Note di variazione IVA

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Note di variazione IVA
Note di variazione IVA: nota debito e nota credito
Il decreto IVA (D.P.R. n. 633/1972) prende in considerazione il caso in cui, successivamente all’emissione o
alla registrazione della fattura, l’importo della base imponibile oppure quello dell’imposta venga ad
aumentare o a diminuire rispetto a quanto fatturato. Le disposizioni contenute nell’art. 26 del D.P.R. n.
633/1972, disciplinano distintamente (e diversamente) le ipotesi della rettifica in aumento e in
diminuzione.
Attenzione: le cosiddette note di variazione devono essere emesse con la stessa aliquota d’imposta a suo
tempo applicata, anche se modificata successivamente all’effettuazione dell’operazione.
In considerazione di ciò, le istruzioni di compilazione della dichiarazione annuale forniscono indicazioni per
l’eventualità in cui il contribuente abbia emesso o ricevuto, nel corso del periodo d’imposta, note di
variazione riportanti un’aliquota non in vigore, e dunque non presente nel modello.
Ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, la nota di variazione deve essere emessa quando, dopo
l’emissione della fattura o la sua registrazione, si verificano delle circostanze tali da determinare una
variazione (in aumento o in diminuzione) di quanto fatturato o registrato, ad esempio nei seguenti casi:
a)
quando viene riscontrato un errore nell’aliquota IVA applicata, o nella base imponibile oppure
nell’imposta;
b) quando viene concesso uno sconto o un abbuono;
c)
quando si verifica un fatto che rende nulla l’operazione, ad esempio la rescissione o
l’annullamento del contratto.
Attenzione: la nota di variazione (di addebito o di accredito) ha gli stessi requisiti della fattura e deve essere
dotata di propria numerazione progressiva per anno solare. La nota di variazione deve essere emessa, con
riferimento all’originaria fattura, per la differenza dell’importo risultante errato o concesso a titolo di
sconto, ecc.
Variazioni in aumento - Nota di debito
In caso di variazione in aumento dell’imponibile o dell’imposta, il cedente o prestatore deve emettere
un’apposita fattura integrativa (nota di addebito) per il maggior ammontare dell’IVA dovuta, numerarla
progressivamente e registrarla nel registro delle fatture emesse.
Attenzione: l’acquirente o il committente, quando la riceve, deve registrarla nel registro IVA degli acquisti.
Se l’operazione alla quale si riferisce la variazione non è soggetta all’obbligo di fatturazione, in quanto
cessione al dettaglio, è sufficiente annotare la variazione nel registro dei corrispettivi.
Quindi, il soggetto che ha effettuato l’operazione deve emettere una fattura integrativa, oppure una nota
di addebito, in relazione al maggior tributo dovuto sull’operazione, inviandola alla controparte; per tale
adempimento non sono posti limiti temporali.
L’obbligo va osservato indipendentemente dalla causa della variazione (errore di fatturazione, accordo
sopravvenuto, ecc.), fermo restando che se la causa risiede in una irregolarità della fatturazione
originaria, possono rendersi applicabili, sia a carico del cedente/prestatore sia a carico del
cessionario/committente, le sanzioni di legge; in tal caso, naturalmente, tornerà applicabile anche la
disciplina sul cosiddetto ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997.
Attenzione: se la variazione in aumento si verifica prima che la fattura sia stata emessa (ad es. fattura
compilata ma non ancora consegnata o spedita) non è necessario emettere un’apposita fattura integrativa,
ma la fattura può essere annullata e sostituita con un’altra fattura regolare (C.M. 9 settembre 1975, n. 28).
La procedura di variazione in aumento, con emissione di nota di addebito (fattura integrativa), deve
essere effettuata per regolarizzare, ad esempio, le seguenti situazioni:
- è stata applicata l’IVA con aliquota inferiore a quella prevista dalla legge (R.M. 11 marzo 1976, n.
502716; R.M. 23 dicembre 1975, n. 503576), ad esempio se i corrispettivi dell’appalto relativo alla
realizzazione di un’opera di urbanizzazione sono stati assoggettati all’aliquota IVA del 10%, mentre
l’opera ultimata non rientra nell’elenco tassativo di cui all’art. 4 della L. 29 settembre 1964, n. 847,
come integrato dall’art. 44 della L. 22 ottobre 1971, n. 865 e deve essere applicata l’aliquota del
22%;
- nella fattura non sono state comprese tutte le operazioni per le quali si è verificato il presupposto
impositivo (R.M. 23 luglio 1975, n. 501355);
- per mancata applicazione dell’IVA su operazioni che erano soggette (R.M. 12 marzo 1976, n.
