Naturalismo, Verismo e Verga

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Naturalismo, Verismo e Verga
VERGA
NATURALISMO E VERISMO IN ITALIA
© GSCATULLO
Verga
Naturalismo e Verismo
La Scapigliatura
La Scapigliatura è un movimento letterario nato in Francia alla fine dell’800 come applicazione diretta del
pensiero positivista, descrive cioè la realtà psicologica e sociale con gli stessi metodi utilizzati nelle scienze
naturali (metodo scientifico): la realtà è dunque descritta in maniera oggettiva e impersonale, l’autore si
dissimula o si eclissa. Da questa attenzione al vero nascerà successivamente il movimento Naturalista.
Nel romanzo degli Scapigliati a parlare sono i fatti e gli oggetti, denunciando il degrado sociale e le ingiustizie
che c’erano state sempre nella realtà di ogni giorno; lo scrittore però guarda con distacco il mondo che lo
circonda, nello scrivere è assolutamente impersonale. Si abbandona quindi il narratore onnisciente di una
voce narrante che non interviene, ma applica una sorta di scientificità dell’osservazione, e riduce gli elementi
umani a quelli fisico-psicologici. Il linguaggio è medio-basso, perché legato all’estrazione sociale dei
personaggi narrati, e, come in Verga, per avvicinarsi al popolo. Per questo stesso motivo la Scapigliatura
predilige la narrativa, il romanzo e le novelle, come generi più vicini al popolo e alla descrizione realistica.
Il Naturalismo
Al critico letterario positivista Hyppolite Taine, primo teorico del naturalismo, risale la classificazione dei tre
fattori che lo scrittore naturalista deve avere per raccontare una vicenda e i suoi personaggi:
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L’ereditarietà, ovvero ciò che si è;
L’ambiente sociale, ovvero dove si è;
L’epoca storica; ovvero quando si è.
Gli autori principali del Naturalismo sono Guy de Maupassant, che nelle sue opere lascia spazio a contadini,
proletari e soldati, ed Emile Zola, con la sua attenzione alla realtà. Nel romanzo naturalista la vita è
rappresentata con il metodo delle scienze naturali, non un’invenzione ma un’osservazione dove non vi è
l’intervento dell’autore.
Tra i temi principali trattati c’è sicuramente quello della miseria (economica, sociale, ecc.) delle classi basse:
compaiono nei romanzi prostitute, alcolizzati e delinquenti. Inoltre si arriva a parlare di patologia sociale,
quasi di una società che abbassa e sovrasta l’uomo.
Da un punto di vista letterario è assente un linguaggio colto poiché applicata la tecnica artificiosa della
regressione, in cui l’autore annulla le sue radici colte e si abbassa al piano dei personaggi di cui parla. Si segue
nel linguaggio il principio della concatenazione, ponendo vicine parole dal significato simile, e l’uso di
ossimori, parole di significato opposto avvicinate, per rendere la lingua verosimile e vicina al parlato.
Verismo
L’equivalente italiano del naturalismo fu il Verismo, di cui tra i principali autori si ricordano De Roberto,
Capuana e Verga. Il movimento italiano si distingue per il suo regionalismo: viene condotta la prima indagine
conoscitiva sulle diverse realtà regionali, viene affrontata la questione meridionale, della Sicilia – prima
considerata un Eden – sono messe in luce le nefandezze. Si sottolineano inoltre in questo periodo le
differenze tra Nord e Sud, in usi e costumi, usanze, ecc.
La diversità del movimento verista italiano dal naturalismo europeo è da ricercarsi anzitutto nella diversa e
particolare situazione in cui si trovava l’Italia: ancora indietro da un punto di vista dello sviluppo industriale,
i cui protagonisti europei comparivano nei romanzi realisti (operai, lavoratori, ecc.), possedeva varietà
regionali e dialettali ed una lingua ancora flessibile e in formazione adatta agli scopi dei letterati veristi.
L’obbiettivo del verismo era scrivere in parole il silenzio che circondava le classi misere.
