La nuova disciplina sanzionatoria del reverse charge

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La nuova disciplina sanzionatoria del reverse charge
La nuova disciplina sanzionatoria del reverse charge
Autore: Giancarlo Marzo
Categoria News: Fiscalità generale
Il Titolo II del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (d’ora in poi, “d.lgs. n. 158 del 2015”), rubricato
“Revisione del sistema sanzionatorio amministrativo”, attenendosi ai principi dettati
dall’articolo 8 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23 (d’ora in poi, “legge delega”), ha
rimodulato il sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del
cd. principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti.
Il Capo I del Titolo II, rubricato “Sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di
imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi”, composto dal solo articolo 15, ha
riformato il decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (d’ora in poi, “d.lgs. n. 471 del 1997”),
recante la “Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta
sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q),
della legge 23 dicembre 1996, n. 662”.
In particolare, la lettera f), del primo comma dell’articolo 15, del d.lgs. n. 158 del 2015, ha
inserito nell’art. 6del d.lgs. n. 471 del 1997, i nuovi commi da 9-bis a 9-bis3, con i quali è stata
completamente rivoluzionata la disciplina sanzionatoria relativa al cd. reverse charge.
La normativa sul reverse charge, come noto, è stata introdotta dall’art. 35 del D.L. n. 269 del
[1]
2003 che, modificando l’art. 74 del d.P.R. n. 633 del 1972, in deroga ai principi generali in
materia di imposta sul valore aggiunto, ha previsto, per alcune operazioni, che il soggetto
passivo sia il cessionario/committente del bene/servizio anziché il cedente/prestatore. E’ stato
realizzato, in tal modo, uno snellimento del processo di riscossione, che consente al
cessionario/committente di far valere, immediatamente, il proprio diritto di credito, attraverso la
compensazione fra il debito Iva maturato e il credito sorto. Il committente che riceve la fattura
dal soggetto estero, non recante l’indicazione dell’imposta, , dunque, deve emettere auto-fattura,
ossia integrare la fattura ricevuta con l’indicazione dell’Iva e procedere alla registrazione della
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stessa, contestualmente, sia nel registro delle fatture emesse sia in quello degli acquisti[2].
L’effetto pratico dell’acquisto, sotto il profilo dell’Iva, diventa così neutro per il cessionario (Iva
a debito e Iva in detrazione si compensano, annullandosi) e l’imposta viene applicata solo
quando, a sua volta, tale ultimo soggetto provvede a rivendere il bene in ambito nazionale,
emettendo fattura. Solo in quel momento, infatti, viene ad esistenza il reale ed effettivo debito
d’imposta (consistente nell’obbligo di versare all’Erario l’importo pari all’Iva pagatagli dal
cliente italiano).
Come premesso, il d.lgs. n. 158 del 2015 ha sostituito alla previgente disciplina sanzionatoria
una regolamentazione improntata a criteri di proporzionalità[3].
In particolare, il novellato comma commi 9-bis ha previsto, per l’ipotesi in cui il
cessionario/committente non abbia integrato la fattura emessa dal cedente e per quella in cui il
cedente/prestatore non abbia emesso la fattura entro quattro mesi dall’operazione (e non abbia
regolarizzato l’omissione nei trenta giorni successivi): a) una sanzione in misura fissa, compresa
tra euro 500 e 20.000, qualora la fattura ricevuta non sia stata occultata, essendo transitata in
contabilità; b) la sanzione proporzionale dal cinque al dieci per cento dell’imponibile, con un
minimo di 1.000 euro, nel caso in cui, al contrario, manchi l’annotazione della fattura in
questione nelle scritture contabili previste dagli articoli 13 e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973.
L’entità della sanzione che l’Ufficio applicherà in concreto, sarà determinata in base ai principi
dell’art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997 (personalità del trasgressore, gravità della violazione ecc.).