504011; R.M. 21 maggio 1979, n. 362750);
- quando lo sconto concesso nella fattura originaria viene meno, ad esempio se il debitore non
rispetta i termini di pagamento a cui lo sconto era collegato (R.M. 30 giugno 1975, n. 501171).
Variazioni in diminuzione - Nota di credito
Come precisato dalla circolare n. 77/E del 17 aprile 2000, le variazioni in diminuzione hanno carattere
facoltativo e le condizioni per procedere sono specificatamente individuate dall’art. 26, comma 2, D.P.R. n.
633/1972.
Attenzione: il legislatore ha previsto non solo alcuni eventi specifici, ma ha anche introdotto un limite
temporale (un anno) entro il quale l’operatore può procedere alla diminuzione dell’imponibile (e della
relativa imposta), a meno che gli eventi non soggiacciano ad accordi preventivi o siano indipendenti dalla
volontà degli attori.
Quindi, diversamente dalle variazioni in aumento, quelle che comportano una riduzione dell’imponibile o
dell’imposta (variazioni in diminuzione) sono facoltative, non avendo l’Erario interesse a che esse vengano
operate. Salvi casi particolari, quale per esempio l’ipotesi delle operazioni non imponibili che concorrono
alla formazione del plafond per gli esportatori abituali, in relazione alle quali la contabilizzazione della nota
di variazione, per il venir meno, in tutto o in parte, dell’operazione, è obbligatoria ai fini della riduzione del
plafond.
Come già anticipato, la legge distingue l’ipotesi in cui la variazione discenda da una causa già prevista negli
originari accordi negoziali (art. 26, comma 2), da quella in cui discenda, invece, da sopravvenuto accordo tra
le parti (art. 26, comma 3), subordinando in tale seconda ipotesi la possibilità di operare la variazione a un
limite temporale (pari a un anno).
Variazioni in diminuzione senza limiti temporali
Secondo quanto disposto dal comma 2 dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, le variazioni in diminuzione
possono essere operate senza limiti di tempo (quindi anche oltre un anno), se l’operazione per la quale sia
stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, ovvero se ne
riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di:
- dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione o simili. Il riferimento alla
“dichiarazione” di nullità, annullamento, ecc., non va inteso in senso categorico. L’Agenzia delle
entrate, con la risoluzione n. 449/E del 21 novembre 2008, ha infatti precisato che, in conformità
all’orientamento della Corte di Cassazione, si deve ritenere che il provvedimento dichiarativo è riferito
solo all’ipotesi dell’accertamento della nullità dell’atto imponibile, e non anche alle diverse ulteriori
cause di caducazione degli effetti dell’atto (annullamento, revoca, rescissione, risoluzione e simili). Al
verificarsi di una causa di estinzione di un contratto in relazione alla quale il cedente o il prestatore
abbia già emesso fattura, pertanto, il soggetto ha diritto di emettere la nota di variazione e di detrarre
l’imposta, a norma dell’art. 26, comma 2, senza che occorra un formale atto di accertamento (negoziale
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o giudiziale) del verificarsi della causa. Ciò che conta, non è la modalità con cui si manifesta la causa
della variazione dell’imponibile, quanto piuttosto che della variazione e della sua causa si effettui la
registrazione ai sensi degli artt. 23, 24 e 25 del D.P.R. n. 633/1972 (sentenze nn. 15696/2002,
5568/1996, 9195/2001);
applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente. In tutti i casi di applicazione di abbuoni,
sconti o premi previsti contrattualmente, che comportino variazioni in diminuzione dell’ammontare
imponibile risultante dalla fattura emessa e registrata (a tal proposito non si può parlare, per
definizione, di operazione che viene meno in parte, poiché non ricorre alcuna ipotesi di risoluzione
parziale della cessione originaria), il cedente ha diritto di portare in detrazione l’imposta
corrispondente alla variazione (ammontare dell’abbuono o sconto), emettendo cosiddetta nota di
accredito recante l’importo dell’abbuono o sconto e l’ammontare della corrispondente imposta
calcolata con la stessa aliquota applicata all’operazione principale;
variazioni dell’IVA per specifiche disposizioni di legge. Risulta possibile utilizzare le variazioni in