Tra i canoni del Verismo ricordiamo:
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Oggettività della letteratura e rifiuto di ogni intento autobiografico;
Assenza di intervento del narratore, se non per raccordare i dialoghi e descrivere i paesaggi;
La mano dell’artista deve essere invisibile, come se l’opera si fosse composta da sé;
Parte dal vero, ricostruito con precisione oggettiva e scientifica;
Il linguaggio deve essere spoglio da ogni artificio;
Fondamentale l’impersonalità
Temi attinti dal popolo, ancora fermo ad uno stato precedente la corruzione.
Giovanni Verga
Vita e Opere
Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840, figlio di una famiglia borghese proprietaria terriera, ebbe una
formazione liberale e anti-borbonica impartitagli dal suo maestro Antonino Abate.
Nel 1856 scrisse il suo primo romanzo, “Amore e Patria”, sulla guerra di indipendenza americana, ma ebbe
scarso successo. In questa sua opera sono descritti grandi eroi e vili traditori, il protagonista è il colonnello di
bello aspetto Edoardo di Walter che si innamora – e alla fine sposa - della bella Eugenia di Redward, lo stile
utilizzato è romantico, mischia la passione amorosa a quella patriottica. Il patriottismo sarà del resto un
elemento costante nei suoi romanzi sino all’Unità d’Italia.
Nel 1862 scrive “I Carbonari della montagna”, che tratta dell’insurrezione carbonara contro l’usurpatore
Gioacchino Murat, molto influirono sulla stesura le vicende garibaldine e dell’unificazione. Esprime qui l’idea
di difesa dell’unità politica italiana contro il regionalismo e la necessità di una soluzione a problemi emergenti
post-Unità.
Nel 1863 scrive Sulle Lagune, romanzo vicino al romanticismo e all’Ortis di Foscolo. Nello stesso anno gli
muore il padre, Verga si allontana dai canoni romantici post-manzoniani e si trasferisce da Catania a Torino.
Qui scrive nel 1866 Una peccatrice, in cui narra l’amore tra un giovane autore studente di legge e la moglie
di un conte che, per paura di perdere il giovane, decide di suicidarsi. Nel 1869 si trasferisce a Firenze e
pubblica Storia di una capinera, una donna rinchiusa in un convento perché innamorata del fratellastro, non
potendo reprimere il suo amore per lui impazzisce e muore. Emerge nei romanzi di questo periodo un forte
pessimismo e la concezione dei vinti di Verga.
Nel 1872 si trasferisce a Milano, dove rimarrà per vent’anni. Critica la società moderna, e scrive Eros, Tigre
reale (1874) con cui si avvicina al naturalismo, ed inizia ad affrontare il problema degli umili e della Sicilia.
Scrive inoltre il bozzetto Nedda, con cui si avvicina al verismo: la rappresentazione è oggettiva e reale della
società. Nella novella Verga tratta dell’amore tra una giovane contadina ed un suo amante da cui ha una
figlia, il padre però muore e la piccola è lasciata morire di stenti. Emerge il realismo di tutti gli ambienti di un
paesello siciliano, Verga rifiuta il mondo borghese e la sua falsità, ha compassione verso i più deboli e puri,
vorrebbe dar voce al popolo. Il bozzetto si rifà al darwinismo sociale, la vita è una lotta per l’esistenza; alla
questione meridionale; alla teoria naturalista francese che vuole l’arte ritrarre la verità sulla vita umana.
Nel 1880 scrisse la raccolta di novelle Vita dei Campi e I Malavoglia, iniziando il Ciclo dei Vinti (I Malavoglia,
1881, Mastro don Gesualdo, 1906, La Duchessa di Leyra, 1922, L’Onorevole Scipioni e L’Uomo di Lusso, questi
ultimi due non completati), che pur ricevendo inizialmente un’accoglienza fredda dalla critica lasciano
nell’autore la convinzione di aver creato qualcosa di originale. Nel 1882 scrisse Il marito di Elena e nel 1883
Novelle Rusticane, dove l’apparente consistenza della “roba” come unico ideale – secondo la legge del più
forte - viene comunque messa in dubbio, con tutta la nascente morale borghese. Nel 1891 scrisse I racconti
del Capitano d’Alé. Nel 1892 si trasferirà ancora a Catania, dove morirà nel 1992.