Conseguenza immediata della modifica della natura delle violazioni in questione è
l’applicabilità, in caso di ripetitività delle stesse, dell’istituto del cumulo giuridico di cui all’art.
12 del d.lgs. n. 472 del 1997.
Il comma 9-bis1 ha introdotto una serie di eccezioni alla regola fissata dalla precedente
disposizione. In particolare, è stata prevista, per le ipotesi nelle quali l’imposta sia stata
irregolarmente applicata in via ordinaria (in luogo dell’applicazione del reverse charge) e
versata dal cedente/prestatore, l’applicazione di una sanzione in misura fissa (da 250 a 10.000).
La sanzione è applicata, in ogni caso, nei confronti del cessionario/committente con solidarietà
del cedente/prestatore. Laddove, tuttavia, l’erronea applicazione dell’imposta in regime
ordinario sia stata determinata da intenti fraudolenti, la suddetta sanzione è sostituita da quella
prevista dal comma 1, dal 90 al 180 per cento. Il comma 9-bis2 prevede l’applicazione una
sanzione in misura fissa (da 250 a 10.000) nell’ipotesi in cui l’imposta sia stata erroneamente
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assolda dal cessionario/committente con il meccanismo dell’inversione contabile in luogo
dell’assolvimento ordinario, per operazioni per le quali non ricorrevano le condizioni per
l’applicazione del reverse charge. In tale ipotesi viene, in ogni caso, salvaguardato il diritto alla
detrazione del cessionario, senza obbligo di regolarizzazione dell’operazione. Anche in tale
ipotesi, se l’applicazione dell’imposta in regime di reverse charge sia stata determinata da
intenti fraudolenti, si applica la sanzione base, dal 90 al 180 per cento.
L’entità della sanzione che l’Ufficio applicherà in concreto, sarà determinata in base ai principi
dell’art. 7 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (personalità del trasgressore, gravità della
violazione ecc.). Conseguenza immediata della modifica della natura delle violazioni in
questione è l’applicabilità, in caso di ripetitività delle stesse, dell’istituto del cumulo giuridico di
cui all’art. 12 del d.lgs. n. 472 del 1997.
Con il comma 9-bis3, da ultimo, è stata disciplina l’ipotesi di errata applicazione del reverse
charge in relazione operazioni, esenti, non imponibili o non soggette a imposta. In tale ipotesi
devono essere eliminati sia il debito sia il credito erroneamente registrati nelle scritture contabili
e salvaguardato il diritto al recupero dell’imposta assolta in inversione contabile ed
eventualmente non detratta per ragioni di indetraibilità soggettiva o oggettiva. Innovando
radicalmente il previgente sistema, inoltre, è stata estesa l’applicabilità di tale meccanismo
anche ai casi di operazioni inesistenti, con applicazione, tuttavia, della sanzione amministrativa
compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro[4].
Con riferimento all’entrata in vigore è opportuno considerare che secondo quanto previsto dal
disegno di legge di Stabilità 2016, la nuova disciplina sarà applicabile dal 1° gennaio 2006
(anziché dal 1° gennaio 2017 come previsto dall’art. 32 del d.lgs. n. 158 del 2015) ma,
ovviamente, con effetto retroattivo in applicazione del noto principio del favor rei.
[1] Convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326 del 2003.
[2]
Sintetizzando, si realizza una semplice manifestazione economica, senza che venga effettuato
un versamento diretto al venditore/prestatore, con immediata compensazione del tributo dovuto
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con il credito derivante dal rispettivo diritto di detrazione maturato.
[3] In accoglimento all’osservazione di cui alla lettera v) contenuta nel parere reso dalle
Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze e tesoro del Senato della Repubblica.
[4] Con il comma 9-ter,la sanzione amministrativa relativa all’acquisto non regolarmente
documentato, attualmente pari al 20 per cento del corrispettivo, è stata ridotta ad un importo
compreso tra il 10 ed il 20 per cento dello stesso.
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