diminuzione dell’imposta, senza alcun limite temporale, anche in specifiche casistiche in cui una legge
riduce l’aliquota dell’imposta per determinate operazioni ed estende l’efficacia delle nuove aliquote ad
un periodo pregresso;
mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive
rimaste infruttuose. La normativa comunitaria accorda agli Stati membri la facoltà di consentire la
riduzione dell’imponibile anche in caso di mancato pagamento del prezzo della cessione o della
prestazione (art. 90, direttiva n. 112 del 2006). Di questa facoltà, tuttavia, non ha fatto uso il legislatore
domestico, salvo che per l’ipotesi in cui il mancato pagamento, totale o parziale, dipenda da procedure
concorsuali o procedure esecutive rimaste infruttuose. Chiarimenti in merito a tali ipotesi sono stati
forniti dall’Amministrazione finanziaria con la circolare n. 77/E del 17 aprile 2000, dove è stato
precisato che il presupposto per la riduzione si realizza, in via generale, quando il soddisfacimento del
creditore viene meno per insussistenza di somme disponibili. Ciò si verifica, a seconda della procedura
concorsuale, nei seguenti momenti:
i. fallimento, si fa riferimento alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto
o, in mancanza di piano di riparto, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di
chiusura del fallimento;
ii. liquidazione coatta amministrativa, occorre aver riguardo al decorso dei termini indicati
nell’art. 213 della l.f.;
iii. concordato fallimentare, rileva il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del
concordato stesso, atteso che solo da tale momento discendono in modo definitivo gli
effetti sia sostanziali che processuali del concordato;
iv. concordato preventivo, il presupposto della infruttuosità della procedura può verificarsi
per i soli creditori chirografari, per la parte percentuale del loro credito che non trova
accoglimento con la chiusura del concordato; in tale ambito, occorre aver riguardo, oltre
che alla sentenza di omologazione divenuta definitiva, anche al momento in cui il debitore
concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato.
L’amministrazione controllata e l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi non
rientrano tra le procedure concorsuali legittimanti la riduzione dell’imponibile. Riguardo alle
procedure esecutive rimaste infruttuose, con la predetta circolare è stato precisato che il
presupposto legittimante la variazione in diminuzione viene a esistenza quando il credito non trova
soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni
dell’esecutato, ovvero quando sia stata accertata e documentata dagli organi della procedura
l’insussistenza di beni da assoggettare all’esecuzione. È stato inoltre ritenuto che possono essere
ricomprese nella previsione normativa anche le procedure esecutive degli obblighi di consegna o
rilascio, a eccezione dei casi di prestazione sostitutiva, così come nell’ipotesi di “datio in solutum”,
previa accettazione del creditore, prevista dall’art. 1197 c.c., o nel caso di “novazione oggettiva” ex
art. 1230 c.c., o di “conversione del negozio nullo” ex art. 1424 c.c. Anche per tali procedure
esecutive in forma specifica, l’infruttuosità, derivante dalla mancata consegna o rilascio del bene,
dovrà essere accertata e documentata dall’autorità preposta alla procedura. Sussistendo i
presupposti indicati, sorge per il cedente o prestatore il diritto potestativo di operare la rettifica in
diminuzione, rettifica che dovrà essere operata sia riguardo all’imponibile che alla relativa imposta;
qualora, poi, successivamente alla procedura esecutiva, collettiva o individuale, il cedente del bene
o prestatore del servizio recuperi, in tutto o in parte, il credito in precedenza insoddisfatto, lo
stesso dovrà provvedere a effettuare, in relazione all’importo recuperato, una variazione in
aumento rettificativa di quella in diminuzione a suo tempo operata. In ordine agli adempimenti del
destinatario della nota di variazione, con risoluzione n. 155/E del 12 ottobre 2001 è stato chiarito
che il curatore deve solo procedere alla registrazione “per memoria” delle note di variazione
ricevute, a seguito della ripartizione finale dell’attivo, dai creditori insoddisfatti, al fine di
evidenziare il credito d’imposta che l’Erario potrà eventualmente recuperare nel caso di un ritorno