Pensiero
Verga non aveva una relazione empatica con la società in cui viveva, il mondo sembrava falsato perché privo
di reali sentimenti: la vera felicità andava cercata altrove, dove si combatteva giorno dopo giorno. Il disagio
sociale-morale lo porta ad approdare ad un verismo caratterizzato:
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Filosoficamente dalla teoria del darwinismo sociale della lotta per l’esistenza;
Politicamente e socialmente dalla questione meridionale, la scoperta della Sicilia come terra di
derelitti, umili e desolati;
Letterariamente nel naturalismo francese, credendo che l’arte dovesse essere specchio della realtà
e rivolgersi agli strati più umili della popolazione.
L’autore doveva “peccare di modestia”, nascondendosi dietri i suoi personaggi, loro avrebbero dovuto vivere
grazie alle loro parole, ai loro gesti, ecc. Così nasce il primo bozzetto: Nedda, dove la società del tempo
emerge sterile e vuota nonostante lo stesso Verga la frequentasse.
Ma chi erano per l’autore siciliano gli umili cui voleva dare voce? I derelitti, i poveri, coloro che chiedevano
solamente di poter vivere. La presenza di questi personaggi nella sua opera era una denuncia ed una grossa
accusa. Il tutto mascherato secondo il canone dell’impersonalità, per cui la presentazione dei personaggi
diventa superflua, si accorcia e quasi scompare, come se il lettore li conoscesse da sempre: lo scrittore i
eclissa.
Lingua e dialetto
Verga riteneva di dover calare la propria lingua nel dialetto locale, in qualcosa di straordinariamente lavorato
in modo da non avere il dialetto locale ma il colore locale. I personaggi cioè non parlano un linguaggio basso,
come si potrebbe pensare a prima vista, ma ricorrono a metafore. Non si esprimono dunque in dialetto,
anche considerata la natura nazionale dell’autore, ma sembrano parlare in siciliano, quasi fosse una patina.
Visione della società
Nei confronti della società Verga ha una visione fortemente negativa: egli vive nella seconda metà
dell’Ottocento, in un epoca di cambiamenti, con lo sviluppo economico, l’industrializzazione, nuove teorie
culturali e soprattutto la trasformazione del paese da fondato sull’economia agricola a basato sull’industria.
In questo contesto di industrializzazione emerge infatti il divario Nord-Sud che era un flagello per l’Italia
dell’epoca: Verga, proprietario terriero del Sud, respinge il progresso, lo considera corruttore dell’uomo. Il
più forte infatti, nell’ottica del progresso, schiaccia il più debole, e ai veri ideali prendono il posto l’egoismo
ed il desiderio di arricchirsi. L’uomo, mosso dall’economia, è sopraffatto dal desiderio stesso di sopraffazione:
è una legge di natura senza soluzione, non resta che il pessimismo.
I Malavoglia
Il romanzo è formato da quindici capitoli e racconta la storia dei Toscano, nota come Malavoglia. La famiglia
è composto dal nonno, padron 'Ntoni, proprietario della casa del Nespolo) e di una barca, la Provvidenza, dal
figlio Bastianazzo e dalla nuora Maruzza, e dai nipoti, tra cui 'Ntoni. Per fare la dote a Mena, padron 'Ntoni
compra a credito una partita di lupini, indebitandosi con l'usuraio del paese, Campana di legno. Durante il
trasporto dei lupini, la barca fa naufragio e Bastianazzo muore in mare. Comincia un periodo di disgrazia e
miseria. Quando la famiglia sembra riprendersi, un nuovo naufragio della Provvidenza e poi il desiderio di
evasione di 'Ntoni ricacciano la famiglia nella disgrazia, sino a indurre il vecchio 'Ntoni a cedere casa e barca.
'Ntoni, che durante il servizio militare ha conosciuto le grandi città ed è affascinato dal progresso, cerca
fortuna a Trieste ma è più povero di prima. Comincia a fare così il predicatore di idee di eguaglianza, e a
frequentare gli ambienti di contrabbando, disonorando la famiglia. Arrestato e poi uscito cinque anni dopo
dal carcere, il nonno è morto e 'Ntoni resta nella casa del Nespolo solo una notte: all'alba riparte per sempre.
