperazione tra i paesi dello spazio Schengen. L'obiettivo è permettere a questi
ultimi di coordinare la loro risposta a circostanze eccezionali, come l'improvviso afflusso di
richiedenti asilo. I leader europei hanno chiesto che venga presentata una proposta su una
procedura di asilo comune da approvare entro il 2012.
Hanno anche invitato la Commissione ad avviare i colloqui con i paesi vicini dell'UE a
Sud e ad Est per lo sviluppo di programmi di assunzione di lavoratori attraverso cosiddette
"partnership per la mobilità".
E mentre si attendeva questa decisione e si discuteva sulle misure da prendere per il futuro,
le acque lentamente si sono calmate e gli attori coinvolti sembrano essere arrivati alla fine a dei
compromessi; si sono scoperte delle crepe all'interno della cittadella europea, si è cercato di
ripararle per non far crollare l'intero sistema. Almeno fino al prossimo attacco.
Quello che è emerso da questa vicenda, anche se Schengen ne è uscito forse ancora più
rafforzato, è soprattutto l'assenza di una politica comune e di una reale solidarietà non solo con
paesi terzi ma anche tra gli stati europei. Appare un'Europa indebolita dalle differenze interne e
incerta, le cui risposte sembrano arrivare sempre un po' in ritardo, rallentate dalle iniziative dei
singoli stati. Singoli stati che in mancanza di una direzione sovranazionale ed esterna sono allo
stesso tempo membri e dirigenti di questa stessa cittadella. E non c'è da stupirsi se ognuno, in
particolari circostanze, dimentica l'appartenenza comune per difendere i propri interessi nazionali.
Un'ultima riflessione meritano i termini che si sono usati in questa vicenda. Si è parlato
molto e le parole hanno avuto un ruolo fondamentale, un peso significativo. A volte infatti più
che le azioni conta quello che si dice. Le parole plasmano categorie, costruiscono azioni,
modificano la percezione della realtà. Ed è così che un'istituzione importante e rivoluzionaria
come lo spazio comune europeo si è trasformata in una cittadella, in una roccaforte, dove un noi
ancora poco europeo e piuttosto variegato e diffidente si asserraglia chez soi per difendersi da un
loro presentato come una minaccia. Già solo usando queste parole si creano delle precise
categorie e la distanza tra esse aumenta. Distanza che non è solo fisica, ma che diventa anche
culturale, naturale. Tanto che si sente il bisogno di proteggere questa distanza alzando le mura
della cittadella, creando nuove immaginarie frontiere: ciò che segna il passaggio dal nostro al
loro; ciò che deve essere rafforzato per garantire la nostra sicurezza. Per arginare l'insicurezza che
aleggia nell'opinione pubblica che legge sui quotidiani di invasione, di clandestini, di gente
disperata che fugge da una guerra, da una rivoluzione. E si sa a cosa può arrivare chi è disperato.
Allora scatta l'emergenza, che non è umanitaria, è politica, è calcolata. E' una parola vuota, questa
emergenza umanitaria, che non protegge chi ha davvero bisogno. Perché fermare l'arrivo di
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clandestini è diventato più importante di qualsiasi convenzione, per questo è meglio rafforzare le
frontiere esterne e, già che ci siamo, chiudere anche le porte di casa propria. Le parole possono
essere ipocrite come in questo caso, quando una posizione nazionale scavalca anche i diritti
umani. Quando bisogna concedere un permesso per rendere qualcuno libero di muoversi.
Permettere di muoversi o meglio di rimbalzare da uno Stato ad un altro e non avere mai il
permesso di essere al posto giusto.
E infine la parola può essere negata. Perché in questo dibattito, in questa querelle tra
Francia, Italia Unione Europea, manca la parola più importante. La voce di chi è il vero
protagonista. Che è la parola del clandestino, dell'invasore, del rifugiato politico, del richiedente
asilo, del migrante, dell'immigrato. La parola silenziosa di chi vorrebbe solo dirci il proprio nome.
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