“in bonis” del fallito. Il curatore non dovrà pertanto includere il credito erariale nel riparto finale,
oramai definitivo, né dovrà tenerne conto in sede di dichiarazioni periodiche o annuale. Analoga
precisazione è stata fornita con risoluzione n. 161/E del 17 ottobre 2001 riguardo al debitore
concordatario, in relazione alle note di variazione emesse dai creditori per la parte di credito
rimasta insoddisfatta all’esito della procedura di concordato preventivo. Per quanto riguarda, poi, il
termine per l’emissione della nota di variazione, con la risoluzione n. 89/E del 18 marzo 2002
l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che, come precisato con la circolare n. 77/E/2000, il documento
può essere emesso senza alcun limite temporale; ha tuttavia aggiunto che il recupero dell’imposta
da parte del creditore insoddisfatto è soggetto al termine di decadenza dell’art. 19, comma 1, del
D.P.R. n. 633/1972, decorrente dal momento in cui è reso esecutivo il piano di riparto. Pertanto
l’imposta può essere recuperata, al più tardi, entro il secondo anno successivo a quello in cui è
stato reso esecutivo il piano di riparto. Questa limitazione, ribadita successivamente con
riferimento ad altre situazioni del genere, non appare convincente, in quanto si fonda su
un’opinabile assimilazione tra diritto alla detrazione e rettifica dell’imposta fatturata, desunta dalla
disposizione del comma 2 dell’art. 26, in base alla quale il cedente del bene o prestatore del servizio
ha diritto di “portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione”.
Tale argomentazione letterale è tuttavia indebolita dalla disposizione del successivo comma 5, che
consente il recupero dell’imposta, in alternativa, mediante apposita annotazione in rettifica nel
registro delle operazioni attive;
- acquisto/costruzione “prima casa”, con la risoluzione ministeriale del 7 dicembre 2000, n. 187/E, il
Ministero delle Finanze ha chiarito l’eventuale variazione in diminuzione dell’aliquota IVA per
sopravvenuti requisiti “prima casa”;
- vendita per persona da nominare;
- cambio del gestore di telefonia mobile, secondo quanto disposto dalla risoluzione ministeriale n. 329/E
del 21 ottobre 2002, l’utente del servizio di telefonia mobile reso attraverso il sistema della carta
prepagata che decide di passare ad altro gestore, ha diritto di conservare sia il numero telefonico che il
credito residuo non utilizzato. Il precedente gestore, in relazione al trasferimento del credito al nuovo
gestore, può annotare una corrispondente variazione in diminuzione, recuperando l’IVA a suo tempo
assolta con il sistema monofase di cui all’art. 74, anche se è trascorso più di un anno dall’effettuazione
dell’operazione.
In tutti i casi sopra esaminati è consentito al cedente del bene o prestatore del servizio recuperare la
maggiore imposta versata mediante emissione nei confronti del cessionario o committente di una
apposita nota di credito, indipendentemente dal tempo trascorso tra l’effettuazione dell’operazione
originaria e il suo venir meno. Vale infine la pena di ricordare che, anche se la variazione può essere
effettuata senza limiti di tempo, il diritto alla detrazione dell’IVA può essere esercitato al più tardi con la
dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per la
variazione stessa.
Variazioni in diminuzione con limite temporale
Secondo quanto disposto dal comma 3 dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, se l’annullamento, la risoluzione,
la riduzione, ecc. dell’operazione originaria dipende da accordo sopravvenuto tra le parti, la variazione in
diminuzione ai fini Iva non può essere operata se è decorso più di un anno dal momento di effettuazione
dell’operazione. Al riguardo è opportuno precisare che la relazione governativa di accompagnamento del
decreto istitutivo dell’IVA riconduce all’ipotesi di sopravvenuto accordo tra le parti l’evento che non trova
titolo in una pronuncia dell’autorità giudiziaria, per cui sembra circoscrivere la possibilità di emettere la
nota di variazione oltre l’anno solo al caso in cui esista una pronuncia giudiziaria. La prassi che si è
affermata, tuttavia, non è allineata a questa interpretazione restrittiva.
Tutto ciò considerato, di seguito si analizzano i due casi principali in cui il cedente/prestatore può (facoltà)
emettere note di variazione in diminuzione entro e non oltre l’anno di effettuazione dell’operazione.