Ha capito che non può più vivere in una famiglia di cui ha violato le norme morali.1
L’intera vicenda si snoda su due cardini: il mare, fonte del sostentamento familiare (vita) e della rovina
(morte), e la casa, figura dell’intera rete familiare. I temi principali che il romanzo affronta sono il rispetto del
lavoro e della parola data, la sacralità della famiglia, il dolore che nasce dalla vergogna. Verga non giudica i
suoi personaggi, li fa parlare. Sono in qualche modo vicini a quelli della tragedia greca per la capacità di
reagire alle avversità con coraggio e ostinazione.
Mastro-don Gesualdo
Il Mastro-don Gesualdo è un romanzo scritto da Verga in nove anni, dal 1881 al 1889. L’ambientazione non è
quella di una famiglia di pescatori ma della medio-alta borghesia. A differenza dei Malavoglia, Verga adotta
una narrazione scorrevole e fluida, con dialoghi, ricorso al discorso diretto e indiretto libero. I temi principali
trattati sono la lotta per la sopravvivenza, l’ambizione sociale ed il sistema patriarcale.
Gesualdo Motta, muratore di umili origini, lottando con tutte le forze è riuscito a elevare la propria condizione
e a diventare proprietario terriero, accumulando un consistente patrimonio. La sua ascesa sociale è
suggellata dal matrimonio con Bianca Trao, una nobile decaduta costretta a sposarsi per riparare alla
relazione colpevole con il cugino baronetto Nini Rubiera. Gesualdo non ama la moglie e sa che Isabella, nata
pochi mesi dopo le noz-ze, non è figlia sua. La convivenza tra i coniugi è fonte di delusioni e amarezze. Bianca
spesso malata non sa essere vicina al marito e sempre più viva è in Gesualdo la nostalgia per Diodata, la mite
e devota serva che gli ha dato due figli. Isabella si vergogna delle umili origini del padre e invaghitasi del
cugino Corrado la Gurna scappa di casa. Il matrimonio è impossibile perché Corrado è uno spiantato. Per
rimediare alla compromissione della figlia e sempre alla ricerca di un’ulteriore affermazione sociale Gesualdo
dà Isabella in sposa al Duca di Leyra, nobile palermitano squattrinato che dissipa la cospicua dote della
ragazza. Deluso e malato Ge-sualdo si spegne nel palazzo di Palermo, solo ed estraneo al mondo che lo
circonda, mentre assiste impoten-te allo spreco del patrimonio per il quale ha lottato e sa-crificato affetti
sinceri.2
Vita dei Campi
Vita dei campi è la prima opera verista di Giovanni Verga, è una raccolta di otto novelle pubblicata per la
prima volta nel 1880, e raccoglie racconti scritti nei due anni precedenti. Tratta di contadini, pastori, minatori,
uomini della campagna siciliana. Oltre a raccontarne le vicende l’autore ne assume anche il punto di vista,
oltre che la prospettiva culturale e linguistica.
In Rosso Malpelo narra la storia di un ragazzo che lavora in miniera, incattivito dagli scherni ricevuti per i suoi
capelli rossi. Alla morte del padre e del suo amico Ranocchio, suoi unici affetti, Malpelo accetta di esplorare
una cava abbandonata rischiando la vita, senza più tornare. Gli altri operai ne temono però una venuta come
fantasma per tormentarli. Il narratore interno omodiegetico si eclissa ed assume il punto di vista della
collettività che offende Malpelo, secondo il procedimento proprio di Verga.
In Fantasticheria il narratore siciliano conversa con una sua amica francese circa la vita del paese di Aci Trezza.
Originariamente affascinata dal paesaggio, la donna preferisce andar via quando si rende conto della
monotonia della vita paesana. Inutile la spiegazione del narratore del punto di vista degli abitanti, che
seguono l’ideale dell’ostrica, tutti attaccati come ostriche ad uno scoglio, con il rischio di esser disadattati in
caso di un minimo cambiamento, ovvero se si staccassero dallo scoglio-paese.
Realizzato da Paolo Franchi 5°BC A.S. 2015/2016. Il 19/06/2016. AMDG.
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Trama tratta da http://www.tesionline.it/v2/appunto-sub.jsp?p=78&id=532
Trama da http://www.wuz.it/riassunto-libri/4774/Riassunto-Mastro-Don-Gesualdo.html