Concessione di sconti o abbuoni non previsti contrattualmente
Nel caso in cui gli sconti o gli abbuoni non siano espressamente ed originariamente previsti nel contratto, la
procedura di variazione è soggetta al limite temporale di un anno.
Al riguardo si segnala che l’Amministrazione finanziaria ha contestato a molti contribuenti l’indebita
detrazione dell’IVA indicata in note di accredito emesse, oltre l’anno, per sconti su vendite concessi a
clienti.
Le contestazioni si basano, nella maggior parte dei casi, sulla considerazione che le sole note di variazione
non sono sufficienti, di per sé, a provare l’effettiva esistenza degli elementi previsti dal comma 2 dell’art. 26
del D.P.R. n. 633/1972 (quindi sulla possibilità di emettere le note di variazioni “senza limiti temporali”) e
sulla necessità che la pattuizione dello sconto non solo debba essere antecedente all’emissione delle note
di variazione, ma anche che debba essere provata da contratto scritto, se non addirittura essere contenuta
nel contratto originario.
La motivazione principale che sostiene la tesi dell’Amministrazione finanziaria si basa sulla possibilità che la
concessione di sconti successivi all’effettuazione dell’operazione commerciale oggetto della fatturazione
possa essere dettata da intenti elusivi.
Inesattezze/errori nella fatturazione
Nel caso in cui, per errore, la fattura viene emessa per operazioni inesistenti ovvero se nella fattura i
corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta
è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura.
In tali fattispecie si è in presenza di un errore della fattura di carattere originario (R.M. 20 novembre 2001,
n. 185/E), in quanto fin dalla sua emissione essa non rappresenta correttamente la realtà effettiva (es.
fattura intestata a un soggetto diverso da quello a cui è stata ceduta la merce). Va da sé, sulla base di
quanto detto, che nel caso in cui originariamente la fattura risultava corretta non si potrà procedere con la
variazione in diminuzione.
Aspetti pratici delle variazioni in diminuzione
È da porre immediatamente in evidenza che la genericità delle prescrizioni contenute nell’art. 26 ha dato
luogo ad un’abbondante produzione di pronunce ministeriali e giurisprudenziali. È stato, quindi, chiarito
che la nota di credito deve evidenziare gli elementi delle fatture cui si riferisce e che deve essere emessa
dal cedente, al fine di un maggiore controllo da parte dei competenti Uffici (risoluzione 25 marzo 1974, n.
500128); non è invece necessario indicare gli elementi delle fatture relative all’originaria operazione, nel
caso in cui i prodotti commercializzati rechino un marchio di fabbrica (risoluzioni 16 dicembre 1975, n.
502289 e 7 marzo 1977, n. 364184).
Analogamente, anche nel caso di sconti previsti contrattualmente, non è necessaria l’indicazione delle
fatture cui si riferiscono gli sconti (Corte di Cassazione, sentenza 11 aprile 1996, n. 3428) che possono
essere stati previsti anche verbalmente (Corte di Cassazione, sentenza 22 giugno 2001, n. 8558), in quanto
“ove la legge non preveda speciali forme per la conclusione del contratto, la modifica che comporta una
riduzione del corrispettivo può essere anche frutto di un accordo orale e può essere provata con qualunque
mezzo previsto in materia contrattuale”.
È stato, poi, evidenziato che non è possibile l’emissione di una nota di credito ai sensi dell’art. 26, nel caso
in cui per l’operazione originaria sia stato emesso lo scontrino fiscale (risoluzione 24 ottobre 1990, n.
571646) in quanto la variazione in diminuzione è effettuabile sempreché “per l’operazione posta in essere
sia stata emessa e registrata la relativa fattura” (circolare 17 aprile 2000, n. 77/E, par. 2, che ha fornito
numerosi chiarimenti in merito alle ipotesi di variazione in diminuzione derivante da procedure concorsuali
o procedure esecutive infruttuose). Inoltre, nel caso in cui il cedente intenda avvalersi della possibilità di
emettere la nota di credito, il cessionario è tenuto ad effettuare le registrazioni di sua competenza
(risoluzione 16 ottobre 1990, n. 666305; circolare n. 77/E/2000) a meno che non vi sia disaccordo tra le
parti sulla presenza di una situazione legittimante l’emissione della nota (risoluzione 1° luglio 1991, n.
500796).
La nota di credito deve essere datata e numerata progressivamente con un ordine distinto da quello delle
fatture di vendita. Inoltre, secondo quanto previsto dai commi 4 e 5 dell’art. 26, la registrazione deve
essere effettuata (si veda anche la circolare 9 agosto 1975, n. 27, parte 5):
dal cedente o prestatore, sul registro degli acquisti (in aumento) o sul registro delle vendite o dei
corrispettivi (in diminuzione);
dal cessionario o committente, sul registro delle vendite o dei corrispettivi (in aumento) o sul
registro degli acquisti (in diminuzione).
È, inoltre, consentito che il contribuente possa istituire appositi registri per le variazioni degli acquisti e
delle vendite che assumono la funzione di registri sezionali (circolare 21 novembre 1972, n. 27).
Si precisa, inoltre, che la Cassazione, con sentenza n. 715 del 7 dicembre 2006, depositata il 15 gennaio
2007, si è espressa in relazione all’applicazione dei commi 2 e 3 dell’art. 26, D.P.R. n. 633/1972, precisando
quali debbano essere i requisiti per l’emissione di note di credito. L’orientamento espresso dalla pronuncia
della Corte ha tenuto in massima considerazione il tenore letterale della disposizione, rilevando che, a
norma del citato articolo, si è in presenza di una variazione dell’imponibile o dell’imposta solo qualora “per
eventi successivi all’emissione o per inesattezze vengano modificati gli estremi di una determinata
operazione imponibile [...] e non già quando muta per una qualsiasi causa il quadro complessivo dei rapporti
tra i soggetti interessati”.
Esempio: registrazione variazioni in diminuzione
Nel caso di variazione in diminuzione dovuta dalla diminuzione dell’imponibile (quindi, dell’imposta), a
seguito ad esempio di consegna di prodotti difettosi, in contabilità potranno essere riportate le seguenti
scritture. Il venditore provvederà a rettificare utilizzando il registro degli acquisti mentre il compratore
utilizzerà quello delle vendite.
Registrazioni originarie
Venditore - Registro fatture emesse - Imponibile Euro 2.000,00 - IVA (22%) Euro 440,00
Acquirente - Registro acquisti - Imponibile Euro 2.000,00 - IVA (22%) Euro 440,00
A seguito del rilevamento di merce avariata l’imponibile viene rideterminato in 1.600 e l’IVA in 336.
Scritture di rettifica:
Venditore - Registro degli acquisti - Imponibile Euro 400,00 - IVA (22%) Euro 88,00
Acquirente - Registro delle vendite - Imponibile Euro 400,00 - IVA (22%) Euro 88,00
Variazioni in diminuzione - operazioni intracomunitarie
Per quanto riguarda le variazioni in diminuzione:
• in caso di cessione intracomunitaria di beni, la circolare n. 13/E del 23 febbraio 1994 ha
specificato che l’operatore può “intervenire sul registro delle fatture emesse di cui all’art. 23 del
D.P.R. n. 633/1972 con apposite annotazioni di rettifica in diminuzione. La rettifica riduce
l’ammontare imponibile dell’operazione cui si riferisce se viene annotata nello stesso mese in cui è
annotata l’originaria; diversamente, della rettifica si tiene conto in dichiarazione annuale”; la
variazione viene rilevata nel modello Intra-1ter;
• viceversa, in caso di acquisti di beni, la medesima circolare n. 13/E/1994 specifica che
l’operatore “ha facoltà di intervenire con apposite annotazioni separate in diminuzione
direttamente sul registro delle fatture emesse e sul registro degli acquisti. Le suddette rettifiche
riducono l’ammontare dell’operazione di acquisto cui si riferiscono se vengono annotate nello stesso
mese in cui è annotata l’operazione originaria; diversamente, delle rettifiche si tiene conto in
dichiarazione annuale”; la variazione viene rilevata nel modello Intra-2ter.
La stessa circolare n. 13/1994 ha precisato, poi, che tale ultima “procedura di regolarizzazione si rende
applicabile sia nelle ipotesi in cui la variazione dipenda dalla concessione di uno sconto, un abbuono, etc. sia
nelle ipotesi in cui comporta la restituzione dei beni al cedente in altro Stato membro; in tale ultimo caso,
peraltro, è necessario compilare il modello Intra-2ter, ai soli fini statistici, anche se la variazione non ha
assunto rilevanza fiscale”.